3. Il piano
Il piano
Avevamo pochissimo tempo: la convocazione era il giorno dopo per cui non c'era spazio per la disperazione, non ancora. Per quella avrei avuto abbondantemente tempo in seguito. Mentre Anthony avrebbe portato a termine il suo sistema di teletrasporto, io - inutile come sempre - avrei potuto tranquillamente struggermi per l'assenza di Jason, o almeno così credevo.
"Tieni", mi disse Kore porgendomi una lista.
"Cos'è?", chiesi guardinga mentre me la passava.
Mi guardò, limitandosi a farmi cenno di prenderla.
METODI DI CONTENIMENTO EMOZIONALE
- musica che mantenga le pulsazioni sulle 75 al minuto
- attività fisica
- cibo per un totale di 2000 calorie giornaliere, aumentare gli zuccheri se necessario.
- farmaci ansiolitici all'occorrenza
- alcol: assumere 20 ml di liquidi alcolici
Sollevai lo sguardo perplesso su Kore, cercando di farmi un'idea su quanti fossero 20 ml di alcol e soprattutto se fossero sufficienti, ma non feci in tempo a chiedere delucidazioni perché Jason, rimosso il sistema per l'espianto dei ricordi, mi si avvicinò e mi tolse il documento di mano, leggendolo a sua volta.
"Kore", iniziò, ma lei non lo lasciò parlare.
"No, Jason. Lo so che faresti di tutto per agevolarla, ma da lei forse dipenderà il tuo umore e non permetterò che questo mandi tutto a rotoli!".
"Non puoi sapere come sarò una volta resettato", precisò calmo. "Non sappiamo se le nostre emozioni saranno ancora legate, potrebbero mancarmi solo i ricordi o tutto il legame che ci riguarda".
"Esatto, e non ho intenzione di correre il rischio", sibilò di rimando osservandomi, in attesa che dicessi qualcosa.
Riflettei per qualche istante, dopodiché sospirai piano. "Ok, ho capito. Se io vado nel panico o mi angoscio lui potrebbe provare qualcosa qui...".
"E fare qualcosa di avventato", concluse spietata.
Intervenne Jason, osservandomi addolorato. "June, tesoro, dobbiamo resistere per il tempo strettamente necessario a far terminare il lavoro ad Anthony, ce la faremo", concluse con foga, provando a rassicurarmi con lo sguardo. Senza riuscirci.
Deglutii. Ammiravo la loro sicurezza, erano allineati verso l'obiettivo e lavoravano per quello, apparentemente privi di dubbi. Come facevano? Detestavo doverlo ammettere, ma le nostre possibilità dipendevano in larga misura da un lavoro pseudoscientifico di un tizio poco raccomandabile conosciuto un paio di settimane prima. Certo, era il padre di Jason: l'amore della mia vita doveva pur aver preso da qualcuno, no?
Tornando al dunque: avrei dovuto auto regolare le mie emozioni per quanto tempo? Giorni? Settimane? Mesi? Le mie pulsazioni aumentarono al pensiero di ciò che veniva dopo i mesi.
Jason si voltò verso di me e mi strinse al fianco, baciandomi il capo.
"Shh... andrà tutto bene".
"E' proprio di questo che parlo!", esplose Kore. "Controllati June! Jason non deve percepire nulla fino al momento in cui tu mi risveglierai i ricordi!". Riprese fiato. "Dovrai venire qui il meno possibile ed evitare accuratamente ogni contatto con Jason".
"Kore, basta!", sibilò Jason rivolgendole un'occhiata di fuoco. "Sei stata di grande aiuto, adesso puoi tornartene nel tuo alloggio".
Lei, senza battere ciglio, se ne andò portandosi via i ricordi di Jason. Lei, nonostante tutto, era la nostra unica speranza; insieme allo scienziato pazzo, certo...
"Non dovresti trattare così la tua futura moglie".
Jason abbassò lo sguardo su di me, ma non rise come mi aspettavo. Era serissimo.
"Tu sei mia moglie".
Provai a sorridergli, fallendo miseramente. "Ti prego, dimmi un'altra volta perché dovremmo fidarci di lei".
Jason cercò di non sorridere al suono mesto delle mie parole. "Perché la sua ferrea motivazione ad andarsene di qui non potrà che esserci di aiuto", tentennò. "Anche se come te a volte avrei voglia di strangolarla", terminò con un sorriso esasperato.
Intuivo che dietro le sue parole ci fosse qualcosa che non mi stava dicendo, ma capii anche che per qualche strana ragione non volesse parlarmene. Non che mi stesse suonando qualche campanello d'allarme interno, sia chiaro; appariva singolarmente comprensivo verso la sua collega e al contempo reticente.
Scossi la testa, guardando in basso. "Scusa, so che devo essere forte", mi costrinsi a guardarlo, inspirando. "Farò la mia parte, non ti deluderò".
Mi circondò il viso con le mani. "Non potresti mai deludermi", disse con intensità scrutandomi intensamente. "Sono io quello che potrebbe metterti in pericolo, non sopporto l'idea che potrei farti del male".
Cercai di alleggerire l'atmosfera. "A tal proposito, è il momento di rendermi un po' meno inerme".
Si scostò da me e annuì ridendo. "Sarà interessante, vieni".
Al centro della stanza spoglia comparve una sedia evanescente. Ricordai i miei iniziali timori nei confronti della realtà olografica e sorrisi. Ci si abitua a tutto talmente in fretta. Mi accomodai e la poltrona si inclinò avvolgendomi e sostenendomi le gambe, come quella di un dentista.
Jason entrò nel mio campo visivo. "Ho preparato il programma di difesa inserendo tutte le combinazioni di azioni e reazioni che adotterei io, fino alla terza risposta. Oltre temo sarebbe un sovraccarico per te".
Non avevo capito niente, per cui mi limitai ad annuire e a nascondere l'ansia che provavo nel momento in cui poggiò davanti al mio occhio destro la lente che ormai ben conoscevo, quella necessaria per lo scambio e l'impianto di informazioni. Ero stata sollevata dal fatto che Jason avesse ceduto, era abbastanza palese che non fossi in grado di difendermi. I numerosi lividi lasciati da Kore – seppur spariti in fretta- ne erano la prova. E lei, per quanto odiosa, non c'era andata giù pesante. In quel caso sarei morta.
"Rilassati June e non contrastarlo".
Molto rassicurante.
E' difficile da descrivere a parole. Il mio cervello fu inondato di informazioni. Per lo più numeri che automaticamente nella mia mente si tramutavano in movimenti. Numeri per tutto: cifre per le parate, calci; numeri per contromosse e scivolate. Tutto sembrava semplice e ovvio. Come un enorme sudoku in cui tutto tornava alla perfezione, senza fatica. Si scomponeva e ricomponeva in migliaia di combinazioni diverse, dopodiché tutto ciò che misi a fuoco fu il volto preoccupato di Jason che rimuoveva il monocolo e mi osservava con apprensione.
"June, tutto a posto?". L'urgenza nella voce.
Sbattei le palpebre. "S-sì", balbettai stupita.
Mi aiutò a rialzarmi e mi sostenne come se temesse che potessi cadere.
"Sto bene", gli confermai con sicurezza.
"Bene, proviamo", disse arretrando verso il fondo della stanza, la poltrona era ormai sparita lasciando la camera completamente libera.
Mi ci volle un attimo per capire. "No!", esclamai scuotendo la testa; non sapevo cosa si aspettasse che potessi fare,non sapevo da che parte cominciare.
Rise, il suono più bello dell'universo. "Sono curioso, fatti sotto!", proseguì sghignazzando.
Sbuffai e incrociai le braccia. "Sei infantile. Non farò proprio nie..."
Non potei concludere. Si lanciò verso di me e scivolando puntò alle mie gambe per farmi cadere. Era velocissimo,anche senza ricoprirsi di pelle. Reagii senza accorgermene e invece di trovarmi a terra mi librai in aria roteando all'indietro e atterrando al sicuro contro la parete.
Jason con un'abile capriola mi era di nuovo addosso; mi prese il polso, ma io gli feci una leva di cui non avrei neanche saputo dire il nome e ruotai il suo braccio contemporaneamente tirandogli un calcio alla tibia. Prima che il colpo andasse a segno si era ricoperto di pelle, cosicché la sua presa divenne cento volte più forte. Tutto ciò che potei fare fu tirargli una gomitata all'addome... Che non sortì alcun effetto.
"Hai barato!", gli urlai contro indicando la sua muta nera.
Si scoprì fino al collo, ma non mi lasciò andare.
Il mio respiro era pesante, potevo anche aver acquisto un po' della sua forza e delle sue abilità, ma non c'era confronto.
Mi fissava senza parlare, tenendomi per il polso.
"Il tuo punto di forza è l'agilità - sfruttala - e se dovesse mai capitarti uno scontro con uno di noi, fossi anche io, fossi soprattutto io sfrutta l'elemento sorpresa e poi scappa il più in fretta possibile".
Ero solo un po' meno inerme, non sarebbe mai stato abbastanza. Jason temeva ciò che avrebbe potuto farmi inconsapevolmente. Dovevo iniziare da subito a controllarmi e non dargli pensiero.
Annuii. "Andrà bene, non dovrò mai usare i miei super poteri, vedrai", sogghignai.
Ci pensò su. "Potrei suggerirti qualche terrestre su cui fare pratica".
Ridacchiai. Sapevo perfettamente a chi si riferiva. "Ti piacerebbe! Ricorda che sarai tu quello che giocherà alla famigliola felice".
Il suo sorriso era tirato, una ruga comparve al centro della sua fronte. "Non so come andrà quell'aspetto della cosa. Non ho idea di chi sarò non appena il reset sarà completo. Non so cosa succederà realmente tra me e lei", concluse esitante. "Potrai conviverci?".
"Sì", stavolta fui io a non esitare. "So che nessuno dei due lo vorrebbe e tanto mi basta". Naturalmente mentivo, mi importava eccome. L'idea che potessero stare insieme realmente, seppur inconsapevolmente, era come lava che mi bruciava dall'interno ma mi ero ripromessa di fare la mia parte e fingere avrebbe fatto parte del gioco, meglio abituarmici.
Mi osservò con attenzione, cercando di captare il mio umore, dopodiché mi strinse a sé e mi baciò con foga, come se da ciò ne andasse delle nostre vite.
"Ti amo, ti amerò per sempre".
Non poteva saperlo, ma apprezzai lo sforzo.
Mi costrinsi a sorridergli. "Ci vediamo stasera da me".
Strinse la mia mano più forte e poi mi lasciò svegliare. L'ultimo giorno della mia vita aveva inizio.
Innanzitutto grazie per aver letto il terzo capitolo! Cosa ne pensate dell'atteggiamento di Kore? Pensate che il loro piano abbia qualche speranza di riuscita?
B.
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