Capitolo VIII

Avrebbe voluto rispondere a Miriam che non ne aveva nemmeno una briciola, ma il segreto sulle preghiere sarebbe rimasto stretto a sé.

Katherine si voltò verso Rachel che la fissava con la bocca appena spalancata. Non poteva darle torto se quella richiesta le sembrava strana.

«Non farò nulla che tu non voglia per aiutarti, ma se desideri che diventi il tuo garante, ben volentieri.»

«Perché?»

Katherine arricciò le labbra.

Perché Selah non ne sarebbe certo stata felice.

Perché le avrebbe tolto una frazione di potere, seppur minima.

Perché un'alleata del genere avrebbe potuto esserle utile.

«Diverse persone si sono lamentate che non faccio... abbastanza per il regno. Penso sia giunto il momento di cambiare.»

«Altezza, senza offesa, ma... presumo ci siano questioni più urgenti. Vi ringrazio per l'interesse, ma finché sembra che possa essere utile a Selah, nessuno mi ucciderà.»

«Potrei farlo anche per puro egoismo, sto iniziando a esaurire le idee su come dar fastidio a mio fratello.»

«Forse dovresti smettere» si intromise Miriam. «Prima che sia troppo tardi.»

«Selah non è ancora regina, non può farmi niente.» Si voltò verso l'interno della sala: il vestito rosso di Selah spiccava nella folla, ma non le avrebbe mai dato la soddisfazione di rispettarla nel ruolo che si era presa: non trovava giusto che pretendessero rispetto da lei quando non ne riceveva.

«E io cosa ci guadagnerei?» Rachel incrociò le braccia. «Le conseguenze non toccheranno voi, ma me sì. Non ci tengo a rischiare la vita per qualche capriccio altrui. Per me la questione è chiusa. Con permesso.»

Quando sparì nella sala, Miriam appoggiò una mano sul braccio di Katherine. «Penso dovresti darle ascolto questa volta: non si tratta di una partita a scacchi.»

Katherine agitò una mano. Non avrebbe portato nulla a termine senza il suo consenso, ma nessuno poteva impedirle di tastare le acque.

«George mi ha un rovinato le giornate ultimamente e io voglio solo rendergli il favore. Se entro la fine del ballo non accetta, dirò che era solo un'idea dovuta al bere troppo.»

«Quanto hai bevuto?»

«Per ora? Due bicchieri di Zoville D'Or. Va alla testa abbastanza velocemente, però.»

Miriam sospirò. «E tuo fratello che ha fatto oggi?»

«Pensi che Arthur potrebbe essere un buon partito per un matrimonio?» Spiegare dall'inizio sarebbe stato troppo lungo.

«È figlio di marchesi, sembra avere un'ottima carriera militare davanti, ha una buona reputazione... È solo un peccato che Reginald sia più intelligente di lui.»

Katherine si lasciò sfuggire una risatina. «Ha accennato al cercare di evitare un matrimonio con l'erede di Ethor» ammise dopo qualche attimo di silenzio.

«Sempre per i problemi nell'Exval?»

«Magari. Ci sono altri problemi sulla costa.» Appoggiò una mano sulla spalla di Miriam. «Magari ne riparliamo in privato nei prossimi, non è l'argomento adatto a Gabes. È da prima non riesco a togliermi dalla testa che mi stiano nascondendo qualcosa.»

«Certo è che non te lo diranno stasera. Cosa gli hai risposto su Arthur?»

«Che è solo un amico.»

«La solita bugia a cui nessuno crederà più domani mattina.» Miriam scosse la testa. «Ma sarà meglio che vada e torni a fare il mio lavoro.»

«Se Selah non dovesse firmare per qualche motivo, puoi sempre contare sulla mia raccomandazione.»

Annuì con un cenno della testa, poi si allontanò.

Rimasta sola, Katherine si passò una mano sul volto. Non fare nulla per gli altri aveva con sé un lato rassicurante che fino a quel momento non aveva toccato con mano: non c'era chi avrebbe dovuto pagare per le conseguenze delle proprie azioni, non doveva preoccuparsi se dava fastidio a George. Ma quella richiesta avrebbe attraversato la zona di influenza di Selah, andava fuori da legami di sangue.

Andare a toccare il simbolo della vittoria di Selah di certo non le sarebbe piaciuto.

Un peccato, si disse mentre oltrepassava la soglia, sollevando appena il bordo della gonna per non inciampare, ma era anche giusto che qualcuno le rendesse chiari i limiti del suo potere. Non poteva contare su George: non l'avrebbe mai fatto, era troppo debole nei suoi confronti.

La musica aveva preso forza: le note del quartetto d'archi coprivano già buona parte delle conversazioni intorno a lei.

Chissà cosa avrebbero pensato di lei, sparita a parlare con quelle due per chissà quanto tempo. Come se non avesse già rovinato abbastanza

Non aveva molto tempo prima che il primo ballo sarebbe iniziato.

Afferrò un altro bicchiere di vino dal vassoio di un cameriere di passaggio, l'unico modo che aveva per sopportare Gabes.

Si avvicinò alla coppia con un sorriso stampato in volto, ignorando i saluti e gli auguri dei nobili.

Era soprattutto la futura regina a spiccare nella folla: il fermaglio dorato si nascondeva tra i capelli biondi, solo le pietre preziose facevano capolino tra le ciocche. Rosse, come l'abito e il sangue che aveva versato quattro anni prima.

Rallentò appena quando Selah incrociò il suo sguardo; toccò il petto di George che si girò a sua volta verso di lei.

Si fermò a pochi passi da loro e sorrise.

«Katherine» mormorò George. «C'è qualche problema?»

«No, assolutamente. E la serata si annuncia perfetta, ma... avrei bisogno di parlare con Selah di una questione.»

«Adesso?» chiese lui aggrottando la fronte. «Non puoi aspettare domani mattina?»

«Preferisco sfruttare l'occasione di poter essere ascoltata. Sia mai che domani mi scacci dicendo che ha da lavorare e che non può dedicarmi tempo.»

«Spero sia una cosa breve» le rispose Selah, stringendo appena la mano sul braccio di George.

«Riguarda Rachel.»

Il sorriso si allargò quando l'espressione di Selah s'irrigidì.

«Pensavo avessi avvertito tua sorella di stare al suo posto.»

George le aveva fatto visita mentre si stava finendo di preparare, ma le sue raccomandazioni erano state così vaghe che non ci aveva dato peso; con le sue parole aveva acquistato un senso più profondo. Ma se non aveva il coraggio di affrontare lei, non sarebbe stato in grado nemmeno di gestire il regno.

Selah che strinse la presa sul braccio di George. Era sicura che aveva già rovinato la serata a entrambi.

«L'ho fatto. Ma non posso impedirle di parlare con chi vuole.»

Selah alzò gli occhi al soffitto, poi tornò a guardarla. «Qualsiasi cosa tu voglia riguardo a lei, la risposta è no.»

Katherine inclinò appena la testa. «Volevo solo informarti che ho deciso di diventare il suo garante.»

«Come ti ho già detto, no. E non scavalcare le mie decisioni con le tue domande assurde.»

«La mia non è una domanda.»

«Katherine ha ragione.» Selah si voltò di scatto verso George. «Non sei ancora regina e per legge, le sue decisioni contano più del tuo volere.»

Doveva bruciarle non poter fare nulla né ribattere come avrebbe voluto in pubblico e alla fine, annuì piano con un cenno della testa.

«E va bene. Ne dobbiamo riparlare. Avrai la priorità sui miei incontri di domani e spero per te che ci sia un motivo valido

Katherine le sorrise e sollevò appena il bicchiere. Aveva una notte per trovarlo, ma se le avesse detto il rimorso per non aver fatto nulla le avrebbe riso in faccia.

«C'è altro?» chiese George.

«Soltanto questo. Ma visto che ci sono voglio anche farvi gli auguri per Gabes e per il vostro matrimonio imminente. Con tutti gli impegni degli ultimi giorni non ho trovato l'opportunità di farlo.»

«Grazie, Katherine.»

Fece un piccolo inchino, poi voltò loro le spalle e si portò il bicchiere di nuovo alle labbra: avrebbe voluto scoppiare a ridere, bearsi delle loro facce confuse e della certezza che a loro due per il resto della serata, il Briville dolce non sarebbe sembrato tale. Per quanto minima, era una vittoria e anche se era sicura che gliel'avrebbe fatta pagare, poco le importava.

Appoggiò il bicchiere vuoto sul piatto che un cameriere aveva abbassato verso di lei, poi portò una mano sul petto, stringendo con quattro dita il ciondolo.

Sul fondo della sala l'orchestra aveva quasi finito di prendere posto, segno che i momenti delle chiacchiere erano finiti.

Le era rimasta solo una cosa da fare: si avviò tra la folla, cercando Arthur e rispose con un sorriso a quei pochi invitati che le rivolsero gli auguri per Gabes. Si fermò nel mezzo della sala quando lo vide: era intento a parlare con altri soldati. I decori dorati delle giacche riflettevano la luce dei candelabri e il vino contenuto nei bicchieri si agitava quando muovevano le mani.

Riconobbe Nicholas accanto a lui: aveva lo stesso colore dei capelli di Miriam e gli stessi lineamenti delicati del viso. Avrebbe potuto scambiarli per gemelli, se non avessero sei anni di differenza. Fu lui a tirare una gomitata sul fianco di Arthur che si voltò. Le sorrise, lasciò il proprio bicchiere a Nicholas e si avvicinò con le braccia allargate.

Le due medaglie appuntate sul petto dondolavano appena mentre camminava, insieme alla falena di bronzo che chiudeva il colletto rosso della giacca bianca.

«Mi stavo convincendo che ti fossi dimenticata di me.»

«Come potrei?»

Era tutto il giorno che bramava che arrivasse il ballo, per avere una qualche scusa per stargli vicino.

«Il vino può giocare brutti scherzi.» Arthur prese una mano nella sua e le baciò il dorso. «Sappi solo che sei stupenda... ma forse il vestito è di troppo.»

«Forse dovresti tenere la lingua a bada» lo ammonì, guardandosi intorno.

«Conosco un modo, ma ho bisogno della tua partecipazione.»

Ma nessuno sembrava fare troppo caso a loro.

Arthur si chinò in avanti, quanto bastava a sussurrarle all'orecchio. «Spero che questa notte le tue intenzioni coincidano con le mie, principessa.»

«Non posso certo dirti di no.»

Arthur fece per ribattere, ma il fruscio degli abiti dei nobili riempì l'aria, prima che uno strano silenzio cadesse sulla sala. Si portò una mano sul petto, inchinandosi appena. «Altezza, mi concedete questo ballo?»

Tese l'altra verso di lei, il palmo rivolto verso l'alto e Katherine ci appoggiò sopra la propria.

«A dir la verità, non lo so.»

«Vuoi proprio rovinarmi la serata?» ribatté Arthur stringendole il fianco con una mano. «Non aspetto altro dal nostro ultimo incontro.»

«Posso sempre lasciarti da solo stanotte.»

«Allora sotto sotto non sei così diversa dal resto della famiglia.»

Lanciò un'occhiata a George quando Arthur la accompagnò in una piroetta. E alla fine Arthur aveva ragione: era cresciuta lì, qualcosa di famiglia si doveva essere attaccato addosso. Tornò a guardare Arthur, senza riuscire a staccare gli occhi dalle iridi azzurre che a quella distanza sembravano ancora più chiare e con il suo volto così vicino trattenersi dal dargli un bacio diventava sempre più difficile.

Avrebbe anche voluto sollevare una mano, sfiorargli la guancia. Si sarebbe tolta un peso dalle spalle.

Quando la musica si fermò, Katherine fu restia a lasciare andare la stretta di Arthur. C'era una bolla di protezione che la rassicurava, che le ricordava le feste di Gabes quando la preoccupazione di dover sopravvivere non c'era ed essere al centro del cerchio di nobili non le metteva davanti agli occhi quel che Vexhaben pensava di lei.

Alzò lo sguardo, sorridendo appena a George quando le appoggiò la mano sulla spalla. Era l'ultima volta in cui sarebbero stati quasi pari: lui era sempre stato un passo avanti, il destino del regno gli era caduto addosso nel momento in cui era nato.

L'ultimo brindisi in cui George sarebbe stato solo il principe.

Non lasciò la presa nemmeno quando un servo si avvicinò con i due bicchieri sul vassoio. A quel punto era sicura che non fosse più un gesto di supporto, era lì per ricordarle quale fosse il suo posto e che oltrepassare quella linea invisibile avrebbe portato solo guai.

Strinse appena le dita sullo stelo, spostando lo sguardo su Arthur, fermatosi in prima fila. Miriam gli era accanto e agitava appena il ventaglio. Per una volta, si mischiava bene all'alta società, non era quella dal volto macchiato d'olio.

L'ultima festa in cui Selah sarebbe stata un passo indietro. Era colpa sua se era nata una frattura tra lei e il fratello.

«Semper progrediuntur in unitatem.» Le venne naturale pronunciare il motto, sollevare il bicchiere e ricambiare i sorrisi.

La presa di George venne meno sulla sua spalla, solo per spostarsi sul fianco di Selah. Per quel che aveva ascoltato, non si era risparmiato nel parlare di lei, ricordare a tutti quanto il regno sarebbe stato fortunato ad averla come regina.

Sollevò il bicchiere, continuando a sorridere e cercare di non lasciare fuoriuscire le lacrime; gli occhi pizzicavano, poteva incolpare al fumo, ma non voleva che le voci andassero in giro.

Quando il motto fu ripetuto a gran voce tra i presenti, con l'ultima parola trascinata via dagli applausi, si voltò verso George. Si sforzò di sorridere anche quando il terzo bicchiere si aggiunse al brindisi.

Selah non sarebbe dovuta essere lì con loro. Non quell'anno, per lo meno.

O forse quella era solo la sua vendetta, ma se proprio voleva continuare sulla strada di rovinarsi la serata a vicenda, bastava che lo dicesse. Era disposta anche a dare ad Arthur quel con cui la punzecchiava da giorni, avrebbe messo da parte la propria reputazione se sarebbe servito per togliere l'espressione soddisfatta dalla faccia di Selah.

Le parole del brindisi di George ancora una volta le sembravano senza senso. Da piccola si sforzava anche di capire, di essere parte di quell'evento, ma la voglia era scemata, al punto che aveva anche smesso di ascoltare.

Bastava sorridere, sollevare il bicchiere e dare l'idea di essere interessati.

Fingi e vivrai.

Ancora una volta era quello ciò a cui avrebbe dovuto affidarsi. Ma alla fine anche Gabes sarebbe stata una notte mangiata dal tempo.

La musica dell'orchestra riprese con più forza, il cerchio di nobili si allargò, dividendosi in coppie.

Arthur si avvicinò di nuovo, il sorriso stampato in faccia di chi non vedeva l'ora che quella festa finisse. Intorno a lei il fruscio degli abiti si era aggiunto alla musica. Da quel momento in poi per far passare la notte sarebbe bastato ballare.

Avvicinò il bicchiere alle labbra, decisa a finire il vino bianco al suo interno, ma le cadde di mano nello stesso istante in cui Selah le afferrò un braccio e la spinse indietro; una macchia scura si allargò sull'orlo della gonna.

Incespicò sull'orlo e finì con la schiena a terra. Afferrò il braccioche George le aveva teso, ma quando si rimise in piedi il fratello non mollò lapresa. Katherine dovette sbattere le palpebre più volte per mettere a fuocoquel che stava succedendo.


Semper progrediuntur in unitatem: Sempre avanti in unità

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