76. GENITORI
P.O.V. KLAUS
Con un sorriso, osservo Keeley che fa una delle sue smorfie adorabili nel sonno mentre si rannicchia ancora di più contro il mio petto. Accarezzo la chioma argentea che si riversa oltre il bordo della chaise longue su cui siamo distesi, con un lenzuolo a coprire i nostri corpi intrecciati.
Emetto un sospiro beato, senza smettere di fissarla nemmeno per un istante. Una parte di me ha una paura folle che nulla di tutto questo sia reale, che un amore così puro e delicato non possa esistere.
Poi però la circondo con le mie braccia, aspiro il suo odore, sento le emozioni che mi provoca la sua sola presenza, e mi rendo conto che non ho abbastanza fantasia per inventare qualcosa di tanto meraviglioso.
«Ehi» biascica Keeley, schiudendo le palpebre. «Come stai?»
Le scosto una ciocca dal viso e gliela porto dietro l'orecchio. «Mai stato meglio. E tu?»
«Benissimo. Sei molto comodo, sai?» Mi dà un bacio sul collo, ma in quel momento la sua attenzione viene attirata dalla luce rossastra che penetra dalla finestra. Il cielo ha già assunto le sfumature del tramonto. «Quanto ho...»
«Un po'. È quasi ora di cena».
«Cavolo, ci avranno dati per dispersi».
Ridacchio. «Probabile. I miei fratelli mi hanno chiamato una mezza dozzina di volte».
«Non è granché, considerato che hai una mezza dozzina di fratelli». Keeley sbadiglia, posando il mento sul mio torace. «Potevi svegliarmi, comunque».
«E perdermi tutte le faccette buffe che fai mentre dormi?» replico con un ghigno.
«Non faccio nessuna faccetta!»
«Sì, invece! Avevi anche la linguetta...»
Prima che io termini la frase, comincia a farmi il solletico sui fianchi e vengo travolto da un attacco di risate. Appena smette, rimane a fissarmi con gli occhi dorati che le scintillano compiaciuti.
Mi chino e unisco le nostre bocche in un contatto fugace. «Grazie» le sussurro, tenendola stretta come un'ancora di salvezza.
«Per cosa?»
«Per essere vera».
Keeley si solleva su di me, affonda le dita nei miei capelli e preme la fronte contro la mia. «Dobbiamo proprio tornare al matrimonio?» bofonchia svogliata.
«Purtroppo, ho dei doveri da testimone» annuisco. «Ma sappi che stanotte dormiremo insieme, nella mia camera. Così posso prepararti la colazione e portartela a letto».
«Mmh, mi piace l'idea». Mi bacia di nuovo e fa per alzarsi, ma si blocca rivolgendomi un ghigno ironico. «Ci pensi? Stiamo insieme da neanche ventiquattro ore e già conviviamo. Questo sì che è bruciare le tappe».
Faccio una risata e cominciamo a rivestirci. Lei finisce per prima, anche se le rimane da fronteggiare il problema del trucco e dell'acconciatura irrimediabilmente rovinati. Allora si posiziona davanti al mobiletto da toeletta, facendo del suo meglio per non avere l'aspetto di una che ha appena... beh, fatto sesso.
Dopo aver rimesso i boxer e i pantaloni, raccolgo un ammasso nero da terra e mi acciglio. «Oh, fantastico».
«Cosa?» domanda, voltandosi. Guarda me, la camicia e si colpisce in fronte con la spazzola. «Giusto, te l'ho distrutta! Vado a prendertene un'altra».
«Sai che dovrai farti tre piani di scale, in andata e ritorno?»
«L'alternativa è farti uscire mezzo nudo con tutte quelle ragazzine assatanate che ti sbavano addosso». Keeley afferra la maniglia, indicandomi minacciosa. «Ergo: non muoverti». Ed esce.
Giro la chiave nella serratura e, durante l'attesa, ne approfitto per sfogliare il suo blocco da disegno finché sento qualcuno che tenta bruscamente di entrare. Lo ignoro, ma all'improvviso comincia a picchiare con insistenza alla porta.
Sbuffando, indosso la giacca per coprire al meglio la camicia strappata e vado ad aprire. «Si può sapere che...» Mi blocco nel trovarmi davanti mia sorella, trafelata e con i ricci scompigliati. «Ehi, ciao. Scusami se sono spari...»
«Toby è con te?» mi chiede sbrigativa, sbirciando oltre la mia spalla.
Il mio cuore manca un battito. «Decisamente no. Perché? Cos'è successo?»
«Niente, tranquillo. Solo che ha detto che andava a giocare con gli altri bambini e non lo vedo da un po', ma sono sicura...» Eileen increspa le sopracciglia, confusa. «E al tuo smoking che è capitato?»
Un calore intenso mi assale le guance. «Oh, ehm, sì. Sono caduto» butto lì.
«E ti sono saltati tutti i bottoni?»
«Mi sono impigliato. Mentre cadevo».
«Che schifo di bugiardo! Tre mesi che tu e Keeley tenete a bada gli spiriti bollenti e cedete a un matrimonio? Sul serio?»
Roteo gli occhi. «Disse quella che una volta l'ha fatto nell'auto di Liam».
«Kal, piccolo infame traditore! Era l'unico a saperlo!» esclama lei, scuotendo il capo. «In ogni caso, quando avete finito di spassarvela, mi aiutereste a cercare Toby? So che mi sto comportando da mammina appiccicosa...»
«No, hai ragione a preoccuparti. Mi cambio e ti do una mano».
«Grazie». Prima di allontanarsi, si gira e mi richiama con un lampo malizioso sul volto. «Fratellone, mi raccomando. La nonna ha detto che voleva nuovi nipotini, ma non si riferiva a voi due».
Le sbatto la porta in faccia, borbottando un sarcastico "Divertente".
Trascorro i cinque minuti successivi a passeggiare irrequieto per la stanza, ripetendomi fino allo sfinimento che la villa è così gremita di gente che, se anche Toby si fosse fatto male, sarebbe impossibile che nessuno lo soccorra. I miei pensieri vengono interrotti dall'arrivo di Keeley, a cui riferisco subito la situazione intanto che mi consegna la nuova camicia. Vedendo che l'ha presa bianca, mi viene quasi da sorridere.
«Aspetta, un'ultima cosa» le dico, fermandola sull'uscio. «Per la storia delle Hawaii...»
Lei appare a disagio. «Ne riparliamo a fine giornata, okay?»
«Voglio soltanto che tu sappia che la tua felicità viene prima di tutto, per me».
«E questo mi piace, ma ricordati che è reciproco». Keeley si sporge in avanti, cingendomi le spalle. «Devi amare un po' anche te stesso».
«Ci proverò». Le poso l'indice sulle labbra, sempre più vicine alle mie. «Eh no, ficcanaso. Sono il tuo fratello adottivo, ricordi?»
«Uffa, che rottura!»
Lasciamo l'atelier e poco dopo ci separiamo per andare a cercare Toby. Il brusio tra gli invitati, i loro cenni indiscreti e le occhiate eloquenti che mi seguono ovunque scacciano ogni dubbio sul fatto che la relazione segreta tra me e Keeley sia già di dominio pubblico. Motivo per cui, appena intravedo Ian in lontananza, mi tuffo su per le scale per schivare la sua ramanzina.
«Amico!» Alaric mi viene incontro, rientrando dal balcone. «Dove cavolo sei stato per tre ore? Hai scatenato uno scandalo a tempo di record!»
Lo prendo per la giacca e lo trascino in un corridoio secondario. «Lo so, ma grazie di avermelo fatto presente».
«Non hai idea di che ho sentito!» sghignazza lui. «È vero che hai avuto un'esplosione di passione con Keeley fuori dalla sala da ballo e vi siete spogliati davanti a una trentina di persone?»
«Ma ti pare?» obietto.
«E che ne so. Magari i tuoi ormoni di colpo si sono resi conto che hai diciotto anni».
Lo ignoro. «Cambiando argomento, hai visto Toby in giro? Non riusciamo a trovarlo».
«Gironzolava tra i tavoli al banchetto, poco fa». Alaric ridacchia. «Stava dando la caccia al gatto e ha fatto inciampare mio padre, mandandolo su un vassoio di tartine. Non male come spettacolo».
«Deduco che non sia andata benissimo tra voi».
Prima che possa rispondere, svoltiamo l'angolo e rimaniamo spiazzati. In fondo al corridoio altrimenti deserto c'è Edric, ancora più cereo del solito, tenuto schiacciato al muro da un ragazzo biondo dal fisico allenato che gli preme un gomito sulla gola.
«Voglio sapere a chi l'hai raccontato, finocchio di merda!» gli sta sibilando con fare rabbioso. «I miei genitori mi hanno detto che dobbiamo andare a stare in un posto schifoso in Texas per lavoro! Li hanno trasferiti In Texas! Qui c'è lo zampino di un cazzo di Hallander!»
Ci metto una manciata di secondi a riconoscerlo. Nel frattempo Alaric lo ha già raggiunto di corsa e scaraventato con uno spintone a tre metri di distanza, quasi pesasse quanto una piuma. Daniel prova a rialzarsi, ma si ritrova sollevato di peso per il colletto e sbattuto contro una specchiera, che si crepa all'impatto.
«Oh, che c'è? Adesso non fai più il gradasso, ameba medievale?»
«No, Ric, no! Non fargli male!» interviene Edric implorante. «Non mi ha fatto nulla, davvero. E non voglio che tu finisca nei guai. Non ne vale la pena, Ric».
«Mollami, maledetto fro...» sbotta Daniel, ma Alaric gli tappa la bocca con la mano e sussurra tagliente: «Ascoltami bene, microbo. Se proverai di nuovo a sfiorare Edric, se anche solo lo guarderai storto, o se userai un'altra volta quelle brutte paroline omofobe, io ti spezzo ogni tuo singolo ossicino e passerai il resto dei tuoi giorni su una sedia a mangiare zuppe e brodini. Sono stato abbastanza chiaro?»
Assumendo un'espressione terrorizzata, Daniel mi lancia una muta richiesta di soccorso, ma con una scrollata di spalle gli comunico che il suo stato di salute mi è alquanto indifferente.
«Allora? Hai capito o no?» Alaric lo scuote con violenza e lui annuisce in maniera frenetica.
«Perfetto. Adesso fai il bravo e scusati per essere stato un immane cretino con la mentalità di un cavernicolo» aggiunge, permettendogli di parlare.
Un lampo di puro odio guizza sul viso di Daniel, ma a vincere è la paura. «Scusa» ringhia a denti stretti rivolto a mio fratello.
Alaric tossisce a mo' di avvertimento. «Mi è sfuggito il resto della frase».
«Ric, non serve...»
«Scusa per essere stato un cretino con la mentalità di un cavernicolo».
«Mmh, non suoni molto convincente. Ma mi accontenterò».
Nell'istante in cui lo libera dalla sua presa, Daniel spicca un saltello e si dilegua con la coda tra le gambe, bofonchiando qualcosa a proposito di una famiglia di psicopatici mentre mi sfreccia accanto.
«Che c'è?» domanda Alaric stupito, cogliendo il broncio di Edric. «Quel tipo ha provato ad affogarti! Non puoi sul serio essere arrabbiato perché l'ho strapazzato un pochino, senza nemmeno colpirlo».
«Non sono arrabbiato. Apprezzo che tu voglia proteggermi, ma...» Esita un istante. «Devi promettere di non pestare mai nessuno per me. Non mi piace e, anche lo fai per difendermi, non mi sentirei a mio agio con una persona che risolve i problemi così».
Alaric gli fa un sorriso tenero. «Sai, all'inizio non riuscivo a capire cosa ti rendesse diverso da tutti i ragazzi –e sono parecchi– per cui mi sono preso una cotta. Non capivo perché mi fosse impossibile smettere di pensare a te e andare avanti, come invece ho fatto con loro». Gli accarezza i capelli corvini. «Beh, la ragione è proprio questa. Sei meravigliosamente speciale, Edric Hallander».
«Ehm, io vado allora» avviso imbarazzato. Ma nessuno dei due mi sta ascoltando.
Edric diventa paonazzo e china il capo. «Ho scoperto il significato di daisuki».
«Hai usato Google traduttore, vero?»
«Forse» ammette in un sussurro. «Eri sincero? Se non ne sei sicuro, dimmelo. Sono riuscito da poco ad accettarmi, sono sopravvissuto a un incidente e sono pronto a un potenzialmente disastroso coming out con i miei genitori, ma non sopporterei di essere illuso da te. Non dopo la fatica che ho fatto per imparare a stare bene con me stesso».
«Ci vediamo più tardi, eh?» farfuglio, voltandomi.
«Non mento mai sui miei sentimenti».
«Bene, era tutto quello che volevo sapere».
Edric conficca gli occhi nei suoi, gli afferra la camicia per attirarlo a sé e deposita un bacio leggero sulle sue labbra. Appena si accorge che non lo sta ricambiando, si ritrae di scatto come se avesse paura di aver sbagliato, ma poi Alaric supera lo sbigottimento e lo agguanta con dolcezza per i fianchi, facendo scontrare di nuovo le loro labbra.
Un attimo prima di andarmene, sento la voce di mio fratello che bisbiglia: «Ah, dimenticavo: daisuki anch'io».
Imbocco un altro corridoio e decido di tornare al piano di sotto per controllare che Toby sia ancora al banchetto. Sono a metà della rampa quando la vibrazione del telefono mi segnala l'arrivo di una notifica. Lo tiro fuori e scopro che è un SMS proveniente da un numero sconosciuto. Ci clicco sopra.
Vuoi sapere la verità su tuo padre?
Potrei dirtela io, ma è probabile che vorrai avere una prova.
Chiedi al tuo fratellone i risultati del test ;)
Percorro il resto dei gradini a due a due e mi precipito alla ricerca di Liam. Lo individuo sotto il tendone allestito in giardino mentre passeggia a braccetto con Kaori, la madre di Alaric. Stanno avendo una fitta conversazione, che però non mi faccio scrupoli a interrompere.
«Salve, signora Hayashi. Sono spiacente, ma devo proprio rubartelo».
Liam saluta la donna con gentilezza e accetta di seguirmi dentro la villa. «Non è stato molto cortese da parte tua» si lamenta.
Mi infilo in una saletta vuota attigua a quella del ricevimento, lo faccio entrare e chiudo a chiave la porta per accertarmi una maggior privacy.
«I risultati del test del DNA» taglio corto, girandomi ad affrontarlo. Pur volendo sembrare determinato, ho le mani sudate e il battito martellante del mio cuore tradiscono un certo nervosismo. «Voglio vederli».
«Tu come...» replica perplesso.
Non lo lascio finire. «Non ha importanza. Ciò che conta è che sono arrivati e tu non me l'hai detto. Perché?»
«Non lo ritenevo un argomento adatto a un matrimonio».
Aggrotto la fronte. Lo conosco troppo bene per non percepire che è turbato, glielo leggo dai muscoli induriti del viso e dalla tonalità cupa assunta dalle sue iridi verdine. «Dammeli» ordino categorico.
«Lo farò, ma domani. Hai la mia parola».
«Non me ne frega niente della tua parola! Li voglio vedere e basta! Ora!» protesto spazientito, spostandomi di fronte a lui.
«Non li ho con me».
Gli scocco un'occhiataccia. «William, per uscire da qui hai due alternative: darmi quei maledetti risultati, oppure prendermi a cazzotti. Scegli pure».
Con un sospiro arrendevole, Liam estrae un foglio ripiegato dal taschino e me lo porge in silenzio. Lo afferro con impeto e lo dispiego sul tavolo, con un po' di fatica a causa delle dita leggermente tremanti. Sono talmente in preda all'ansia che sulle prime non capisco nulla di quanto c'è scritto, poi torno indietro e...
Il mio mondo crolla.
«Mi dispiace. Posso solo immaginare cosa stai provando» afferma Liam con cautela.
Scuoto la testa più volte. «No. No, deve esserci un errore. Dobbiamo rifarlo. Non era a Sunset Hills in quel periodo. C'è un errore, sì. Un errore» lo ripeto come un mantra, all'infinito, certo che debba esserci una spiegazione logica.
«C'era, invece. Ho verificato ed è emerso che lo avevano espulso dall'istituto per ragazzi problematici a fine ottobre. Il suo ritorno in città è stato tenuto segreto e, un paio di settimane dopo lo stupro, è stato spedito in un'accademia in Florida con il jet privato all'insaputa di tutti. Per quanto ne so, non ha più rimesso piede a Sunset Hills per almeno tre o quattro anni e soltanto per visite sporadiche».
Avverto la sua stretta sulla mia spalla, ma mi scanso con un gesto brusco. Non voglio essere confortato, mi serve solo che mi dica che questo è uno stupido scherzo, o un sogno, o uno sbaglio.
Qualsiasi cosa, tranne la realtà.
Ma più ci rifletto, più noto come i pezzi si incastrano alla perfezione.
Matt che mi ha accolto tra gli Hallander, prima di chiunque altro.
Matt che mi ha sempre considerato il suo nipote preferito.
Matt che Alizée disprezza senza nessun apparente motivo.
Matt che ricade nella droga per un passato che ancora lo tormenta.
Esco di corsa in corridoio e mi incammino a pesanti falcate in direzione della sala da ballo. All'improvviso non mi importa di essere osservato da tutti né di quello che pensano di me. La mia unica consapevolezza è la rabbia che mi sta montando nel petto, come una scintilla che a poco a poco si trasforma in un enorme incendio.
«Fratello». Liam mi blocca sulla soglia. «Non puoi, non qui. La nostra famiglia...»
«Famiglia? Tu la chiami famiglia? Questa cosa disfunzionale costruita sul sangue di chissà quanti innocenti, tra cui tuo padre?» ringhio, scansandolo bruscamente.
Mi faccio strada in mezzo alle coppie danzanti. Sento una voce che chiama il mio nome, ma mi limito ad avanzare respingendo a gomitate chiunque mi sia d'intralcio fino ad arrivare al buffet.
«Ehi, piccolo Mo...»
Gli sferro un pugno in faccia con una forza che non sapevo neanche di possedere, tanto che Matt viene scagliato sulla torta nuziale e il tavolo si sfonda sotto il suo peso. Dolci di ogni tipo si sparpagliano sul pavimento, la piramide di calici esplode in mille frammenti e rivoli di champagne dilagano ovunque.
Elise mi guarda sconvolta. «Oh, cielo! Ma che sta succedendo?»
A quel punto capisco che non lo sa. Non ha la più pallida idea dell'essere che sta sposando.
«Diglielo!» grido furibondo, le mani serrate lungo i fianchi. «DILLE QUELLO CHE HAI FATTO! DILLO A TUTTI!»
La sala piomba in un silenzio innaturale, persino la musica si è interrotta. Le macchine fotografiche e le videocamere vengono puntate su di noi, ma non me ne preoccupo: anzi meglio, così da domani l'intera città sarà a conoscenza della vera storia e finalmente la memoria di Michael Waylatt cesserà di essere insultata.
Imbrattato di glassa e panna, Matt si rialza. Il suo sguardo è spento e rassegnato, come quello di un uomo che ha vissuto in un lungo sogno e adesso assiste impotente al crollo della sua illusione. «Klaus, per favore, andiamo a parlarne da un'altra parte. Da soli».
Il suo tono di supplica mi fa infuriare ancora di più e urlo di nuovo, così forte da avere l'impressione che mi si laceri la gola: «DILLO, VIGLIACCO! VOGLIO SENTIRTELO DIRE!»
«Matty, non capisco. Che cosa sta...» balbetta Elise confusa.
«Mi dispiace, Klaus. Mi dispiace per quello che...»
«NO!» Tremando dalla collera, lo spingo contro una colonna. «Non voglio le tue scuse! Non voglio ascoltarti! Non voglio neppure il tuo sangue nelle vene! VOGLIO SOLO CHE TU LO AMMETTA!»
Matt sospira, fissandomi con un lampo disperato negli occhi. Sono blu zaffiro, lo stesso colore delle pagliuzze che punteggiano i miei. «Sono tuo padre» dice infine, dopo una lunga pausa. «Ho violentato io Alizée, non Michael».
Elise ritira di scatto la mano dalla sua spalla, quasi si fosse scottata, rivolgendogli una smorfia di puro orrore. Una minuscola parte di me è dispiaciuta per lei, ma in questo momento riesco soltanto a provare un sadico piacere per la sofferenza impressa sul volto di Matt.
Ma non è ancora abbastanza.
Non ho mai desiderato così tanto fare del male a qualcuno, neppure quando stavo per premere il grilletto per uccidere Vincent. Voglio colpirlo fino a fargli sputare sangue, voglio prendere uno di quei pezzi di vetro e conficcarglielo nel cuore, voglio che soffra quanto ha fatto soffrire me e mia madre.
Se lo merita.
«Ti prego, Klaus. Cerca di capire. Avevo sedici anni, ero ubriaco e drogato, ero arrabbiato. Non so perché ho...» farnetica disperato. «Klaus, io neanche me lo ricordo».
Quelle parole mi fanno esplodere. Mi scaglio in avanti per assalirlo, ma una guardia della sicurezza mi afferra entrambe le braccia e mi trascina lontano da lui.
«Non osare giustificarti! Sei un verme bugiardo! Sei un codardo che ha lasciato che un altro pagasse al suo posto!» sbraito, lottando per liberarmi.
Matt scuote la testa. «Ho commesso un errore, Klaus. Un errore di cui mi pento ogni giorno da diciotto anni».
«SÌ, ECCOMI! ECCO IL TUO ERRORE!»
«No, non è vero. Sei nato dall'azione più terribile che io abbia commesso, ma rimani la sola cosa buona del mio passato. Perché tu sei puro, sei gentile, sei altruista, sei tutto ciò che non sono mai stato. Sei stato una luce meravigliosa nell'oscurità...»
Do un calcio al ginocchio della guardia e riesco finalmente a divincolarmi.
Mi avvento su Matt e gli assesto un pugno, sentendo l'osso dello zigomo schioccare contro l'anello. Gliene do un altro che gli spacca il labbro, ma ancora non accenna a nessuna reazione e questo mi fa ribollire il sangue nelle vene per la collera.
«Tutte le volte che mi sfogavo con te, che ti parlavo di lei, che ti dicevo quanto mi facesse soffrire il modo in cui mi trattava... e tu lo sapevi!» tuono, colpendolo alla cieca. «SAPEVI CHE ERA COLPA TUA! CHE DOVEVA ODIARE TE, NON ME! LO SAPEVI!»
Matt mi blocca i polsi e all'inizio penso che si sia finalmente deciso a difendersi, invece mi attira contro la mia volontà in un abbraccio a cui mi ribello con ferocia. Tenendomi a fatica, mi bisbiglia all'orecchio: «So che non potrai mai perdonarmi, non me lo merito. Ma su una cosa non ho mentito, Klaus: ti voglio bene e sono orgoglioso dell'uomo che sei. Un uomo migliore di quanto io sia mai stato».
«NON MI IMPORTA!» Lo respingo con tale veemenza da farlo barcollare e continuo a gridare: «NON MI IMPORTA UN CAZZO DI TE, CAPITO? NON SEI NIENTE PER ME! NIENTE! TI ODIO! DEVI SPARIRE DALLA MIA VITA! E DALLA SUA! LASCIA IN PACE MIA MADRE, HAI CAPITO?»
Gli sarei saltato addosso di nuovo, se Liam non si fosse messo in mezzo per impedirlo. Senza volerlo mi ritrovo ad attaccare anche lui, con lo sguardo infuocato concentrato soltanto su Matt.
Ma poi tra la folla di volti nella sala spunta quello di Eileen con un'espressione terrorizzata, che si sta sorreggendo a Simon altrettanto sconvolto.
Ed è allora che mi arrendo docile alla morsa protettiva di Liam, crollando contro la sua spalla. «Basta così, fratellino. Usciamo. Dai» mi sussurra pacato.
Gli permetto di guidarmi fuori dalla sala mentre i miei occhi rovistano nei paraggi in cerca di Keeley.
Sono quasi sollevato nel constatare che non c'è, quindi forse non mi ho qualche chance che non mi abbia visto in questo stato pietoso. D'un tratto però mi ricordo che Maxwell sapeva chi fosse mio padre, e con ogni probabilità anche lei, e che me lo ha nascosto esattamente come mio fratello. Come tutti.
La rabbia torna ad assalirmi.
«Non toccarmi!» sbotto, appena siamo arrivati in giardino.
Liam obbedisce, scrutandomi con il suo tipico atteggiamento di perfetto autocontrollo.
Lo fisso per un attimo. «Non azzardarti a seguirmi» sibilo ostile, poi mi volto e corro verso la mia Porsche.
Poso il mazzo di rose nere sul comodino e mi siedo esitante sul bordo del letto, osservandola.
Sta dormendo in posizione supina, con i boccoli ramati sparsi sul cuscino e un tubicino nel braccio che la collega a una sacca piena di liquido trasparente. In sette anni non è mai stata così vulnerabile, senza maschere o barriere, ma c'è anche qualcosa di insolitamente rilassato nei suoi lineamenti che la fa apparire ancora più giovane e bella.
«Mentre venivo qui, ho riflettuto un po'. Mi sono reso conto che ho passato tanto tempo a sentirmi in colpa, nonostante non abbia scelto io di nascere, ma ho commesso un errore. Perché non dovevo chiederti scusa» sussurro con voce rauca. La gola mi fa un male atroce. «Dovevo solo dirti che mi dispiace. Mi dispiace per quello che ti ha fatto, per quanto hai sofferto e anche per ciò che ci ha tolto. Se fra noi fosse iniziata in un altro modo, se avessimo avuto una sola occasione, forse avresti scoperto che non sono tanto terribile come figlio. E avresti visto me, soltanto me, non lui. Magari ti sarebbe piaciuto essere mia madre, chissà».
Dopo averle scoccato una lunga occhiata, prendo dalla tasca dei pantaloni il ciondolo d'argento. È stato rinvenuto sul luogo dell'incidente e messo tra i suoi effetti personali nella cassaforte dell'ospedale, ma ho costretto l'infermiera a darmelo.
«Ho pensato che lo volessi vicino». Abbozzo un sorriso triste, rigirandolo tra le dita. «Te lo ha regalato Michael, vero?»
Percepisco un movimento simile a un sussulto e ruoto la testa. Un brivido di disagio mi fa accapponare la pelle quando incrocio gli intensi smeraldi incastonati nel suo viso pallido, distorto da un malcelato stupore.
«Tu cosa...»
«So tutto» la interrompo. «Di Michael, di Liam, di Matt. Tutto».
Alizée solleva lo sguardo al soffitto, con un sospiro quasi sereno. «Già. Era ovvio che sarebbe successo, prima o poi».
«Perché non me l'hai detto? Mi sarei comportato diversamente con Matt, non gli avrei...» Tentenno. "Non gli avrei voluto bene" completo nella mia mente. «Se lo avessi saputo, ti avrei appoggiata per mandarlo via. Non avresti dovuto sopportare di averlo in casa. Non l'avrei preferito a te».
«Dirti la verità non avrebbe cambiato niente, di certo non il passato» mormora in tono fragile. «E comunque gli avevo promesso che avrebbe potuto far parte della tua vita, se avesse contattato Storm e l'avesse convinto a portarti a Sunset Hills. Sapevo che Maxwell avrebbe fatto qualsiasi cosa per riavere sua figlia e Vincent aveva paura di lui da sempre... Non avrei dovuto ricattarlo, è uno dei tanti rimorsi che mi porterò nella tomba».
Aggrotto la fronte, incredulo. «Mi hai voluto alla villa?»
«Matt non ha mai trovato il coraggio di cercarti. A me sono serviti undici anni, quattro figli e la gravidanza di un bambino malato per accettare che quel vuoto che avevi lasciato non si sarebbe colmato. Mi mancavi, anche se ero stata io a rinunciare a te». Socchiude le palpebre, deglutendo. «Ti immaginavo in una famiglia felice, con una mamma che ti amava, e mi ripetevo che non avevi bisogno di me. Che stavi bene. E quando ho scoperto che mio padre ti aveva affidato a un mostro, quando sei arrivato con quella cicatrice e quei lividi, quando ho visto il dolore che ti avevo provocato mandandoti via, ho desiderato che tu mi odiassi quanto odiavo me stessa».
Si lascia sfuggire un singhiozzo. «Almeno in questo non ho fallito».
Chino il capo e mi struscio furtivo la guancia con la manica della giacca, cancellando la lacrima calda che la stava solcando.
«Sappi che ho provato ad amarti, non c'era nulla al mondo che avrei voluto più di riuscire a darti l'amore che meritavi. Ma non ce l'ho fatta. Per quanto tentassi, continuavi a ricordarmi tutto quello che volevo dimenticare e vivevo nel terrore di farti del male. Per questo non potevi rimanere, per questo dovevi starmi lontano». La mano tremante di Alizée sfiora le nocche scorticate della mia, facendomi trasalire leggermente. È un gesto che sa di tenerezza materna, inaspettato e... bello. «Volevo solo proteggerti».
Con il cuore che mi tamburella contro la cassa toracica, torno a guardarla in volto. Sta piangendo e, per la prima volta, non c'è nulla in lei della donna gelida e sprezzante che conosco. Anzi, ho la sensazione che potrebbe spezzarsi solo a toccarla.
Non siamo mai stati così simili come in questo momento.
Le stringo la mano e lascio scivolare nel suo palmo la collana con l'aquila. «Ti perdono, mamma».
Le labbra di Alizée si piegano appena all'insù. Con uno sforzo si puntella su un gomito e allunga l'altro braccio per darmi una carezza, che mi paralizza sul posto per la sorpresa. «Non gli somigli per niente, e nemmeno a me». Si lascia ricadere sul materasso e aggiunge: «Sei meglio di entrambi».
Sono grato che non abbia fatto nessun tentativo di abbracciarmi, quasi i nostri sguardi fossero bastati a scambiarci il mutuo accordo di non farlo. C'è ancora troppo a dividerci, una montagna gigantesca di segreti e bugie e rancori che dovremo scalare giorno dopo giorno, senza sapere se arriveremo mai alla vetta.
Mi alzo ed esco dalla stanza, sentendo gli occhi che mi bruciano.
Dato che detesto gli spazi chiusi, supero l'ascensore e opto per scendere dalle scale. Quando sono fuori dall'ospedale, con il fiatone, mi dirigo verso la mia Porsche. Di colpo però mi viene in mente che è stato lui a regalarmela.
Mentre cammino sul ciglio della strada, passo di fronte a un senzatetto che si sta riscaldando attorno al fuoco insieme a un bambino di cinque o sei anni, probabilmente suo figlio. Mi fermo, metto qualche banconota nella tazzina per l'elemosina e lancio al piccolino le chiavi della macchina. Il padre mi guarda come se fossi impazzito.
«Buon Natale» dico allora con un sorriso.
Mi giro, infilo le mani nelle tasche e mi allontano nella direzione opposta al parcheggio. La neve continua a scendere fitta dal cielo nero trapunto di stelle, il gelo mi si insinua fin nelle ossa, ma le lucine colorate e le decorazioni natalizie che animano la città mi restituiscono un minimo di buonumore.
Giunto davanti al parco, procedo dritto fino al ponte di pietra e mi siedo sulla balaustra ghiacciata con le gambe a penzoloni.
Sfilo l'anello con il leone attorno al mio indice, guardo per un secondo la lettera "H" incisa sulla pietra d'onice e lo getto con tutte le mie forze nel fiume. Scintillando al chiarore della luna, compie un ampio arco a mezz'aria e lo sento affondare in acqua con un timido flop.
Me ne procurerò un altro, identico. Uno che mi ricordi che gli Hallander sono la mia famiglia, ma non per merito di Matt. Non gli devo nulla, al contrario di lui che ha nei confronti miei e di Alizée un debito che estinguerà andandosene. Per sempre, stavolta.
«Klaus».
Mi giro di scatto. A causa delle ombre che la notte dipinge sulla sua faccia, non riconosco subito l'uomo che si sta avvicinando sul ponte.
«Ehi, ciao» esclamo infine corrucciato, tirandomi in piedi. «Che ci fai qui? Non dovresti essere al matrimonio?»
Alan esala un respiro profondo, che si trasforma in nuvolette bianche che gli scaturiscono dalle narici. Nella penombra i suoi capelli castani sembrano neri, punteggiati di fiocchi candidi. «Sì, ma ti cercavo. Ho bisogno di te per una questione molto delicata» risponde serio.
Faccio per domandargli di che si tratta, ma il mio telefono prende a vibrare. Sollevo un dito per intimargli di aspettare. «Scusa, solo un attimo».
Afferro l'apparecchio e ho a malapena il tempo di leggere il messaggio inviatomi da Liam, prima che qualcosa di duro mi colpisca la nuca. Crollo a terra e, man mano che sprofondo nell'oscurità, quelle parole mi riecheggiano nella mente. Concise e lapidarie.
“Fratello, torna a casa. Toby è scomparso... e anche Keeley”.
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