12. Fascino
12. Fascino
Mi poggiai al muro del corridoio, sul quale si apriva la porta dell'assistente di Matematica Matthew Harper.
Avevo atteso che la lunghissima coda di ragazze bisognose di delucidazioni matematiche terminasse. Era orario di ricevimento e notai con una punta di divertimento che a quanto pareva la necessità di chiarimenti era appannaggio del genere femminile lì a Berkeley.
Quando finalmente l'ultima ragazza uscì sorridendo vagamente e stringendo a sé un blocco per gli appunti mi avvicinai alla porta aperta e bussai sullo stipite.
"Professor Harper, avrebbe un minuto?".
Sollevò lo sguardo da alcuni suoi appunti e si aprì in un autentico sorriso.
"Ehi! Che ci fai qui!", esclamò alzandosi e venendomi incontro alla porta.
Gli sorrisi a mia volta e ricambiai l'abbraccio, cercando di non apparire troppo rigida. Mi scostai velocemente, fingendo di volerlo squadrare per bene.
"Ti trovo bene Matt", riconobbi con un gesto del capo. Era vero, Matt era un bellissimo ragazzo, un fascino discreto, ma innegabile. Era facile capire come mai piacesse così tanto, era piaciuto anche a me per un brevissimo arco di tempo...
Rispose con una risata, facendomi cenno di accomodarmi.
Si sedette sulla scrivania, osservandomi con curiosità. "Come te la stai passando June?", chiese con una lieve punta di preoccupazione.
Sorrisi, ammiccando. "Direi bene! Ancora mi sto assestando, ma tutto sommato mi piace... E' un bell'ambiente, è proprio quello che mi serviva!". Semplici e innocue menzogne.
Annuì circospetto per cui trattenni ancora sul mio viso il sorriso che serviva a rassicurarlo, a metterlo a suo agio.
"Mi fa piacere sentirtelo dire, Al e Susan erano preoccupati che per te quest'anno potesse essere dura...".
Sorridere. Gesto della mano atto a sminuire la faccenda. Molto bene.
Scrollai leggermente i capelli, lasciandoli ricadere sulla spalla, dopodiché lo guardai dal basso verso l'alto. "Lo sai come sono, si preoccupano di continuo, ma sto bene, ti ringrazio".
Valutò per un attimo, poi parve ricordarsi qualcosa e cambiò argomento. "E' proprio tuo il nome che ho letto sulla lista della squadra di atletica?". Era incredulo, come dargli torto...
Risi leggermente, per mascherare il disagio. "Sì", confermai annuendo divertita. "Lo so, sembra strano anche a me... ma che ti devo dire... vita nuova!". Era un eufemismo ovviamente, più che vita era una continua catastrofe, ma su di lui la mia semplice affermazione ebbe un qual certo effetto. Lo vidi cambiare sguardo, osservarmi con una curiosità diversa. Perfetto. Era il momento.
"Sai", buttai lì in tono casuale. "Sono qui per chiederti un favore".
Si raddrizzò leggermente. "Spara!".
"Ecco... un mio amico sta lavorando ad un progetto molto ambizioso, ma ha necessità di aiuto professionale. E' tipo "impantanato" con un'equazione super difficile... Lo sai io non ci capisco granché", risi schernendomi. "Ho pensato che tu sei davvero bravissimo, forse potresti dargli una mano!".
Trattenni il respiro, incrociando mentalmente le dita. Doveva abboccare.
Ci pensò su "A che anno è il tuo amico?".
Questo era un problema. "No guarda, lui non studia qui, gli serve per un progetto indipendente". Tra un sorso e l'altro, aggiunsi tra me.
Matt scosse sovrappensiero la testa. "June... Sono pieno fin qui di lavoro", disse indicandosi il collo. "Non credo di poter dedicare del tempo a progetti extra universitari".
Merda. Ok, dovevo andarci giù più pesante. Abbassai gravemente gli occhi a terra, risollevandoli immediatamente nei suoi e sorridendo, dissimulando fintamente la mia delusione. Mi alzai. "Non importa Matt, ti ringrazio tanto lo stesso, ho pensato che valesse la pena tentare, visto che sei il migliore". Feci un cenno con la mano. "Ci si vede in giro", e mi voltai dopo avergli lanciato quella che ritenevo essere un'occhiata penetrante.
"June, aspetta".
Ce l'avevo fatta. Mi voltai con sguardo interrogativo. "Sì?", chiesi innocentemente.
Ammiccò. "Dì al tuo amico di mandarmi il materiale, gli darò un'occhiata".
Gli sorrisi con calore. "Grazie Matt, a presto". Ci salutammo e finalmente potei tirare un sospiro di sollievo.
Avrei dovuto sentirmi in colpa per come lo avevo manipolato, ma non potevo permettermi di pensarci, che fossi una brutta persona d'altronde era cosa assodata da tempo. Per cui ignorai il fastidio che provavo e lo misi in un angolino del mio cervello a prender polvere. Avrei fatto qualsiasi cosa fosse servito, qualsiasi.
Visto che per quel giorno avevo terminato, mi concessi di passeggiare per il campus e osservarmi davvero attorno per la prima volta. Il campanile svettava al centro della piazza e i ragazzi apparivano più rilassati, tutti si concedevano finalmente una pausa dalla giornata. Molti sarebbero andati in qualche locale, altri si sarebbero riuniti nelle confraternite. Era tutto idealmente allettante, ma continuavo a essere una spettatrice, non appartenevo più a questo mondo; Il mio mondo era Jason, ma come sempre non mi concessi di pensarci troppo, stava diventando un meccanismo automatico: nello stesso istante in cui pensavo a lui sopraggiungeva un immenso senso di colpa che quasi mi soffocava e che mi costringeva a cambiare rotta.
Comprai della pizza per cena e me la portai in camera con l'intento di mangiarla davanti alla tv e agli appunti di economia politica e devo dire che la serata iniziò proprio così.
Solo che ero talmente stanca che gli occhi continuavano a chiudersi e a riaprirsi di botto. Dovevo finire il capitolo e prendere la capsula di coadiuvante, ma resistetti per altri quindici minuti convinta che non mi sarei lasciata sopraffare così dal sonno. Grande errore. Ennesimo stupido errore.
Mi ritrovai immersa in una bellissima e silenziosa alba. I raggi del sole nascente donavano al mare una sfumatura dorata. Il problema è che io non mi sarei dovuta trovare in Inverso, ero stata veramente una deficiente, non avevo impostato alcuna sveglia e sicuramente non sarebbe apparso alcun coadiuvante, visto che il mio nuovissimo carico era nell'armadio della mia camera al campus, là dove si trovava il mio deprecabile corpo addormentato.
Saettai lo sguardo intorno, per verificare pericoli, ma ero sola. Mi sedetti su una panchina senza sapere bene cosa fare. Stare in giro durante il coprifuoco non era mai una buona idea. Esisteva qualche altro modo per dirmi quanto fossi stata sprovveduta e stupida? Mi stavo ancora mentalmente maledicendo quando fecero la loro comparsa due moto e ovviamente non ebbi difficoltà a riconoscere quella di Jason. Le due figure scesero e si chinarono di fronte a una specie di scatola metallica e iniziarono a lavorarci. Era evidente che stessero portando avanti una riparazione, Jason mi aveva detto che uscivano di giorno solo per casi come quello.
Mi portai le braccia attorno visto che non avevo con me una giacca e rimasi lì in silenzio ad osservare. Bisognava essere pratici e continuare a maledirmi non avrebbe portato a nulla, per cui cercai di sfruttare al massimo quel tempo rubato. Avrei dovuto andare in avanscoperta o quanto meno filare via di lì, ma non riuscivo a muovermi, i miei occhi per l'ennesima volta incollati alla sua schiena.
Fui distratta da Tracey, che approfittando della distrazione dei due cambiò colore per me, divenne viola, il mio colore preferito, un segno di riconoscimento.
Sorrisi mestamente, ringraziandola. "Come se non esistessi, Tracey", le ricordai.
Una presenza comparsa repentinamente alla mia destra mi fece sobbalzare, e credo sarei svenuta per la paura se la sorpresa non mi avesse del tutto ghiacciata lì sul posto.
Anthony si sedette accanto a me, portando lo sguardo su Jason e presumibilmente Ethan, che lavoravano per fortuna abbastanza distanti da noi .
"Che diavolo ci fai qui?", bisbigliai portandomi la mano al petto.
Mi guardò di traverso. "Potrei dire lo stesso".
Riportai colpevole lo sguardo su Jason. "Mi sono addormentata sui libri, lo so, non avrei dovuto".
Sospirò, sollevando gli occhi al cielo. "Principiante".
La cosa bella di Anthony è che non giudicava mai, sicuramente aveva fatto di molto peggio. E comunque non avrebbe mai potuto biasimarmi più di quanto non stessi già facendo io stessa.
Si tolse il giubbino e senza dire niente me lo poggiò sulle spalle. Notai che portava un maglione scuro piuttosto pesante. Distolsi lo sguardo. "Grazie", sussurrai riconcentrandomi su Jason.
"Ragazza, un altro po' e riuscirò a sentirli persino io i tuoi pensieri", disse scuotendo gravemente la testa.
Incrociai le braccia, imbronciata e fu in quel momento che Jason si voltò. Nonostante la distanza non potei non notare che i suoi occhi si agganciarono ai miei in un modo talmente repentino da risultare sospetto. Avevano ancora il mio stesso colore, non erano cambiati. Era lui, era sempre lui... Una gomitata decisa nel mio fianco mi fece distogliere immediatamente e dolorosamente lo sguardo.
"Merda", sibilò Anthony a denti stretti.
"Cinqueperunocinque, cinqueperduedieci, cinquepertrequindici". "Devo andarmene!", esclamai sommessamente.
"No, ti sta ancora fissando".
Attesi attimi che parvero infiniti, ripetendo le solite tabelline che quasi sicuramente non servivano a nulla, dopodiché avvertii Anthony rilassarsi al mio fianco.
Si voltò verso di me. "Si è rimesso al lavoro. Tieni". Mi porse una delle sue pasticche, evidentemente era arrivato il suo carico e così, senza bisogno di aggiungere altro, ci dileguammo entrambi.
Eccomi qui! Credete che alla fine June riuscirà a combinarne una giusta? :D
Chiedo scusa per il ritardo, è stata una settimana impegnativa :D
A martedì prossimo!
B.
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