11. Esperimenti
11. Esperimenti.
Riaprii gli occhi sul soffitto della camera da letto di Jason, o meglio, della mia camera ormai. Rimasi sospesa per un attimo, con gli occhi sbarrati cercando di fare il punto della situazione.
Portai senza guardare la mano alla mia sinistra. Sino a tastare il letto, fino ad afferrare il mio obiettivo: la sua maglietta. Mi ci ricoprii la faccia, creando un buio artificiale e inspirando. Brutta idea...C'era ancora...Il mio cervello poteva benissimo riprodurre nella mia mente il suo odore anche partendo soltanto da quella minuscola particella di lui. Le lacrime si formarono istantaneamente alla base della mia gola, cercai di mandarle giù, ci provai davvero, ma non riuscii. Provai addirittura a sorridere, in fondo lui stava bene, doveva bastarmi, doveva rassicurarmi, ma ne venne fuori quella che doveva essere una smorfia orribile, per cui con un urlo strozzato mi alzai portando con me la maglietta che buttai di getto nella pattumiera.
Mi guardai attorno singhiozzando. Quella non aveva mai avuto modo di essere davvero casa nostra; il pensiero mi fece piangere ancora più forte, facendomi esasperare ancora di più. Mi precipitai ad aprire i mobili della cucina e ci trovai i miei cereali preferiti, i biscotti che lui sapeva io adoravo e la cosa fu ancora più destabilizzante. Jason aveva riempito i pensili del mio cibo preferito. Buttai tutto giù d'impulso; devo ammetterlo, ero nel bel mezzo di una crisi isterica, di quelle che si vedono nei film e che non si pensa possano mai capitare a te. Di quelle che io stessa avrei definito "Un'esagerazione".
Proprio mentre ero sul più bello della mia inutile furia distruttrice vidi in un angolo poggiata una bottiglia dall'aria fuori luogo, con accanto un misurino. La afferrai cautamente come se stessi maneggiando una bomba a mano e svitai. La bottiglia era stata già aperta e giurerei che ne mancasse una minima parte.
Versai nel misurino i famosi venti millilitri di cui si era parlato quello che sembrava un secolo prima e mandai giù tutto in un sorso, come se fosse lo sciroppo che mi dava mia madre quando da piccola ero malata.
A parte il bruciore in gola al quale non ero affatto abituata, il sapore non era male.
In un lampo realizzai che Jason lo aveva provato. Quante bottiglie aveva testato e scartato finché non ne aveva trovata una che avesse per noi un sapore gradevole?
La cosa mi fece piangere ancora più forte, se possibile. Dannazione, non funzionava affatto, per cui buttando via l'inutile misurino tracannai un bel sorsone direttamente dalla bottiglia e fu così che realizzai che ero già di un terzo di bottiglia più vicina ad Anthony. Con un ansito allontanai la bottiglia e subito dopo afferrai il telefono. Feci partire la chiamata e la risposta arrivò al primo squillo.
"Pronto".
Trattenni un altro singhiozzo a fatica e poi gli urlai dritto nell'orecchio con tutto il fiato che avevo. "Mi avevi detto che non gli sarei capitata vicino!". A quel punto scoppiai a piangere, Trattenermi non era un'opzione accettabile al momento.
"Dove sei?". Non appariva preoccupato, più che altro curioso.
Mi guardai attorno, osservando il disastro che avevo appena combinato e mi rimisi mestamente a piangere.
"Ragazza, parla! Dove. Sei.".
"A casa, a casa sua".
Silenzio. "Resta dove sei e non fare casini".
Stavo per urlargli contro qualche insulto pesante, ma chiuse la chiamata.
Venti minuti dopo mi trovò rannicchiata sul pavimento della cucina con la maglietta che avevo prontamente recuperato dalla per fortuna vuota pattumiera e con ciò che restava della bottiglia – molto poco, lo ammetto- accanto a me.
Un fischio che definirei ammirato gli partì dalle labbra mentre osservava ciò che ero stata in grado di compiere; mi sentii minuscola e patetica.
Mi osservò impassibile per un attimo. "Ho dovuto deviare le chiamate che i vicini hanno fatto alla polizia... Sai, per gli schiamazzi".
Sollevai la testa scioccata e lui dopo un istante si mise apertamente a sghignazzare.
Mi sollevai mal ferma in piedi e gli puntai un dito contro, accusandolo e ricominciando a urlare. "Non c'è proprio niente da ridere; esiste un qualcosa che tu prenda sul serio?". Lo incenerii con lo sguardo e non ottenendo alcuna reazione proseguii. "Gli stavo per finire addosso e ho quasi mandato all'aria una loro riunione di non so che cosa... e la moto mi ha riconosciuto!". Presi fiato e continuai la mia filippica urlante. " E mi hanno detto: "bevi venti millilitri" ", dissi imitando malamente la voce di Kore, dopodiché risi tra le lacrime. "Ma non bastano e non funziona e tu mi ridi in faccia e sei tutto ciò che ho per riportarlo indietro e credo che non ce la faremo e lo so che sono una stronza, e lo so che sono ingiusta, ma il fatto è che ogni volta che ti vedo mi ricordi lui e io non ce la faccio!".
Mi osservò impassibile, come si osserverebbe un marmocchio che ha fatto una scenata per avere un nuovo giocattolo. Lo ammetto fu umiliante.
"Usciamo". E come sempre faceva, non attese una mia risposta, semplicemente mi precedette verso le scale che portavano al piano terra del condominio. Una volta fuori lo vidi avvicinarsi alla kawasaki, lì parcheggiata in tutto il suo verde splendore.
Io mi immobilizzai per la sorpresa e il labbro riprese a tremarmi, nonostante stessi cercando con tutta me stessa di recuperare il contegno.
Si voltò a guardarmi e sospirò pesantemente. "Ok, prendiamo la tua macchina, così come sei conciata c'è il rischio che ti perda per strada".
Quando dopo poco parcheggiò di fronte a un pub, mi voltai a guardarlo scocciata.
"Seriamente? Questa è la tua grande idea?".
Sorrise e qualche piccola increspatura al lato dei suoi occhi mi diede per la prima volta l'idea che fosse davvero un adulto. "Non c'è niente di peggio che bere da soli".
Ci osservammo per un istante e alla fine annuii. Ma sì, questa mi mancava. Era sera e il locale ancora piuttosto vuoto, non era ancora l'ora dell'aperitivo a San Francisco. Ci sedemmo al bancone.
Il barman era un bel ragazzo sui venticinque anni che ci sorrise e ci chiese cosa prendessimo.
"Due birre", chiese Anthony.
Arricciai il naso, detestavo l'odore della birra e in più non avevo ventun anni, l'età legale per ordinare da bere. "No, io prendo una coca". Avevo deciso che la mia breve parentesi alcolica era stata più che sufficiente. In più, nonostante non fossi abituata all'alcol, questo non aveva avuto su di me un grande effetto sbronzante. Ora capivo perché Anthony ne bevesse così tanto. Eravamo resistenti, noi anime gemelle abbandonate nella nostra triste dimensione.
Bevve un sorso e mi osservò nello specchio posto di fronte a noi.
"Mi dispiace per stanotte, non credevo che sarebbe andata tanto male".
Guardai le bollicine della mia bibita e poi mi convinsi a sollevare lo sguardo.
Scossi la testa. "E' a me che dispiace", risposi in tono monocorde. "Non avrei dovuto trattarti così, sei pur sempre un uomo di una certa età, ti dovrei maggiore rispetto".
Anthony gettò la testa all'indietro e rise per davvero per la prima volta da quando lo avevo conosciuto. Si rivolse al barman, che nel mentre strofinava il lucidissimo bancone.
"E' proprio simpatica mia nuora", esclamò indicandomi con il pollice.
Mi voltai a guardarlo inorridita, sbirciando subito dopo la reazione del ragazzo che ci osservava perplesso, probabilmente chiedendosi se non fossimo due spostati.
"Allora, June, le cose stanno così", disse seriamente facendomi nuovamente voltare verso di lui.
"Dobbiamo sbrigarci a portarlo via di lì, temo che il gioco per voi sia ancora più complicato rispetto a come lo è per me e Eleonor. Potrebbe essere dovuto al fatto che Jason è per metà di questa dimensione". Fece spallucce e continuò. "Non lo so. Il problema è che sono bloccato con un'equazione d'onda quantica. E' ciò che mi serve per completare lo smaterializzatore neurale".
Ricambiai il suo sguardo, cercando di capire. "Di che si tratta?".
Inclinò appena la testa. "Veramente se te lo spiegassi lo capiresti? Hai qualche strabiliante dote matematica di cui sono all'oscuro?".
Certo che no. La matematica non era mai stata il mio forte. Dunque scossi la testa in risposta alla sua domanda. E poi sorrisi. "Ma conosco qualcuno che potrebbe aiutarci".
Era ora di rispolverare un po' di charme.
June stavolta ha proprio dato il meglio di sé! :D
Avete idea di chi ha intenzione di contattare? ;)
Grazie naturalmente per essere ancora qui, a martedì prossimo!
B.
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