Twentyfour
«Steve!» la voce di Peter disturbò la quiete del reparto ben organizzato e silenzioso. Rogers gli andò incontro con sguardo infastidito;
«Peter non strillare così, abbassa la voce.» gli prese un polso e lo sgridò come fosse un bambino.
«No Steve! Bucky! Lui ti ha ricordato, il tuo amico, il tuo compagno, il tuo Bucky!»
Gli occhi di Steve diventarono grandi, la presa sul ragazzo si addolcì e il terreno sotto i suoi piedi parve tremare. Illudersi di avere altre possibilità di aiutare Bucky? In quel momento il pensiero di poter soffrire ancora a causa di altre ricadute non sfiorò affatto la mente di Steve, che socchiuse le labbra allibito, e si lasciò fare strada dal ragazzo lungo il corridoio dove Raven li guardò storti per la loro camminata troppo veloce e scalmanata.
Peter aprì con delicatezza la porta, lasciando libero il passaggio a Steve quanto bastasse per farlo entrare; fu un veloce flash, era terrorizzato che Bucky potesse reagire come aveva fatto poco prima, dunque, quegli sbalzi così graduali della sua memoria non erano molto affidabili. Il ragazzo chiuse la porta e rimase fermo alle spalle di Steve, sussurrandogli: «Spero mi abbia ascoltato e che non abbia dimenticato di nuovo tutto.»
Lentamente, con cautela, Rogers si avvicinò così tanto al suo letto senza rendersene conto. I cuscini su cui era poggiata la testa di Bucky erano sgualciti, il rumore lieve e fastidioso dei drenaggi che aspiravano sangue e adipe dalla ferita avvolgevano i due, e sul viso di Bucky era comparso un enorme sorriso, che aveva accentuato la sua dolce fossetta sulla guancia nascosta fra la barba scura.
Steve non disse una parola, semplicemente, perché non sapeva cosa avrebbe dovuto dire.
Sotto l'unica mano rimasta di James poggiata sul materasso con delicatezza, era ben protetto il foglio di carta su cui c'era disegnato l'autoritratto di Steve, sfiorato quasi potesse cancellarsi per sempre. Un enorme nodo alla gola bloccò il respiro di Rogers, che iniziò a sudare.
«Stevie.»
Bucky non lo chiamava in quel modo da parecchio tempo, e il biondo non riuscì a capire se fosse un bene o un male, dato che solitamete lo ricordava in quel modo quando era convinto di vivere ancora nella sua adolescenza. Il biondo annuì a si avvicinò ancora, mantenendosi restio.
«Portami a casa, questa non è Brooklyn, ti prego andiamo a casa.» si lamentò dolorosamnete, scrollando la testa con paura ed agitazione.
«Sta calmo Buck, ci ritorneremo te lo prometto, quando starai meglio, spetta a te sergente, devi riprenderti presto.» disse il tirocinante sorridendo, e sedendosi sulla sedia di plastica riposta accanto al letto, proprio dalla parte della ferita.
«Cosa mi è successo? Dov'è il mio braccio? Ti prego Steve fa' male.»
«Lo so, hai ragione, passerà questo dolore, devi solo avere pazienza.» gli sorrise Steve impietosito, scostandogli una ciocca di capelli scuri dalla sua fronte, con un gesto estremamente delicato.
«Hai avuto un incidente Buck, alla metropolitana. Sei caduto fra le rotaie ed il treno ti ha strappato il braccio, ma sei vivo. Sei vivo.» gli spiego Steve, ripetendolo per la seconda volta solamente per capacitarsene, perché a pensarci bene non riusciva davvero a crederci. Steve lo guardò come se potesse perderlo di lì a poco, lo osservò in ogni suo lineamento come si fa' con un'opera d'arte, e seppur di prefetto in quel momento Bucky non aveva nulla, a Steve parve di poterci morire nella sua anima.
«Dobbiamo accompagnare Peter a casa.» la voce rauca di James riportò alla realtà il biondo, che si voltò nella direzione in cui stava guardando lui, proprio alle sue spalle, dove Peter era in piedi con la testa bassa.
«Un giorno in più o uno in meno non turberanno molto mia zia.» rispose il ragazzo con un mezzo sorriso.
«Abbiamo fatto tutto questo per farti tornare a casa, e tu non ci torni?» sorrise scherzosamente il moro, anche se era difficile sforzarsi in quelle condizioni.
Peter arrossì e si sentì talmente in colpa da farlo capire ad entrambi. Bucky sorrise più sereno, alzando il mento: «Stavo scherzando idiota, per me puoi restare qui quanto ti pare, se ti diverte tanto, l'importante è che avvisi tua zia. Non voglio la responsabilità di una ragazzino in questo momento.»
«Cosa?» Peter sbottò confuso, rilassando le spalle. Bucky lanciò un'occhiata veloce a Steve che capì immediatamente. Era incredibile come loro due potessero riuscire a capirsi anche senza parlare.
«Posso parlare io con tua zia se vuoi, puoi venire a stare nel mio appartamento, almeno per darti una ripulita.»
Gli occhi di Peter iniziarono a brillare alle parole di Rogers, che continuò a fissarlo in attesa di una risposta.
«Corro subito a chiamarla! Non mi sentirai nemmeno in casa, lo giuro! E poi compio diciotto anni il mese prossimo, ormai sono un adulto!» rovistò fra le tasche dei suoi jeans stretti ed uscì dalla stanza a fare la fatidica telefonata.
«Credi che quella povera donna se la prenderà con noi?» domandò Bucky sarcastico.
«Con un povero ragazzo senza braccio no, ma con un dottore distratto si.» entrambi sorrisero brevemente, lasciandosi avvolgere dal silenzio dei loro respiri. Gli occhi di James diventarono lucidi, ed il suo labbro inferiore tremò improvvisamente.
«Questa vita mi fa' paura, non posso farcela Steve.»
Il biondo fece attenzione a volgersi su di lui per stringergli la mano con non troppa forza, accarezzandogli il viso con le nocche impedendo così che Bucky potesse scoppiare in un pianto pieno di shock e paura.
«Si che puoi farcela, io sarò con te fino alla fine, lo affronteremo insieme.»
E con la fronte corrugata ed il respiro irregolare e pesante, Steve si piegò dolcemente verso di Bucky e curò ogni dolore con un bacio.
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