Nine
Quell'uomo alto e massiccio stava proprio andando verso di loro. Indossava un completo elegante e pratico, con cravatta e camicia bianca perfettamente stirata. I capelli castani e la carnagione abbronzata, con delle rughe evidenti all'altezza degli occhi e della fronte.
Sicuro e con fare spavaldo, spalancò la porta di servizio che lo lasciava intravedere avvicinarsi da lontano grazie ad una finestra di vetro non molto pulita. Steve si alzò in piedi e si avvicinò alla maniglia nel tentativo di precederlo, ma a suo malgrado, lo sconosciuto era già difronte a lui.
Ci fu un breve istante di silenzio che avrebbe teso i nervi a chiunque, fino a quando l'uomo non prese parola.
«Sono il legale dell'ospedale, Brock Rumlow, gestore di tutte le pratiche della struttura, e tu sei...» squadrò Steve da capo a piedi, con disgusto «tu sei una matricola qualunque che ha preso la briga di far sparire i pazienti a proprio piacimento.»
«Io non faccio sparire nessuno.» rispose Steve in cagnesco, mentre Bucky si avvicinava a passo insicuro alle sue spalle.
«Davvero? Devo ricapitolare tutta la faccenda? Vediamo un po', lei, Steven Rogers, matricola di primo livello, trasporta il paziente James Barnes all'infuori della struttura senza alcun permesso emanato dai suoi superiori, mettendo a rischio non solo il suo insignificante posto lavorativo, ma ancor prima l'incolumità del paziente.»
La spiegazione severa di Rumlow innervosì Steve, che scrollò la testa cercando di mantenere il suo tono meno aggressivo possibile.
«L'incolumità di Barnes è sotto la mia completa responsabilità.»
«Ah sì? E quale documento conferma ciò?»
Il biondo fece silenzio, non lasciandosi però sovrastare dall'uomo, che prese Bucky per un braccio rientrando nell'ospedale: «Mi segua Rogers.»
Con rabbia e disapprovazione, il capitano fu costretto a eseguire gli ordini solamente per andare dietro Bucky. Non ebbe nemmeno il tempo di salire al piano della stanza cento sette, che la dottoressa Romanoff lo fermò e lo costrinse a venire con lei. Steve voltò le spalle a Bucky, che con la testa girata ed i capelli fra gli occhi, cercò il suo sguardo in ogni modo, disperatamente, mentre Rumlow rafforzava la presa sul suo braccio, diretto verso la stanza ormai divenuta la sua cella.
Agitato e con i palmi sudati, la dottoressa dai capelli rossi fece accomodare il suo specializzando in un ufficio molto più grande del suo, con svariate mensole in legno cariche di manuali ed enciclopedie sul corpo umano e patologie dai nomi troppo lunghi.
Dietro la scrivania, su una comoda sedia di pelle, stava seduto il professor Stark, con accanto il dottor Laufeyson che sbuffava seccato.
In piedi, accanto a Steve, T'Challa teneva il capo alto e le braccia rilassate lungo i fianchi. Gli lanciò un'occhiata fugace senza voltare la testa, adesso, più infuriato di prima.
Strinse i pugni e virò la sua attenzione difronte ai suoi occhi, dove Stark picchiettava una matita sulla scrivania, emettendo un rumore fastidioso.
«Una scappatella...dico il vero Rogers?» domandò alzando un sopracciglio, mantenendo gli occhi sulla matita.
«La definirei più "terapia riabilitativa", professor Stark.» era così carico di frustrazione, che non gli sfiorò affatto l'idea di non mettersi faccia a faccia con un superiore di quel carico.
«D'accordo, chiamiamola in questo modo. Lei sa quale tipo di responsabilità ha messo sulle spalle dell'ospedale?»
«Era solo un'uscita innocua, per di più in uno spazio adibito all'ospedale. Non avrei mai portato James fuori dalla struttura.»
Stark scosse la testa, contrariato, ma con il tono ancora stabile e poco severo: «Qui non si tratta di un luogo specifico, Barnes è un paziente molto giovane con una forma precoce e aggressiva di alzheimer, e ciò comporta che lui sia un pericolo per gli altri, ma prima di tutto, per se stesso.»
«Ho l'assoluto controllo del mio paziente, non potrei mai permettere che...» Steve alzò di poco la voce, stringendo più forte i pugni e facendo diventare le nocche bianche.
«Qui non si tratta di permettere o meno, le ho affidato un paziente molto particolare nella speranza che potesse migliorare la sua esperienza, e lei cosa fa'? Manda tutto a puttane portandolo in giardino da bravo sentimentalista? Non è una gara di solidarietà, è un caso clinico di cui deve prendersi cura seguendo le terapie assegnante! Questo suo generoso atto umanitario potrebbe costargli non solo il paziente, ma anche il posto.» improvvisamente il clamo e sarcastico professore si agitò, sbattendo le mani contro una cartella sulla scrivania, alzandosi in piedi.
Le ultime parole che attraversarono la mente di Steve gli spezzarono il respiro. Non potevano separarlo da Bucky, non dopo averlo ritrovato, non dopo aver constatato il suo stato di salute.
No.
Non lo avrebbe mai permesso.
Frettolosamente, uscì dalla tasca del suo camice il quaderno dalla copertina nera, avvicinandosi alla scrivania e fissando aggressivo Loki.
«Non guardare me, io non ho aperto bocca.» si difese immediatamente infastidito, indicando in il capo T'Challa «Prenditela con la pantera nera, è lui che ha fatto la spia.»
Non era di certo il momento per iniziare una discussione con il suo compagno di gruppo, ma l'idea di voltarsi e stenderlo con un pugno in faccia gli aveva solleticato la mente.
Stark guardò confuso il piccolo blocco degli appunti sotto i suoi occhi, prendendolo con irritazione e disgustoso, non degnandosi di alzare gli occhi verso Steve.
Lo aprì, vedendosi sputante immediatamente una cornice pasticciata con una scritta a caratteri cubitali
Quaderno dei ricordi
Iniziò a scorrere lentamente fra le righe, toccando con i polpastrelli la carta ruvida e calcata, leggendo fluidamente la calligrafia di Steve. Le pagine erano datate, e ogni volta che il riassunto iniziava, una presentazione scritta in stampatelo maiuscolo occupava la prima riga;
OGGI BUCKY RICORDA...
La lettura del professore fu veloce ma dettagliata, silenziosa e pungente. Tutti erano in ansia, benché solo Steve sapesse cosa ci fosse realmente scritto su quel piccolo quaderno, ed esporre, in poche parole, la sua vecchia vita privata assieme a Bucky davanti ad un perfetto sconosciuto, era un chiaro segno di coraggio e disperazione.
Tony si fermò pochi istanti sui disegni fatti da Steve, chiudendo infine il tutto e stringendolo fra le mani.
Guardò Steve, ricominciando a parlare con voce più calma: «Questo, è stato tutto raccontato da James?» domandò sorpreso.
«Si.»
Tony sospirò, alzandosi dalla sedia di pelle, e iniziando a camminare in maniera agitata per tutta la stanza.
«Sono ricordi troppo vecchi per ritornare alla sua mente così improvvisamente, la sua malattia è in uno stato troppo avanzato per...» gesticolò, visibilmente confuso e scosso.
«Romanoff, diagnosi del paziente Barnes.»
La donna sembrò colta di sorpresa, affermando vagamente «Alzheimer precoce ereditario al terzo stadio.»
Laufeyson guardò tutti con provocazione, in attesa di una risposta.
«Come cazzo è possibile...?»
Natasha scosse la testa e gli domandò: «Cosa?»
«Barnes ha ricordi vividi e perfettamente lucidi del suo passato, ogni particolare, tutto!» Stark sembrò in preda ad una crisi di nervi.
«È impossibile Tony, quello che hai letto può anche esserselo inventato, sai che in alcuni casi...»
«Ricorda persino quando è stato masturbato da lui!»
Era evidente che tutti, dopo quell'affermazione, avrebbero voluto tanto scomparire sottoterra, primo fra tutti Steve.
La donna si irrigidì, e poi guardò Rogers: «Voi vi conoscevate?»
Il biondo annuì, rosso in volto un po' per la rabbia, un po' per la frustrazione, ma sopratutto, per l'imbarazzo.
«Certo che si conoscevano Natasha! Sono stati fidanzati al liceo e adesso lui ricorda perfettamente tutti quegli episodi, i-io...» scrollò la testa e sospirò «In tutti questi anni della mia carriera non mi era mai capitata una cosa simile.»
Senza avere domande o aggiungere altro, Steve si fece coraggio e si schiarì la voce, fin quanto ci riusciva: «Potrò continuare a seguire il caso di Bucky?»
«Per adesso vattene, torna a casa. Ne parleremo al consiglio, fino ad allora Barnes sarà sotto la custodia di Rumlow e delle infermiere. Ti chiameremo noi.»
Steve aggrottò la fonte, avvicinandosi ai due medici: «Vi prego, lui ha bisogno di me, non posso abbandonarlo ancora una volta, potrebbe peggiorare o...» non ricevendo nessun tipo di attenzione, si incamminò verso la porta, con voce rauca:
«Siamo sentimenti nascosti, bugie infinite. Siamo rimpianti, parole mai dette, siamo lacrime che strappano il cuore e ricordi che fanno sanguinare. Ma siamo anche bisognosi l'uno dell'altro.» aprì la porta restando di spalle
«Non potete porre fine a tutto questo.»
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