Capitolo XXXV
Selah strinse i denti, cercando di calmare il respiro.
Il dolore sulla spalla sinistra iniziava a diventare insopportabile, come se le fiamme continuassero a bruciarle addosso. Era la propria pelle che era bruciata, il cui puzzo le aveva riempito le narici.
L'intero braccio sinistro sembrava intorpidito, non poteva fare altro che lasciarlo dondolare accanto al corpo.
Rachel era immobile, girata su un fianco: teneva una mano sulla ferita e i capelli le ricadevano sul volto. Sarebbe rimasta a guardare finché non fosse morta.
Non avrebbe compiuto un altro errore.
Non era certo l'esecuzione che Vexhaben si aspettava, ma quella che Rachel si meritava.
Non era nemmeno stata in grado di svolgere uno degli ordini più semplici.
Dietro di lei, le voci dei soldati si alzarono. Si voltò quando Arthur si allontanò e si avvicinò a Katherine, un braccio allargato per fermarla.
Ma la principessa lo spinse via.
Fissava lei, le labbra serrate.
«Ora cosa vuoi?» le urlò.
«Non puoi ucciderla.»
Quell'informazione forse era arrivata troppo tardi.
Per lei i proiettili non sarebbero stati sprecati. Se non ci fossero stati tutti quei testimoni intorno, avrebbe anche potuto ucciderla, togliere di mezzo l'unico elemento che le dava fastidio a corte.
«Non hai firmato nulla, non sei il suo garante, non mettere in mezzo quel discorso» continuò Selah puntandole contro il pugnale. Strinse i denti: non avrebbe potuto ignorare ancora a lungo il dolore.
«Lasciala morire e vedrai che sarà mio sommo piacere trascinarti davanti a un tribunale. La legge pesa anche su di te, Maestà.»
«E nel caso, sarà mio piacere far fuori anche te, Altezza.»
Lanciò un'occhiata a George: non riusciva a capire quel che stesse dicendo a due soldati, ma da quanto gesticolava, sembrava preoccupato. Si passò una mano sulla faccia, poi si avvicinò a loro.
Le accarezzò una guancia e le diede un bacio sulla fronte. Le accarezzò una guancia, spostando dietro l'orecchio una ciocca di capelli spettinata. Selah sospirò, piegando appena la testa per sentire più a fondo quel contatto. Ciò che avrebbe dovuto ricercare, non le fantasie che arrivavano da quella feccia.«Stai bene?»
«È solo una bruciatura.»
«Ho dato ordini di chiamare un medico.» Sfiorò appena la parte bruciata con le dita e Selah si ritrasse. «Scusa.» Appoggiò la fronte sulla sua. «Hai già fatto abbastanza per stasera, ce ne possiamo occupare noi adesso.»
«Mi basta che muoia» mormorò.
«Per ucciderla hai bisogno del favore del governo. Nessuno veto, nemmeno uno su nove.»
Quel numero le rimbombava in testa.
Anche Katherine.
Aveva bisogno anche di lei e la principessa non l'avrebbe mai fatto – se non per Rachel, per capriccio personale.
Otto voti li avrebbe avuti, il nono... lì mancava la certezza.
Selah lanciò uno sguardo a Katherine: sarebbe stato meglio per lei se non avesse messo un veto su quella faccenda. Lo sgarbo di Gabes era una vergogna che non era mai passata del tutto, era solo stata nascosta da altro.
«Selah.»
Guardò George, senza sapere che dirgli.
«Lascerò che sarai tu a ucciderla, ma per il momento non può morire.»
Sospirò, poi fece un cenno ai soldati. «Trovate il modo di farle superare la notte.»
«Sì, Maestà.»
La mano di George si appoggiò sulla schiena.
Rachel non aveva ancora alzato gli occhi. Aspettava immobile il destino che non si era scelta nella Notte dei Morti.
«È bene andare. Voglio il governo radunato entro due ore e abbiamo altre questioni a cui pensare.»
«Sai dov'è scoppiato quell'incendio?»
«Distretto di Dellund, stando alle prime voci.»
Meno problematico di quello che aveva pensato: sarebbe rimasta una macchia nera in città, ma era solo un quartiere residenziale. Sarebbero bastati risarcimenti adeguati per togliere problematiche su quel discorso.
«Tutto questo è opera tua?»
Dell'ultima barca della sfilata non era rimasto nulla.
L'albero ormai era uno scheletro nero.
Nel distretto di Dellund avrebbero contato i danni all'alba.
La bruciatura sulla spalla tirava la pelle.
Rachel non rispose. Non la guardava nemmeno mentre un soldato la reggeva in piedi e l'altro premeva una giacca arrotolata sul fianco.
«Dannata feccia» mormorò mentre il leggero tocco di George la faceva allontanare dalla riva.
*
Selah sobbalzò, quando il rimbombo di un tuono fece tremare i vetri. Era la terza volta che cercava di scrivere il discorso per dichiarare la fine della Voragine. La penna le cadde di scatto sulla mappa e l'inchiostro lasciò una piccola macchia scura sul verde chiaro, rotolando poco distante.
Non li avrebbe lasciati impuniti, li avrebbe stanati da qualsiasi corridoio in cui si fossero nascosti nella Notte dei Morti e li avrebbe uccisi uno a uno. Katherine poteva mettere il veto a una sola decisione. All'altra avrebbe potuto opporsi. Sarebbe stata l'unica tra i ministri a essere abbastanza stupida da andarle contro.
Inspirò a fondo, socchiudendo le palpebre.
E se anche si aspettavano il loro arrivo, non avrebbero fatto niente.
Erano rimasti nella Voragine, si credevano al sicuro e non volevano rischiare. Si aggrappavano alla speranza che per Vexhaben fossero morti.
Per quanto i soldati avessero setacciato la città non era stato trovato nessuno.
Afferrò il compasso e lo infilzò più volte sulla mappa, nella zona della Voragine.
Il piano che era stato delineato in un freddo inverno di Frinard era sempre proceduto senza problemi: un passo dopo l'altro che l'avevano portata sul trono.
Mai un intoppo, mai un problema.
Se non Rachel.
La stessa feccia che aveva usato per celebrare la vittoria.
Avrebbe dovuto trascinarla sull'altare di Idall, non ferirla sul fiume.
Avrebbe pagato la richiesta di quattro anni prima, il favore chiesto prima di attaccare la Voragine.
Lo scontro l'aveva lasciata scontenta, il senso d'insoddisfazione le faceva prudere le mani.
Si grattò una tempia, poi spostò una ciocca di capelli, sfuggita alla treccia, dietro l'orecchio. Si stropicciò di nuovo gli occhi.
Riprese la penna e tracciò un segno sul nome che indicava la posizione della Voragine.
Avrebbe attaccato il prima possibile, prima che arrivasse la voce che Rachel aveva fallito.
Alzò lo sguardo quando bussarono alla porta, poi allineò la penna con il bordo della mappa.
«Avanti.»
Si alzò dal tavolo, appoggiandosi al bordo.
Aveva dovuto aspettare più delle due ore richieste da George: in parte perché il medico aveva insistito a lasciare l'impacco per più di una prima di riapplicarlo, cambiare le bende e permetterle di andare, in parte perché due ministri si erano persi nella folla.
Ed era un incontro inutile.
A Gabes nessuno aveva avuto quel privilegio. Avrebbe dovuto morire come loro, senza dover contare i voti. La colpa era la stessa ai suoi occhi, se non peggiore.
George fu il primo a entrare, seguito da tutti i ministri. Nessuno parlava, la maggioranza fissava in terra e Katherine sembrava avere un'espressione più tirata della sera precedente.
Con tutti i presenti la stanza sembrava ancora più piccola e soffocante.
Li contò, uno dopo l'altro – gli uomini e le donne scelti per governare insieme a loro.
«Bene, ci siamo tutti» mormorò mentre finivano di disporsi a semicerchio di fronte a lei. Espirò dal naso con forza, stringendo le mani sul bordo.
«Facciamola breve: la questione è nota a tutti e la votazione la conoscete. Lady Winch, a te il primo voto.»
La donna annuì con un cenno della testa, si portò la mano destra sul petto e alzò l'altra. «Avete il mio pieno appoggio, Maestà.»
La stessa scena si ripeté quattordici volte, fino a quel momento la votazione era andata proprio come aveva pensato.
Ne mancava solo uno.
Spostò lo sguardo su Katherine, appoggiata al muro con le braccia incrociate e la fronte aggrottata.
E da lei dipendeva tutto il destino della faccenda.
Selah portò le braccia dietro la schiena, avvicinandosi a lei di qualche passo.
«Allora, principessa? Non ho intenzione di aspettare tutto il giorno.»
Katherine distolse lo sguardo da lei: fissò per un attimo la finestra, poi tornò a guardarla. Sapeva di non avere molto altro tempo, che qualsiasi scelta avrebbe fatto in quel momento avrebbe pesato su tutta Vexhaben.
Scosse appena la testa. «Sententiam veto.»
Un mormorio si alzò da parte degli altri ministri. Selah serrò le labbra, piegò appena la testa e sollevò il palmo sinistro verso l'alto. «Come?»
«Sententiam veto» ripeté lei a voce leggermente più alta.
Lanciò un'occhiata a George che alzò le spalle.
«Perché?» sibilò Selah avvicinandosi ancora di un passo. «Perché vuoi lasciare che i responsabili restino impuniti?»
«Perché non mi pare che sia morto qualcuno. È vero, ti ha attaccato. È vero anche che sei la regina, ma...» Katherine allargò le braccia. «Basta guardare le cronache degli anni passati: non è passato governo che non abbia avuto almeno un tentativo di rivolta o di assassinio. E quanto successo prima non mi sembra abbastanza per una condanna a morte.»
«Anche contando l'incendio nel distretto di Dellund? Ha ammesso le sue colpe.»
«Se il problema è pagare i danni, me ne occuperò io. Ho solo paura che possa essere l'inizio di una spirale di sangue da cui Vexhaben non si tirerà fuori con facilità. Continuare su questa strada...» Katherine scosse appena la testa. «Che senso avrebbe il nostro semper progrediuntur in unitatem?»
Selah avrebbe voluto riderle in faccia: erano già quattro anni che quella spirale era stata iniziata, doveva solo svilupparsi ancora e ancora – fino al punto in cui avrebbe soddisfatto i desideri di Idall. E quella feccia, nella Voragine e in qualsiasi altro posto in cui si trovasse nel regno non avrebbe mai fatto parte del motto. Non era una parte di popolo a cui si sarebbe dovuta interessare.
Le voltò le spalle, ma si fermò quando la sentì parlare ancora.
«E davvero non stai pensando alle conseguenze che il tuo gesto potrebbe avere? Sono certa che le trattative con Ethor si addolciranno quando verranno a sapere che la soluzione ai disaccordi è mandare a morte.»
«Me ne frego di Ethor, di quello che pensano a Ethor e delle trattative!» le urlò voltandosi di scatto. Katherine s'irrigidì contro il muro. «È solo una tattica per prendere tempo, tastare il terreno e aspettare il momento giusto per una guerra. Illuditi pure di poter sistemare i problemi nella regione dell'Exval con le trattative, ma non venire a piangere da me alla fine.»
«Ma...»
«La tua decisione è definitiva?» la interruppe Selah allungando una mano. Erano lì per discutere della condanna di Rachel, non per i problemi con Ethor.
«Sì.»
«Ottimo. Ottimo, davvero» mormorò Selah dandole le spalle.
Fuori il cielo si era fatto più scuro e le nuvole scure che incombevano su Vexhaben erano spezzate da lampi a intervalli irregolari. Il presagio di morte che si aspettava per Rachel.
Se l'era aspettata quella mossa da Katherine: avrebbe trovato qualsiasi modo per mettere loro i bastoni fra le ruote. Aveva sperato che la principessa avesse chiaro dove sarebbe dovuta restare, ma a quanto pareva non era così. Katherine ancora pensava di poter fare quello che voleva.
George si avvicinò, stringendole una mano sul braccio.
«Che cosa facciamo ora?» le sussurrò, lanciando un'occhiata a Katherine.
Selah sospirò. La principessa aveva un solo veto a disposizione e lei un'altra carta da giocare. Era inutile darle un'altra opportunità di interferire ed era ora che pagasse le conseguenze dei suoi gesti.
«Facciamo approvare l'attacco alla Voragine» gli rispose con lo stesso tono di voce. «Non possiamo più rimandare, e ora abbiamo una giustificazione per farlo.»
George annuì, lasciando la presa. «Sono d'accordo.»
Appoggiò la mano sul plico di fogli nell'angolo del tavolo.
Sapeva che Katherine non l'aveva smessa di fissare e quando si voltò, verso di lei notò che aveva abbassato lo sguardo sulla sua mano e la fronte aggrottata, aspettando come gli altri la sua prossima mossa. Solo la pioggia scrosciante all'esterno rompeva il silenzio della stanza.
«Signori miei, giacché, per certi versi, abbiamo già iniziato a parlare della Voragine, c'è un'altra questione che gradiremmo sottoporvi. Questi documenti» Sollevò il plico di fogli davanti a tutti. «Contengono tutta la documentazione necessaria per un nuovo attacco alla Voragine. Sono già firmati, ho solo bisogno dell'approvazione di tutti. Qualcuno contrario?»
La domanda fu accolta dal silenzio e Selah annuì. Katherine si stringeva il polso, come a costringersi di non dire opporsi.
Katherine aveva scelto di salvarne una per condannare tutti gli altri e il suo egoismo sarebbe stato messo ben in luce una volta che la voce si sarebbe sparsa.
«Vi ringrazio per la vostra collaborazione. Per oggi non c'è altro.»
Salutarono tutti in coro, nessuna voce si impose e uno dopo l'altro si inchinarono e uscirono dalla stanza.
«Katherine.»
La principessa si bloccò sulla porta e si voltò verso Selah con la fronte aggrottata.
«Se riguarda il fare da garante, sono pronta a firmare subito quei documenti.»
Selah scosse la testa. Si appoggiò al bordo del tavolo e incrociò le braccia.
«Di quello ne riparleremo. Spero solo di non avere una traditrice nel governo.»
Katherine sospirò e chiuse la porta. Avanzò di qualche passo e si accarezzò il mento. «Non pensavo fosse tradimento voler salvare una vita innocente.»
Lanciò uno sguardo a George che alzò le spalle: per un'altra volta non avrebbe potuto contare sul suo appoggio.
«Non avevo intenzione di riaprire un discorso chiuso, la votazione ormai è fatta, Altezza. Volevo solo farti capire che è a questo che si riferisce il semper progrediuntur in unitatem: al governo e al popolo di Vexhaben, non a quella feccia. Ma se vuoi discuterne, sono sicura che tuo fratello sarà felice di continuare il discorso.»
Forse Katherine avrebbe ascoltato lui.
Uscì sbattendosi la porta alle spalle. Poteva sistemare le cose nella Voragine e quella volta si sarebbe accertata che non rimanesse nessuno.
Si fermò nel mezzo del corridoio e passò le dita sulla fronte: non poteva ucciderla, ma nessuno poteva impedirle di sacrificare a Idall una parte del sangue di Rachel.
La promessa che presto ne sarebbe scorso altro di quella feccia.
Prima la Voragine, poi Ethor.
Come quattro anni prima.
Sententiam veto: Respingo la decisione
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top