24. Inizio

24. Inizio

Mi svegliò un flusso di ricordi che riportò tutto a galla. Sentivo le sue braccia che mi circondavano e mi osservai per la prima volta attraverso i suoi occhi.

Il mio volto concentrato mentre affrontavo i guardiani sul Golden Gate Bridge, dove tutto era cominciato; il mio sguardo smarrito che si posava sul suo tatuaggio, sull'isola di Alcatraz; Il nostro primo vero incontro a casa mia, me che gli sorridevo e gli offrivo il suo primissimo caffè. I ricordi si susseguivano veloci e percepivo le sue braccia stringermi più forte man mano che la consapevolezza di ciò che eravamo stati faceva breccia in lui.

Una corsa in moto lungo la baia, un ballo lento in abiti eleganti in una sala illuminata da centinaia di luci.

Percepii la sua mente soffermarsi sul mio cambiamento: il mio aspetto in quella che sembrava una vita fa e quello di adesso: mi vedeva smagrita, stanca e le occhiaie profonde a incorniciarmi il viso.

Sentii il richiamo, il fascino che provò nel momento in cui guardò il mio volto distorto dal panico, mentre durante una riunione cercavo di far collaborare una tecnologia che mi appariva aliena. Avvertii chiaramente il dolore che percepì ricordando quando mi aveva attaccato dopo avergli salvato la vita; lo sconcerto e l'angoscia all'idea di avermi fatto sanguinare. L'involontario orgoglio nel vedermi contrastarlo e sviarlo con astuzia, e una buona dose di goffaggine;

Sentii tutto l'amore sconfinato che aveva provato e che provava per me e io mi resi conto che ai suoi occhi apparivo come non mi ero mai vista: straordinaria e unica, persino forte e coraggiosa.

Non avevo il coraggio di muovermi, per cui rimasi immobile a godermi il film.

Ricordi più vecchi si intrecciavano ai più recenti: Peter che gli mostrava i suoi libri, i miei genitori... Percepii l'affettuoso attaccamento che provava persino per la diffidenza di mia madre.

Noi con Ethan e Kore, il nostro piano, la mia angoscia e la sua paura per me.

Il nostro primo bacio in camera mia, la meraviglia e la spasmodica necessità che avevamo l'uno per l'altra, che ci aveva portati alla nostra prima e unica volta a casa sua. Avvertii le mie guance riscaldarsi e lo sentii sospirare.

Rimanemmo immobili per molti minuti, mentre l'intero puzzle si ricomponeva nella sua mente. Non avevo idea di come comportarmi.

"Lo so che sei sveglia".

Aprii gli occhi e mi ritrovai a perdermi nei suoi, vicinissimi ai miei, le sue labbra a un respiro dalle mie. Mi sorrise leggermente addolorato, portando una mano tra i miei capelli e facendola scivolare sulla mia nuca, con delicatezza. Qualcuno doveva avermi cambiato, perché la maglia lunga che indossavo era sicuramente pulita.

Non riuscivo a spiccicare parola, non poteva essere vero. Era lì con me davvero. Tentai automaticamente di allontanarmi, era diventato una specie di riflesso involontario: allontanarmi da lui, negare, non pensare. Credo fossi vittima di una sorta di shock post traumatico.

Naturalmente non me lo permise. "Stai con me, June", sussurrò. Scosse la testa. "Mi dispiace, mi dispiace che tu abbia dovuto subire tutto quello che è successo, so di averti ferita", scosse la testa. "Puoi perdonarmi?", mi domandò contro ogni logica.

Si aspettava una risposta, mi osservava con una punta di ansia, come se avessi davvero potuto rifiutarlo. Gli sorrisi e la voce mi uscì in un sussurro. "Una volta mi offristi una scelta, adesso sono io che la offro a te: sono ancora ciò che vuoi? Perché capisco che magari tu possa avere avuto una nuova vita in questi mesi...". Mi costò tanto dirlo e lo sbalordimento sulla sua faccia fu qualcosa di quasi comico.

Mi scosse leggermente. "Pensi che potrei non volerti più?" Un sorriso incredulo gli spuntò sulle labbra. "Quando prima lo hai pensato l'ho attribuito al trauma cranico, anche se è vero che i tuoi pensieri sono quasi sempre una poltiglia senza capo né coda", concluse ridacchiando.

Spalancai la bocca -offesa - lui non aveva minimamente idea della fatica che avevo fatto per occultargli i miei pensieri. La mia espressione lo fece ridere ancora di più, ma subito dopo tornò serio, o meglio, gli occhi gli si accesero di quella dolcezza che mi era mancata come l'aria, lo sguardo che rivolgeva solo a me, come se fossi il suo bene più prezioso.

"Lo sei", disse con intensità, circondando il mio viso con le mani.

Avremmo dovuto fare un discorso serio sulla lettura del pensiero. Ridacchiò di nuovo e a quel punto sospirai pesantemente. Gettai involontariamente uno sguardo alla stanza in penombra che mi era del tutto estranea. "Dove siamo?".

"Benvenuta in Nevada", rispose esitante.

Mi sollevai a sedere e lui mi aiutò tenendo un braccio attorno alla mia vita. Era come se non fosse disponibile a staccarsi da me neanche per un istante; la cosa mi piaceva molto. Lo sentii sorridere.

Mi resi conto di una presenza sulla porta, che mi fece congelare e dimenticare istantaneamente il mio senso di beatitudine: Kore mi guardò per un istante dalla soglia, dopodiché corse nella stanza e saltò sul letto. Mi appiattii contro la testiera e l'ultima cosa che mi sarei aspettata fu che mi buttasse le braccia al collo, lasciandomi completamente sbalordita.

Si staccò immediatamente, tirandosi indietro. "Grazie June! Sei stata brava!".

Mi ripresi dal mio attimo di shock e le puntai un dito contro. "Tu invece sei stata la solita stronza!", le urlai contro.

Mi rispose con un sorriso compiaciuto e un gesto della mano. "Lo so, lo so, ma cosa potevo saperne? Arriva questa pazza che mina ogni mia possibilità di avere una vita accettabile".

Jason si irrigidì al mio fianco. Lo guardai perplessa. Non volevo realmente sapere, ma prima avessimo chiarito questo punto, prima saremmo potuti andare avanti. "Cosa è successo tra voi due?".

Kore fece una smorfia disgustata. "Assolutamente niente! Te lo puoi tenere il tuo Jason!". Fin troppo sulla difensiva; guardai Jason torva.

Lui sollevò gli occhi al cielo e poi si rivolse a Kore, il biasimo nella voce. "Avrebbero dovuto lasciarti vagare per il centro di San Francisco!". Mi trasmise l'immagine di Kore ricoperta di pelle con la bocca aperta nel bel mezzo dell'incrocio di Haight Ashbury. Aveva quasi causato un tamponamento a catena.

Jason mi sorrise e scosse la testa. "Ti assicuro che non sono il suo tipo. Dopo la convocazione abbiamo avuto qualche giorno in cui ci siamo valutati... ".

"Si chiama valutarsi adesso?", lo interruppi scontrosa.

Kore sbuffò. "Mi tocca convivere con i suoi ricordi melensi per il resto dei miei giorni, direi che siamo pari su tutta la questione".

Non ero per niente d'accordo e stavo per farle una scenata, recriminando il fatto che grazie a lei stava per finire molto male, ma fui distratta perché alla porta si affacciarono Ethan e Amber che mi salutò timidamente con la mano. Le sorrisi e risposi allo stesso modo. Ethan appariva enormemente soddisfatto, per lui si aprivano una miriade di possibilità. Ero felice che avessero fatto il passaggio dimensionale, meritavano una vita serena.

Mi sentivo strana, lì sul letto mentre loro mi osservavano dall'alto, per cui cercai di alzarmi, ma dalla porta fece capolino Anthony, una strana espressione sul viso. Lo studiai per un attimo, sembrava fiducioso, speranzoso...

"Ciao ragazza, fatto un buon riposino?", disse semplicemente appoggiandosi allo stipite della porta.

"Ehi..", risposi circospetta, continuando a valutare il suo umore. Nel momento in cui Eleonor varcò l'ingresso compresi il perché del suo apparirmi differente.

Lei indossava dei semplici pantaloni chiari e una camicia, i suoi capelli ricadevano sciolti sulle spalle ed era semplicemente bellissima. Si poggiò in maniera inconsapevole all'altro stipite, allo stesso modo di Anthony. Riportai lo sguardo su di lui e sorrisi. Lui mi osservò per un istante e ricambiò il mio sorriso, sornione. Si tenevano distanti e tra loro c'era un che di adorabilmente impacciato e si vedeva che Anthony cercava di non guardarla neanche, di non metterla a disagio; il tempo probabilmente avrebbe curato anche le loro ferite, lo speravo con tutta me stessa.

Seppi solo alcuni giorni dopo che Eleonor per tutti quegli anni si era volontariamente sottoposta al Reset con cadenza quasi mensile. Aveva fatto tutto ciò che poteva per non dare adito a dubbi sul suo comportamento, sperando che quel figlio che aveva tanto voluto e difeso e per il quale in quel momento non provava nulla, un giorno avrebbe trovato il modo di contattare il padre.

La sua era stata una decisione dettata dalla pura razionalità e da un'incredibile forza d'animo. Sapeva solo teoricamente che Jason doveva essere stato il frutto di un amore straordinario, amore che non riusciva a provare non avendo alcun ricordo di Anthony. Anno dopo anno aveva annotato i reset effettuati e seguito i progressi di quel ragazzo che un giorno sarebbe dovuto diventare un superiore. Lo aveva monitorato di nascosto e avviato ad un mestiere che sperava gli avrebbe consentito – un giorno - di avere accesso alle conoscenze e alle tecnologie necessarie a liberarsi dalle catene del loro mondo.

Quando Jason aveva subito il suo primo reset aveva deciso di sottrarre la sua moto allo stesso trattamento, correndo un enorme rischio, sperando che in qualche modo sarebbe potuta essere di aiuto a Jason e a me.

I primi giorni nella nostra dimensione furono difficili per lei. Tempo dopo mi confessò che provava sentimenti contrastanti: il suo cervello le diceva che aveva fatto una follia per delle persone che neanche conosceva. Aveva tradito il suo popolo per seguire una leggenda, andando contro ogni suo ragionamento. Ma era stato il suo cuore a scegliere: aveva scelto di dare una possibilità alla sua famiglia, di darla a sé stessa.

"Cos'è successo a Christopher?", mi decisi finalmente a chiedere.

Fu Anthony a rispondermi. "Hai presente quella frequenza orribile che io e Matt abbiamo scoperto per caso?".

Lo guardai circospetta. "La famosa 9.887?".

Sghignazzò. "Esattamente quella".

Rimasi a bocca aperta. "Lo avete spedito definitivamente in un'altra dimensione ancora?".

Jason mi attirò a sé, con fare protettivo. "L'alternativa era la morte. Eleonor ha deciso di mandarlo in vacanza. Per sempre".

Guardai Eleonor con una punta di preoccupazione. Si sarebbe mai adattata al nostro mondo? Ma lei inaspettatamente mi sorrise e la somiglianza con Jason fu lampante.

Le parole di Anthony fecero improvvisamente breccia in me: "Mio Dio, Matt!".

Anthony mi sorrise. "Il ragazzo sta bene, è tornato a Berkeley. Ha chiamato poco fa per sapere come stessi".

Fu un sollievo sapere che fosse in salvo; guardai esitante Jason al mio fianco, che inaspettatamente mi sorrise. "Detesto essere in debito proprio con lui", ammise controvoglia, ma il suo tono era tutt'altro che serio, era divertito. Mi scrutò a fondo e come sempre capitava mi persi nei suoi occhi.

Un sospiro esasperato ruppe l'incantesimo. "Lasciamo soli i piccioncini!", esclamò Kore dirigendosi a passi spediti fuori dalla stanza. Fu seguita a ruota dagli altri.

Amber si richiuse dolcemente la porta alle spalle.

"Quindi è tutto vero! Ce l'abbiamo fatta!", esclamai stringendogli una mano.

"Sei stata straordinaria, lo siete stati tutti".

Lo guardai incredula. "Io non ho fatto nulla, anzi ho creato un casino dietro l'altro".

Mi guardò seriamente, sfiorando le mie labbra con un dito. "Io non sarei mai stato in grado di resistere come hai fatto tu. Intuivo solo vagamente che dietro potesse esserci qualcosa, un piano... ma non ne ero sicuro, ero praticamente convinto che tu davvero ti fossi rifatta una vita, anche se speravo... speravo che non fosse vero. Anche se non mi ricordavo di te, sentivo di appartenerti".

Gli sorrisi. "E infatti è così, noi ci completiamo".

Mi guardò intensamente, sporgendosi verso di me. "Mi spiace solo che dovrai restare lontana da San Francisco. Ho creato un po' di scompiglio e distrutto una delle loro macchine per il salto dimensionale, ma è solo questione di tempo prima che si riorganizzino".

Scossi la testa, sorridendogli. "Dove sei tu, sarò io". Ed era vero. Riflettei un attimo. "Peccato per Tracey, era fantastica".

Jason si sporse verso il comodino e prese un oggetto che mi mostrò: la sfera luminosa che era il cuore pulsante della moto. Guardai Jason con stupore.

"Ci ho messo un po' a capire chi fosse Tracey; quando ho provato a chiamarla così si è mostrata molto più collaborativa", concluse ridendo. "In quel momento mi ha dato accesso a un file che si chiamava semplicemente "June" ".

Lo guardai sbalordita. "Avevi inserito i tuoi ricordi nella moto?".

Annuì. "Sapevo che era un rischio, ma per quanto mi fidassi di Kore, mi pareva opportuno avere un'alternativa". Ridacchiò. "Ho dovuto lottare contro me stesso per non visionarlo immediatamente". Mi osservò attento. "Capisci perché dico che tu sei stata molto più brava di me?".

Secondo me stava sottovalutando la sua bravura con gli esplosivi.

Fece una smorfia divertita, dopodiché lo vidi riflettere un attimo osservandomi. "Avrei bruciato l'intera città per te, anche senza i miei ricordi", concluse seriamente a bassa voce e sapevo che non era un'esagerazione, né un modo di dire. Fui felice che non fosse stato necessario, c'era tanta gente innocente lì, a cui avremmo dovuto dare una possibilità.

Jason cercò di alleggerire il momento e sollevò la sfera luminosa. "Potremmo fare una modifica alla Kawasaki", propose sollevando le sopracciglia.

"Eh, no. Dovremo comprare una moto nuova, la kawasaki è di Anthony ormai".

Jason sorrise incuriosito. "Lui ti piace... vero?".

Era difficile da spiegare, ma ci provai nella maniera più semplice. "Mi ha riportato te".

Non c'era altro da dire, Jason avvicinò il suo volto al mio, trascinandomi dolcemente con lui sul letto e quando le nostre labbra finalmente si incontrarono, fu tutto ciò che avevo aspettato e anelato per quei lunghi mesi; potei lasciare andare tutto l'amore che ero stata costretta a trattenere e soffocare. Mi strinse forte, accarezzando il mio volto, il mio corpo e portando il viso nell'incavo del mio collo. Strofinò il naso sulla pelle sensibile della mia gola, facendomi venire la pelle d'oca. Risi sommessamente. "Certe cose non cambieranno mai!".

"Per fortuna!", mi rispose ridacchiando.

Gli accarezzai i capelli, riappropriandomi di lui, di ogni particolare. "Cosa faremo qui nel bellissimo Nevada?".

Sollevò la testa per incrociare il mio sguardo. "Tu cosa vorresti fare?".

Sollevai le spalle. "Immagino che dovremmo iscriverci al College...", proposi dubbiosa.

Si tenne in equilibrio su un gomito, un'espressione divertita rendeva il suo viso la cosa più bella che avessi mai visto. "Vuoi davvero passare la tua vita a fare qualcosa di cui non ti importa assolutamente nulla?".

Risi della sua sfacciata sicurezza. "E sentiamo, cosa dovrei fare secondo te?".

Mi guardò con calore, con amore. "Tu, June, dovresti danzare".

Non era cambiato nulla: continuava a conoscermi meglio di me stessa. Lo baciai di slancio, aggrappandomi a lui per non lasciarlo più andare via e quello - per noi - fu il nostro nuovo inizio.


Grazie infinite per avere letto la storia di June e Jason. Il prossimo sarà l'epilogo, in cui scopriremo cosa ne sarà di loro ;) , ma naturalmente anche questo capitolo - se preferite- può andar bene come conclusione. 

Non so bene cosa scrivere, (sono scioccamente commossa lo ammetto :D) Probabilmente l'epilogo arriverà nei prossimi giorni perché è praticamente pronto! 

B.

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