Capitolo XVI
Rachel era morta.
E lei le aveva sparato.
Ucciderla nella Voragine era già stato fin troppo gentile da parte sua.
Le aveva sparato quando avrebbe potuto conficcarle il pugnale nella gola.
Non era un fallimento, ma sulla pelle di Selah bruciava come tale. Aveva perso l'occasione di sacrificare altro sangue di quella feccia a Idall in nome della vendetta per Frinard. Quella che Vexhaben non aveva mai voluto prendere finché il padre non era riuscito a convincere il re.
Le aveva sempre detto che non avrebbe sprecato veleno per lei, ma alla fine ci era ricorsa.
Portarsi dietro proiettili avvelenati si era rivelata una buona idea – troppo, per essere arrivata da George.
Selah si appoggiò con entrambe le mani all'altare, strinse il bordo e piegò in avanti la testa.
Non sapeva nemmeno per cosa pregare.
Si passò una mano sulla faccia, poi spinse a terra il panno bianco con la rosa nera ricamata al centro; scivolò sul pavimento di pietre, raccogliendosi in più pieghe. Sul piano di marmo nero rimase solo un calice di vino d'oro, pieno fino al bordo.
Voltò le spalle alla statua e stropicciò gli occhi con le dita.
Per tutto il tempo che avevano passato nella Voragine la voglia di vedere il sangue di Rachel scorrere sul proprio pugnale era aumentata ogni volta che l'aveva guardata.
Inspirò a fondo e il fumo delle torce si infilò nel naso; l'odore acre del legno in fiamme si sarebbe attaccato ai vestiti.
La statua di Idall era incassata in una nicchia nella parete: il braccio alzato reggeva una testa, l'altra stringeva un pugnale con la punta rivolta verso l'alto. Una rosa secca era incastrata tra i piedi: i petali avevano perso il loro colore e i bordi si erano raggrinziti. Nessuno si era degnato di sostituirla.
Si mise al lato destro dell'altare e indugiò per un attimo con la mano sul corpo di Idall: da quella distanza, tutti i particolari della statua d'oro venivano alla luce. Le pieghe dell'abito acquisivano più forza, le piccole ombre non venivano nascoste dal riflesso delle fiaccole alle pareti che pure avevano riempito di fumo l'aria della cappella.
«Da veniam mihi» mormorò prima di sfilare la rosa. Scosse la polvere dai petali, se la rigirò fra le dita e si avvicinò a una delle torce. La fiamma la avvolse e Selah la lasciò a terra prima che arrivasse a bruciarla.
La calpestò finché non rimase che polvere.
La fine della Voragine, il destino di Crohull.
Accennò un inchino in direzione della statua e si promise di sostituire la rosa.
Si avviò lungo il corridoio, la mano sempre stretta sul medaglione fino a quando non staccò una torcia dal suo anello e allo spostarsi della fiamma la propria ombra traballava sugli scalini della scala a chiocciola che si snodava tra muri che sembrano stringersi l'uno contro l'altro.
Il fatto che quella fosse l'unica fonte di luce le dava quasi sui nervi: ogni fiamma le ricordava la vergogna dell'essersi fatta sfuggire Rachel. Sollevò appena la manica del braccio che reggeva la torcia: sotto quella luce la bruciatura che portava l'impronta della mano di Rachel appariva più rossa di quanto non fosse davvero. Finché la bruciatura non fosse guarita, avrebbe avuto addosso il segno del fallimento.
Si fermò su uno scalino, ravviando la treccia raccolta sulla nuca.
«Helena.»
Serrò le palpebre, stringendo un pugno all'altezza del petto. Sapeva che non avrebbe potuto rimandare per sempre quell'incontro, ma non si aspettava di sentire così presto quella voce.
Si voltò e scese di nuovo. Il passaggio negli anni li aveva scavati al centro e apparivano ondulati sotto la luce delle torce.
Si fermò sull'ultimo: non sembrava esserci nessuno però.
Aggrottò la fronte. Eppure era sicura di aver sentito qualcuno chiamare il proprio nome, la voce bassa le era risuonata nelle orecchie.
«Che c'è?» Spostò la torcia, cercando di illuminare il più possibile. «C'è qualcuno?»
Di nuovo, nessuna risposta, se non la leggera eco delle proprie parole.
Scosse la testa, risalendo le scale. Di certo non avrebbe avuto tempo da perdere per qualcosa del genere.
Appoggiò la torcia su uno degli anelli vuoti all'interno della piccola domus, attraversò la navata e uscì. Sollevò una mano, cercando di ripararsi gli occhi dalla differenza di luminosità. Non si era guardata indietro: quella chiamata forse era stata solo uno strano effetto del vento, forse se l'era immaginato.
Scosse la testa e si avviò lungo il vialetto ombreggiato: le chiome degli alberi lo lasciavano all'ombra e smorzavano il caldo.
Si fermò prima che si allargasse a circondare la fontana: la brocca che la statua reggeva buttava fuori solo un rigagnolo d'acqua; un alone arcobaleno galleggiava sopra la superficie dell'acqua, dietro la figura di Katherine.
La principessa stava fissando in basso, le mani strette su un ventaglio chiuso. Sembrava aspettare qualcuno e Selah alzò lo sguardo al cielo. Se fosse stata lì per lei non avrebbe avuto niente da dirle, solo insulti.
Che andasse a dar fastidio a suo fratello se proprio voleva mettere il naso nelle faccende politiche.
Mosse qualche passo, per poi fermarsi di nuovo dove il vialetto si allargava in un cerchio.
«Hai bisogno di qualcosa?»
Katherine alzò lo sguardo, poi scosse la testa. «No, volevo solo fare una passeggiata. Ho saputo quel che è successo, è un peccato che sia andata come ha fatto.»
«Non mi interessa. Non avrebbe mai dovuto essere una possibilità.»
Aveva avuto ragione dal primo istante e finalmente l'aveva dimostrato a tutti. Soprattutto a Katherine: se non si fosse intromessa, niente di tutto quello sarebbe successo.
«Sosterrò una parte delle spese del funerale, oltre a fare le condoglianze ai Sackville. Ma io mi riferivo anche a Rachel.»
«Non abbiamo da discuterne, principessa. È morta.»
Katherine non reagì, si limitò a stringere le labbra. Ma senza averla finalizzata come sua garante, si evitava tutti i problemi burocratici.
Una vittoria da non sottovalutare.
«Sai per caso dov'è Miriam? Speravo almeno di salutarla.»
Selah alzò le spalle. Era scappata via mormorando qualche scusa che non aveva nemmeno capito del tutto. «Non aveva molto interesse a rimanere qui.»
Katherine si staccò dal bordo. «È comprensibile. Sarà meglio che ti saluti, non voglio arrivare in ritardo.»
La guardò andarsene e proseguì lungo il vialetto, stringendosi la radice del naso tra le dita. Katherine era il peso successivo da togliere, quello più difficile, su cui nessuna dell'autorità che aveva sembrava aver effetto. Se nemmeno George riusciva a farla cedere avrebbe potuto diventare un vero problema.
*
Non aveva trovato il sollievo sperato nel sostituire la rosa. Più aveva guardato la statua e più le era sembrato che lo sguardo di Idall fosse di disapprovazione. Avrebbe dovuto trovare qualcun altro per il sacrificio di sangue con cui chiedere perdono.
Fuori il senso di oppressione non cambiava: aveva girovagato per il giardino finché la noia non era diventata insopportabile, ma anche tornare a palazzo per cercare la compagnia di George si era rivelata una pessima idea. Era come se l'intera corte fosse rallentata sotto il caldo, che tolta la minaccia non ci fosse più niente da fare se non piangere i morti di Gabes.
Il mazzo usato fino a quel momento era stato sistemato in un angolo del tavolino, con il dorso delle carte rivolto verso l'alto e non avevano trovato un'alternativa che sarebbe andata bene a entrambi e solo il leggero frinire che entrava dalla finestra spezzava il silenzio.
«Possiamo bere qualcosa.»
George si alzò, lisciò la stoffa dei pantaloni scuri e incrociò le braccia. Il colletto della camicia sbottonata si abbassò di poco. Selah annuì con un cenno della testa. A quel punto, non vedeva altre scelte e affogare i propri dispiaceri nel vino era sempre la decisione migliore.
«Va tutto bene?» Le si sedette accanto, appoggiò i due bicchieri sul tavolino e le accarezzò lentamente la schiena.
Selah sospirò e si piegò in avanti: non sapeva nemmeno cosa rispondergli. «Non so se essere felice che la feccia della Voragine non sia più un problema o rattristarmi per non aver dato ai Sackville quello che desideravano. Ma penso solo di avere bisogno di dormire... Quest'afa è tremenda.»
«Quest'anno non dà tregua.» George le strinse una mano. «Ma possiamo finalmente pensare ad altro.»
Ethor.
O gli ultimi preparativi per il matrimonio.
Non aveva idea di cosa fosse peggio.
Selah si voltò verso George, sorridendo appena. «La soluzione con Ethor l'ho già, mi basta la firma del re.»
«Mio padre non vuole una guerra nel suo regno, non un'altra.»
«Quella non era guerra, era una misura necessaria. Ma tu non sei tuo padre.» Sollevò una mano, accarezzandogli una guancia. «E io so essere paziente.»
George appoggiò la mano sulla sua, stringendola appena; si voltò baciandole il palmo. «E abbiamo bisogno di un motivo valido.»
«Se non c'è, si crea» gli rispose appoggiandosi allo schienale. «Hanno sempre avuto mire verso i territori di Dreis, se attaccano di nuovo non permetterò che la situazione si risolva con un altro trattato farsa. Anche se devo ammettere che sono stati abbastanza intelligenti da colpire solo navi commerciali per il momento e non hanno toccato le basi militari. Penso che basterà aspettare qualche comandante di zona troppo voglioso di fare bella figura.»
Se la situazione diplomatica non fosse migliorata, avrebbe potuto sfruttare anche la regione dell'Exval: se non volevano finire la ferrovia, potevano essere accusato di atteggiamenti ostili. Aspettare che colpissero la nave sbagliata era snervante, avrebbe lasciato loro troppo tempo per organizzarsi.
«Dobbiamo essere sicuri di volere quella guerra.»
Selah sollevò l'altra mano davanti al volto, la girò con il dorso rivolto verso di sé, fissando l'anello sul medio. «Puoi vederla come la campagna contro la magia: è un problema per tutto il regno, è bene risolvere alla radice.»
George si alzò e si avvicinò alla mappa sul muro, portando le braccia incrociate dietro la schiena. «Però come vantaggio volevi usare...»
«La feccia, lo so.» Selah si sistemò meglio sul divanetto, accavallando le gambe, fissando la mappa sulla parete. Ethor era una macchia giallastra che solo una spessa linea nera separava dal rosa tenue del loro regno. «Ma non ho mai pensato fossero la nostra risorsa principale» continuò fissando gli occhi su un segnaposto conficcato a poca distanza da Vexhaben, in mezzo a una zona colorata di verde.
La Voragine era solo diventata il posto più famoso, ma quattro anni prima c'erano stati tanti altri segni uguali sulla mappa.
Seguì con gli occhi la linea di confine, fino ad arrivare ai territori di Dreis. Frinard era poco sopra, la casa che aveva lasciato con la promessa di cambiare le cose.
George annuì con un cenno della testa. «Sempre che Ethor non ci attacchi prima.»
«Perché dovrebbe farlo? Dei del cielo, George.» Si alzò in piedi di scatto. Si passò una mano tra i capelli e tirò indietro quelle poche ciocche sfuggite all'acconciatura. «C'è qualche incidente diplomatico di cui non sono al corrente? È per qualcosa che è successo a Gabes?» gli chiese allargando le braccia.
Se quello era il caso, gliel'avrebbe fatta pagare di non averla messa al corrente fin da quando era tornata. «Oh, no. Nessun problema, mia cara. Ma è un'ipotesi da tenere in considerazione, le voci dell'abdicazione di mio padre avranno già raggiunto anche Crohull e potrebbero vederla come un momento di debolezza del nostro regno.»
Selah tornò a sedersi. Si passò una mano sulla faccia e prese un respiro profondo.
Avrebbero capito subito che si erano sbagliati e lei avrebbe avuto il modo di giustificare la guerra come necessaria a quel punto.
Da una parte ne era sollevata: se nulla era cambiato, non era un problema così grosso. Afferrò uno dei due bicchieri, buttando giù in pochi sorsi il contenuto. Il liquore bruciò appena in gola.
«Lasciali parlare, allora. Lasciali illudere che Vexhaben si avvii verso un periodo di vulnerabilità. Sarà più soddisfacente conquistare Ethor e la sua capitale.»
George si voltò, con un sorriso sulle labbra. «Non mi interessa smentire le voci. Qualcuno ha paura.»
«Paura di cosa? Che non sarà uguale alla politica di tuo padre? Oh, andiamo. Puoi dirmelo se è Katherine a pensare queste cose.»
George annuì con un cenno della testa. «Be', non sarebbe la prima volta che parla contro di me ed è noto che non ti sopporti.»
«Pensavo le fosse stato insegnato quale fosse il suo posto.»
«Ciò non le impedisce di avere le proprie idee.»
«Se le fosse stato insegnato per bene adesso non rischieresti di avere un oppositore accanto al posto di un alleato.» Selah tamburellò con le dita sulla seduta del divanetto. «E visto che si crede così invincibile, forse è il momento che si prenda una posizione in cui le sue azioni possono avere conseguenze.»
«A cosa vuoi arrivare?»
«Visto che volevi metterla nella delegazione dell'Exval, nominiamola ministro dei trasporti, tanto Perch è prossimo alla pensione. O riesce a fare l'impossibile o mi fornisce una scusa. E rimane la principessa: se qualcuno della delegazione di Ethor dovesse offenderla... è un'accusa punibile.»
George inclinò appena la testa, non le sembrava convinto. «E secondo te non porterebbe tutti verso il baratro? È troppo rischioso.»
Selah sorrise, scuotendo appena la testa. «Potresti stupirti di quanto la paura possa essere motivante per farla restare al suo posto.»
George scosse la testa. «Ha accettato di occuparsi della Redgold in cambio di non avere posizioni di rilievo nel governo, ma ne parlerò con mio padre. Anche se preferisco la prudenza..»
Ma la verità era solo che era un codardo. E qualcuno avrebbe potuto avere un vantaggio da quel comportamento di George: non poteva permettere che fosse qualcuno di diverso da lei.
Avrebbe dovuto aspettare solo un mese a quel punto.
«Vedrai che vi convincerò tutti.»
Da veniam mihi: Chiedo perdono (letteralmente dammi il perdono)
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