58. CODICE UMBRIDGE

La camera di Eileen è verniciata di rosa chiaro, con un elegante motivo di rose scolpito a bassorilievo nel fregio che corre lungo le pareti. Pur avendo le stesse dimensioni della mia, sembra meno spaziosa a causa della gigantesca cabina armadio di vetro –condivisa con il gemello– in cui è esposta la più grande e varia collezione di vestiti e scarpe che io abbia mai visto. Sul serio, potrebbe aprirci un negozio e diventerebbe più ricca di Bill Gates.

Dozzine di poster di attori e cantanti decisamente attraenti sono appesi a una bacheca di legno, gli scaffali sono pieni di candele profumate e riviste di moda mentre nelle vetrinette sono esposte scintillanti statuine di cristallo a forma di animali, oltre che braccialetti diamantati e collane di pietre preziose. Su una mensola, si trova una grande casa delle bambole in legno intagliata a mano: una perfetta riproduzione in miniatura della villa, abitata da dieci pupazzetti di stoffa che rappresentano l'intera famiglia, compreso il fantomatico zio Matt. Curiosamente, l'Alizée-fantoccio è infilzata con uno spillo.

Il letto a baldacchino, ornato da cortine di velluto lilla, è invaso da cuscini con ricami a traliccio; inoltre, dal soffitto scende una televisione al plasma posta con un'inclinazione perfetta per guardarla da sdraiati.

Ed è ciò che sto facendo in questo momento, appoggiata alla morbida imbottitura bianca della spalliera. Nonostante lo schermo sia acceso su un episodio di The Walking Dead, la mia attenzione continua a posarsi su Eileen che, in pantofole di lana e camicia da notte dalla scollatura in pizzo, marcia avanti e indietro in un turbinio svolazzante di ricci infuocati.

«Noi dobbiamo fare qualcosa» ripete con fermezza, incrociando le braccia sotto il seno. «Noi dobbiamo fare qualcosa».

Kal abbassa la boccetta di smalto color lavanda che era tutto preso ad ammirare. Appena è entrato, si è subito fiondato davanti al candido mobile da toeletta in stile europeo, dotato di tre specchi ovali, e ha iniziato a frugare tra i cassetti traboccanti di cosmetici.
«Ho un'idea». Una luce infervorata si accende nei suoi occhi neri, marcati dall'eyeliner verde. «Potremmo occupare la villa! Aspettiamo che mamma e papà escano e ci barrichiamo dentro!»

«Lo dici solo perché non hai voglia di andare dalla nonna». Simon spunta dalla cabina armadio con una montagna di maglioni tra le braccia. Ha gli occhiali storti sul naso e si è già cambiato, mettendosi un pesante pigiama di pile blu che lo rende soffice come un orsacchiotto. «Non farà caldo lì, vero?»

«Andiamo in campagna, mica in California» borbotta Edric, in piedi accanto alla finestra.

Con una semplice maglietta grigia un po' spiegazzata e dei ciuffi corvini che gli ricadono sul viso, il suo aspetto rispecchia quello del cielo, cupo e tenebroso. Infatti, fuori infuria ancora il temporale: una pioggia scrosciante picchietta contro il vetro mentre scariche di lampi squarciano le nubi, riempiendo la notte di luce e boati.

«Magari, almeno saprei cosa cantare durante il viaggio!» Afferro il telecomando e lo porto alle labbra a mo' di microfono, quindi urlo a squarciagola: «California here we come! Right back where we started from!»

Si aggiunge anche Kal, balzando sullo sgabello. «Hustlers grab your guns! Your shadow...»

«E basta voi due!» sbotta Eileen. Dato che fingiamo di non sentirla, afferra l'astuccio dal tavolo e lo scaglia contro il fratello. Non volendo subire la sua stessa sorte, mi ammutolisco.

«Ahia, era durissimo!» geme lui, stringendosi la spalla. Si butta sul parquet con un salto. «Ma che cavolo porti a scuola, sorella! Una mazza ferrata?»

«Di solito, duro è meglio». Faccio spallucce. «E comunque la mazza chiodata fa più male».

Simon scoppia a ridere, chinato sul divanetto di velluto argentato. Ma poi, quando gli rivolgo un'occhiata, arrossisce e riprende a infilare i pullover nella valigia.

«Non sono la stessa cosa?» Kal si butta di nuovo sullo sgabello. Quando si stiracchia, la t-shirt viola a cuoricini neri gli scopre l'addome ben definito fino all'ombelico. «Ed, c'è qualche differenza tra mazza chiodata e mazza ferrata?»

«Sì, ma hanno in comune che vorrei dartele in testa».

«Uuh, siamo di cattivo umore, oggi! Sei nervoso perché la tua nuova fidanzatina Rose verrà a vederti alla gara di nuoto?»

Edric trasalisce e torna girato verso la finestra, una maschera di noncuranza calata sul volto impallidito.

Eileen si blocca sul sottile tappeto a scacchi, al centro della stanza, puntandoci addosso uno sguardo omicida. «Vi devo ricordare che quella vipera di mamma che abbiamo ha cacciato Klaus? Sul serio non vi interessa?»

Quel nome mi colpisce con la violenza repentina di una scheggia.

Dopo l'acceso litigio di questo pomeriggio, scatenato dall'articolo pubblicato dal Sunset Times, Alizée lo aveva messo di fronte a un ultimatum: difendere pubblicamente la propria innocenza riguardo all'omicidio di Elizabeth oppure andarsene di casa all'istante.

Se Liam fosse stato presente, forse l'esito sarebbe potuto essere diverso; ma poiché a difenderlo c'erano solo la scarsa diplomazia di Eileen e le timide obiezioni di Simon, sommate alle battute insolenti che potrebbero essere sfuggite a me e a Kal...

Beh, non aveva chance.

E, così, lui l'aveva presa alla lettera.
Si è ritirato nella propria camera per prendere le sue cose ed è uscito una decina di minuti dopo con uno zaino in spalla, lasciando il suo anello di famiglia sul cuscino. Ricordo di aver pensato a quanto fosse bello, adornato da quel contrasto degli abiti neri con la carnagione chiara che metteva in risalto l'oro luminoso dei capelli.

Per il resto del giorno, non abbiamo avuto sue notizie. Persino Alaric non sapeva dove potesse essere, almeno a detta sua, fino a che non ha chiamato Liam alle nove passate, avvisando – testuali parole – che il "randagio era stato accolto nel rifugio per Hallander smarriti".

Ovviamente, però, nella villa si respira ancora un'aria alquanto tesa, anche per il fatto che nessuno ha gradito la decisione della Grande Dittatrice di battere la ritirata dalla sua madre francese, Jacqueline Blackwood.

«Certo che ci interessa, Leen». Simon le fa un sorriso comprensivo, arrotolando un paio di calzini. «Ma non possiamo farci niente...»

«Noi no». A rapide falcate, Eileen raggiunge la scrivania nell'angolo, invasa di modellini d'alta qualità di auto e moto. «Tu invece sì». Chiude di colpo il portatile, facendo cessare il ticchettio delle dita sui tasti. «Se solo la smettessi di ignorarmi».

Liam solleva lo sguardo. Malgrado sia ormai tardi, è ancora il ritratto dell'eleganza: un completo bordeaux di pregiata sartoria, sopra a un gilet in raso con bottoni dorati che gli aderisce al petto scolpito. Dal taschino della giacca sporge un fazzoletto di seta beige, abbinato al papillon.

«Nemmeno un sordo riuscirebbe a ignorarti, sorella» sospira bonario.

«Beh, allora muoviti!» protesta lei, indignata. «Agita la tua bacchetta magica e risolvi il problema, come sempre!»

Mi stiracchio, allungando le gambe sul materasso. «Vi prego! Anche Madre Teresa di Calcutta troverebbe un doppio senso in questa frase».

Simon ridacchia, fermo accanto al letto con le braccia conserte. Non mi ero nemmeno accorta che aveva finito di sistemare la valigia, che è ancora abbandonata sul divanetto accanto alla libreria. Sebbene voglia farmi credere di essere concentrato sulla televisione, noto che ogni tanto dardeggia lo sguardo su di me, come se stesse cercando il coraggio di chiedermi qualcosa.

«Non mordo, carotino». Faccio spallucce. «Al massimo scalcio».

Un rossore intenso gli tinge le gote. «Posso?»

«Se preferisci rimanere impalato a sbirciarmi di nascosto, fai pure».

Con una risatina nervosa, si stende esitante sul bordo del letto, così lontano da me che è un miracolo se non ruzzola sul pavimento. Si raddrizza gli occhiali con un gesto impacciato, poi si sposta un poco più vicino.

«Non funziona così, temo» ribatte Liam, aggiustandosi un polsino. Un fascio di luce improvviso gli illumina i lineamenti netti e spigolosi, gettando riflessi rossastri sui capelli castani, poi il fragore di un tuono rimbomba tra le mura della camera. «Convincere nostro padre è un conto. Nostra madre, invece, non sopporta essere messa alle strette: se anche avessi qualcosa da usare contro di lei, non...»

Eileen emette un verso trionfante. «Quindi hai qualcosa contro di lei!»

Lui risponde con un sorriso pacato, eppure sono certa di aver visto un'ombra velare le sue iridi verdeazzurre. «Parlavo per ipotesi».

«Secondo me, invece, ci stai mentendo. Altrimenti non la lasceresti vincere» lo incalza indispettita. «Klaus è un Hallander! E noi rimaniamo uniti: sempre e comunque».

La porta si spalanca di colpo, facendoci voltare tutti di scatto. Beh, tutti a parte Liam, che sarebbe in grado di restare tranquillo sulla poltrona anche se facesse irruzione un'anatra assassina con un bazooka.

Invece, a entrare è Tobias, infagottato in una pelosa tuta cremisi con lo stemma di Grifondoro ricamato sul petto e inserti scuri intorno alla vita. Il suo faccino imbronciato spunta da sotto il cappuccio decorato con i disegni di un paio di lenti rotonde e una saetta. Tra le braccine sottili, stringe un fagotto color cenere che si lascia beatamente grattare la pancia, facendo delle sonore fusa.

Dietro di lui appare anche Carol, avvolta in un abito di flanella a fiori. A giudicare dagli occhi celesti ancora gonfi e lucidi, deve aver pianto di nuovo; essendo molto sensibile, non le è stato facile accettare la scelta di Alizée di mandare via Klaus.

«Ehi, ragazzi. Vi ho portato questi per tirarvi un po' su» esordisce con voce esile, posando sul tavolo un vassoio. Sopra, ci sono sette ciotole ricolme di popcorn al cioccolato bianco.

«Grazie, Carol» replica subito Liam.

Kal si alza di scatto. «Sì, sei fantastica!» Corre a stamparle un bacio frettoloso sulla guancia, per poi appropriarsi della porzione (a suo avviso) più abbondante.

Simon la ringrazia ed Eileen le si avvicina per darle una pacca affettuosa sulla schiena. Eppure, è evidente che nessuno di loro sa come comportarsi, se cercare di rassicurarla in qualche modo o meno.

«Stai meglio?» domanda Edric all'improvviso. Nonostante la solita espressione distaccata, la sua voce tradisce una gentilezza che mi lascia di stucco.

Edric... gentile?

«Certo, tesoro» risponde Carol, dandogli una carezza dolce. Poi ci guarda a uno a uno con un sorriso piuttosto materno. «Oh, quanto mi mancherete! Fate i bravi dalla nonna, mi raccomando».

Gli enormi smeraldi di Tobias si sgranano. «Ma, ma tu non vieni?» mormora mogio, abbracciandola all'altezza dei fianchi.

«No, piccolo. Devo occuparmi della villa durante i lavori per l'installazione del nuovo sistema di sicurezza». La donna gli posa una mano sulla nuca con dolcezza, poi si indirizza verso l'uscita ma si ferma sulla soglia. «Voi sapete se vostro fratello ha cenato?»

«Sono sicura che Ric gli abbia dato qualcosa da mangiare» la rassicura Eileen.

«Mah! Secondo me, invece, lo terrà a stecchetto per fargli perdere i chili di troppo» commento, suscitando una lieve risata generale.

Carol annuisce, non troppo convinta. «D'accordo. Se lo sentite, ditegli che si è dimenticato lo spazzolino, per favore». Ed esce dalla camera, lasciando la porta socchiusa.

«Toby, pensaci tu, per favore». Accasciata sulla sedia, Eileen prende una manciata di popcorn. «Siamo nel pieno di un Codice Umbridge».

Il bambino rilascia un "Woo" sorpreso e si precipita a obbedire, ispezionando il corridoio sia a destra che a sinistra prima di chiudere. «Via libera» annuncia tutto serio. «Possiamo complottare contro la mamma».

«Ce l'hai con lei perché ti ha fatto tagliare i capelli?» sogghigna Kal divertito.

Lui si strattona forte il cappuccio del pigiama, che gli scende quasi fino al naso. «Non ne voglio parlare» brontola risentito.

«Mi spiegate questa cosa». Increspo le sopracciglia, confusa. «Se Crudelia è la Umbridge in questa metafora, noi saremmo l'equivalente dell'ES

«È vero, non ci avevo mai pensato!» Tobias, che ha appena depositato a terra Sparrow, spicca un saltello emozionato. «Però il nostro si dovrebbe chiamare "EK"».

«Esercito di Keeley?» suggerisco. «Va bene. Vi concedo l'onore di usufruire della mia popolarità...»

«No! Esercito di Klaus, perché dobbiamo riportarlo a Hogwarts come Silente!» Tobias corre a lavarsi le mani in bagno, poi ritorna saltellando e arraffa due ciotole dal tavolo. «Ma tu puoi essere il nostro Harry, se vuoi».

Faccio una smorfia compiaciuta. «Oh beh, non mi dispiacerebbe se dei centauri rapissero... EHI!»

Osservo il piccolo umano che si arrampica sul letto, insinuandosi nello spazio tra me e Simon – che non ne appare molto entusiasta. Mi si rannicchia così vicino che il profumo di miele della sua pelle mi arriva alle narici. «Nanerottolo, non ti ho dato il permesso!»

«Fammi stare, dai!» mi implora con tanto di labbruccio sporgente. «Ti ho portato i popcorn!»

All'inizio sono quasi tentata di ritrarmi, ma poi una strana sensazione mi si aggroviglia nel petto. Ci metto qualche secondo a rendermi conto che è un moto di tenerezza nei confronti di questo mostriciattolo. E, a malincuore, devo ammettere che non mi dà poi così fastidio.

«Solo per i popcorn» bofonchio, strappandogli una delle ciotole.

Un sorriso a trentadue denti illumina il visino triangolare del bambino, che però non dice niente e torna a guardare lo schermo.

Quando il silenzio viene riempito da rantoli e grida terrorizzate, Eileen interviene accigliata: «Potreste cambiare serie tv? Non voglio che Toby veda gente squartata».

«Tranquilla, gli zombie non mi fanno paura!» Tobias gonfia il petto con orgoglio. «Con Kal, ho guardato anche il Trono di Spade e lì c'è un tipo grosso e cattivo che fa esplodere il cranio di un altro a mani nude. Bum, come un uovo!»

«KALEB!»

«Sta esagerando, quella scena non era...»

Al calcio della sorella da sotto il tavolo, Kal emette un versetto di dolore. Per un attimo è sul punto di replicare, ma prima decide saggiamente di alzarsi e portarsi fuori dal suo raggio d'azione. «Andiamo! Alla sua età, io guardavo anche horror molto più cruenti!»

«Sarà per questo che sei venuto su così» replica Edric, scrollando le spalle larghe.

Kal gli si avvicina davanti alla finestra e gli cinge il collo con un braccio per costringerlo a chinarsi. Sulle prime penso che voglia dargli un pugno, ma poi tira fuori dai pantaloncini un tubetto di quello che sembra mascara. «Stai buono che ti trucco».

Edric sussulta. «Cos... No! Neanche morto!» Lo spinge via con una gomitata e si divincola fino a che riesce a sgusciare dalla sua presa. Si strofina una mano sul viso, guardandolo truce. «Trucca Keeley, non me! Che schifo!»

«È un'idea geniale!»

Scuoto la testa, categorica. «Assolutamente no!»

«E se prometto di struccarti io?» insiste Kal emozionato.

«Provaci e ti faccio a pezzettini da...»

All'improvviso, parte la suoneria di una canzone italiana e il cuore mi schizza in gola nell'istante in cui il telefono prende a vibrare nella tasca dei jeans. Non ho il tempo di prenderlo che mi ritrovo gli sguardi di tutti puntati addosso.

Liam si raddrizza di scatto sulla poltrona, con la micia grigia acciambellata sulle ginocchia. «È Klaus?»

A quella domanda, Simon si volta di scatto verso di me, corrucciato.

«Non è che se qualcuno mi cerca, deve essere per forza il biondino, eh» sbuffo seccata, odiando il lieve fremito nella mia voce.

Con le dita tremanti, sblocco lo schermo e controllo di sfuggita la chiamata. Una morsa di delusione mi attanaglia lo stomaco nel leggere la scritta "Numero sconosciuto".

Non che avessi sperato fosse lui, certo...

Scacciando quel pensiero, scivolo giù dal letto. Ripongo la mia ciotola di popcorn sul comodino e, dopo aver mormorato a Tobias di non permettere a nessuno di toccarli, pena la morte, mi ritiro nel bagno privato, ignorando le occhiate insistenti che mi premono sulla nuca. L'aria, ancora calda per i vapori della doccia, è intrisa della fragranza di cocco e gelsomino talmente intensa da stordirmi.

Porto il telefono all'orecchio. «Chiunque tu sia, hai la sfortuna di conoscermi in una giornata no, quindi ti consiglio di riattaccare. In caso contrario, non risponderò di eventuali danni alla tua salute psicologica per questa conversazione».

Una risata maschile mi arriva dall'altra parte della linea. «Sei proprio una furfante, piccola Storm, sai?»

Aggrotto la fronte. Sono sicura di conoscerlo, ma non riesco a collegare quel timbro gioviale a un nome. «Se non volevi sembrare un maniaco, hai fallito miseramente».

«Sono Salim Okri, ricordi? Qualche giorno fa, hai contattato Adam Greyson, il capo della sicurezza della sede di Clayton, dicendo che avevi una proposta per me. Mi ha riferito cosa mi offriresti in cambio e ammetto che hai destato la mia curiosità».

Mi balena davanti l'immagine del direttore della Walker Agency, basso e tarchiato, con pochi ciuffi bianchi a incorniciargli il faccione rotondo, e del suo ufficio dalle tinte orientali e africane. In effetti ho davvero chiamato Greyson, grazie al biglietto che mi aveva consegnato con il numero telefonico sul retro.

Ma è successo nel pomeriggio in cui Ian mi ha regalato il mio atelier e, parlandomi di mia madre, mi ha confermato che Salim non aveva mentito sull'amicizia tra Alizée e mia madre. Poi c'è stato "l'incidente" con Klaus alla fontana e il casino dell'articolo; fra tutto, non c'è da stupirsi che mi fossi dimenticata!

«Certo che te la sei presa comoda» esclamo irritata.

«Lo so, mi dispiace. Ma rifletto sempre prima di decidere se vale la pena correre un rischio o no». Lo sento emettere un sospiro mortificato. «Ahimè, sono un uomo d'affari».

«A quanto pare, hai deciso di sì». Trattenendo il respiro, aggiungo in un soffio: «Se io avessi il numero di targa... potresti rintracciare un pick-up per me?»

«Richiesta curiosa».

Un impeto di frustrazione mi assale. «So che hai i mezzi, basta balle!»

«È vero» conferma spensierato. «Ma anche gli Hallander ne hanno, molti più di me anche, e tu sei una di loro. Perché non chiederlo ad Alizée?»

«Perché di te non mi fido». Per un attimo, guardo il mio riflesso nell'enorme specchiera con finimenti in oro e argento. La chioma blu è scompigliata e la maglia al contrario mi ricade larga sul corpo magro. «Ma di lei anche meno».

«D'accordo. Se prometti che non mi chiederai altri favori, allora lo farò. Per tua nonna» precisa in tono gentile. «Spero che rispetterai la tua parola su...»

Annuisco, pur sapendo che non può vedermi. «Finita questa storia, proverò a riprendere l'agenzia, va bene? Potrai anche gestirla tu, per quanto mi interessa».

Posso quasi percepire il suo sorriso affabile. «Mandami la targa e farò il possibile per trovare questo pickup. Toglimi una curiosità, però: chi stai cercando così ostinatamente?»

"Mio padre" rispondo tra me.

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