Capitolo XXIII
Il leggero sorriso sul volto della statua di Kurais sembrava fuori posto in quel periodo, a guardarla beffarda dal suo piedistallo. Seppur pietra, la veste seguiva i movimenti del corpo, increspandosi sopra al ginocchio. Il braccio allungato verso l'esterno reggeva una falena dorata. Nelle giornate in cui la Vol avrebbe brillato sembrava prendere fuoco, ma non in quel momento: il metallo era smorto sotto le nuvole.
Katherine ci girò intorno, sfiorando con le dita il bordo della vasca finché poté, poi si sedette sul bordo della fontana, fissando davanti a sé: il lento scrosciare dell'acqua alle sue spalle la rassicurava. Dei nobili che le erano passati davanti nessuno era andato oltre a un cenno di saluto. E andava bene così, anche se poi li vedeva confabulare tra loro a bassa voce. Parlavano di lei, della fuga dalla Voragine e dell'incertezza in cui Vexhaben era piombata: non piaceva a nessuno quella situazione.
«Non pensi che sia una bellissima coincidenza che le nostre strade si siano incrociate?»
Aveva sentito così tante volte che quella scusa di Arthur ormai era diventata la cosa a cui credeva meno: gliel'avrebbe potuto giurare su ogni divinità, ma non avrebbe mai più avuto il dubbio che non andasse in giro con l'idea di trovarla.
«Non dovresti essere al lavoro?»
«Potrei farti la stessa domanda.»
Katherine sorrise quando si avvicinò. «Si dà il caso che abbia trovato un accordo con la Redgold. Presumo sia più dovuto al voler entrare nelle grazie dei nuovi sovrani che per quello che ho fatto, ma posso illudermi. Invece dubito tu possa evitare il lavoro.»
«In effetti lo sto ignorando.» Arthur si passò una mano tra i capelli. «Ma non fare la spia che ho bisogno dello stipendio e ho già convinto altri a coprirmi.»
Katherine scosse la testa. «Finirebbero a chiedermi altro.»
Arthur si grattò il collo, distogliendo lo sguardo. «Dovresti dirglielo. Ci risparmieremo problemi. Tanti. Tuo padre... l'ha presa bene alla fine. E George è mio amico, la cosa peggiore che può farmi è togliermi il vino.»
«È re ora, può anche esiliarti senza se e senza ma.»
Non era sicura che con il fratello sarebbe andata nello stesso modo, anche se quel che le aveva detto a Gabes continuava a tornarle in mente. Se solo George le avesse detto quello che avevano davvero in mente: Arthur non avrebbe mai dovuto essere un piano alternativo per evitarsi un matrimonio con uno degli eredi di Ethor. Non si meritava di essere un'altra pedina dei sovrani.
«E va bene. Glielo dirò. Spero non vadano a chiedere altro...»
«In quel caso basta dire solo la verità. Che è che ti sei innamorata di me perché non hai saputo resistere al mio fascino.»
Katherine scoppiò a ridere. «Sei un completo idiota.»
«Ora non dirmi che non ho ragione.»
«Hai ragione, ma sei anche un idiota.»
Arthur le si sedette accanto e le accarezzò una guancia, si chinò a darle un bacio sulle labbra e appoggiò la propria fronte sulla sua.
«In realtà ti cercavo per altro, volevo chiederti una cosa. Tra due giorni è il compleanno di mia madre, penso le farebbe piacere se vieni alla festa. È alla tenuta fuori città, avremmo anche modo... di stare da soli. Lontano da corte.»
«Giusto perché vuoi pensare alla tua immagine pubblica, vero?»
«Senza alcun doppio fine, principessa.»
«Fa' arrivare l'invito, se la proposta piace a tua madre.»
«Vedrai che apprezzerà la tua presenza. E anche Miriam sarà contenta di averti lì.»
«Sai qualcosa del suo esame? L'ultima volta che l'ho vista non ha fatto altro che parlare del piano se fosse andato male. Non penso che fuggire a Ethor sia la scelta migliore.»
«Non l'ho rivista e Nicholas ha parlato dello stesso piano. Vedrò di scoprire qualcosa, ma forse è meglio che torni al lavoro.» Le diede un bacio sulla guancia e Katherine rimase a fissarlo mentre si allontanava, la mano appoggiata sul punto di quel breve contatto.
Per una notte avrebbe potuto dimenticarsi di tutti i problemi che galleggiavano intorno alla corte e alla Voragine.
A quel punto tanto valeva cercare George e dargli entrambe le notizie: non riusciva a credere che fosse riuscito a tirarsi via da quell'incombenza con la scusa del lavoro.
Una fila di formiche si muoveva lenta sulle pietre rotonde del vialetto e scompariva nell'erba, ancora bagnata dal temporale della mattina e le gocce rimaste sui fili brillavano sotto i primi raggi che erano riusciti a oltrepassare le nuvole. Seguì con gli occhi il vialetto: proseguiva dritto fino alla fontana, ci girava intorno e da lì iniziavano due diramazioni, una verso la sua sinistra e una andava a perdersi dentro una siepe di lauro. Il getto d'acqua era spento, la bocca della brocca tenuta dalla statua era secca. Il bianco del marmo era diventato grigio laddove non si era ancora asciugato.
Si guardò intorno, ma non c'era nessuno dei dintorni. Il cielo cupo doveva aver convinto parecchi dei nobili a rimanere dentro, evitando le passeggiate: doveva essere grata alla loro codardia perché avrebbe trovato, finalmente, un attimo di pace.
Senza volerlo era arrivata nei pressi del labirinto, il centro del giardino. Non ricordava nemmeno quando fosse l'ultima volta che aveva sfidato George ad arrivare prima alla fontana al centro del labirinto.
Tempi andati, quando era piccola, quando l'unica lotta che aveva con George era per chi arrivava primo alla fontana al centro di quello stesso labirinto.
Quando il destino del governo di Vexhaben appariva più brillante di quanto non fosse davvero.
Quando ancora Selah non aveva distrutto il loro rapporto.
Serrò le labbra all'idea che fossero già passati sei anni da quando l'aveva incontrata per la prima volta, al falò di Auras.
Si appoggiò alla siepe con entrambe le mani; l'acqua rimasta sulle foglie le bagnò il palmo, scivolando fin dentro la manica.
Se strizzava gli occhi, intravedeva la testa di una delle statue all'interno del labirinto, un punto bianco in mezzo al mare verde del fogliame. Brillava appena sotto la luce del pomeriggio, apparendo più candida di quel che fosse.
Sospirò, mordendosi il labbro inferiore: dall'ultima volta che aveva tentato il labirinto era passato troppo tempo.
Fece qualche passo avanti, combattendo contro la voglia di cercare di trovare la via per arrivare alla fontana e cercare di far cadere il sasso nella conchiglia della statua al centro. Se uno ci riusciva al primo tentativo, si diceva portasse fortuna e doveva ammettere che ne avrebbe avuto parecchio bisogno in quel momento.
Sospirò, poi tornò indietro, svoltando nel labirinto. Si fermò alla prima diramazione, mordendosi l'interno della guancia: una volta non avrebbe esitato nello scegliere la direzione, ma in quel momento, non aveva la minima idea di quale fosse quella giusta.
Spostò il peso da un piede all'altro.
Sinistra, si disse, infilando la mano in tasca. Rigirò il foglio ormai appallottolato tra le mani. Non passò molto tempo prima che si trovasse davanti un vicolo cieco: l'angolo della siepe circondava una statua che, piegata di poco in avanti, sembrava prendersi gioco di lei per aver sbagliato strada. Si avvicinò, quanto bastava per riuscire a leggere la piccola targhetta che indicava il nome dello scultore: non le ricordava alcun volto di familiare, ma era innegabile la fattura di pregio dell'opera. Sollevò una mano, sfiorando il piede: da piccola non era mai stata in grado di arrivare a toccare il marmo, se non quando il padre o il fratello la sollevavano, permettendole di realizzare che ciò che credeva caldo e morbido nella realtà era freddo e duro.
Sorrise appena: aveva visto la politica nello stesso modo.
Serrò le labbra, appuntandosi di dirigersi nella direzione opposta a quella che la memoria le suggeriva. Fare affidamento su quella non era la strategia vincente, meglio contare sull'istinto.
Si fermò a pochi passi dall'apertura che dava sulla fontana, portandosi una mano sulla bocca: se si era infilata lì dentro era stato soprattutto per dimenticarsi di Selah, ma mai avrebbe messo in conto di ritrovarsi davanti lei e il fratello, intenti a parlare. Non aveva sentito le loro voci, non aveva percepito alcun rumore che potesse tradire la loro presenza.
Si voltò e fece per andarsene, ma il rametto che si spezzò sotto le scarpe la bloccò sul posto.
«Katherine?»
Era così sbagliato desiderare un colpo di pistola nella schiena?
«Non volevo disturbarvi» rispose nascondendo il viso tra le mani. «Perdonatemi» aggiunse tornando a guardarli.
«Vedo che non ti sei dimenticata del labirinto» le disse George, abbassando la mano dalla spalla al fianco di Selah. «Ma immaginavo che tu non fossi venuta a cercarci.»
«In realtà ti stavo cercando, George. Ho bisogno di parlarti.»
«Anche noi con te. Forse è una fortuna che tu ci abbia trovati.»
Katherine spostò lo sguardo su Selah: cos'altro voleva? Non le bastava aver rovinato anche quell'ultima parte di infanzia che le era rimasta?
Si alzò dal bordo della fontana, lisciando la stoffa della giacca scura. Guardò in basso, chinandosi a raccogliere un sassolino.
«Sarebbe un peccato non rispettare le tradizioni, non pensi?»
Katherine annuì con un cenno della testa, stringendolo nel palmo. «Ho come il sospetto ci sia altro, Maestà» mormorò facendo un passo verso la fontana.
Si fermò dove l'erba lasciava il posto alla distesa grigia e bianca.
Da lì si doveva lanciare. Lo strinse nel palmo e le distorsioni premettero contro la pelle.
«Vogliamo solo il bene del regno» le rispose Selah.
«Non mi interessa della retorica. Cos'altro devo fare? Organizzare una veglia funebre per la libertà che andremo a perdere?»
«Katherine» la riprese George. «Possibile tu abbia sempre voglia di litigare?»
«Farlo con lei è una questione di principio.»
«Perché non vuoi darle una possibilità?»
«Perché...» Abbassò le braccia e guardò il fratello. «È tua moglie, prima era la tua promessa sposa. È normale che a te debba piacere. Io che dovere ho?»
«Potresti stupirti se cercassi di andare d'accordo.»
«O forse finirebbe con un omicidio» rispose Selah, camuffando appena le parole con un colpo di tosse, prima di lanciare uno sguardo a George che alzò le mani.
Doveva trattarsi di certo di un accordo con Ethor: aveva fatto il suo con la Redgold, non c'era alcun motivo che altri affari la riguardassero.
«Abbiamo una proposta» continuò Selah.
Katherine sollevò la mano. Avrebbe tirato a Selah il sassolino se non le avesse detto presto di cosa si trattasse.
«C'entra Ethor?»
«Per certi versi sì.»
Serrò le labbra e lo tirò verso la fontana. Uno schizzo d'acqua si sollevò e finì sul bordo. Avrebbe avuto bisogno di tutta la fortuna che fosse riuscita a trovare.
«E un matrimonio?»
«Oh, no, no» le rispose George. «Se dovessimo arrivare a una proposta del genere significa solo che la situazione è irreparabile.»
Katherine appoggiò le mani sui fianchi e si voltò verso la coppia. «E allora cosa?»
«Avremmo piacere di averti nel governo. Hai lavorato bene con la Redgold, pensavamo di affidarti il ministero dei trasporti.»
«Cosa?» Katherine si stropicciò la fronte: dovevano essere ubriachi, dovevano aver sbattuto la testa contro un muro, una statua o altro.
«Perch è prossimo alla pensione e viste le discussioni per la zona dell'Exval è forse la soluzione migliore mettere qualcuno del tuo rango a gestire la faccenda.»
«Tuo padre è d'accordo» continuò Selah. «Anzi, ammetto che è riuscito anche a convincere George. Era lui a volerti fuori dal governo, non io.»
«Ha sempre detto che non voleva far parte della nostra politica» si giustificò il fratello. «Volevo evitare un'altra discussione.»
Katherine aggrottò la fronte: delle scuse di George le importava poco, era il quadro generale che non le piaceva.
«Qual è il doppio fine?»
«Oh, è semplice. Se qualcuno della delegazione da Crohull dovesse offenderti, sarà molto più facile dichiarare guerra. Gli obiettivi che hanno attaccato per il momento non sono sufficienti.»
Lasciò cadere le braccia lungo il corpo. Avrebbe dovuto sospettare che fosse tutto calcolato da Selah.
Finché Perch fosse rimasto al suo posto non ci sarebbe stata un'occasione del genere. Erano anni che ricopriva quel ruolo, non ricordava nemmeno il ministro che l'aveva preceduto, mentre lei era stata lontano dalla politica per anni, le mancava l'esperienza di chiunque altro e avrebbe solo fatto errori.
Errori a cui la delegazione di Ethor avrebbe potuto reagire in modo sbagliato.
A quel punto Selah aveva tutta la motivazione e il potere per dichiarare guerra.
«Puoi pensarci» rispose George. «Il giuramento del governo non si terrà fino al quinto giorno del mese prossimo. Se vuoi rifiutare, ti chiedo di farmelo sapere il prima possibile.»
Katherine annuì con un cenno della testa. Ne avrebbe riparlato con Arthur e Miriam.
«Ma tu di cosa volevi parlarmi?»
Avrebbe preferito rimanere sul loro argomento, approfondire le loro richieste, ma doveva dirlo. Abbassò lo sguardo sul vialetto. Correre via non era un'opzione.
«C'è qualche problema?» la incalzò George.
Katherine distolse lo sguardo. Avrebbe voluto Arthur lì con lei. Era strano parlarne da sola, come se la questione non lo riguardasse.
«Non penso...» Si passò una mano sul volto. Tanto vale togliersi quel problema. «Riguarda la mia relazione con Arthur.»
«Ti sei finalmente decisa ad ammettere l'evidenza?» Selah le girò intorno. «Ho sentito diversi soldati scommettere tra loro se c'è davvero qualcosa tra voi. Anche se ammetto che da Gabes è qualcosa che l'intera corte si aspettava.»
Katherine la ignorò. Quello era proprio il motivo per cui avrebbe preferito parlare da sola con George: non aveva bisogno dei suoi commenti non richiesti.
Le appoggiò una mano sulla spalla, poi si chinò.
«Grazie per la vittoria scontata, alcuni ufficiali non saranno molto felici di pagare» le sussurrò all'orecchio e Katherine si spostò di un passo. Stava arrivando al limite della sua sopportazione.
«Te l'avevo già detto, non ci sono problemi.» George si appoggiò alla fontana, stringendo le mani sul bordo. «Non sembra una cattiva compagnia. Ma digli che gli voglio parlare, il prima possibile.»
«Riferirò.»
Katherine strinse il medaglione. Era andata meglio del previsto. Tutto il disastro che si era immaginata non si era srotolato davanti ai suoi occhi.
«Perché dirlo solo ora? Cos'è che nascondevi?»
Alzò le spalle. «Non volevo togliere l'attenzione dal vostro matrimonio.»
La prima e unica bugia che le fosse venuta in mente. Sarebbe stata abbastanza credibile.
«Bel pensiero da parte tua.»
George annuì con un cenno della testa. «Be', a questo punto possiamo sfruttare il ricordo di Sorias per l'annuncio ufficiale. Ti conviene accettare l'offerta, sarebbe un grande giorno per te.»
Katherine stirò le labbra in un sorriso. «Su quello ci penserò.»
Selah unì i palmi delle mani. «A questo punto direi che si possa festeggiare con un tè. Vado a cercare Datchery, ci vediamo tra poco.»
Avrebbe voluto andare con lei solo per vederlo sbiancare per la preoccupazione.
George si staccò dallafontana, si avvicinò a Katherine, le mise la mano sulla spalla e la strinse asé in un goffo tentativo di abbraccio.
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