Capitolo XIV

Miriam sfregò le mani vicino al fuoco: l'umidità della Voragine si era infilata sotto i vestiti e lasciava addosso un freddo innaturale per la stagione estiva di Vexhaben.

E pensare che il giorno prima non aveva fatto altro che lamentarsi del corpetto troppo stretto e cercare di evitare che Reginald saltasse della ciotola di geris.

Conosceva quel posto solo tramite i diari del nonno, tanto che aveva passato le poche ore a casa prima della partenza alla ricerca di altri tasselli: ne aveva trovati due che non ricordava, ma del secondo volume, o di quanto rimaneva delle pagine mangiucchiate dalle tarme.

Quel posto era uguale agli appunti.

I lampi azzurrognoli spezzavano il buio e rendevano l'idea dell'abisso in basso più accettabile, anche se al centro troneggiava sempre un cerchio scuro che le lanterne non illuminavano, l'alone di luce arrivava al massimo qualche giro più in basso del sentiero che procedeva lungo il bordo della Voragine. I livelli più bassi che avrebbero dovuto pullulare di fiamme erano immersi nell'ombra e delle persone di cui parlava non c'era traccia, l'eredità della Notte dei Morti erano il silenzio e l'oscurità.

Avrebbe voluto sapere cosa passava per la testa di Selah e Rachel.

Scosse la testa, sistemò il lembo della sciarpa intorno al collo e la lana le pizzicò il naso. Non avrebbe mai detto alla madre che aveva avuto ragione a insistere sul portarla.

Tastò il terreno umidiccio finché non trovò la matita. La girò tra le dita e scorse le righe di calcoli con gli occhi, certa con quella distrazione niente sarebbe tornato, ma era l'unica cosa che le impediva di andare a fare domande a Rachel mentre si erano fermati per il pranzo: di certo Selah non avrebbe apprezzato e la raccomandazione sarebbe stata ancora più a rischio.

«Dankworth.»

«Sì?»

Alzò appena lo sguardo, solo per trovare Selah che la fissava dall'altra parte del focolare.

«Spero per te che non sia qualcosa collegato alla magia.»

«Oh, no. Sto solo ripassando.»

Sarebbe arrivato presto il momento in cui non avrebbe più potuto nascondersi dietro ai segni strani delle equazioni e forse Selah si sarebbe pentita di averle dato quella possibilità. Ingoiò la saliva e scarabocchiò nell'angolo della pagina: doveva trovare qualcos'altro, qualcosa di più sicuro.

Dopo la festa di Gabes, non aveva senso rischiare.

Selah distese le labbra in un sorriso. «Mi fa piacere che abbiate iniziato a capire.»

Si alzò in piedi e si diresse verso la coppia di soldati di guardia, prima che Miriam potesse risponderle.

Miriam abbassò lo sguardo sulle fiamme: quel cambiamento era ciò che la corte si aspettava da anni da parte loro. Doveva essere solo per fortuna che non avevano perso il titolo o i territori, che il nonno non fosse stato dichiarato traditore della patria.

Si voltò verso la parete: Rachel si era sistemata vicino alla roccia ed era rannicchiata su un fianco, la schiena rivolta al focolare e la ciotola del pranzo appoggiata accanto. Il fuoco proiettava la sua ombra contro la parete e nascondeva appena i lampi azzurri.

Miriam si alzò, sistemò la tracolla sulla spalla e le si avvicinò.

Rachel voltò appena la testa quando le si sedette accanto.

«Ah, sei tu.»

Miriam si morse il labbro inferiore: non si aspettava di certo che sarebbe saltata in piedi per salutarla, ma quella freddezza fu un pugno nello stomaco. O forse se la meritava, era stata lei a dare credito all'idea di Katherine che aveva trascinato tutti nella Voragine.

«Ti... ti dispiace?»

«No.» Si sedette e allungò le braccia sopra la testa. La stoffa della camicia si abbassò appena e rivelò i bracciali di astalt. «Ti serve qualcosa?»

«Posso farti compagnia?»

«Perché?»

«Non lo so, perché ho voglia?»

«Sei strana» le rispose Rachel. «Di solito ci evitano tutti.»

Miriam si arrotolò una ciocca di capelli tra le dita. «Non sono cresciuta con l'idea che la magia sia un... problema. Mio nonno pensava fosse una risorsa. È morto troppo presto o l'avrei aiutato nelle sue ricerche.»

«Mi spiace.»

Appoggiò le mani sul terreno e reclinò la testa indietro. I lampi azzurri continuavano a salire verso l'alto, fino a perdersi nel cielo chiaro.

«È venuto spesso qua...»

«Davvero? Cos'era, una spia di Selah?»

«Non so cosa venisse a fare, ero troppo piccola per impicciarmi negli affari» le rispose a bassa voce, ma dei problemi di famiglia a Rachel non doveva importare. Forse sarebbe dovuta rimanere al focolare a continuare i suoi conti.

«Forse è meglio così. Se sei già considerata abbastanza strana non dovresti peggiorare la situazione.»

«A dir la verità, il problema è Vexhaben.»

Rachel strinse le ginocchia al petto. «Io potrei avere una soluzione, ma è brutto che non possa fare nulla. Ma se non altro dovrei togliermelo tra qualche ora. Massimo un giorno, se siete così stanchi da non riuscire a tenere il passo per scendere.»

«Vuoi... vuoi davvero farlo?»

Rachel sospirò. «L'alternativa è saltare.»

Miriam si morse un labbro.

«Deve esserci altro» mormorò stringendo le mani.

Rachel la toccò sulla spalla. «Nella Voragine le direzioni sono sempre state due: Vexhaben» Indicò con un dito verso l'alto. «E l'abisso» continuò puntandolo in basso. «Niente di più.»

«Ma deve esserci altro.»

«Non insistere, non serve.» Rachel incrociò le braccia e spostò lo sguardo su un punto di fronte a sé. «Sapevamo tutti come sarebbe finita, soprattutto dopo la Notte dei Morti. Sarebbe stato meglio se la magia non fosse mai esistita.»

«Avrebbero potuto convincersi che fosse una risorsa e invece hanno scelto il pericolo. Non l'ho mai capito e il... problema è risolto, quindi nessuno ne parla più.»

«Apprezzo che tu voglia cercare di aiutarmi, ma... il nostro destino è stato segnato dalla nostra stessa esistenza. Ci siamo rassegnati, io e gli altri.»

Miriam non rispose, appoggiò una mano nella tasca e i bordi della ruota dentata premettero contro il palmo. La tirò fuori e se la rigirò tra le dita, accarezzando con il pollice l'ammaccatura su due denti: l'aveva lanciata per sbaglio a terra pochi giorni prima, quando far ripartire l'orologio del salotto si era rivelato più difficile del previsto. Una delusione che si aggiungeva all'agitazione che la stringeva in una morsa, tra le conseguenze di Gabes e l'esame di ammissione.

Poco più di un mese e si sarebbe giocata davvero il proprio futuro.

Passò il pollice sul dente scheggiato. Nemmeno quello era un problema che avrebbe trovato una soluzione: era irreparabile, troppo rischioso far finta di nulla e infilarla in qualche ingranaggio. Era un pericolo pronto a far saltare tutto.

Per Vexhaben la Voragine doveva essere la stessa cosa.

«Dico sul serio, vorrei fare qualcosa.»

Rachel si distese di nuovo su un fianco e sfiorò la parete. «Posso farti una domanda?»

«Certo.»

Non sapeva se avrebbe potuo darle la risposta che cercava, ma ci avrebbe provato.

«I lampi... di che colore sono?»

Quel che le aveva chiesto non aveva molto senso. Era impossibile che non li vedesse. Aveva continuato a fissarli finché non era inciampata su una roccia e uno dei soldati le aveva afferrato il braccio per evitare che cadesse giù.

«Azzurro... parecchio intensi.»

Rachel si tirò su di scatto, appoggiandole entrambe le mani sulle spalle. «Davvero? Non mi stai prendendo in giro?»

«Ne ho motivo?»

«Sei di Vexhaben.»

«Non proprio.» Qualcuno faceva ancora pesare il fatto che tra i fratelli l'unica nata a Vexhaben fosse Miranda.

Strinse appena di più la presa e abbassò la testa. Qualche ciocca le ricadde sul volto. «Se proprio devo morire, per favore. Per favore, fatemeli rivedere davvero. Me ne basta uno» le disse, la voce spezzata dai singhiozzi, mentre le spalle si alzarono con rapidità più volte.

Miriam le appoggiò una mano sulla sua, poi la strinse in un abbraccio. Non sapeva cosa risponderle, come confortarla. Non la conosceva ancora a fondo, ma per quel poco che ci aveva parlato non le sembrava quella minaccia di cui Vexhaben parlava sempre.

Era solo distrutta e forse terrorizzata da quel che l'aspettava. Non aveva idea di quante volte sarebbe già scoppiata a piangere se fosse stata al suo posto.

La presa sulla schiena la staccò da Rachel prima che avesse voluto. Incespicò sui propri piedi e poi si voltò verso Selah; la sua figura era in ombra, il fuoco dietro di lei evidenziava appena il bordo dei pantaloni, ma non riusciva a vedere la sua espressione sul volto

«Che sta succedendo?»

Rachel continuava a singhiozzare.

L'idea che fosse stata quella minima cosa – una cosa che doveva aver visto per anni – a farla crollare di colpo le faceva stringere lo stomaco.

«Voglio solo accertarmi che non ci siano problemi. Quindi, Dankworth, spiegamelo.»

Fu Rachel ad allontanarsi da lei, la spinse via e si mise in piedi. «Lasciatemi rivedere i lampi, cinque minuti. Non chiedo altro.»

«L'astalt non rende cechi.»

Miriam si alzò a sua volta. «Ma a quanto pare li rende più tenui.»

«Non cambierò idea sul renderle disponibile la magia. Cinque minuti potrebbero essere abbastanza per colpire.»

Rachel si era stretta le braccia al petto, fissava il vuoto e il corpo continuava a essere scosso da singhiozzi.

«Per favore» mormorò Miriam.

«No» ripeté Selah, voltando loro le spalle. «Non cambierò idea.»

«Hai soldati, puoi tenermi sotto tiro tutto il tempo che vuoi.» Rachel fece un passo avanti e allargò le braccia. «Sono da sola, seppur... a casa, non ho nessuno da cui tornare.»

Miriam strinse i pugni, serrando le labbra. «E se garantissi per lei?»

Gli sguardi di Rachel e Selah si puntarono su di sé nello stesso momento. Era la mossa sbagliata affidare il proprio futuro a Rachel. Si morse un labbro e strinse le mani al petto.

«Pensavo fossi più intelligente di così, Dankworth.»

«Lo so, lo so, forse è una pazzia.»

«Togli forse.»

Si grattò una guancia e guardò Selah. «Non ho soldi da promettere in cambio, ma–» si interruppe quando allungò una mano nella sua direzione.

«So dei vostri debiti e dell'aiuto che Katherine vi fornisce, ma la sua protezione non può durare per sempre.»

I genitori non l'avrebbero mai perdonata se fosse venuto meno quel supporto.

«Non posso mettere bocca nelle decisioni della principessa, ma... se proprio ne sei convinta ne riparleremo.»

Miriam annuì con un cenno della testa. «Mi va bene tutto, mi basta solo cercare di entrare all'accademia.»

Selah le appoggiò una mano sulla spalla. «Di quello non devi preoccuparti. Di quel che viene dopo... forse. Ma ne riparleremo.»

Si passò una mano nel colletto della camicia. Nonostante il fresco, stava sudando.

Selah si avvicinò a Rachel e le afferrò la camicia.

«Stammi a sentire, feccia. Ferisci soltanto qualcuno dei miei e farò la stessa cosa a lei.»

Miriam ingoiò a vuoto. Avrebbe dovuto aspettarsi che Selah l'avrebbe fatta pagare anche a lei, era stata stupida a non metterlo in conto, ma ormai non poteva tornare indietro. Rimuginarci sopra non sarebbe servito, ormai era fatta.

«Spero davvero che tu sappia che le tue inutili idee di libertà non valgono quanto la vita della nobiltà. Cerca solo di ferire qualcuno dei miei uomini e avrò cura personale di fare altrettanto con lei.»

Rachel si voltò verso di lei.

«Grazie, immagino?»

«È solo la cosa più giusta» mormorò Miriam. Per lei, non per il pensiero comune.

Se anche solo uno dei soldati si fosse bruciato una manica, sarebbe stata lei a pagare con il doppio. Anche se era in dubbio che Selah non sarebbe stata così triste nell'uccidere anche lei.

Alzò la testa quando la serratura scattò.

«Ammetto che è una proposta che mi sarei aspettata da chi ha preso la decisione da fare da garante. Forse Katherine dovrebbe prendere esempio da te.»

Rachel si voltò verso le rocce. Appoggiò una mano sulla parete e alzò lo sguardo.

Avrebbe voluto avvicinarsi, chiederle cosa cambiasse per l'astalt, ma era una curiosità che avrebbe tenuto per sé finché Selah fosse stata nei dintorni.

«Quanto a te, feccia, vedi di rigare dritto.»

«No» rispose Rachel. «Ho intenzione di collaborare davvero questa volta. Puoi lasciarmi in pace, per una volta.»

«Non cercare di illudermi.» Selah fece un passo avanti. «E non illuderti nemmeno di poter vincere. Feccia eri, feccia rimani. Ma lo sarai ancora per poco.» Le afferrò la camicia e la tirò verso di sé; appoggiò la lama contro il collo. «Perché se non morirai provandoci, avrò cura personalmente di ucciderti. Mi hai capito?»

Non appena Selah si allontanò di qualche passo, Miriam l'aiutò a rimettersi in piedi, lasciando che le conficcasse quasi le unghie nella pelle del braccio. I due bracciali di astalt giacevano a terra, sui polsi erano ritornate alla luce le cicatrici.

«Va tutto bene?»

Rachel annuì con un cenno della testa, poi si massaggiò la fronte.

«Non avresti dovuto.»

«È probabile che sia un'idea che mi metterà nei guai.» Alzò lo sguardo su Rachel. «Ma è quella giusta. Non potevo sopportare di vederti in quel modo.»

«Visto che guardare non ti costa troppo...» Selah avanzò verso di loro, un sorriso sulle labbra che non prometteva niente di buono.

Strinse una mano sulla spalla di Rachel, ma a un cenno di Selah uno dei soldati la tirò via, posizionandosi davanti a lei, le mani strette sul fucile.

«Puoi fare il tuo dovereadesso.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top