Capitolo X

Furono i passi di Selah a riportarla alla realtà, mentre la mano del fratello era rimasta immobile sulla spalla. Fissava davanti a sé, ma senza soffermarsi su un punto preciso.

La parte opposta della sala non apparteneva alla festa: era un incubo. Quel che era successo dopo il brindisi erano ricordi confusi, fatti di urla, spari e fumo, ma almeno la puzza di bruciato nel naso si era fatta meno intensa.

E lei era rimasta a guardare: poteva condividere le idee dei rivoltosi, ma non aveva avuto il coraggio di farsi avanti e chissà cosa avrebbe pensato Selah di lei e della sua trovata.

Arthur stava aiutando con i corpi. Le rivolse uno sguardo fugace, prima di tornare a chinarsi sul commilitone dal volto sfigurato dalle fiamme e il pensiero che avrebbe potuto essere tra i morti la fece singhiozzare.

Non aveva bisogno di aggiungere altra angoscia, Gabes ormai era una festa rovinata.

«Katherine» la richiamò George. «Forse faresti meglio a tornare nelle tue stanze. Posso farti portare un tè, una tisana... quel che preferisci.»

Serrò le labbra: quella falsa preoccupazione gli sarebbe servita solo per toglierla di torno, anche se l'effettiva minaccia era già passata. Ancora una volta l'avrebbero lasciata indietro nelle decisioni importanti, ma non doveva stupirsi: non l'avrebbero mai tenuta in considerazione, non era parte del governo del regno.

Selah dava le spalle alla strage che aveva aiutato a compiere e li stava fissando con disapprovazione. La fronte aggrottata, le braccia incrociate e la testa appena piegata – un te l'avevo detto silenzioso che il fratello si sarebbe ricordato a vita.

«Dei del cielo.»

«È questo quel che succede ad avere quella feccia a palazzo.»

Tutt'intorno i nobili intorno avevano già iniziato a mormorare.

Arthur le si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle senza dire nulla.

«Immagino sia la cosa migliore» mormorò. «Con permesso.»

Avanzò verso la scalinata con lo sguardo rivolto alle finestre: fuori sembrava tutto tranquillo – le fiaccole si muovevano appena, le stelle brillavano sopra Vexhaben. All'apparenza la serata perfetta, era in realtà una notte che non avrebbero mai dimenticato.

Serrò le dita quando appoggiò la mano sul corrimano.

Si fermò in cima alla scalinata. La leggera eco dei passi dietro di lei la rassicurava della presenza di Arthur.

Avrebbe voluto le dicesse qualcosa, che andava tutto bene, che la rassicurasse che il giorno dopo tutto sarebbe tornato alla normalità. Per una volta non riusciva a crederci: erano arrivati a colpire così vicino al cuore del regno che non potevano far finta di niente e lei non poteva ignorare quel che aveva detto a Selah, anche se forse avrebbe fatto meglio a dare ascolto a Rachel: tenersi lontano dalle mire della futura cognata avrebbe permesso di vivere tranquilla.

Ma aveva già fatto un passo e avrebbe potuto farne un altro: se fosse andata in giro, non avrebbero fatto caso a lei, sarebbero stati impegnati a sistemare.

Strinse il braccio di Arthur non appena le si fermò a fianco.

«Cosa?»

«Ho un'idea, ma potrebbe metterci nei guai» gli rispose senza guardarlo.

«Non è già stato fatto abbastanza per stasera? Non sarebbe meglio...»

«Volevo solo avvisarti» lo interruppe. «Non ti voglio costringere a venire con me. Mi interessa solo salvare Rachel.»

«Perché? È una di loro... Kate. Vuoi renderti conto che è stato un attentato, quasi un colpo di stato? Togliere di mezzo un responsabile forse è la cosa migliore per il regno. Non ci andare di mezzo.»

«Si lamentano tutti che non faccio nulla, ma se posso salvare una vita innocente lo farò. Non ha fatto niente, aveva l'astalt.»

«Non puoi saperlo. Anche gli altri avrebbero dovuto averlo.»

Katherine scosse la testa. Arthur aveva ragione, ma non sapeva tutto.

«Quando ho parlato con Selah prima le ho detto che intendevo diventare il garante di Rachel. Voglio anche aiutare Miriam, tenerla d'occhio era il suo compito e non vorrei che rimettesse il suo posto all'Accademia perché qualche idiota ha tentato un colpo di stato senza un vero piano. Non mi interessa se vuoi aiutarmi o meno, ti chiedo solo di non fare la spia a mio fratello. Voglio parlarci prima da sola, poi lo riferirò anche a loro.»

Arthur sospirò, poi si voltò indietro. «Spero che tu abbia un piano.»

«No, perché non è un colpo di stato» gli rispose prima di avviarsi lungo il corridoio.

«E poi sarei io l'idiota.»

Il rimbombo dei passi di Arthur la seguì poco dopo.

Le fiaccole accese e le decorazioni di rose alle pareti contrastavano con l'atmosfera di morte che era calata su tutti.

Arthur le si mise accanto e allungò un braccio per stringerle il fianco.

«Cosa pensi succederà?» gli chiese dopo qualche attimo di silenzio.

«Non lo so» ammise lui. «Tutto potrebbe accadere. È vero, l'attacco è stato sventato, ma le voci arriveranno anche a Ethor. La nostra situazione politica è... traballante.»

«Sono mesi che sembrano girare voci di guerra. Pensi verrà sfruttata come motivazione?»

Arthur si fermò. Si passò una mano tra i capelli e scosse la testa. «Se dovesse saltare fuori che dietro questo attacco ci sono la mano e i soldi di Ethor, sì.»

«E la ferrovia da qui a Crohull?» Katherine allargò un braccio. «Soldi spesi per niente?»

«Parlane con Perch. Il ministro dei trasporti lo sa meglio di me.» Infilò le mani in tasca e riprese a camminare.

Katherine si strinse la radice del naso tra le dita: non voleva ringraziare Ethor per aver rovinato l'inizio del regno del fratello. Era un piacere che voleva riservare per sé stessa.

«Vieni?»

Annuì in risposta, poi lo raggiunse. Proseguirono in silenzio tra corridoi decorati e scalinate che si facevano sempre più strette. Solo quando il rivestimento del muro si interruppe e il corridoio proseguiva con una scala a chiocciola, Arthur estrasse una fiaccola dal suo anello; le tese una mano e la precedette lungo gli scalini.

Fino a quel momento non erano tornati sulla questione del suo voler aiutare Rachel, ma avrebbe dovuto parlargli ancora.

In quel momento le bastava che, nonostante tutto, avesse deciso di aiutarla; in futuro, non avrebbe dovuto rischiare per colpa sua la carriera.

Quando Arthur sollevò la lanterna, il cono di luce si allargò sul pavimento e brillò sulle pozze scure. Non era abituata all'odore di chiuso e muffa: le pizzicava il naso, era tutto l'opposto di quella vita che le divinità le avevano donato.

Inutile cercare di proteggere ancora gli abiti della festa. Lasciò andare la presa sulla gonna, aveva problemi ben più importanti di un vestito macchiato; il diadema continuava a stringerle la testa, ma avrebbe voluto toglierlo, lanciarlo da parte, dormire e risvegliarsi il giorno seguente.

Arthur si fermò e si guardò indietro.

«C'è qualche problema?» gli chiese.

«Non voglio che tu ti metta nei guai. Dovremmo tornare indietro.»

«Oh, grazie. Forse qualcuno con più autorità riesce a farla ragionare.» Un fruscio di vestiti accompagnò le parole di Rachel.

Arthur sbatté le palpebre e Katherine gli mise una mano sulla spalla. «Non ci provare, non ci riesce nemmeno mio fratello.»

«È quello che mi preoccupa...» mormorò Arthur.

Katherine si allontanò da lui e si appoggiò alle sbarre. Sotto la poca luce che arrivava, Rachel era una figura in ombra, la presenza tradita dal riflesso dei bottoni.

«Che altro c'è? Pensavo di essere stata chiara sul non voler andare contro Selah. Grazie di avermi assicurato la condanna.»

«Voglio solo cercare di evitare una morte innocente. Ovvero la tua. Sapevi qualcosa dell'attacco?»

«No.» Rachel inclinò la testa. «Ma forse avrei partecipato volentieri.»

Katherine si voltò di scatto verso Arthur. «Fai una sola parola a Selah di questa conversazione e farò in modo che la tua vita diventi un inferno.»

«Non sei credibile.»

«Ma Nicholas è il tuo diretto superiore e i Dankworth mi devono più di un favore.»

Arthur sospirò. «Non lo farò e non l'avrei comunque fatto.»

Katherine strinse entrambe le mani sulle sbarre. Rachel non sembrava troppo interessata a loro.

«Posso aiutarti, ma tu devi aiutare me.»

«Te l'ho già detto. Non perdere tempo con me e pensa a salvarti, almeno tu.»

Katherine distese le labbra: voltare la schiena a quel problema era la soluzione facile. E poteva farlo. Solo che non era quella giusta: la sola idea la lasciava con il rimorso addosso e se ne sarebbe pentita alla fine.

«Voglio aiutarti» continuò Katherine. «Se sei innocente ci deve essere un modo per dimostrarlo.»

Rachel si alzò, sollevò un braccio e mise in mostra uno dei bracciali di astalt.

Arthur fece un passo avanti e strinse la spalla di Katherine.

«Li ho avuti per tutta la serata. Non posso usare la magia e lo dimostrerei, ma a Selah sembra importare solo condannarmi, quindi non c'è niente che si possa fare» le rispose con un filo di voce. «E a questo punto... non mi interessa nemmeno più. Fate avere a Selah quel che vuole e continuate la vostra vita felice a corte. Che problema c'è?»

Si voltò verso destra: le guardie erano a distanza, non badavano nemmeno a loro, ma di certo avrebbero riferito a Selah della loro visita.

L'astalt era abbastanza per non considerarla una minaccia.

«Ma non è giusto.»

«E non si vince contro Selah.» Rachel allargò le braccia. «Possiamo smetterla con l'ovvio?»

Non aveva nemmeno idea di cosa poterle promettere. A quanto ne sapeva, gli unici superstiti erano nel corpo dei flammas ferentes, non avrebbe avuto un posto sicuro dove andare. Nemmeno assicurarle che non l'avrebbero condannata. Avrebbe potuto opporsi quanto voleva, ma l'ultima parola sarebbe stata sempre dei regnanti ed era certa che sarebbe saltato fuori qualche cavillo per far scivolare quel processo a dopo il matrimonio e quando ci sarebbero stati George e Selah sul trono, circondati da ministri a loro favorevoli. Avrebbero votato all'unanimità.

La sua parola sarebbe contata meno di zero, come principessa e come garante.

«Sei sicura che non ci sia proprio nulla?»

Arthur sospirò. «Sia chiaro non lo faccio per te, fiammifero, ma per lei. Dovremmo chiedere a Miriam. Nei diari di suo nonno qualcosa ci deve essere qualcosa.»

Katherine si accarezzò il mento. «Ho sbagliato persona con cui parlare. Ti farò sapere se troviamo qualcosa, d'accordo?»

«Non che abbia molte possibilità di oppormi.» Rachel sospirò. «L'unica cosa... ma no, non ci crederanno mai.»

«A cosa?»

Rachel si avvicinò alle sbarre. «Io so uccidere, non riportare in vita le persone. Ma la magia... la magia collega tutto. Togli da una parte, metti dall'altra. O qualcosa del genere. Forse... forse potrebbe funzionare anche con una vita umana, ma dubito. Non andiamo a scherzare con queste cose nella Voragine: preferiamo non oltrepassare certi limiti.»

«Quindi potrei dire che saresti disposta a riportare qualcuno in vita? Selah non accetterà mai uno scambio poco equo.»

«Riportare in vita qualcuno va contro natura. Ha un costo. I morti sono morti e quelli della Voragine sono parte dell'abisso, appartengono al fondo e al fango. Il prezzo da pagare sarebbe la mia morte, forse quello lo accetterà, ma tu vorresti illudere famiglia di qualche disgraziato solo per... cosa? Per aiutarmi? Perché stai perdendo tempo con me?»

«Lui è morto, tu ancora no e, se anche non ci vuoi credere, io posso aiutarti. Per loro... non c'è niente che possa fare, se non pagare il funerale.»

E non era assolutamente un capriccio personale, che serviva solo a rovinare il matrimonio al fratello, a far iniziare il loro regno con una macchia che si sarebbero trascinati per anni. Un tempismo perfetto con i problemi con Ethor.

Katherine si morse un labbro: nessuno aveva mai preso le difese della Voragine senza finire condannato come traditore, ma lei poteva appellarsi al sangue, invocare la protezione del simbolo della famiglia reale e ricordare a Selah come stavano davvero le posizioni.

«Perché... so che non è stato definito in modo ufficiale, ma ci tengo davvero a farti da garante, proteggerti da una condanna è il mio compito adesso.»

Aveva ancora poco più di un mese per spuntarla su Selah. Doveva mettere la propria firma su quei documenti.

«È una perdita di tempo. Com'è che posso fidarmi di te? Perché dovresti essere... diversa da loro?»

Arthur si lasciò scappare una risatina e Katherine represse l'istinto di tirargli uno schiaffo.

«Perché nessuna persona intelligente che cerchi il favore dei futuri sovrani va a rovinare la serata a Selah... ma a quanto pare le piace aiutare le persone in difficoltà. Davvero una bella idea circondarsi di un fiammifero e di famiglie con debiti.»

Rachel incrociò le braccia: non sembrava convinta nemmeno dalle parole di Arthur e non poteva certo biasimarla. Ai suoi occhi non ci doveva essere differenza tra loro due e Selah e George.

«Insomma... perché non dovrebbe essere un piano di Selah? Tutto quanto. Che prove ci sono che tu non sia in combutta con loro? Non sono stupida, lo so che lui è parte dei suoi soldati.»

«Selah non perde tempo in chiacchiere: va dritta al punto. Se fosse un suo piano, io non sarei qui e tu non parleresti. Non ho niente da offrirti come prova, posso solo dirti di aspettare.»

Rachel si passò una mano sui capelli, sfilò il fermaglio e lasciò ricadere le ciocche sulle spalle.

«O accetto l'aiuto o muoio.»

Iniziò a camminare avanti e indietro nella cella, la posizione identificata solo da ciò che brillava di tanto in tanto. «E va bene. Dite a Selah che accetto di tentare di riportare in vita qualcuno.»

Katherine serrò le labbra. Trattenere un sorriso era difficile. Non era certo il modo in cui avrebbero voluto che prendesse parte alla politica, ma ormai non poteva tirarsi indietro.

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