Capitolo XXVIII
Da quando aveva passato l'idea ad Alexander erano passati quattro giorni.
Lì per lì non l'aveva accettata come aveva immaginato. Sperava lo facesse, che gli altri si convincessero che fosse una buona idea: in quel modo, si sarebbero illusi di poter fare qualcosa contro Vexhaben e quando sarebbe stato troppo tardi per prendersela con lei, avrebbe potuto chiedere di andare a Jelas. Significava tradire la Voragine, ma poteva darle il modo di ritrovare i genitori: loro non l'avrebbero trattata male come nella Voragine, forse avrebbero capito il perché di quel gesto. Nessuno aveva fatto domande su come avesse trovato quell'idea ed era meglio così.
La speranza di arrivarci era un filo di luce tra i sensi di colpa: aveva dormito poco e male, tornando a rimuginare sulla proposta di Selah. Alexander non era tornato a parlarle e Rachel aveva continuato a evitarlo a ogni pasto.
Chiunque pensasse di vincere contro Vexhaben, si sbagliava: aveva visto dove finiva chi ci provava, era stata responsabile della loro fine.
Né Vivian né altri spiriti erano tornati a parlarle. Dovevano saperlo. E dovevano averla lasciata sola, forse per l'eternità. Per loro era come se avesse riportato in vita il tenente.
Si buttò sul letto e allargò le braccia.
Era andata alla festa di Gabes solo perché aveva avuto paura della reazione di Selah la mattina dopo, ma forse le fruste sarebbero state l'opzione migliore, ma non le aveva mai dato modo di dimostrare la sua innocenza e se anche l'avesse fatto, non le avrebbe mai creduto.
Era solo feccia per lei.
A Selah prima o poi sarebbe passato l'imbarazzo di cui l'aveva resa protagonista, ma se fosse rimasta a Vexhaben, nella tranquillità che si era ricreata nell'arena, non si sarebbe trovata in quella situazione. Avrebbe dovuto insistere per pagarne le conseguenze un giorno e poi tornare alla normalità: avrebbe continuato a contare i giorni con l'alternarsi di allenamenti, scontri, biscotti alle mandorle, senza doversi preoccupare di scegliere una parte.
«Alzati.»
Si puntellò sui gomiti, fissando Alexander.
Era in piedi sulla soglia, una fiammella si agitava nel palmo a fargli luce e allungava le ombre sul volto, rendendo più tesa l'espressione. Spostava gli occhi su tutta la stanza, come se volesse cercare qualcosa. Quando posò lo sguardo per qualche secondo di troppo sulla giacca ai piedi del letto, l'afferrò e la indossò; si grattò una spalla, solo a coprire con la mano la spilla.
«Non dovevo farti salvare.»
Rachel abbassò lo sguardo. «Ho un piano, perché... perché odiarmi ancora? E non ho chiesto aiuto. Potevo cavarmela.»
«Saresti morta. Siamo venuti a controllare solo perché l'ostril... l'ostril ha mostrato un cambiamento. Abbiamo visto le fiamme e sentito gli spari. Certo non mi immaginavo di trovarti.»
Rachel distolse lo sguardo: in alto si intravedevano le stelle. Discuterne lassù l'avrebbe reso meno opprimente.
«Mi hanno costretta a venire. Volevano che riportassi indietro un morto.»
«Potevi farlo in città. Lasciarci in pace. È stata una fortuna che non siete arrivati più in basso. Hai idea di che succederebbe se venissero a sapere che ancora c'è gente qui?»
Avrebbe voluto ridergli in faccia.
Una parte di Vexhaben già sapeva, ma non era quella che avrebbe potuto aiutarli.
Alexander fece un passo avanti. «Ho già perso Vivian per colpa tua.»
«Ha scelto lei di saltare» sibilò Rachel stringendo la coperta tra le dita. «Lei. Non l'ho spinta nell'abisso. Smetti di darmi la colpa per qualcosa che non ho fatto.»
«Eravate insieme. Voglio solo proteggere Julia. Ora vieni.»
«Dove?»
Il sorriso che le rivolse non prometteva nulla di buono.
Rachel sollevò la sciarpa fino a coprirsi la bocca e il naso: la puzza di morte e putrefazione era diventata sempre più forte man mano che si avvicinavano al fondo della Voragine.
L'odore si era infilato anche tra gli intrecci della lana e riempiva le narici.
Rabbrividì e premette la mano sulla stoffa. Nemmeno i semi profumati cuciti in una tasca erano abbastanza.
Puzzo e silenzio.
Ma soprattutto era da sola con Alexander, abbastanza distante da chiunque per non avere aiuto.
Serrò appena il pugno e qualche fiammella della sfera accanto alla spalla si agitò.
Non rischiarava abbastanza per vedere cosa si nascondesse nell'oscurità. I bagliori dell'ostril avevano assunto una sfumatura diversa, più tendente all'arancione e gli spunzoni di roccia alla parete sembravano più accentuati, le loro ombre cambiavano posizione ogni volta che la fonte di luce cambiava.
Ma ancora non c'era traccia delle bestie dei racconti delle notti invernali.
Avrebbe voluto chiedergli cosa volesse da lei.
Lo scricchiolio di ossa sotto la suola la fece rabbrividire.
«Sono vere?»
«Cosa?»
«Le voci.»
Alexander si voltò di scatto. «Pensi siano nate solo per spaventare i bambini?»
Mentre Vivian si stringeva spaventata a lei, Aeve era solita ripetere che tutto aveva un fondo di verità.
«È quello che vogliamo scoprire. Sarebbero un ottimo vantaggio, non pensi?»
«Le portiamo a Vexhaben?»
«Ne stiamo ancora discutendo. A diversi non piace.»
«Ma funzionerebbe...»
Non voleva nemmeno specificare per chi.
«Non sono convinti: hai dato una data, una vaga idea. Una volta lì cosa dovremmo fare?»
Rachel alzò una mano a sfiorare uno spuntone di roccia. «Dare fuoco alla città, immagino. Non dovrebbe essere difficile con tutte le lanterne in giro.»
Non aveva mai avuto un garante che le permettesse di vedere la città. Non avrebbe nemmeno saputo indicare la strada giusta.
«Sei così convinta che possa finire bene.»
Forse sarebbero state le lanterne le uniche cose a prendere fuoco.
«Lo farà. E quindi non capisco che ci faccio qui.»
Le si avvicinò, strinse una mano sulla camicia e la strattonò appena. «Essere stata a Vexhaben per quattro anni o dover ammazzare la regina non ti rende speciale. Finché rimani qui, sei al pari di tutti. Chiaro?»
«Sì» mormorò in risposta.
«E preferisco tenerti sotto controllo. Sia mai che scappi... o peggio prima di fare il tuo dovere.»
O che saltasse.
Era strano essere nel punto in cui tutto finiva.
Era bloccata lì, costretta a scegliere e senza avere una preferenza.
Avrebbe potuto voltare le spalle a Selah, rompere l'accordo e accontentare Alexander. Ma sarebbe stata da sola e l'avrebbero condannata. Era stata protagonista della sorte delle persone scomode per la corona, sapeva come finiva per chi imboccava quella strada.
L'altra opzione era tradire la Voragine.
Ma era sbagliato.
E avrebbe significato andare verso Vexhaben, verso il posto da cui per anni aveva cercato di fuggire.
La Voragine era cambiata, aveva perso quella patina di pace che l'aveva sempre caratterizzata davanti ai suoi occhi. Forse era solo un ricordo falso, nato dalla distorsione che l'astalt aveva prodotto sulla magia o forse se l'era creato da sola, in un meccanismo per sopravvivere, per dirsi che c'era qualcosa per cui valeva la pena lottare, che lasciarsi andare alla disperazione avrebbe solo significato fare il gioco di Selah.
La terza scelta era Jelas, il posto di cui non sapeva altro che il nome – irraggiungibile, un desiderio egoista che diventava più forte ogni volta che Alexander le parlava.
La sostanza rimaneva scivolosa, a ogni passo le sembrava di affondare quasi fino al ginocchio e gli schizzi che la colpivano erano freddi.
«E cosa facciamo se ne troviamo una?»
Avrebbe voluto avere almeno un'idea di quello che le sarebbe toccato fare. Si era abituata male all'arena: aveva avuto quasi sempre la certezza di vincere. Si era sbagliata solo sul vantaggio: non era la magia a proteggerla, era l'avere Selah intorno.
«Non lo faremo mai se non tieni la bocca chiusa.»
Il silenzio che tornò tra loro non la lasciò tranquilla: l'aria umidiccia dell'abisso si era infilata sotto i vestiti e si era attaccata addosso. Di tanto in tanto qualcosa scricchiolava sotto le suole: ossa, forse di qualcuno che era stato trascinato nei cunicoli.
Alexander sembrava certo di trovare qualcosa, ma più procedevano, più si convinceva che le voci fossero solo voci, create per evitare che i bambini fossero troppo curiosi.
Si fermò e ingoiò a vuoto: c'era qualcosa che non la convinceva. Era piena notte, l'aveva portata lontano da tutti.
Era stata stupida ad andare con lui.
Si voltò indietro: il cunicolo cadeva nel buio dove la luce della sfera finiva. La spostò appena, cercando di allargare il chiarore, ma niente uscì dall'ombra e nessun rumore proveniva da quella direzione: non sembravano esserci pericoli pronti ad attaccarla alle spalle.
«Forse dovremmo tornare indietro.»
«No.»
«Posso almeno sapere cosa stiamo cercando?»
«Le bestie. Non farmelo ripetere.»
Rachel si grattò una guancia.
«Le cerchiamo a turni. Visto che ormai stai bene, è anche compito tuo.»
I contorni irregolari delle rocce erano evidenziati dal fuoco.
«Anche Eliah si teneva sempre distante dall'abisso. Sei davvero la sua copia.»
«E tu sei monotono. Se non va bene nemmeno aver trovato un piano, cos'altro volete da me? Forse è meglio dirlo in faccia che non continuare a insultarmi. Pensi che non avrei cercato di tornare da loro se ne avessi avuto la possibilità?»
Serrò con forza le palpebre, cercando di cacciare indietro le lacrime che già le pungevano sugli occhi. Se non fosse stato per Alexander non sarebbe tornata a pensare ai genitori, a cercare di ricordarsi i volti distorti dal tempo trascorso dall'ultima volta che li aveva visti.
Strinse la mano destra sul braccio sinistro.
«Non avete mai provato a lottare come nella Notte dei Morti. Non avete avuto il coraggio di alzare la voce.»
«Era inutile, non avremmo vinto. Vivevamo in pace, per lo meno.»
«Non ci avete nemmeno provato.»
«Adesso basta» le urlò Alexander, avvicinandosi a lei.
«No» ribatté Rachel. «Vuoi dire che sarei dovuta rimanere a Vexhaben, a... non lo so, accettare quel che la corona volesse da me?»
Le afferrò la camicia con la mano libera. «E venire a disturbare la vita nella Voragine ti è sembrata una buona idea?»
«Era anche casa mia» gli rispose. Allargò la mano, facendo sparire la sfera. La fiamma rimase l'unica fonte di luce nel cunicolo, troppo debole da sola per mostrare quel che ci fosse oltre dieci passi da loro.
«E noi eravamo al sicuro. Cosa pensi che succeda se scoprono che sei viva? Che ci siamo anche noi? Vai oltre l'egoismo per una volta.»
Le lacrime le pizzicarono gli occhi, ma avrebbe voluto scoppiare a ridere. Vexhaben lo sapeva già.
La persona sbagliata lo sapeva già.
«Perché pensi che non abbia mai provato a fuggire?»
«Basta poco a dimenticare la vita nella Voragine.»
«Sarei morta se ci avessi provato. » Rachel fece un passo avanti. «Nessuno torna da Vexhaben.»
Si costrinse a riprendere a camminare, ma affondare nel fango con quelle parole che le rimbombavano in testa le risultava ancora più difficile. Aveva sempre cercato di non pensare al fatto che i genitori fossero scappati dalla Voragine. Era rimasta aggrappata alle promesse che le aveva fatto prima di partire, anche quando tutti gli altri avevano cercato di convincerla del contrario.
Contavano ancora più di qualsiasi cosa potesse dirle Alexander.
«Ma tu l'hai fatto. Sii l'eccezione che non si aspettano.» La luce tenue delle fiamme allungava il ghigno sul volto. «E ora continuiamo.»
Sentì una lacrima scivolarle sul volto fino a essere assorbita dalla stoffa della sciarpa.
A brillare nel cunicolo c'era solo la propria sfera e quella di Alexander, ormai diversi metri più avanti.
"Vivi."
Non si aspettava che le rispondesse. Non dopo aver parlato con Selah.
"Non è che lo siamo molto."
Rachel si passò una mano sulla faccia. L'unica cosa di cui non aveva bisogno era sentire le sue battute orribili.
Se non altro, non l'aveva abbandonata del tutto.
"Non appena lascerò questo mondo, sarà mia premura tirarti un pugno in faccia."
"Mh, se ci riesci potrei dire che hai combinato un qualcosa di buono nella tua... miserabile vita."
Sospirò. "Cosa dovrei fare?"
"Tu cosa vuoi fare?"
Si fermò a guardare Alexander.
Non poteva certo ucciderlo in quel momento, non davanti alla stessa figlia che aveva perso.
Nessuno le aveva mai fatto quella domanda.
Per quattro anni dalla Notte dei Morti aveva fatto solo quello che Selah le aveva ordinato. Una, due, venti persone date alle fiamme ed era diventato normale.
Aveva sentito solo di una persona che aveva provato a scappare: la mattina dopo il corpo era stato gettato in mezzo all'arena, con la gola tagliata. Ci aveva pensato, ma quel giorno aveva cambiato idea.
A Gabes si era ritrovata sballottata tra il volere di Katherine e la voglia di ucciderla di Selah.
Aveva finito per sentirsi dividere da dentro tra i nuovi ordini di Selah e quel che voleva Alexander da lei.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. I segni dell'astalt erano la prova della libertà che le era stata strappata.
La voglia di tornare a Jelas non doveva contare molto, considerando ciò in cui si era andata a infilare. C'era in ballo l'intera Voragine – casa – non solo lei.
Ma da qualche livello più alto sarebbe bastato poco a scivolare in avanti, a mettere la fine a tutto quel problema.
E forse tutti ne sarebbero stati felici. Non sarebbe stata un peso per la Voragine, non sarebbe stata un problema per Selah. Di Katherine a lei non doveva importare davvero. Era stata solo una coincidenza che avrebbe voluto farle da garante.
"Non lo so. Non so nemmeno perché sono ancora qui."
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