Capitolo XV

Tra le venature azzurre che brillavano nel buio e illuminavano appena le rocce circostanti e gli spiriti che continuavano a rimbombarle in testa, le sembrava di non essere mai cresciuta nella Voragine. Un tempo era tutto normale, ma l'astalt gliel'aveva strappato.

Non le importava che indossasse ancora la divisa dei flammas ferentes o che la spilla con il simbolo di Vexhaben fosse ancora attaccata alla stoffa.

Era a casa.

Per poco, ma era a casa.

In basso l'abisso continuava a chiamare. Il buio si allungava sulle pareti della Voragine come se fossero dei tentacoli che si aggrappavano alle rocce. Rabbrividì all'idea che forse le voci sul fondo della Voragine avessero davvero un fondo di verità.

Serrò le palpebre e una lacrima le scese lungo la guancia.

"Vendicaci, Rachel."

"Sei a casa, è il momento di vendicarsi."

"Cosa stai aspettando?"

Si strinse la testa fra le mani. Le voci degli spiriti erano più forti – più di quelle nell'arena. Un coro che non lasciava tregua. Avrebbe dato loro ascolto subito, se Miriam non si fosse messa nel mezzo.

«Puoi fare il tuo dovere adesso.»

Quella sorta di pace svanì in un attimo. La magia era appena tornata a pizzicarle le dita e l'avrebbe dovuta perdere subito.

Lo stomaco si strinse in una stretta da farle venire un conato di vomito. Avrebbe buttato fuori tutto il pranzo che si era imposta di mangiare.

Selah si voltò verso Miriam.

«Sai, Dankworth, temo di doverti ringraziare. La tua proposta mi ha risparmiato di dover prendere la stessa decisione. E forse è un bene, che la responsabilità cada tutta su di te.»

«Io...» Miriam serrò le labbra, senza finire la frase.

Avrebbe voluto dire che non era colpa sua: nessuno sarebbe stato lì se Katherine non avesse spinto per tirare fuori un'idea. Avrebbe dovuto trovare qualcos'altro – anche dire che non c'era niente da fare.

Da quel poco che sapeva, come garante avrebbe dovuto assicurarsi che non le succedesse nulla, ma non avevano firmato nulla, non era una decisione finalizzata.

Non contava niente avere la protezione della principessa.

«E tu, feccia, cosa stai aspettando? Un invito scritto? Muoviti. Sii utile per una volta.»

Strinse il pugno e una sfera di vapore lo circondò.

«Senza fare idiozie.» Appoggiò la mano sulla pistola nella fondina, un accenno muto al suo modo di sistemare le cose.

«Pensavo non volessi sprecare proiettili.»

"Puoi sempre saltare."

Lo slargo in cui aveva abbandonato Vivian non era molto più in basso. Non avevano mai riparlato di quel momento.

Lo spirito di Vivian galleggiava a poca distanza da lei. I contorni si sfumavano nella notte e i capelli le galleggiavano intorno al volto. Come nelle giornate più ventose, quando tutto andava bene. Era rimasta in silenzio fino a quel momento, ma forse aveva fornito la soluzione migliore, considerando che stava per andare contro a tutto quello che le avevano insegnato negli anni, alle cose che chiunque si era raccomandato di non fare.

Uno sparo echeggiò nell'aria. Il dolore alla gamba si allargò un attimo dopo. Crollò in ginocchio e le rocce del sentiero premettero contro le ginocchia. Si portò una mano sulla bocca, imponendosi di non urlare.

«Certe spese sono necessarie.» le disse Selah con voce tranquilla. Le si avvicinò e le afferrò la camicia, sollevandola da terra. «Feccia come te dovrebbe stare zitta ed eseguire gli ordini. La trovata di Katherine non conta nulla, tu non le interessi. Non interessi a nessuno.»

Si voltò verso Miriam. Forse a una, ma non ne era certa. Ci doveva essere qualcosa di più importante di lei che l'aveva portata a prendere quella decisione.

"Dovresti... lo sai."

Le era rimasto da fare qualcosa dalla Notte dei Morti.

Lo doveva a tutti, per essere rimasta viva quando nessun altro l'aveva fatto.

"Non posso."

Non ancora.

Non c'è la certezza di vincere.

Ho paura.

Le solite scuse che presto avrebbe finito.

La libertà era a un passo.

Così come l'abisso.

Dalla festa di Gabes si era creata in testa scenari di fuga che non aveva mai avuto il coraggio di mettere in atto: bastava il tenue bagliore delle fiamme e dei soldati sempre di guardia a farla desistere e Selah le aveva appena dimostrato le sue vere intenzioni. Giravano voci che l'abisso non fosse chiuso, che dal fondo della Voragine si diramassero corridoi. Potevano essere abbastanza per nascondersi.

Se solo avesse avuto un altro posto in cui recarsi.

Aveva passato notti sveglia a fissare il groviglio di tubi sul soffitto e ad ascoltare i passi dei topi nel buio, a pensare a come sarebbe stata diversa la vita se avesse deciso di scappare e tornare nella Voragine. E ora che era lì, Vexhaben sembrava la scelta più sicura, quella che aveva almeno una certezza.

Inspirò a fondo e il puzzo di fango e marcio dell'abisso le riempì le narici.

Quando Selah lasciò la presa, sbatté di nuovo a terra sulla ferita. Gemette dal dolore e si mise a sedere, allungando la gamba di fronte a sé. Una macchia scura si era allargata sui pantaloni; spostò appena la stoffa con la mano che tremava ma non sembrava troppo grave.

davanti a sé, il centro della Voragine era una macchia nera e tutt'intorno i lampi continuavano, imperterriti e senza sincronicità.

«Muoviti. Non ho intenzione di aspettare la notte qui.»

Selah fece un cenno con la mano e uno dei soldati aprì la bara.

Si mise in piedi a fatica.

Fare qualche passo avanti avrebbe significato lasciarsi cadere nel vuoto, finire per sfracellarsi su qualche spuntone di roccia o per arrivare a toccare il fondo della Voragine, da cui si diceva che nessuno fosse mai tornato. Non si sarebbe stupita se la prima persona a riuscirci fosse stata Selah: da ormai quattro anni era convinta che il generale avrebbe vinto anche contro la morte.

Si alzò in piedi e si avvicinò al bordo.

L'alone che vedeva con la coda dell'occhio doveva essere Vivian.

"Ha fatto male?"

"Cosa?"

Avrebbe voluto toccarla di nuovo, stringerla in un abbraccio e chiederle scusa.

Aveva paura di sentire la verità, di sentire il rimorso per non averla seguita.

Chiuse gli occhi, cercando il coraggio di pensare quella parola. Una sola, un dubbio che si portava dietro da quattro anni. Quel passo che aveva scelto di non fare.

"Saltare."

"No. Finisce prima che te ne renda conto e non devi aver paura: l'abisso accoglie tutti."

"Vivian congiunse le mani davanti al petto. "Però..."

Non era sicura che quella fosse la risposta che avrebbe voluto sentire.

"Lo so." Strinse entrambe le mani a pungo, lasciando che le unghie premessero contro il palmo. "Sono una codarda."

Fino a Gabes aveva avuto delle certezze, ma non poteva più rannicchiarsi nella falsa sicurezza degli scontri, nella certezza che nessuno l'avrebbe toccata finché Selah non avesse deciso il contrario. Non le aveva mai fatto da garante, ma la sua importanza si vedeva lo stesso. Il non ribellarsi era un attimo dovuto alla corte, un grazie silenzioso anche se Vexhaben non sarebbe mai stata casa.

"Rachel."

Vivian le appoggiò le mani sulle spalle, un leggero calore le sfiorò il viso e le guance.

"Se hai scelto di vivere, puoi continuare a combattere. Perché siete qui, poi? Cos'è tornata a fare?"

Non poteva mentirle. Abbassò lo sguardo e le raccontò di Gabes, della morte del tenente e della decisione della corte. Quando finì, il calore di Vivian si allontanò.

"Fallo. Fallo e passerai l'eternità da sola. È stato bello rivederti, ma non posso supportare questo gesto."

Barcollò, quando fu strattonata indietro. La lama di un pugnale premeva contro il collo.

«Se proprio vuoi morire, dammi la soddisfazione di vederlo.» La voce di Selah la fece rabbrividire.

La spinse in avanti e gli spunzoni di roccia premettero contro il corpo; lampi di dolore si scaturirono da più punti.

Si morse l'interno della guancia. Difendersi con il fuoco non sarebbe stato difficile, ma ogni colpo mancato avrebbe aumentato la sete di morte del generale.

Selah le afferrò la camicia dalla schiena e la tirò in piedi. La lama fredda tornò a premere contro il corpo, il ricordo costante del prezzo della libertà.

Nel buio, mani giallastre si allungavano verso di lei. L'abisso chiamava e gli spiriti piangevano – le stavano dando un'ultima possibilità, prima che anche quel mondo la rifiutasse.

Chiuse gli occhi, per scacciarli via.

Avrebbe chiesto di nuovo l'astalt per mandarli via, per riavere la sicurezza dei quattro anni appena trascorsi.

"Scegli."

La voce di Vivian si impose su tutte le altre.

"Scegli, Rachel. È il momento."

Non le avrebbe dato modo di compiere un'altra Notte dei Morti. Avrebbe combattuto. Avrebbe saltato, se proprio avesse dovuto. Strinse il pugno; le dita pizzicarono e una sfera di vapore la circondò.

«Cosa pensi di fare?»

Vendetta.

Erano gli spiriti a metterle in bocca quella parola.

"Strappale la vita."

"Vendicaci."

"È il momento."

"Cos'altro vuoi aspettare?"

Selah le afferrò la camicia e la strattonò verso di sé.

«Combattere non è una buona idea, feccia.»

Rachel spostò lo sguardo: i soldati avevano imbracciato i fucili, li stavano puntando contro di loro. Alla prima mossa sbagliata l'avrebbero uccisa.

Il pugno di Selah le mozzò il fiato prima che potesse risponderle. Le afferrò il braccio, lo portò dietro la schiena e premette di nuovo la lama contro il collo.

Cercò di strattonare via la presa dalla mano di Selah, ma si era stretta sul polso come se fosse uno dei bracciali di astalt, fredda come il metallo.

«Dammi un solo motivo per cui non dovrei ucciderti.»

Rachel aprì la bocca per risponderle, ma richiuse subito le labbra e le serrò. A Selah non importava certo della morte del tenente, avrebbe evitato di tornare nella Voragine. Desiderava solo toglierla di mezzo.

«La famiglia non sarà felice.»

«Avresti dovuto già riportarlo in vita, anche se i morti dovrebbero restare tali» le rispose Selah. La voce così vicina tanto da solleticarle l'orecchio la fece rabbrividire. «Ma non devi preoccuparti, non faranno niente contro la loro regina.»

Avrebbe potuto togliere a Vexhaben quella festa, far crollare sul regno lo stesso senso di disperazione che la Voragine aveva sofferto per mano loro.

Non ci sarebbe stato un matrimonio, non una festa, se Selah fosse morta.

"Vendicaci."

"È il momento."

Avrebbe voluto urlare agli spiriti di stare zitti, di lasciarla in pace perché non si rendevano conto di cosa significasse davvero combattere contro di lei. Se le ignorava, c'era il rimbombo del battito nelle orecchie.

Sollevò una mano e l'appoggiò sul polso di Selah che in risposta premette con più forza la pelle. Le sarebbe bastato così poco a finire quanto iniziato nella Notte dei Morti e Rachel sperò che lo facesse – che le togliesse l'ordine che aveva.

Inspirò a fondo e quando il calore passò dalla propria mano al polso di Selah, la spinse via; un attimo dopo, le rocce le graffiarono la guancia. Allargò un braccio per fermarsi.

Il tintinnare del pugnale sulle rocce le rimbombò nelle orecchie, come la Voragine si fosse stretta su di sé. Fece forza sulle mani e alzò lo sguardo verso Selah: aveva estratto la pistola e gliela puntava contro. Senza il contatto forzato, il contorno aveva ripreso senso. La luce del giorno si era fatta più intensa, i lampi serpeggiavano. Appoggiò una mano sul petto, cercando di calmare il respiro.

Si mise in piedi, senza staccare gli occhi dalla pistola: a ogni suo movimento il braccio di Selah si spostava, la continuava a tenere sottotiro.

Rachel serrò un pugno e il calore della magia le pizzicò le dita.

«Cosa vuoi fare?»

"Vendicarmi."

«Difendermi.»

I soldati si erano avvicinati, i fucili puntati contro di lei. Avrebbero difeso Selah con la propria vita pur di garantire una festa al regno. Ma erano sette e lei rimaneva solo una. Gli spiriti sarebbero rimasti a guardare, ad aspettare che qualcun altro portasse a termine il lavoro.

Non erano loro a rischiare.

Sollevò il braccio, le fiamme si ingrandirono e il loro calore le accarezzò la guancia. Brillavano nella semioscurità, allungavano le ombre sul terreno e guizzavano nell'aria appena smossa. Avevano il sapore della libertà: avrebbero potuto offrirle quanta sicurezza possibile, ma niente sarebbe stato paragonabile al sentire di nuovo le dita pizzicare sotto le fiamme – nemmeno i biscotti alle mandorle di Selah.

Vivian aveva ragione.

«Vedere Vexhaben bruciare tra le mie fiamme.»

Prima uno sparo rimbombò tra le pareti della Voragine, poi il dolore si allargò dalla spalla e il braccio le ricadde lungo il corpo.

Rachel crollò in ginocchio, una mano premuta contro la spalla ferita. Pulsava, contro il palmo. Sollevò l'altra mano in direzione di Selah, ma lei si limitò a rimettere la pistola nella fondina e incrociare le braccia.

Non era come la gamba. C'era un bruciore che si allargava verso il petto, simile a quello dell'astalt quando provava a usare la magia. Tentò di sollevare il braccio, ma subito le ricadde lungo il corpo, come se non rispondesse più alla propria volontà.

«Un vero peccato che tu non possa essere lì a vedere lo spettacolo» le disse Selah prima di voltarle le spalle. «Torniamo a casa. Qui non c'è nulla da fare e la bara...»

Le ultime parole si persero nella nebbia che le aveva stretto il cervello.

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