Capitolo XII
Aveva accettato l'aiuto di Katherine per disperazione, per farsi lasciare in pace, ma Era certa che Selah prima o poi le sarebbe piombata addosso con un pugnale in mano, pronta conficcarglielo nel petto.
A nessuno sembrava importare di lei.
Serrò i pugni.
No, a nessuno importava di lei.
A Vexhaben non provare qualcuno che si sarebbe interessato a lei: Selah non si era mai degnata di farle da garante, l'aveva lasciata a fare i conti con una protezione che non era né vera né falsa, ma abbastanza per non dare abbastanza fiducia a nessun altro dei flammas ferentes per starle vicino. Miriam l'aveva fatto solo per egoismo, per qualsiasi accordo le avesse proposto Selah che nemmeno le interessava. E anche alla principessa interessava solo quel che ci avrebbe guadagnato lei da quell'accordo non ufficializzato.
Chiunque l'avrebbe scavalcata nelle decisioni, il suo volere non contava più niente.
Appoggiò la testa sulle sbarre: avrebbe voluto avere Vivian lì, qualcuno che avrebbe potuto darle un consiglio.
Rachel si passò una mano sulla faccia. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ma più le ore scorrevano una dietro l'altra, meno si sentiva sicura della trovata: l'avrebbero costretta ad andare contro natura, a perdere qualcosa che aveva fin dalla nascita. Non era pronta a dire addio a Vivian, non per sempre. Era l'ultimo legame che aveva con la Voragine, a quanto dicevano nessun altro era sopravvissuto.
Il fuoco distruggeva, non ridava la vita. Dopo gli incendi le piante ricrescevano, gli arbusti si riprendevano gli spazi anneriti, ma le persone...
Strinse i pugni lungo il corpo e fece avanti e indietro tra le pareti della cella.
Le persone no. Rimanevano morte.
La pozza dell'acqua che gocciolava dal soffitto, lo squittire dei topi e la penombra erano già diventati familiari. Non era così diverso da dove era abituata a dormire alla fine.
Le sbarre brillavano con il riflesso delle fiaccole alle pareti e le fiamme che danzavano nel buio erano una tentazione a cui avrebbe dovuto rinunciare. I palmi le pizzicavano per cercare di sentirle obbedire a sé per un'altra, forse ultima, volta, ma l'astalt era sempre ai polsi.
Rachel si sedette a terra e strinse le gambe al petto.
Non era colpa sua, ma avrebbe pagato lo stesso. Esistere, per lei, era una colpa e Gabes le aveva offerto la perfetta dimostrazione.
Quello che non aveva fatto dopo la Notte dei Morti.
Alzò il braccio destro e chiuse lentamente le dita, ma nessuna sfera di luce si formò sopra la mano e la pelle intorno al bracciale iniziò a bruciare.
Allentò la presa e il calore diminuì subito.
La prova che non aveva preso parte alla rivolta era lì, sotto gli occhi di tutti, ma alla corte non importava. Bastava avere qualcuno da condannare, dimostrare che l'affronto di Gabes era stato vendicato.
L'eco dei passi nel corridoio precedette un alone giallastro; qualcosa sembrava grattare sul pavimento in modo ritmico. Quando un abbaio rimbombò nelle pareti, strinse le mani al petto.
La torcia gli illuminava il pelo e i denti digrignati.
Si mise in piedi, si appoggiò contro il muro; strinse la mano sul petto e la stoffa della camicia si stropicciò contro il palmo.
Quando il cane abbaiò di nuovo, desiderò esser morta.
Avrebbe dovuto seguire Vivian.
«Langdale.»
«No» mormorò, stringendosi la testa tra le mani.
«Non ho intenzione di perdere tempo.» La voce di Selah suonava stranamente calma.
«Rachel, per favore. Non è il momento di fare la testarda» si intromise Miriam. «Non so che le è preso, giuro...»
«Ancora una parola e finirai in cella anche te, Dankworth» la interruppe Selah.
Rachel ingoiò a vuoto, poi sollevò lo sguardo: come immaginava, Selah la stava fissando. In una mano stringeva il guinzaglio del cane, seduto ai suoi piedi. Se non altro, finché fosse rimasto dall'altra parte delle sbarre non avrebbe avuto da temere. Avrebbe abbaiato, ma se ne sarebbe stato distante.
Era Miriam a tenere la lanterna. Con i capelli sciolti sulle spalle e senza l'abito elegante non sembrava nemmeno la stessa persona con cui aveva parlato al ballo. Avrebbe dovuto immaginarlo che era l'ennesima pedina nelle mani di Selah, che il suo interesse era una farsa.
Non poteva aspettarsi altro dalla corte.
D'istinto mosse un passo indietro, ma il muro la bloccava.
«Hai paura del cane?»
«Sì» ammise con un filo di voce. «Farò quel che volete, ma... per favore. Tenetelo lontano.»
«Avresti dovuto dirmelo prima. Sarebbe stato uno scontro... interessante, ma al momento sarei tentata di farti sbranare da un branco di cani.»
Quando si mosse, il cane ringhiò.
«Ma?» mormorò Rachel, con la speranza che non mettesse mano alla pistola nella fondina.
«Ma a quanto pare... potresti vivere un altro giorno.»
Katherine doveva averglielo detto.
Mentire sarebbe stato inutile. Avrebbe solo sprecato fiato.
«Non ho tempo da perdere con te. Parla. È la tua unica occasione per difenderti.»
«È la verità» aggiunse Miriam con un sussurro.
Rachel serrò le palpebre con forza. «Non c'è modo che quelle morti siano anche causa mia. Strappargli la vita, con questi addosso – sollevò entrambe le braccia, mettendo in mostra i due bracciali – mi avrebbe richiesto troppa energia. Sarei caduta sul pavimento, prima di riuscire a uccidere. Non posso vincere l'astalt e ho tenuto i bracciali tutta la serata. Non è colpa mia.»
Scandì le ultime parole, ma senza la speranza che potessero davvero darle ascolto.
Selah aggrottò la fronte. «Pensi mi interessi qualcosa di quel che hai da dire su Gabes? Voglio sapere la verità sul riportare in vita i morti. Quello che ha detto Katherine è vero?»
«È possibile» rispose Miriam con un filo di voce.
«Non ho chiesto a te, Dankworth.»
Miriam fece un passo indietro. «Chiedo perdono.»
«Sì» disse Rachel.
Era la cosa peggiore che Vexhaben potesse chiederle di fare. Si era abituata a uccidere per conto di Selah, ma rinunciare alla vita o ai poteri per un capriccio dei propri aguzzini era un passo che non avrebbe compiuto.
Ma era anche l'unica speranza che aveva di poter fare qualcosa.
«C'è solo un... problema.»
«Parla, feccia.»
«Posso farlo solo sul fondo della Voragine.»
Selah si voltò di scatto verso Miriam. «Un'informazione fin troppo conveniente da tenere nascosta, eh, Dankworth?»
«Io non ne sapevo nulla, negli...» Miriam si portò una mano sulla bocca. «Negli appunti non c'era scritto.»
«Penso che si possa fare anche qui, ma visto che ho un solo tentativo, la presenza dell'ostril aumenterebbe le possibilità di successo. Lo dico per voi.»
«E io spero per te che non mi ritenga stupida. Cercare di tornare alla Voragine non ti servirà a niente. Non è rimasto più nessuno di quella feccia.» Selah strinse le dita della mano libera sulle sbarre. «Non puoi sfuggirmi.»
Rachel serrò le labbra.
Lo sapeva, quelle parole non la sfioravano nemmeno più, ma non le avrebbe mai ammesso che voleva solo rivedere casa.
Si morse l'interno della guancia, senza dire altro. Aspettava la mossa successiva di Selah che si limitò a sorriderle, prima di estrarre una chiave da una tasca.
Rachel si guardò intorno, ma le pareti della cella non le avrebbero fornito alcun riparo.
Si rannicchiò in un angolo e nascose la faccia nello spigolo delle pareti.
Avrebbe preferito un pugnale conficcarsi nella pelle al raschiare delle unghie del cane sulle rocce del pavimento.
Le zampe le furono subito addosso, raschiavano contro la schiena. Lo sentiva abbaiare nelle orecchie, mentre le girava intorno, in attesa di un comando da Selah.
Rachel singhiozzò, lo stomaco stretto in una morsa.
Si sarebbe risparmiata tutto quello, se avesse saltato anche lei.
Le suppliche di Miriam le arrivano distorte: un piano inutile che Selah non avrebbe mai ascoltato.
L'astalt bruciava sui polsi, in una reazione che non riusciva a controllare.
Rotolò a terra, quando il cane si allontanò. Il gomito della camicia era finito dentro la pozza, ma non riusciva a muoversi.
Selah l'afferrò per una spalla. Nascose subito il volto tra le mani, per quanto il cane continuasse a girarle intorno, ansimandole sul collo.
«È vero?»
«Penso di sì» rispose Miriam. «L'ostril potenzia la magia, concordo sulle maggiori possibilità di successo... e visto che sono già passati tre giorni da Gabes, penso sia un vantaggio.»
Rachel fissava davanti a sé. Non riusciva nemmeno a riprendere fiato.
Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare era il cane.
«Stupida feccia» sibilò prima di spingerla indietro.
Rachel sbatté sull'angolo rialzato di una pietra e una fitta di dolore si allargò dalla spalla. Si tirò su, massaggiandosi il punto colpito. Selah era a un passo da lei.
«Consideralo un avvertimento.» Afferrò il collare del cane, poi lo spinse verso l'apertura della porta. «Anzi, l'ultimo.»
Selah estrasse il coltello dalla cintura, si piegò in avanti e glielo puntò alla gola.
«Andremo nella Voragine, ma prova a fare qualcosa che non sia eseguire gli ordini e me ne fregherò che Katherine sia il tuo garante.»
Rachel la guardò allontanarsi, senza rispondere.
Forse avrebbe dovuto ringraziare la principessa. Se non ci fosse stata la sua autorità a pesare su Selah, il cane non si sarebbe limitato a graffiarle la schiena.
Avrebbe morso. E lei non avrebbe fatto nulla per fermarlo: sarebbe rimasta a sorridere, a godersi lo spettacolo.
Ma no. Era viva solo perché Selah poteva ottenere un'ultima cosa da lei.
Rimase immobile a fissarle mentre si allontanavano. La speranza che Miriam potesse fare qualcosa morì nell'eco dei suoi passi veloci dietro Selah.
*
Alla Voragine non c'era la libertà che Rachel aveva sperato.
Il dirigibile sollevava polvere che piano scendeva a terra e che appariva bianca sotto la luce, creando vortici a mezz'aria. Il ronzio dei motori si era già allontanato: aveva rivolto la prua verso Vexhaben, i finestrini della cabina brillavano e apparivano dorati.
Lo stomaco si strinse ancora, la nausea tornò ad attanagliarla. Avrebbe preferito fosse qualcuno di mai visto, uno sconosciuto come le vittime dell'arena. Era tutto più facile se non c'era un legame.
Paul, da quanto le avevano detto, era l'unico per cui la famiglia aveva accettato quel rischio. Non si era nemmeno resa conto che fosse finito in mezzo allo scontro, tantomeno che fosse morto.
Le sembrava un brutto scherzo del destino.
La distesa di arbusti rinsecchiti dall'estate si allungava a vista d'occhio e si arrampicava sui fianchi delle colline che circondavano la zona della Voragine.
Abbassò lo sguardo sui bracciali e passò il pollice sul bordo: era freddo ed era sicura fosse la causa del perché gli arbusti sembravano di un verde poco brillante.
Era colpa dell'astalt che le faceva vedere il mondo come era per loro, che opacizzava i veri colori. Strinse le dita intorno al bracciale sinistro, cercando di farlo scivolare via, ma la banda di metallo, modellata sul proprio polso, non si mosse; grattò contro la pelle cicatrizzata e la fece rabbrividire.
Solo qualche fiore resisteva tra i rami intrecciati, nonostante la stagione estiva ormai al culmine: le macchioline bianche erano sparpagliate, ma non sarebbero durate ancora per molto. La maggioranza si era già trasformata in bacche rossastre. Si chinò a staccarne una: il sapore acre che ricordava le impastò la bocca.
La sputò, passandosi una mano sulle labbra.
La vegetazione si diradava a un centinaio di metri da loro: il buco d'ingresso della Voragine si allargava in una macchia nera che aveva perso la forma circolare che si vedeva dall'alto.
«Perché non lasciare i morti al proprio posto?»
Si morse la lingua subito dopo aver parlato. Non avrebbe dovuto parlare.
Selah lasciò il fucile nelle mani di un altro soldato e le si avvicinò a grandi passi. Le strinse il volto con una mano e la costrinse a guardarla negli occhi.
«Perché se è quello che ti viene ordinato, tu lo farai. Speravo avessi imparato qualcosa.»
«E perché pagare per qualcosa che non ho fatto?»
Si aspettava uno schiaffo. E puntuale arrivò.
«Non mi interessa chi sono i responsabili. Se è quel che vuole la famiglia e tu sei quella che è ancora viva, arriverai in fondo.»
Abbassò la testa e fissò un cespuglio.
«Mi hai capito?»
«Sì» sussurrò Rachel in risposta.
«Lo voglio sperare.»
Quando si allontanò, Miriam le strinse le mani su un braccio.
Non aveva idea se fosse un gesto supporto o un muto consiglio di stare in silenzio.
Per tirarsi fuori da quella situazione solo l'abisso sembrava la soluzione.
Scrollò la presa di Miriam di dosso e si avvicinò al bordo della Voragine. Era a pochi passi da casa, ma c'erano solo le lacrime a pungere gli occhi, nessun sollievo.
Non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarla.
Nessuno a cui chiedere aiuto.
«Va' avanti tu.»
Si voltò, richiamata dall'ordine di Selah: teneva le braccia incrociate, un fucile a tracolla.
Annuì con un cenno della testa, oltrepassandola. Sollevò una mano, sciolse la treccia e lasciò cadere i capelli sul collo solo per scacciare la sensazione che la stesse fissando.
«E non tentare scherzi.»
Quando le rocce circondarono il sentiero, Rachel allungò una mano, sfiorandole con le dita. Erano fredde e umide, ma i lampi azzurrognoli dell'ostril erano tenui; erano spenti, come l'esterno.
Guardò in basso: l'abisso era il centro scuro che ricordava. Nemmeno le fiaccole di Vexhaben erano riuscite a illuminarlo durante la Notte dei Morti. Per quanto fosse distante, sembrava già chiamarla.
Anche se l'astalt bloccava le voci degli spiriti, era certa di sentire voci che la spingevano a fare quel passo, a trovare il coraggio che non aveva avuto quattro anni prima.
Barcollò in avanti, quando la punta del fucile la colpì sulla schiena.
Si passò una mano sugli occhi e tirò via le lacrime. Non era il ritorno che aveva sperato e non aveva modo di prendersi la vendetta che gli spiriti tanto chiedevano.
E l'unico vantaggio che aveva era azzerato dall'astalt. Non aveva altra possibilità che obbedire.
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