Capitolo XXX

Katherine chiuse il ventaglio di scatto: non sentiva caldo, ma l'aria stava iniziando a diventare pesante.

Avrebbe dovuto mangiarsi la lingua

Strinse entrambe le mani sul ventaglio: il chiacchiericcio altrui la sfiorava appena. Aveva sentito qualche discorso sul ballo di quella sera, ma era una cosa a cui non voleva pensare.

Ancora non aveva deciso l'abito da indossare, l'idea di presentarsi ufficialmente con Arthur davanti alla corte non la rassicurava e prima doveva sopportare la cerimonia del giuramento.

E si sarebbe dimenticata la formula rituale.

Avrebbe iniziato nel modo sbagliato e con una pessima figura di cui si sarebbero ricordati tutti per anni. Avrebbero riso di lei a ogni occasione.

Spostò appena la fascia sul petto.

Se solo fosse finita il prima possibile.

Un vero peccato che mancassero proprio i due sovrani.

Tra i futuri ministri di George e Selah aveva riconosciuto diverse facce del governo precedente e quelle nuove erano tutte di loro alleati.

Era lei quella che non avrebbe dovuto essere lì: l'avrebbero usata come vanto – erano stati loro a convincere la principessa che non si era mai interessata al regno, sarebbero stati loro a rimediare ai suoi errori.

«Finirai per spezzarlo.»

Katherine scosse la testa e alzò lo sguardo. George era a pochi passi da lei, intento a sistemare la manica della giacca. Indossava una giacca dello stesso blu del proprio vestito, la cui monotonia era spezzata da decori dorati. Il fazzoletto bianco al collo era fermato da una spilla a forma di falena, con una pietra rossa incastonata al centro.

«Ne prenderò un altro, è solo un ventaglio.»

«Già iniziamo con le spese.» George sorrise e le strinse una mano sulla spalla. «Ma mi fa piacere tu abbia accettato.»

«È la cosa giusta da fare.» Spostò lo sguardo sui ministri, fino a trovare quello del tesoro, l'unico con sempre il monocolo indossato e un fascicolo sotto braccio. «A dir la verità avrei avuto già richieste di ammodernamenti sulle infrastrutture.»

«Ti divertirai.»

«Mai quanto Arthur. Miriam mi ha portato un trenino da Jelas e lui non fa altro che tirare il fischio. Inizio davvero a credere che il gatto sia il più intelligente dei tre.»

George ridacchiò. «Potrei far ritrovare quelli che avevo da piccolo. Non sarebbe un modo molto produttivo di occupare la giornata, ma penso che potrei divertirmi con lui.»

Invidiava Arthur, almeno un po'. Sembrava aver trovato subito un buon rapporto con George, quello che lei aveva perso negli anni.

Non aggiunse altro, si limitò a stringerle la spalla più volte, in un muto gesto di saluto, prima di andare a salutare gli altri ministri.

Lo seguì con lo sguardo, fino a incrociare quello di Selah.

L'unica cosa che la distingueva dall'ultima cerimonia era la fascia rossa che spezzava il bianco della divisa. Era stata stupida a pensare che avrebbe lasciato ad altri il comando dell'esercito e odiava ammetterlo, ma Selah era perfetta nel ruolo di regina. Sembrava fosse lei quella nata e cresciuta a palazzo, non loro due.

Il fruscio di vestiti e lo sparire del chiacchiericcio segnò il momento di mettersi al proprio posto.

«Altezza.»

Non aveva fatto che due passi quando la voce di Selah la bloccò. George la teneva a braccetto, una mano appoggiata sulla sua e gli anelli brillavano sotto la luce della Vol.

«Sì?»

Le fece segno di avvicinarsi e Katherine alternò lo sguardo tra lei e la futura ministra dell'industria, dietro a cui avrebbe dovuto sistemarsi.

«Ma...» Aprì e chiuse la bocca, cercando di trovare le parole adatte. «Il protocollo... Se c'è stato un cambiamento, perché nessuno mi ha avvisato?»

«Perché è stata una decisione di questa mattina... E te l'ho detto, ma quanto pare eri troppo impegnata a pensare all'abito che a darmi ascolto» le rispose George.

Katherine si sforzò di sorridergli: non aveva alcun diritto di metterla in imbarazzo in quel modo.

«Ah. Nessun problema. Ammetto la mia distrazione.»

Non era la prima volta che attraversava la sala del trono, che i titoli riecheggiavano tra le mura e il fruscio di ventagli, che il tappeto rosso disteso sul marmo attutiva i propri passi.

Lo stendardo alla parete era lo stesso da sempre: rosso, con due strisce dorate ai lati che finivano in un intreccio nella parte bassa, coperta appena dallo schienale del trono e la falena al centro. George non l'avrebbe più accompagnata, non tenendola per mano.

Chiuse gli occhi per un attimo, mentre la stretta allo stomaco si faceva più forte: sarebbe stata la prima a giurare fedeltà. E già non le sembrava di ricordarsi la formula.

Se non si fosse schierata a Gabes non sarebbe stata lì.

L'avrebbero lasciata nell'angolo d'indifferenza che si era creata.

Si fermò all'altezza della sedia più vicino ai troni. Si costringeva a guardare avanti, mentre George e Selah avanzavano perché non sapeva dove altro posare lo sguardo. Il cuore le batteva forte nel petto, sembrava voler uscire e che tutti lo potessero sentire.

Dal silenzio che era sceso, non avrebbe detto che tutta la nobiltà fosse lì.

Avrebbe voluto ci fosse qualcuno di fronte a lei – chiunque.

«Centotrentadue anni fa la vittoria a Sorias ha dato inizio a un periodo di pace che continua anche quest'oggi. E vi ringrazio per la vostra presenza, per aver scelto di condividere con noi questo nuovo inizio.»

Katherine avrebbe voluto imitare Selah, immobile accanto a George, le braccia dietro la schiena e il sorriso sulle labbra. Lei era sul punto di rompere il ventaglio, l'unica cosa su cui poteva convogliare il proprio nervosismo. Era la regina perfetta per Vexhaben.

La morsa allo stomaco si fece più forte.

Quella che mancava sul trono da sei anni.

«E forse è egoismo, ma sono felice di poter condividere questo nuovo inizio con mia sorella.»

L'avrebbe definito in modo diverso – mossa politica – ma si limitò a sorridergli. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di fare una scenata di fronte a tutti.

Ingoiò la saliva e fece un passo avanti, lo stomaco stretto in una morsa d'ansia, che durante la colazione non era stata altro che una preoccupazione leggera. Avrebbe vomitato alle prime parole.

Portò la mano destra sul petto e fece un inchino.

«Per me è un onore, Maestà.» Raddrizzò la schiena.

Bruciava solo che Selah fosse riuscita a legare a sé lei e i propri amici. Li aveva bloccati nei loro posti, per evitare che usassero Gabes a proprio vantaggio.

Ancora pochi istanti e poi sarebbe finita, almeno per lei.

Sollevò la mano e fece un respiro profondo. «In nome di Enias, Kurais e Xiais prometto di servire Vexhaben per portare prosperità, buon giudizio e letizia, giurando fedeltà come principessa e ministro dei trasporti al regno, a te, George, mio re e fratello, e a te, Selah...» Fece una piccola pausa prima di proseguire: non avrebbe mai pensato di arrivare a dirglielo. «Mia regina.»

Si fermò, arricciando le labbra: l'odore di dolci appena sfornati l'aveva raggiunta, segno che non doveva essere arrivata così distante dalle cucine.

Forse sotto sotto lo sapeva che l'unico modo per scacciare la preoccupazione per la serata era mettere le mani su tortine di pasta frolla e marmellata di more.

Aveva girato a vuoto fino a quel momento, cercando di non pensare a quante ore mancassero alla fine della giornata, ma quel vuoto tra il giuramento della mattina e la festa della sera sembrava non passare mai.

Fuori, non sembrava aver intenzione di piovere: le minacce dei tuoni continuavano, ma ancora nemmeno una goccia aveva bagnato il terreno.

«Katherine.»

«George.»

Senza la giacca e la fascia sul petto e con i capelli arruffati non sembrava la stessa persona che aveva presieduto la cerimonia.

«Pensavo fossi ancora impegnata a scegliere il vestito.»

Scosse la testa. «L'ho trovato, se ti può far piacere. Stavo solo cercando di ingannare il tempo... ma non so che fare.»

«Potrei dirti lo stesso.» George fece un passo avanti. «Vista la giornata, perché non ti unisci a me per prendere un tè?»

Katherine gli rivolse un piccolo sorriso. «Grazie dell'invito, lo accetto volentieri.»

Sembrava avesse già previsto un ospite: il tavolino dalle gambe decorate in mezzo a quattro sedie era coperto da un porta torte e due tazze di porcellana, ornate da fiori rosa e ancora vuote. La tenda della finestra accanto era tirata a lato, mettendo in mostra il cielo scuro.

«C'è qualche secondo fine politico?»

«Oh, no. Speravo di vedere Arthur, ma era al lavoro.»

«Vi vedete spesso.»

«È un bravo ragazzo. Hai qualche problema?»

«Oh, no, assolutamente.» Katherine sorrise. «Mi fa piacere che andiate d'accordo.»

«Penso che...»

«Cosa?»

«Niente» le rispose George. Indicò con la mano il tavolino. «Sarà meglio mangiare, prima che l'acqua si raffreddi troppo.»

Katherine annuì, anche se le era rimasto l'amaro in bocca: c'era solo un argomento che George non avrebbe mai tirato fuori.

«Si tratta di quello che avrebbe pensato mamma, vero?» Strinse la mano della sedia più vicina.

«Lei ed Ettie erano amiche. So che non ne vuoi parlare e non voglio forzarti. Mi spiace averlo tirato fuori.»

Katherine annuì: prima o poi l'avrebbe dovuto affrontare, ma se anche aveva superato il lutto, c'era qualcosa – qualcuno – che la bloccava da riparlarne con lui.

«Fa' niente.» gli rispose sedendosi sulla sedia di fronte a lui.

Per qualche istante, l'unico rumore che aveva spezzato il silenzio era l'incontrarsi di cucchiaini d'argento contro la ceramica decorata con motivi floreali.

Katherine rimase con la mano ferma a mezz'aria, spostando lo sguardo dalla tortina di frutta ai biscotti, il cui odore di vaniglia aveva soppiantato tutti gli altri. Si decise per la prima, appoggiandola su un piattino. Coprì buona parte del fiore, i cui petali rosa erano bordati da un decoro dorato.

Quasi le era dispiaciuto rompere l'equilibrio della composizione sul porta torte di vetro, ma era sicura che George non aspettava altro che la sua mossa: per quanto tra loro il protocollo fosse sempre stato messo da parte, c'era sempre una voglia di fondo di rispettarlo.

Sistemò il piattino sul bordo del tavolino, poi lisciò la stoffa dei pantaloni.

Spostò lo sguardo sulla tazza: ancora fumava, era troppo calda per i suoi gusti.

Serrò le labbra. Non aveva idea di cosa volesse parlare George o se l'avesse voluto davvero fare, se quell'invito era stato spontaneo o se ci fosse qualcosa sotto. Non poteva illudersi che tutto sarebbe cambiato solo perché era parte del governo.

Si chinò in avanti, stringendo le dita sul manico della tazza.

«Con Arthur come vanno le cose?»

Katherine sollevò lo sguardo verso il fratello: George era riuscito a trovare l'unico argomento neutro che avevano tra loro. Lo distolse subito da lui, certa che il calore che le prendeva le guance fosse accompagnato anche da un evidente rossore.

«Tutto a posto. Solo alle volte sembra spaventarsi degli impegni in cui si è impelagato. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando gli ho detto del pranzo di tre giorni fa. Nemmeno gli avessi consegnato una condanna a morte.»

George ridacchiò. «È sempre così. Non farglielo sapere, ma i primi tempi anche Selah era... non si aspettava fosse così.»

«Non immaginavo...» Avrebbe scommesso fino all'ultima moneta che Selah non aveva avuto paura di entrare in quella vita. «Anche se certe cose devi aspettartele.»

«Non ti facevo così cinica.»

«Se è per questo, l'ho anche minacciato di bloccare i commerci di alcolici verso Vexhaben.»

«Che ti ha fatto di male?» George inclinò appena la testa. Sembrava sul punto di lasciare cadere a terra il proprio piattino per la sorpresa.

«Volevo evitare che si presentasse ubriaco davanti a nostro padre» gli rispose incrociando le braccia. «E i commerci sono regolari, non ho intenzione di bloccare l'economia per un capriccio, ancora non ho fatto niente» aggiunse quando George aggrottò la fronte.

«Se avessi spostato l'erede di Ethor cosa avresti fatto? Mandato in rovina il regno?»

«Forse. O forse avrei mandato in rovina quello di mio fratello che non è stato in grado di trovare una soluzione diversa» gli rispose socchiudendo gli occhi. «Ma se... se dovessero esserci problemi o se ci trovassimo in una situazione politica che richiede un matrimonio, sono disposta a mettere da parte tutto questo per il bene di Vexhaben. Ho fatto un giuramento, non voglio venirne meno.»

Strinse appena la presa sulla tazza: l'avrebbe fatto per dovere, perché era legata dalle formule rituali e portare altra vergogna sulla famiglia era deleterio. Il regno non doveva pagare per le divergenze che aveva con Selah.

«Non voglio che te ne preoccupi. Il fatto che tu sia la principessa non significa che tu sia solo una pedina. Arthur non è un cattivo partito.»

È solo idiota alle volte, avrebbe voluto aggiungere. Ma c'era qualcosa che non la convinceva: era certa che a Selah avrebbe detto il contrario, che le avrebbe dato ragione sul fatto che quella relazione con Arthur fosse un impiccio ai piani che aveva contro Ethor.

Katherine si costrinse a ingoiare il fastidio e a sorridere. Se l'ultima cosa che le aveva detto la pensava davvero, una cosa non l'aveva sbagliata.

Si portò alle labbra la tazza. «Ne sono felice.»

Per altri istanti, il silenzio fu spezzato solo dall'orologio nell'angolo. L'essere nella stessa sala in cui per poco non aveva attirato su di sé una condanna dopo aver insultato i sovrani non le lasciava addosso una bella sensazione.

Le sembrava che quella mancanza di conversazioni rendesse l'aria più pesante.

Prese un morso dal dolcetto. Qualche briciola cadde sul piatto.

«Tre settimane e siamo già alla festa delle lanterne...» mormorò, con la speranza di ritirare su la conversazione.

«Già. Era quella che preferivi meno da piccola.»

«Certe lanterne erano fin troppo spaventose.»

«Se non fosse stato per i dolcetti, non saresti mai venuta fuori.»

«Biasimami su questo, George. Biasimami.»

Scosse la testa. «È la parte migliore. Piuttosto, visto che siamo in tema, che ne dici di preparare le lanterne per la festa? Un po' mi mancano... E Selah le vede come una perdita di tempo, dice che non ho più l'età.»

«Cosa c'è sotto?»

«Perché devi sospettare ogni cosa?» George reclinò la testa. «Vorrei solo... sanare un po' il nostro rapporto. Non ti chiedo di diventare amica di Selah, mi basta che le cose possano tornare pacifiche, almeno tra noi – per il bene del regno. Sei nel governo adesso.»

E almeno all'apparenza aveva un secondo fine.

«So quale sia il mio posto, prometto di restarci d'ora in poi. Come ministro, come principessa... come sorella.» Serrò le labbra, poi annuì.

Dopotutto erano anni che quella loro tradizione sembrava essersi persanegli impegni, che nemmeno le era presa la voglia di sistemare qualcosa dasola. L'aveva abbandonata quando George non gliel'aveva più proposta. «Ma perle lanterne volentieri, preparati solo ad averne una molto più brutta della mia.»

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