20. Atmosfera


20. Atmosfera.

Guardavo distrattamente le vetrine di un negozio di abbigliamento del Westfield Center. L'atmosfera di festa che si respirava sembrava aver dato a tutti alla testa. Il gigantesco albero addobbato, che si innalzava al di sotto dell'alta spiovente copertura in vetro, aveva un che di opprimente a mio avviso, ma tutti sembravano trovarlo splendido. I bambini si rincorrevano in cerchio lanciando urla gioiose e gli altoparlanti trasmettevano ininterrottamente canzoni natalizie di Michael Bublé. Il mio umore non avrebbe potuto essere più nero.

Non fu difficile individuare in mezzo alla fiumana di gente che scendeva sulla scala mobile, l'unica altra persona con la stessa mia espressione funebre e anche le stesse occhiaie.

Anthony odiava se possibile anche più di me il trovarsi in mezzo alla gente, ma camuffarci nella folla era diventato un requisito necessario per poter parlare senza la paura di essere individuati insieme ed essere quindi associati. La musica a tutto volume avrebbe fatto sì che i miei pensieri fossero relativamente al sicuro, distratti dalle note rimbombanti.

Non appena fui certa che mi avesse individuato mi recai a passo lento verso la rotonda centrale, mischiandomi alla gente che fotografava senza sosta le tristissime renne finte. Mi affiancò in pochi attimi, infilandomi qualcosa in tasca.

"Ho fatto la modifica, da adesso non stupirti se verrai seguita da una muta di cani".

Divertente. "Credo che stiano continuando a seguirmi", dissi guardando di fronte a me.

Anthony strinse la mascella, dopodiché salutò entusiasta con la mano un bambino che si era seduto sul trono elfico per fare una foto. Il bambino lo guardò con aria smarrita, cercando immediatamente i genitori.

Scossi la testa. "Come se la sta cavando Matt?".

Fece spallucce. "Il ragazzo se la cava, ma è eccessivamente accademico; devo spiegargli tutto".

Il ragazzo... Ridacchiai senza entusiasmo. "Vacci piano con lui, ricordati che non ci deve nulla".

Il suo sguardo si indurì. "Non possiamo andarci piano", rispose con tono stanco. "Per te farebbe di tutto, per fortuna".

Lo guardai malamente. "Capisco che di lui non ti importi niente! Ma comprenderai che il modo in cui ne parli mi infastidisce".

Sollevò gli occhi al cielo e mi guardò lievemente sprezzante. "Perdonami se non sono un ipocrita, il benessere del tuo Matthew non mi riguarda".

In quel momento lo detestai. Soprattutto perché sapevo che aveva ragione: io semplicemente non ero in grado di ammettere a voce alta che sarei stata disposta a sacrificare tutto e tutti per riavere Jason. Guardai torva la gente che si godeva una normalissima serata al centro commerciale, incapace persino di provare invidia per quella che tutti definivano "Una vita normale". Io non la volevo. Il senso di frustrazione stava aumentando pericolosamente in me e ormai la sapevo abbastanza lunga da accorgermi che la separazione forzata da Jason - che si stava risvegliando- stava producendo i suoi effetti. Il mio respiro accelerò ed ebbi la fortissima tentazione di strappare quelle odiosissime campanelle dalle mani degli aiutanti di babbo Natale e fargliele ingoiare.

"June, June!".

Anthony mi riportò alla realtà con tono fermo. "Cerca di calmarti. L'omicidio di Santa Claus non sarebbe accolto bene dalla folla".

"Merda", bisbigliai respirando profondamente.

Anthony scosse la testa. "Quel ragazzo è proprio una testa calda". Era evidente che Anthony attribuisse a Jason il mio umore instabile.

"Sì, chissà da chi avrà preso", mugugnai tra i denti.

Ghignò. "Grazie".

Fu così che Anthony spezzò la tensione, la nuvola di rabbia rossa si dissipò e potei riprendere a pensare lucidamente. Applaudimmo diligentemente la fine dello spettacolino natalizio che non avevamo assolutamente seguito.

Anthony si voltò leggermente verso di me. "Domani cerca di fargli capire che deve aspettare senza fare nulla, manca davvero poco June".

La faceva facile lui, ma sapevo che discutere con Anthony era come scontrarsi contro un muro di gomma; per cui annuii e me ne andai. Solo quando fui all'esterno mi accorsi che insieme al nuovo apparecchio portatile mi aveva infilato in tasca una pasticca di coadiuvante. Anthony mi aveva regalato una notte in più di sonno. Questo la diceva lunga su quanto mi ritenesse affidabile.

Stavo quasi per rientrare per restituirgliela, sentendomi in colpa per averla involontariamente sottratta al lavoro quando, un'ombra che si mosse furtiva poco più in là, catturò la mia attenzione. I miei sensi si acutizzarono, l'adrenalina mi inondò le vene e automaticamente ruotai il corpo di tre quarti in un'inconsapevole posizione di guardia.

La figura sottile mi venne incontro scoprendo contemporaneamente la testa e rendendomi visibili i suoi occhi neri come il carbone.

Ero sola. In un parcheggio buio e semi deserto con Christopher.

Portai con fare casuale le mani in tasca, stringendo le dita attorno al dispositivo che mi aveva appena dato Anthony. Avrei potuto spegnerlo e sono sicura che Jason sarebbe arrivato in un istante, ma ciò avrebbe provocato una vera e propria apocalisse nella nostra situazione. Certo, morire subito non sarebbe stato altrettanto auspicabile. Dovetti scegliere in fretta come agire e sperai come sempre di cavarmela.

Sorrisi rilassata. "Ehi Chris, in vena di shopping natalizio?".

Lo sguardo che mi rivolse era come pece densa e urticante, dovetti farmi una violenza inaudita per non seguire il mio vero istinto e darmela a gambe. Speravo solo che Anthony non comparisse improvvisamente nei paraggi, per fortuna la moto non era in vista, doveva aver parcheggiato nel parcheggio posteriore.

Fece un passo verso di me. "Voglio solo dirti che ti osservo".

Annuii. "Sì, mi sono accorta che ti piace seguirmi; immagino che Eleonor e gli altri superiori ne siano a conoscenza, proprio come l'ultima volta che hai deciso di intrometterti". Mi sentivo morire e allo stesso tempo ribollire: tenere a bada la rabbia che mi stava montando dentro era possibile solo grazie a un primordiale e più dirompente istinto di autoconservazione.

Christopher mostrò i denti, un ghigno mostruoso. Non avrei dovuto nominare Eleonor. Non imparavo mai. "Tengo d'occhio anche quel surrogato di essere vivente, quel misero verme a un passo dall'autodistruzione".

Scossi la testa con pietà, dissimulando il panico che aveva invaso la mia mente. "Quanto deve essere difficile per te volerlo morto e allo stesso tempo in vita per far sì che lo resti anche lei". Cercai di imprimere intensità alle mie parole, di mostrargli un'empatia che non provavo. "Perché non vivi in pace, lei in fin dei conti ha scelto te". Il che era vero fino a un certo punto.

Io credevo di avergli dato un ottimo consiglio, ma lui la pensò diversamente perché si ricoprì e scattò nella mia direzione. Balzai automaticamente sul cofano della macchina alle mie spalle - pronta a difendermi - quando il rumore assordante di una moto squarciò il silenzio generale, insieme alla luce accecante dei suoi fari anteriori. Christopher si immobilizzò: la luce rese ancora più evidente la sua espressione distorta dall'odio e dalla rabbia. Si dileguò istantaneamente, così come la moto che mi aveva provvidenzialmente salvato la vita e di cui potevo facilmente immaginare il proprietario. Io e Anthony avremmo avuto a breve un'altra entusiasmante conversazione.

Iniziai a tremare in maniera incontrollabile, scivolando giù dalla povera macchina che si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Avevo ammaccato la carrozzeria. Infilai le mani tremanti nella borsa e tirai fuori una banconota da cento dollari che tenevo sempre con me per le emergenze. Mi rialzai aggrappandomi allo specchietto laterale e misi i soldi in un pezzo di carta, sotto al tergicristalli; il gesto mi fece sentire come se potessi avere ancora un minimo di controllo sulla mia vita.

Il viaggio verso il campus fu un incubo. Non riuscivo a calmarmi, eravamo alla mercé di Christopher - di loro tutti - non c'era niente che potesse rassicurarci, farci riprendere fiato, darci tempo, che era ciò di cui avevamo disperatamente bisogno.

Osservavo nel retrovisore il fascio di luce della moto che aveva preso a seguirmi poco dopo la mia partenza. Questa accostò alla mia auto nel momento in cui mi fermai al semaforo.

Abbassai il finestrino e Anthony sollevò la visiera del casco. "Stai bene?".

Scossi la testa. "Ti sta controllando", mi uscì con voce strozzata.

Gli occhi di Anthony divennero di ghiaccio e spietati. "Vai in un posto dove ci sia altra gente e restaci".

Bene, le alternative per la notte erano tra un night club o la sala d'aspetto di un pronto soccorso, pensai sarcastica. Scattò il verde e Anthony - accelerando - mi sorpassò e sparì dalla mia vista.

Girovagai con la macchina per più di un'ora e poi alla fine mi ritrovai nel parcheggio del campus. La mattina dopo avrei avuto un esame e non potevo mancare, sempre se fossi stata ancora viva.

L'arrivo di Jason in quel preciso momento fu l'ennesima sorpresa di quella giornata. Inchiodai giusto in tempo, un attimo prima di impattare sul suo corpo appena materializzato. Lo guardai spaventata attraverso il vetro, ma lui non fece una piega: la sua espressione avrebbe fatto scappare chiunque a gambe levate. A grandi passi venne verso il mio lato e aprì la portiera con una tale forza che credetti la avrebbe divelta. Avrei dovuto avere paura, ma lo conoscevo abbastanza bene da sapere che il tipo di emozioni violente che stava irradiando non erano rivolte a me.

Infilò le braccia all'interno e mi tirò fuori con urgenza e una certa dose di involontaria violenza, piazzandomi di fronte a lui. I suoi occhi mi scrutavano, come se stesse andando a fuoco.

Lo guardavo a bocca aperta, incapace di spiccicare parola. Le sue braccia tentarono di attirarmi a sé e io lo respinsi frustrata, arrabbiata e spaventata a morte.

Jason non mollò la presa e io dovevo fermarlo a dispetto del fatto che lui fosse tutto ciò che volessi. Un singhiozzo abbandonò la mia gola mio malgrado e Jason si immobilizzò inclinando il capo, la frustrazione ben evidente nel suo sguardo. Iniziò a tastare i miei vestiti, alla ricerca. Sembrava una singolare perquisizione della polizia. La sua mano si fermò all'esterno della tasca, tastando il contenuto. Con impazienza infilò la mano e cercò l'interruttore, facendolo scattare e ignorando i miei tentativi di allontanarlo. "Mi hai fatto morire di paura! Cosa è successo? Chi ti minacciava?".

Non ottenendo risposta, si spazientì e continuò a parlarmi tenendo le mani ben strette alle mie spalle. "Ho bisogno di parlarti, devi dormire! Subito!".

Non capivo, scossi la testa. Il mio arrivo in Inverso secondo il conteggio del coadiuvante era previsto per il giorno dopo, non avrei dato alcun pretesto a eventuali ripercussioni.

Mi guardò con intensità. "June, fidati di me".

Ma io mi fidavo di lui. Avrei messo la mia vita nelle sue mani. Quello che lui non sapeva era che ero io ad avere la sua nelle mie.

E non stavo facendo un buon lavoro.


Buongiorno e grazie a tutti per essere ancora qui!

Christopher a quanto pare non impara dai suoi errori :D e June se l'è vista davvero brutta! 

La prossima settimana si torna in Inverso ;)


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