7. DOMANDE SENZA RISPOSTA
L'ha portata qui solo per provocarmi.
Le parole di Klaus continuano a rimbombare nella mia mente, come se qualcuno le abbia impresse a fuoco dentro di me.
Per quanto mi sforzi, però, non riesco a capirne il significato.
Fin dal mio arrivo, ho avuto il presentimento che ci fosse qualcosa di strano.
Prima di tutto, sia Simon che Kal hanno avuto la sensazione di conoscermi, sebbene io sia certa di non averli mai incontrati prima. O almeno, non me ne ricordo.
Ma è davvero possibile che abbia rimosso una cosa del genere?
Eppure non avevo mai sentito il cognome Hallander, prima di quattro mesi fa, quando Alan mi ha detto che una certa Alizée Hallander era interessata ad adottarmi.
Ma, stando a quanto detto da Carol, non era solo interessata, ma ha anche faticato molto per ottenere la mia custodia. Ciò significa che voleva davvero prendermi con sé, e Alizée stessa ha dichiarato di avere "le sue ragioni" per averlo fatto.
Quello che non capisco è quali sono?
E cosa diamine c'entro io con il biondino?
«Mi sta esplodendo la testa» borbotto sbuffando.
Mi giro sulla schiena e sprofondo ancora di più tra le coperte di lana del mio letto a baldacchino. Sono sdraiata a fissare il vuoto da ormai mezz'ora, con i piedi sul cuscino come sempre, riflettendo su tutta questa assurda faccenda.
Appena finita la cena, ero tentata di andare alla ricerca di Klaus e tormentarlo fino a costringerlo a darmi una spiegazione.
Invece, Alizée ha imposto sia a me che ai suoi figli di tornare nelle rispettive camere, vietandoci di uscire prima di domani mattina.
Ovviamente, infrangere le regole non mi creerebbe nessun problema... se la porta della mia stanza non fosse stata chiusa a chiave dall'esterno.
Ho anche provato a forzarla, ma ho scoperto di non avere una vocazione come scassinatrice.
«E tu cosa pensi di tutta questa storia?» chiedo, sollevando il mento.
La gatta rannicchiata in cima all'armadio mi fissa con disinteresse, i suoi occhi gialli che risplendono come oro al chiarore della lampada.
«Devo ancora capire come tu sia finita in camera mia».
L'unica risposta che ottengo è un mugolio annoiato, poi la gatta torna a leccarsi il lungo pelo cinereo.
«Grazie per la collaborazione, eh!»
All'improvviso, il mio telefono vibra dal comodino. Mi protendo per afferrarlo e, tornando distesa, accetto la chiamata.
«Ehilà, Babbo Natale».
«Non ti chiederò il motivo di questo soprannome» afferma Alan. Ha una voce stranamente esausta, sebbene siano solo le nove di sera.
«Saggia decisione. Diventi permaloso quando si parla della tua età».
Sento un sospiro rassegnato dall'altra parte della linea.
«Com'è andata, Keeley? Tutto okay? Ti hanno dato da mangiare?» domanda preoccupato.
Alzo gli occhi al soffitto. «Sì, nonnina, ho mangiato. Ma sappiamo che mi vedrai comunque sciupata».
«Ehi, ti ricordo che assicurarmi che tu stia bene è il mio lavoro!» esclama indignato.
A quelle parole, una strana sensazione mi stringe la bocca dello stomaco.
Va bene, so che è il suo lavoro prendersi cura dei ragazzi affidati all'agenzia... ma dopo aver trascorso insieme l'estate, avevo sperato che almeno un po' tenesse a me.
Beh, in realtà, è piuttosto logico che non si sia affezionato molto, considerato che gli ho reso quei mesi un vero inferno, tra battute e scherzi.
Come quella volta che gli ho messo del pepe nel dentifricio. O quando gli ho cosparso il materasso di Nutella. Oppure quando l'ho rincorso per il loft sparandogli con un marcatore da paintball.
No, decisamente non è tenuto a volermi bene.
«Keeley, mi stai ascoltando?»
Mi riscuoto dai miei pensieri e annuisco. Poi mi ricordo che non può vedermi.
«Scusa, mi stavo preparando per l'orgia più epica della mia vita».
Posso quasi percepire la sua occhiataccia attraverso il telefono.
«Ti ho chiesto come ti trovi con Alizée».
Il suo nome riaccende i ricordi della conversazione che abbiamo avuto nel suo studio, di come abbia insinuato che mio padre se ne sia andato perché voleva liberarsi di me.
Per un attimo, una stretta al cuore mi rende difficile anche respirare.
Non mi importa ciò che pensa Alizée, ma le sue parole hanno risvegliato una paura così vecchia e profonda che ormai è diventata parte di me.
Forse è stata davvero colpa mia, se mi ha lasciata.
Sarebbe comprensibile.
So benissimo di non essere facile come persona, me lo hanno detto molte volte, e non lo ero neanche come figlia.
Magari si era solo stancato di sopportare me e le mie stranezze...
Nei sette anni da quando papà è partito, ci ho pensato spesso, ovviamente. E, man mano che il tempo passava, quel timore era diventato sempre più lancinante, come un seme attecchito che germogliava a poco a poco.
Ma ho sempre preferito fare finta di niente, ripetendomi che glielo avrei chiesto una volta che fosse tornato.
Il problema è che non l'ha mai fatto.
"Forse si è messo nei guai e non è potuto tornare" continua a suggerire una vocina nella mia testa.
Conosco abbastanza del passato di mio padre da sapere che non è da escludere.
E dopo ciò che è successo a mia zia... il giorno dell'incidente...
I dottori credono che sia stata solo la mia immaginazione, una fantasia creata dal mio cervello a causa del trauma.
Ma io so che non è vero.
Quell'uomo esiste... e sono convinta che cercasse mio padre.
«Keeley» insiste Alan. «Se hai avuto problemi con Alizée...»
Mi schiarisco la gola per liberarmi del groppo che vi si è formato.
«No, al contrario. Ho scoperto che ha un grande senso dell'umorismo».
Dentro di me, prego che Alan non si accorga della mia voce leggermente incrinata.
«Ti sei comportata bene con lei, vero?» obietta sospettoso.
«Intendi a parte quando le ho tirato delle caramelle in faccia?»
«Stai scherzando... giusto?»
Ignoro la domanda. «Alizée ha adottato anche un ragazzo, per caso?» chiedo, pensando a Klaus e alle parole di Alizée sul fatto che non fosse suo figlio.
«Cosa?» ribatte Alan, colto alla sprovvista. «No. Per quanto ne so, tu sei l'unica. Gli altri dovrebbero essere suoi. Perché?»
Di nuovo, fingo di non sentirlo. «E, per quanto ne sai, perché ci teneva tanto ad adottarmi? La tua agenzia lo avrà voluto sapere, no?»
Alan esita un attimo e, quando riprende a parlare, sembra che stia soppesando con cautela ogni parola.
«Non so quali fossero le intenzioni di Alizée, ma è possibile che lo abbia fatto solo per attirare su di sé l'opinione pubblica. Gli Hallander sono molto famosi e, per loro, nulla è più importante che preservare la propria immagine».
Fa una pausa così lunga da farmi credere che abbia finito, invece poi prosegue.
«In passato, la famiglia Hallander è stata spesso attaccata da importanti testate giornalistiche e, non molto tempo fa, è rimasta coinvolta in uno scandalo che ha danneggiato gli affari della loro azienda, oltre che il loro nome. Forse, Alizée pensa che adottare una ragazzina orfana con un passato difficile possa giovare alla sua reputazione».
Aggrotto la fronte, meditando attentamente sulle informazioni appena ricevute.
Potrebbe anche essere una teoria plausibile...
«È tardi. È meglio che tu vada a dormire, Keeley» conclude Alan.
«Aspetta! Cosa intendi? Di quale scandalo stai parlando?» mi affretto a domandare, avida di informazioni.
Alan rimane in silenzio per almeno un minuto, ma posso sentire il suono del suo respiro, un po' più rapido del normale.
«Buonanotte, Keeley». E riattacca.
Avrei voglia di scagliare via il telefono per la frustrazione, invece mi limito a riporlo sul comodino.
Prendo il mio pigiama con le orecchiette da coniglio sulle spalle e lo infilo, mettendo la maglia al contrario.
Spengo la lampadina e la camera viene avvolta dall'oscurità, trafitta dai bagliori argentei della luna che penetrano dalla finestra.
Mi getto sul letto e mi rannicchio tra le coperte, i piedi sul cuscino e la testa sul bordo inferiore del materasso.
Di colpo, tutta la stanchezza per questa orrenda giornata mi assale. L'ultima cosa che vedo sono due occhi gialli e spettrali sospesi nel buio, poi scivolo in un sonno profondo, nell'abbraccio dell'incubo che mi perseguita da mesi...
L'auto procede rapida in mezzo al placido traffico notturno di Clayton.
Seduta sul sedile anteriore, osservo le ombre che giocano a rincorrersi sulle facciate dei palazzi, che risplendono vivide tra le tenebre scacciate dalle luci dorate dei lampioni.
In lontananza, le sagome dei grattacieli svettano come giganti, scuri e imponenti, verso il cielo scevro di stelle. Un uniforme drappo di velluto nero in cui campeggia solo una timida falce di luna.
Continuo a cercare con lo sguardo il Lupo bianco, ma invano. Non ci sono stelle.
Papà non può vedermi.
Non stasera. Non senza la nostra costellazione segreta.
«Sei in punizione!»
La voce di zia Moira mi giunge come un'eco remota e distante.
«Tutta questa rabbia non è salutare. Dovresti ascoltare il tuo maestro di yoga: fai un respiro profondo e ritrova la pace interiore» replico, staccando la fronte dal finestrino, ma la mia mente è altrove.
Chissà se anche papà ha guardato il cielo come ho fatto io. Se anche lui mi ha cercata tra le stelle e gli ha fatto male quanto a me non avermi trovata.
Ha giurato che lo avrebbe fatto ogni sera. Ma non sarebbe la prima promessa che non mantiene...
«Oh no! Stavolta non te la caverai con qualche battuta, Key!»
Mi irrigidisco mentre un brivido scende lungo la mia schiena.
«Non chiamarmi così» sbotto scontrosa. «Solo papà può».
«Beh, lui non è qui» ribatte Moira furibonda. «E se ci fosse sarebbe deluso da te quanto lo sono io».
Parole che mi trafiggono come stilletate, che mi penetrano nella carne, scorrendo nelle vene come un veleno acido.
E allora smetto di ragionare.
Voglio solo che provi quello che provo io.
Quel dolore che solo una persona che ami può causarti. Un dolore covato per sette anni.
«Non mi importa niente di deluderti, o di te. Non sei mia madre quindi non fingere di esserlo».
Moira tenta di parlare, ma io la interrompo e aggiungo: «E comunque ti odio».
Allora vedo il suo volto per l'ultima volta.
I capelli mori, tagliati all'altezza del collo, tutti scompigliati. Gli occhi verdemare, così stanchi e tristi, che tradiscono tutta la sua sofferenza per le mie parole. La sottile cicatrice sulla gola, causata da un vecchio incidente, che spunta dalla camicetta.
All'improvviso, sento un boato assordante come di un'esplosione e il clangore stridente del metallo contro il metallo.
L'impatto si riverbera nelle mie ossa e mi scaglia di lato. Un dolore lancinante mi attraversa la testa, facendomi pensare che il cranio mi si sarebbe spezzato in due.
Poi tutto diventa confuso. Il mondo si spegne, perdendo i suoi suoni e i suoi colori.
Non riesco a percepire nessuna parte del mio corpo, solo un dolore atroce, come se si fosse fuso con il mio essere. Non sono nemmeno consapevole di stare respirando.
Anche il tempo sembra dilatarsi e contorcersi, come se i secondi si trasformassero in minuti interminabili.
La mia vista annebbiata mescola le immagini, che diventano scialbe e indefinite.
Vedo solo alcuni sprazzi nebulosi che balenano davanti ai miei occhi.
Il sangue denso e scuro. Una cortina di fumo nero. Le scintille scoppiettanti del motore. E un mostruoso furgone grigio ammaccato.
Un ronzio acuto mi lacera i timpani, rendendo i suoni ovattati e storpiati.
«Andrà tutto bene, Keeley» sussurra mia zia con dolcezza.
Tutto inizia a vorticare e, senza neanche accorgermerne, chiudo gli occhi, con il nome di mio padre che mi pende dalle labbra.
Dopodiché, ogni certezza che ho si dissolve.
Forse perdo conoscenza o forse no, restando sospesa sulla soglia tra sonno e veglia, tra luce e tenebra, tra la vita e la morte.
Fino a che un grido terrorizzato squarcia il silenzio surreale che mi avvolge.
Come se provenisse dal fondo oscuro di un baratro, sento la voce di un uomo.
Una voce simile al rombo di un tuono a cui mi aggrappo con tutte le mie forze, quasi fosse una fune gettata dall'orlo di un precipizio per aiutarmi a risalire.
«DIMMI DOV'È! DIMMI DOVE CAZZO È!»
«Non lo so! Lo giuro! Non lo so! Non me lo ha detto!» urla Moira in un tono di puro panico.
«Stai mentendo, puttana!» La voce dell'uomo è imbevuta di rabbia e di disprezzo. «Pensi che non sappiamo chi sei?!»
Segue un rumore sordo, poi mia zia strilla di nuovo e inizia a singhiozzare, implorandolo di avere pietà.
Non prega per sé stessa, ma per me.
Per me.
Malgrado ciò che ho detto, quella bugia che le ho lanciato addosso per liberarmi del dolore di una ferita che non è mai guarita.
Una ferita che è stata lei a far smettere di sanguinare... anche se questo Moira non lo sa.
E qualcosa dentro di me, una sorta di istinto, mi dice che ormai è troppo tardi e che non lo saprà mai.
Ho avuto tanto tempo, ma adesso è scaduto, e tutto ciò che mi rimane è il silenzio di una verità mai detta.
«Non farle del male, ti prego! Lei non sa nulla di questa storia! Non ha colpe! È solo una ragazzina! Una ragazza innocente!» grida Moira piangendo.
«Tutta questa storia è cominciata a causa di un innocente... e guarda quante vite sono state distrutte. A volte, il vero colpevole è chi non ha colpe» afferma l'uomo con una calma che lo fa apparire ancora più terrificante.
Moira risponde qualcosa, ma parla troppo piano e troppo veloce, come il malato che farnetica in preda ad un delirio, e non riesco a cogliere le sue parole.
«Se non sai dove è nascosto, allora sei soltanto una minaccia per noi. Ma ti consolerà sapere che non devi preoccuparti per... tua nipote, vero?» L'uomo fa una risata sguaiata, crudele. «Ho l'ordine di non fare del male alla ragazza... ma questo non vale anche per te».
E poi... lo sparo.
Angolo Jedi
Ciao, padawan! Volevo ringraziare tutti voi che leggete, commentate e votate la storia.
Spero davvero che vi stia piacendo.
Inoltre, volevo avvisarvi di leggere anche il prologo, se non l'avete già fatto (l'ho aggiunto dopo quindi potreste non esservene accorti), perché è fondamentale alla trama.
E mi raccomando: state attenti ai piccoli dettagli. Quasi tutto ciò che viene detto o fatto ha uno scopo ben preciso per la storia.
Grazie mille e vi aspetto nei commenti... adoro leggervi :-)
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