Capitolo XXIV

Selah riprese la stilografica in mano e l'agitò appena tra indice e medio. Qualche goccia di inchiostro rimasta nella punta macchiò la mappa distesa sul tavolo. Spostò il documento che stava leggendo e passò il dito sulla regione di Frinard: di quando Ethor era arrivato a dare fuoco alla cittadina non ricordava quasi nulla, solo il panico della fuga attaccata alla mano della madre.

Avrebbe goduto nel vedere lo stesso panico serpeggiare tra le strade di Crohull, ma ancora era troppo presto: le mani già prudevano per la voglia di dichiarare guerra, solo che George ripeteva sempre che non era di buon auspicio portare sventura all'inizio del regno, ma cosa ci fosse di sventura in una vittoria l'aveva ancora da spiegare.

Avrebbe dichiarato guerra a Ethor in quell'istante pur di non vedere più il nome della regione dell'Exval sui documenti, avrebbe fatto crollare quelle montagne pur di non avere più a che fare con la ferrovia.

Se solo Katherine avesse accettato di prendere il posto di Perch subito avrebbe potuto evitarsi quella parte di burocrazia, il lato più noioso dell'avere la corona in testa.

Non voleva credere alle voci che vedevano la principessa parte di un complotto: non l'aveva mai ritenuta tale da spingersi tanto oltre a sporadiche litigate con il fratello, ma in diversi ancora non la vedevano di buon occhio per aver fatto cadere l'alleanza e forse speravano che quelle bastassero a toglierla di torno una volta per tutte.

Se voleva solo evitarsi la burocrazia, invece, l'avrebbe capita.

Lanciò uno sguardo all'orologio alla parete: aveva ancora qualche decina di minuti prima dell'incontro che aveva fissato con Weller. Non aveva idea di cosa volesse parlarle, la richiesta era stata più che in attesa. Forse lui poteva avere buone notizie.

Afferrò la giacca di pelle marrone dall'attaccapanni accanto alla porta e uscì, fermandosi solo sulla soglia della biblioteca: le nuvole erano sparite, i raggi che entravano illuminavano appena la polvere che si agitava nell'aria e di tanto in tanto un bruscolo brillava, prima di scomparire di nuovo. Gli inserti metallici degli scaffali in legno riflettevano la luce, apparendo quasi dorati. Quel che per lei era più strano era l'odore di legno e polvere – troppo diverso da quello di fango e sangue a cui si era abituata.

«Weller?»

Solo l'eco della propria voce echeggiò tra i libri.

Come immaginava, ancora non era arrivato.

Avanzò tra gli scaffali a passo lento: a leggere le etichette metalliche apposte sulle parti di legno che davano sul corridoio il tempo sarebbe passato. Si soffermò davanti alla sezione storica: stavano scrivendo una parte che sarebbe finita lì a prendere polvere, pronta a essere studiata dal futuro.

Così come aveva messo fine alla Voragine, l'avrebbe fatto anche con Ethor. Di quel regno non sarebbero rimaste che macerie bruciate.

Si infilò all'interno, inclinando la testa per cercare di leggere i titoli dei volumi: appoggiò la mano sul primo di una serie da sei, tirandolo fuori. Scorse le prime pagine di indice, ma senza che niente le saltasse all'occhio.

Dei racconti sulla dinastia dei Wilmer-Herring e dello sviluppo di Vexhaben se ne faceva ben poco. Non aveva bisogno della lezione di storia: l'avrebbe fatta.

Rimise a posto il libro, spostandosi verso destra. Incrociò le braccia, scorrendo i titoli, tutti troppo simili tra loro per essere distinti.

«Perdonate il ritardo, Maestà. Non volevo lasciare un conto a metà.»

Si voltò di scatto. L'uomo dai capelli brizzolati e la barba corta che le stava di fronte si portò una mano sul petto e si inchinò.

«Ah, Weller, nessun problema.» Non era così sicura che i dieci minuti fossero già passati. «Posso sapere qual è l'argomento di questo incontro? Il messaggio era... stringato.»

«Una semplice richiesta.» L'uomo si avviò lungo il corridoio centrale e quando si fermò in prossimità dell'ultimo scaffale Selah fece una smorfia. Avrebbe preferito che si tenesse distante dalla sezione dedicata alla magia. «Ho preferito incontrarci qui perché se aveste domande, avrei i libri sottomano.»

Weller si voltò verso di lei, tirò appena il gilet verso il basso e proseguì: «Voglio avvisare che riguarda la magia, ma prima di condannarci, prometto che è a favore del regno non...»

«Non della feccia» concluse Selah incrociando le braccia. «Va bene, parliamone.»

«Abbiamo iniziato un progetto nuovo, potrebbe darci un vantaggio in caso di conflitto e non dover contare su un numero elevato di flammas ferentes. Di base ci permette di allargare il raggio in cui la magia fa danni. Posso spiegare i dettagli più tecnici, se interessano.»

Selah agitò una mano. «Mi basta che possa essere utile, di quelli discutete pure tra voi.»

Si infilò tra gli scaffali e riemerse poco dopo con un libro in mano. «Cercando informazioni sulla magia abbiamo trovato che l'ostril ne aumenta le capacità. Vorremmo sfruttarlo, ma trovarlo in città è difficile, se non impossibile. Ero pronto a spiegare tutto, ma mi limiterò alla richiesta: stando a quanto è scritto qui, un'altra concentrazione si trova nei dintorni della Voragine. È lì che vorremmo recarci.»

Selah annuì con un cenno della testa.

«Per quello bastava un messaggio, non importava lasciare il lavoro.»

Non poteva certo urlargli come a certi ufficiali, che stando a diverse voci lasciavano le proprie responsabilità per interessi personali.

«Volevo informare e nel caso rispondere a domande. So che non è una richiesta da tutti i giorni, ma considerata la mancanza di pericoli...»

«Vi farò avere una piccola scorta. Domani mattina va bene?»

«Non ci sono problemi, Maestà.»

«Allora fatevi trovare pronti per la nona ora. Verrò con voi.»

*

Fuori da Vexhaben, dove i campi si interrompevano, iniziava subito la distesa di arbusti incolti e secchi per la maggior parte: le piogge degli ultimi giorni non avevano dato sollievo al terreno. La natura faticava a riprendersi dagli incendi estivi, le cui tracce ancora rimanevano in macchie nere.

La Voragine era una macchia nera in mezzo alla pianura, nascosta appena da una collinetta. I lampi azzurri continuavano imperterriti, come se la Notte dei Morti non fosse mai successa, come se la feccia ancora vivesse là.

La fine della stagione estiva si avvicinava: alcuni nella squadra di Weller indossavano già cappotti più adatti al clima invernale, altri si muovevano nelle loro camicie leggere.

Abbassò lo sguardo sulla spilla, estraendola lentamente dalla giaccia; la posò sul palmo della mano sinistra, accarezzandone in contorno con l'indice dell'altra mano.

La strinse nel pugno; le ali premettero contro la pelle. Non poteva essere Rachel a toglierle tutto, non poteva permettersi che il futuro fosse quanto aveva visto nella Voragine.

Selah passò la lingua sulle labbra, cercando di scacciare la secchezza alla bocca, poi incrociò le braccia, spostando lo sguardo sul gruppetto di Weller, a qualche decina di metro da lei. Avevano montato un tavolo da campo e l'avevano ricoperto di fogli e strumenti.

Due si allontanarono: uno teneva in mano un blocco appunti, l'altro era chinato tra gli arbusti, rovistando nel terreno. Le passarono davanti rivolgendole un rapido cenno di saluto con la testa, poi tornarono a immergersi nel lavoro.

Di quello che dicevano gli altri non le importava. Era andata lì solo per evitarsi qualche ora di burocrazia, ma non aveva affatto voglia di rimanerci per tutto il giorno. Avrebbe lasciato i soldati di scorta e se ne sarebbe tornata palazzo prima dell'ora di pranzo.

Fece qualche passo e si appoggiò con la schiena a una quercia solitaria, appuntando di nuovo la spilla alla giacca. Si assicurò che la chiusura fosse scattata, poi infilò le mani in tasca.

Si voltò quando gli arbusti scricchiolarono vicino a lei.

Una degli ufficiali che si era portata dietro si era avvicinata, fissava davanti a sé con la fronte aggrottata. Teneva i capelli neri legati in una crocchia, l'acconciatura che le aveva visto addosso per anni. Gli unici segni del tempo erano delle piccole rughe ai lati degli occhi.

«C'è qualche problema, Margaret?»

«Non capisco perché non potevo rimanere a Vexhaben con Gilbert a continuare i preparativi.» Allargò un braccio, indicando i soldati intenti a controllare il perimetro. «E questo... spreco di risorse per... raccogliere pietre? Pensavo che la Voragine non fosse più un problema.»

«Non lo è, infatti. Ma per toglierti i dubbi: sei la prima che mi è venuta in mente per gestire la scorta e il numero è solo dettato dal protocollo. Ne avrei fatto a meno, ma George ha insistito.»

Margaret incrociò le braccia. «Ah, vero. Ho sempre da considerare una corona nei preparativi. Le spese aumentano. Il ministro del tesoro non sarà contento.»

«Lo faranno anche le tasse.» Selah alzò le spalle. «Sono spese necessarie al bene del regno, non capricci personali, non balli. Lo capirà.» O glielo avrebbero fatto capire. «Ci sono novità?»

Negli ultimi giorni non era riuscita a seguire troppo il filo dei preparativi, tra il matrimonio e la burocrazia che sembrava saltare fuori da ogni angolo occuparsi di persona anche di quello sarebbe stato troppo. Non si aspettava nulla di che: se ci fossero stati problemi uno dei due sarebbe corso a informarla – avevano sempre rispettato gli ordini.

«Non di vitale importanza. Gilbert sta aspettando notizie più certe dai suoi informatori a Crohull, ma per il momento non sembrano sospettare che vogliamo dichiarare guerra. Si aspettano una reazione per i disordini sulla costa, ma pensano di potersela cavare sborsando altri soldi. Quando avremo dati più certi, capiremo come muoverci, soprattutto verso dove.»

«Vorrei vedere la loro faccia quando dichiareremo guerra.»

«Hai trovato una motivazione?»

«Mi tocca sperare che Katherine litighi con la loro delegazione per l'Exval. Un'offesa del genere non piacerà sicuramente al suo caro fratello. Sarebbe meglio se qualcuno tirasse fuori un pugnale.»

«Se non ne hanno intenzione, possiamo... incastrarli. Potrei conoscere le persone adatte per il lavoro.»

Selah si accarezzò il mento. «Conosci anche qualcuno che possa convincere la principessa ad accettare?»

Margaret alzò le spalle. «Possiamo sfruttare quel Datchery. Insomma... penso che sia quello che ha più autorità su di lei.»

«Vale un tentativo. Te ne occupi tu?»

«Consideralo fatto non appena torniamo. Ma siamo che siamo in argomento, abbiamo lasciato un attimo da parte la questione dei flammas ferentes. Come dobbiamo muoverci?»

Serrò le labbra: dopo Gabes e la morte di Rachel, tutti gli scontri si erano fermati, ma non pensava che anche loro avessero messo in sospeso il loro ruolo. «Tenete più d'occhio chi è rimasto, continuiamo con gli allenamenti e considerateli come risorsa. Se dovessero venire fuori nuovi focolari di rivolta, nessuna pietà?»

«È una decisione comune o...»

«George l'accetterà.» Le rivolse un sorriso. «La giustificazione è che si tratta di una questione di sicurezza del regno, cosa che ricade perfettamente nei miei poteri e visto la gravità di quello che è successo poco più di un mese fa... la sua prudenza non è la strada da percorrere. Abbiamo rischiato una volta, non possiamo dare l'opportunità di poterci tentare di nuovo.»

Margaret annuì con un cenno della testa. «E io che speravo di non dover più avere a che fare con quella feccia. Prendere prigionieri è stata la decisione più sbagliata che abbia mai visto nella mia vita.»

«Pensavo fosse Leah che ha tentato di ucciderti.»

Agitò una mano. «Quella...»

Margaret si interruppe e fece qualche passo avanti. Allungò una mano verso di lei. «Il cannocchiale?»

Selah aggrottò la fronte appoggiò la mano sul cannocchiale alla cintura, lo sfilò dall'anello che lo reggeva e glielo passò. «C'è qualcosa di strano?»

«Non lo so, voglio controllare.» Lo sorresse con entrambe le mani, poi lo abbassò di scatto. «Oh, per Idall. Non riesco a capire.»

«Posso dare un'occhiata?»

Nel punto che Margaret stava indicando non sembrava esserci niente: dove lo puntava gli arbusti smettevano di essere una macchia indistinta: riusciva a distinguere i tronchi e le foglie.

Abbassò il cannocchiale e strizzò gli occhi: il riflesso della luce tra le nuvole, su lunghe distanze, iniziava a essere fastidioso.

«Che Idall mi maledica.»

Abbassò il cannocchiale, sbatté le palpebre e lo rialzò. Voleva accertarsi di non aver preso un abbaglio, che non fosse un brutto gioco di luci. Ma la macchia bianca che sembrava una nuvola aveva iniziato a scurirsi: a seguirla aveva trovato arbusti avvolti dalle fiamme. E soprattutto due persone che stavano discutendo lì vicino.

Una era fin troppo familiare per non sbagliarsi. Anche se non indossava più la giacca dei flammas ferentes, la macchia di sangue sulla spalla sinistra era abbastanza a rivelare la sua identità.

«Non chiedere cose di cui potresti pentirti.»

L'avvertimento di Margaret sembrava una beffa. E se la stessa fede non le tenesse unite dall'ultimo anno di accademia, l'avrebbe punita.

«Ora che c'è?»

«Morti che non sono morti.»

Margaret incrociò le braccia. «Sackville? Pensavo di aver partecipato alla veglia funebre... abbiamo pregato per una bara vuota?»

«C'è qualche problema, Maestà? Dobbiamo tornare a Vexhaben?»

«No» Si voltò verso Weller. «Continuate a lavorare, è tutto sotto controllo.»

Weller annuì con un cenno della testa, poi si allontanò, urlando altri ordini ai suoi sottoposti.

«Quindi?»

«Quindi abbiamo un problema» rispose Selah. Strinse il cannocchiale con entrambe le mani. «E stavolta mi assicurerò che quella feccia non viva.»

Aveva lasciato Rachel a morire lì. Le aveva dato la scelta di dissanguarsi o di saltare, perché era convinta che non avrebbe avuto nessuno ad aiutarla, ma l'uomo accanto a lei aveva una fiamma che gli circondava il pugno.

Significava solo che la vittoria nella Voragine non era stata il successo di cui si era convinta per quattro anni.

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