9. LA LISTA

Lame di luce abbagliante mi artigliano gli occhi attraverso le ciglia, facendoli bruciare.

Tra il mio incubo e la chiacchierata notturna con Klaus, ho la sensazione di non aver dormito per niente.
E, come se non bastasse, le tempie ancora mi pulsano, forse per la stanchezza.

Mugolando irritata, tiro le coperte fin sopra la testa mentre sento qualcuno che continua ad armeggiare con le tende, spalancandole.

«In piedi, signorina Storm» cantilena una voce di ragazza con fare annoiato.

«È domenica» brontolo debolmente con uno sbadiglio. «Devi essere una criminale evasa di prigione per svegliarmi alle sette di domenica».

«In verità, sono le sei e mezza».

«Che cosa?!» esclamo in un lamento ancora impastato dal sonno. «Allora sei una vera bestia del demonio».

«Sì, ma preferisco essere chiamata Arianne. E ti conviene scendere a fare colazione entro mezz'ora, se non vuoi che diventi il demonio in persona».

Va bene, ammetto che questa è un'ottima risposta.
Molto nel mio stile.

Controvoglia, riemergo da sotto le lenzuola quel tanto che basta per sbirciare fuori.
La camera è ammantata dai raggi accecanti gettati dal sole mattutino, che troneggia in un cielo pallido avvolto da stracci di nuvole arancioni e rossastre. I colori morenti dell'alba appena passata.

Devo sbattere le palpebre più volte, prima di riuscire a mettere a fuoco le immagini.
Solo allora vedo la ragazza alta, sulla ventina, infilata in una divisa bianca e nera da cameriera, che mi sta fissando accanto alla scrivania.
Ha le braccia distese lungo i fianchi e lucidi ricci scuri raccolti in una coda posata sulla spalla.

«Io e te ci siamo incontrate per le scale, ieri sera, vero?» bofonchio, sbadigliando di nuovo.

«Se intendi quando hai blaterato di voler uccidere mia sorella dopo SpongeBob, allora sì».

«Tua sorella?». Mi stropiccio gli occhi, che ancora faccio fatica a tenere aperti. «La bionda?»

Arianne annuisce e dà un'occhiata all'orologio che porta al polso.
«Ti rimangono venti minuti per vestirti e lavarti».

«Altrimenti?»

«Altrimenti salterai la colazione, che è fissata per le sette in punto. Ordini della signora Alizée» risponde con un sorrisetto compiaciuto.

All'improvviso, mi ricordo di quello che mi aveva detto Carol: "I figli della signora Alizée hanno un programma di attività molto rigido".

Oh no... credo di essere finita all'inferno.

Seguo con lo sguardo Arianne mentre si dirige verso la porta.
Poi però si ferma sulla soglia e si volta, dicendo: «Sei dalla parte sbagliata del letto, comunque».

«Wow, grazie per la rivelazione. Magari sei tu ad aver sempre sbagliato».

Scuotendo la testa, Arianne lascia la stanza e mi ritrovo finalmente da sola. La gatta grigia sembra essersi dissolta nel nulla.

«Posso farcela» sussurro, fissando il soffitto. «La Forza è con me».

Attingendo ad ogni briciola della mia volontà, mi costringo ad alzarmi dal letto, sciogliendo a malincuore il caldo abbraccio delle coperte.

Missione compiuta, soldato.

Recupero dalla mia valigia, che ancora non ho disfatto, dei vestiti presi a caso e mi trascino fino al bagno annesso alla camera.
Faccio una doccia veloce e, dopo essermi asciugata, mi cambio, assicurandomi di avere il mio fedele "compagno" in tasca, come sempre.

I miei capelli sono ancora umidi quando mi trascino in corridoio ancora sonnolenta.
Il mio sguardo viene attirato sulla porta accanto alla mia, segnata dal numero 6 in ottone.

È chiusa, ma la tentazione di entrare è pari a quella volta che Alan è andato in bagno, lasciando incustodito nel piatto un ultimo trancio di pizza.

Impossibile resistere!

So che è sbagliato, ma ormai è una questione di principio: devo riprendere il mio cuscino.
E se dovessi sorprendere Klaus mentre si sta spogliando... tanto meglio.

Ma il cuscino è la priorità, eh!

«Biondino, spero per te che tu non sia in mutande» annuncio entrando, spalancando la porta di colpo.

Ma non c'è nessuno, a parte la gatta dal pelo color cenere che si sta facendo le unghie sul magnifico tappeto persiano.

La camera ha le stesse pareti color crema della mia, con un arazzo ricamato a fili d'oro e d'argento, e lo stesso pregiato parquet in legno di faggio.
Il letto a baldacchino, con eleganti tende rosse, è già rifatto, senza neanche una piega.
In un'imponente libreria a muro che arriva fino al soffitto sono allineati moltissimi volumi rilegati in pelle.

Nell'angolo vicino alla porta del terrazzo, invece, si trova un pianoforte sovrastato da una mensola piena di spartiti. Non molto lontano, c'è anche una chitarra classica, adagiata contro il comodino su cui sono disposte alcune foto incorniciate che non riesco a vedere da questa distanza.

Ogni cosa sembra disposta in un ordine perfetto, quasi maniacale.
Tutto, eccetto un taccuino abbandonato per terra, come se fosse stato scagliato via.

Non dovrei, non dovrei...

Lo ripeto nella mia mente, invano, mentre continuo ad avanzare, spinta dalla curiosità.
Dopo alcuni passi, sento un crepitio sotto i miei piedi e qualcosa di acuminato che mi trapassa la scarpa, pizzicandomi il tallone.

Mi lascio sfuggire un gemito di dolore e ritiro la gamba. Solo allora vedo dei piccoli frammenti di vetro sparpagliati sul pavimento.

Stando attenta a non calpestarli, li supero e mi chino per raccogliere il taccuino, aperto su una pagina intorno alla metà.
Non posso evitare di leggere di sfuggita le parole scarabocchiate con una calligrafia minuziosa sulla prima riga.

Walker Agency (qual è il legame?)

Per poco, il taccuino non mi sfugge dalle dita per la sorpresa.
La Walker Agency è l'agenzia che mi ha affidata ad Alizée e per cui lavora Alan... ma che c'entra con Klaus?
E soprattutto legame con cosa... o con chi?

Sotto, segue una lunga lista di nomi sbarrati più volte con una certa foga.
Alcuni però sono ancora visibili: Mary Black, Emily Allen, Amalia Taylor, Lily Price, Sophie Brown...
Hanno tutti una cosa in comune: sono nomi femminili.

«Mettilo giù!»

Sussulto per lo spavento e, con un gesto meccanico, porto la mano sulla tasca, sentendo la famigliare presenza di un oggetto duro e oblungo attraverso il tessuto.
Il mio compagno che porto sempre con me.

Beh, a parte ieri sera, ma soltanto perché Alan non lo ha ritenuto "civilmente appropriato" e mi ha obbligata a metterlo in valigia.
Rompiscatole!

Klaus è di fronte alla porta del bagno, una spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate sul petto.
Ciocche bionde e lucenti, ancora bagnate, gli ricadono sugli occhi, nei quali sembra bruciare un fuoco fatuo di rabbia.

Il mio cuore accelera quando vedo la canotta bianca che gli fascia il corpo, aderendo ai muscoli del torace e ai fianchi snelli.

«Avresti potuto anche non metterla, quella» commento stucchevole, allontanando la mano dalla tasca.

Ma lui non presta attenzione a me. È troppo concentrato sul taccuino che ho in mano.
«Mettilo giù» ripete con fermezza.

«D'accordo, d'accordo» borbotto, gettandolo sulla scrivania. «Non pensavo fossi tipo da diario segreto».

«Non è un diario segreto. E tu non dovresti essere nella mia camera».

Klaus si china un istante ad accarezzare la gatta, che gli si sta strusciando alle gambe facendo le fusa.
Poi inizia a camminare lentamente verso di me, fissandomi con uno sguardo attento impresso sul volto, come se mi stesse studiando.

Nella mia mente guizza l'immagine di un leone che si prepara ad attaccare la sua preda.
E la preda sarei io.

Oh no. È chiaro che non mi conosce affatto.

«Non è colpa mia se sei un ladro di cuscini, sfregiato».

Senza esitazione, gli vado incontro, riducendo a grandi falcate i metri che ci separano.
Klaus si blocca subito mentre io proseguo fino a che non siamo uno dirimpetto all'altro, così vicini che il profumo del suo shampoo inebria i miei sensi.

«Non chiamarmi così» ribatte, senza far trapelare nessuna emozione dalla sua voce.

«Come te la sei fatta?» chiedo, cercando di sfiorare la sua cicatrice con un dito.

Klaus arretra di scatto con un movimento rigido e i muscoli del corpo in tensione, come qualcuno che tiene i sensi in allerta in attesa di un agguato.

«Non toccarmi» sussurra con un tono irrequieto.

«Perché no?» dico provocante, avvicinandomi di nuovo.

Lui non si muove, ma il suo respiro si fa rapido e breve. E, per un attimo, un lampo di paura accende le pagliuzze blu delle sue pupille, due zaffiri in una tempesta grigia.

Allora capisco che questo è il suo punto debole, come mio padre è il mio.
E mi fermo, sconcertata.

«Vattene» ordina impassibile, ma la sua espressione tradisce il suo sollievo.

«Come conosci la Walker Agency?» domando.

Klaus appare disorientato per un secondo, poi guarda il taccuino e si incupisce.
«Non sono affari tuoi. E adesso esci, Keeley».

Il suo accento inglese conferisce al mio nome qualcosa di musicale, di seducente, che mi lascia senza parole, incapace anche di pensare.

Quasi senza accorgermene, mi ritrovo in mezzo al corridoio.

«Se vuoi andare d'accordo con me, ragazzina, le regole sono due: non entrare nella mia camera e non toccarmi. Mai» spiega Klaus categorico, sbattendomi poi la porta in faccia.

«Ne riparliamo tra qualche giorno, tesoro» grido, sentendo la chiave scattare nella serratura.

Il mio cuscino, maledizione!

«Buongiorno» mi dice Simon, sbucando dalla stanza di fronte alla mia.

Subito dopo viene raggiunto da Eileen, che compare dietro di lui e mi rivolge un pigro cenno di saluto.

Se non fosse per il fatto che Simon ha gli occhiali e i capelli corti -ed è sprovvisto di un seno prosperoso-, potrebbero essere uno il riflesso dell'altra per quanto si somigliano.
Sono anche vestiti alla stessa maniera: un pesante maglione rosso abbinato a jeans scuri e anfibi di pelle.

Entrambi fingono di non accorgersi che sono appena uscita dalla stanza di Klaus. Di prima mattina.

Aspetta un secondo... loro dormono insieme?
E perché sono perfettamente svegli e riposati, ed io invece ho l'aspetto di uno zombie?

«Le premesse non sono quelle di una buona giornata, ma grazie» borbotto esausta.

Eileen mi fa un sorriso solidale. «Tranquilla, devi solo abituarti».

«Non credo che sia umanamente possibile».

Ci avviamo insieme lungo il corridoio, svoltiamo a sinistra e cominciamo a scendere le scale.
Ogni tanto, Simon mi allunga alcune occhiate furtive da dietro le lenti. Appena però si rende conto che lo sto guardando, si volta dall'altra parte avvampando per l'imbarazzo.

Inarco un sopracciglio, divertita, ma prima che possa fare una delle mie battute, Eileen mi chiede: «Allora, hai dormito bene, Keeley?»

«Come un angioletto». Trattengo a stento l'ennesimo sbadiglio. «Ma voi due condividete la stanza?»

«Non proprio. Sono camere separate, ma comunicanti» spiega lei. «Quando eravamo piccoli, non sopportavamo di stare lontani, soprattutto la notte. Allora nostro padre le ha fatte collegare con una porta per farci sentire più vicini».

«La mamma non era molto d'accordo, ma poi ha accettato» aggiunge Simon, ancora un po' rosso sulle guance.

«Non che avesse molta scelta». Eileen gli cinge il collo con le braccia, stringendolo a sé. «Nessuno può portarmi via la mia metà».

«Sì, ma così ci farai cadere» obietta Simon, facendo del suo meglio per mantenersi in equilibrio.
Impresa non facile, avendo la sorella avvinghiata a lui.

«Siamo nati insieme e moriremo insieme».

Simon quasi manca uno scalino e si aggrappa con forza al corrimano. «Magari non a diciassette anni, però».

«E va bene». Eileen gli deposita un bacio sulla guancia e lo libera dalla sua morsa.

Non posso fare a meno di provare un moto di invidia nei loro confronti. Deve essere bello avere qualcuno su cui poter sempre contare, qualcuno che ti faccia sentire meno... solo.

Giunti al pianoterra, punto verso la sala in cui abbiamo cenato, ma Simon mi afferra delicatamente per il polso, fermandomi.

«La sala delle colazioni è dall'altra parte» precisa, in risposta alla mia espressione interrogativa.

«Avete una sala delle colazioni? Ma certo che la avete, che domande! Sono nella casa della famiglia Addams!»

Faccio per darmi uno schiaffo in fronte, ma mi accorgo che Simon mi sta ancora tenendo il polso. Il suo pollice mi sfiora la pelle, disegnando dei piccoli cerchi sul dorso della mia mano.

Il suo tocco, caldo ed esitante, è piacevole e il polpastrello morbido mi suscita un lieve formicolio lungo la scia lasciata dal suo dito.
Ma nient'altro.

«Se hai finito di farmi le carezze, io avrei un po' fame» dico in tono malizioso.

«Oh, scusa» sussurra lui, ritirando subito il braccio come se si fosse scottato.

Eileen rotea gli occhi e ci precede oltre il soggiorno.
Imbocchiamo il corridoio alla destra dell'atrio e proseguiamo fino a sbucare in una gigantesca sala in cui è stato allestito un sontuoso buffet.
Al centro si trova una grande tavola rotonda di quercia con dodici sedie di legno intarsiate.
Ogni angolo della stanza è invaso da un mantello di luce, proveniente dall'enorme vetrata che occupa quasi tutta la parete, aprendo una splendida vista sulla quercia mastodontica in giardino.

«Ehi, ehi. La nostra sorella di scorta ha gradito la sua prima sveglia domenicale, eh?» sogghigna Kal al nostro ingresso, riferendosi probabilmente alle mie occhiaie o al mio persistente sbadigliare.

È seduto su un bancone, i piedi che oscillano a pochi centimetri dal pavimento.
Sulle sue ginocchia è adagiato un piatto pieno di pasticcini alla crema, due brioche e una salsiccia cotta.

Porta solo dei leggeri pantaloni a scacchi e una collana di perle, lasciando in mostra il suo fisico tonico e glabro.
Infatti, non ha neanche un pelo, nemmeno sulle braccia.

Sono quasi delusa dal fatto che non abbia più nulla della sua aria stravagante... fino a che non noto dei piccoli bigodini tra i suoi capelli, folti e nerissimi.

«Zitto o giuro che ti strappo la salsiccia» bofonchio, massaggiandomi le tempie. «E non parlo di quella che hai nel piatto».

«Questa non è la prima cosa che voglio vedere la mattina, però» commenta Simon, accennando al fratello mezzo nudo.

«Nemmeno io» concorda Eileen. «Hanno inventato delle cose chiamate maglie, Kal».

«Molte ragazze ringrazierebbero di poter godere di un simile panorama» ribatte lui, dando un morso alla brioche.

«Quelle cieche, magari» lo stuzzica Eileen.

Prendo un intero vassoio di donuts dal buffet, sotto lo sguardo stupito dei gemelli, e mi abbandono su una sedia.
«A me non dispiace» affermo.

Per un istante, ho l'impressione che sul volto di Simon sia affiorata un'espressione delusa, ma poi scompare subito.

Kal dedica alla sorella un sorriso vanesio. «Visto? Lei ha buon gusto».

«E poi gli uomini bassi hanno il loro fascino» specifico, più che altro per provocarlo.

E, infatti, il sorriso si dissipa dalle labbra di Kal e i suoi occhi si riducono a due fessure.
«Io non sono basso» si difende indignato. «Sono solo... in fase di crescita».

Sia Eileen che Simon scoppiano a ridere mentre riempiono i loro piatti e si siedono intorno al tavolo circolare.

«Hai ragione» confermo, dopo aver ingoiato l'ultimo boccone di una ciambella. «Tra poco, sarai grande abbastanza da guardare il Grande Puffo dall'alto in basso».

Kal si sporge dal bancone, afferra un pasticcino dal buffet e me lo lancia, mancandomi di almeno mezzo metro e facendolo cadere per terra.

«Questo è un crimine!» esclamo scandalizzata. «Lo spreco di dolci è punibile con la pena capitale, lo sai?»

«Tanto era al pistacchio» replica Kal con noncuranza.

«Chi osa insultare il pistacchio?» domanda un ragazzo in tono grave, entrando dalla porta affacciata all'area giochi.

«Non sarai un altro Hallander, vero?» obietto incredula. «Certo che voi spuntate come funghi».

Per un istante, però, osservandolo, una sensazione strana affiora dentro di me. Un pensiero vago, indefinito, che mi pizzica la mente, ma non riesco ad afferrarlo.
È come quando viene spostato un oggetto nella tua stanza, senza che tu te ne accorga, eppure sai che c'è qualcosa di diverso, di sbagliato.
Lo percepisci.

Dura solo per un attimo, talmente fugace che potrei anche essermi sbagliata... eppure non posso non chiedermi perché quel ragazzo mi turbi così tanto.

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