55. MASCOLINITÀ TOSSICA
Un esile raggio di luce penetra dalla tenda scostata della finestra, rischiarando un poco l'atmosfera cupa della stanza. Fuori, l'alba è ormai sbocciata in una mattina spenta e scura, con un sole pallido nascosto dietro fitti stralci di nubi nere che si dispiegano sul cielo plumbeo. Un vento sferzante ulula tra i rami spogli degli alberi nel giardino, sollevando da terra turbini di foglie rosse e gialle che riempiono l'aria dei colori ardenti tipici dell'autunno.
Seduta a gambe conserte sulla poltrona, continuo a sfogliare lentamente le pagine dell'album, posato sulla scrivania. Mentre passo in rassegna le foto a una a una, la mia mente si anima di scene di una vita che non sapevo fosse mai stata vissuta e la consapevolezza che mia madre, per me, non è che un volto simile al mio e un nome vuoto diventa sempre più dolorosa.
Osservo lei e Alizée da bambine che passeggiano nel parco di Sunset Hills, mano nella mano, con una donna dai capelli argentati che deduco essere mia nonna. Poi sempre loro, alla mia stessa età, che bevono una cioccolata calda al Lucky House ed Elaine che prende in giro l'amica per essersi sporcata la punta del naso. E di nuovo, eccole alla consegna del diploma, finito il liceo, questa volta assieme a zia Moira – o meglio, a Céline Dubois – che però sembra tutt'altro che entusiasta.
Non posso non sorridere, quando me ne accorgo: probabilmente, anche allora detestava farsi immortalare, se prima non si era preparata e sistemata almeno per mezz'ora in modo da essere impeccabile.
A un certo punto, le ambientazioni si spostano all'estero, catturando alcuni dei viaggi in Italia della mamma da cui provengono le palle di vetro conservate nella mia casa a Baker Street; quelle che non ho rotto, almeno. In un'immagine, il trio di ragazze è in vacanza in un'affollata piazza di Roma, sullo sfondo della magnifica fontana di Trevi in stile barocco, intente a mangiare un gelato.
Dopodiché, stanno sorreggendo a fatica la torre pendente di Pisa, anche se nessuna di loro è riuscita a trattenere un ghigno divertito. In un'altra, si trovano accanto alla cosiddetta "casa storta" di Montmartre, fingendo di scivolare all'indietro per completare l'effetto ottico secondo cui il palazzo parigino dà l'impressione di sprofondare nel prato della collina. In un'altra ancora, ci sono solo mia madre e Alizée, che ridono sui divanetti del Caffè Florian di Venezia, con un vassoio di dolcetti e due tazzine fumanti sul tavolino.
Man mano che la vedo crescere sotto ai miei occhi, tuttavia, una domanda si ripete all'infinito nella mia testa, assillante come un mantra: come ho potuto non chiedere mai nulla di lei?
L'ho fatto per non far soffrire mio padre, o per non soffrire io?
D'un tratto, il cuore mi balza in gola. Mi ritrovo di fronte una foto scattata in una gigantesca sala da ballo piena di gente elegante, illuminata da lampadari con gocce di cristallo e candelabri sorretti da angeli dorati. E, in mezzo alle altre coppie, stretti uno all'altra, sono ritratti i miei genitori che ballano fissandosi dritti negli occhi, quasi fosse una sfida a chi distoglieva per primo lo sguardo. Entrambi dovevano avere vent'anni, circa.
Nonostante siamo pressoché identiche, devo ammettere che mia madre era bellissima quel giorno, più di quanto io sia mai stata. La sua lunga chioma biondo platino era raccolta in una complicata acconciatura formata da tante ciocche disposte in morbide onde, lucide per la lacca, fissata da una coroncina di rose bianche. Abbinato agli occhi ambrati e ai lunghi guanti, portava uno splendido vestito che le arrivava fino alle caviglie, ornato di perline e rivestito di lucenti paillettes azzurre e rosa, con una profonda scollatura sulla schiena.
Mio padre le cingeva il fianco con un braccio, le labbra incurvate in un sorriso, e la guardava come se fosse la cosa più meravigliosa al mondo. Rispetto a lei, era talmente in disordine da stonare totalmente nello sfarzo che li circondava: capelli arruffati, livido sulla guancia, una spiegazzata camicia nera con i lembi sporgenti, un paio di jeans infangati e la cravatta allentata attorno al colletto aperto.
Prendo un respiro profondo, ricacciando indietro le lacrime che mi offuscano la vista. Almeno, adesso ho la certezza che Ian non mi ha mentito. Aveva davvero un registratore, uno di quei vecchi modelli per le cassette con i fori dell'altoparlante in alto e una barra di tasti in basso. Lo teneva in mano in un paio di foto, ma se lo portava davvero ovunque è facile che per la maggior parte del tempo lo tenesse nella borsetta o in tasca, essendo piuttosto piccolo.
Non so neanche perché dovrebbe essere importante, un oggetto tanto vecchio che probabilmente neanche funziona più... eppure sento che cercarlo è la cosa giusta. Devo trovarlo, per qualche motivo.
E se già lo avessi, senza saperlo?
Mi alzo e raggiungo a passo esitante l'armadio. Mi inginocchio, rimuovo il cassetto inferiore e, con molta attenzione, lo appoggio sul parquet di faggio. In un piccolo vano, schiacciato contro il muro, è riposto lo scrigno che era appartenuto a mia madre, e che mio padre mi ha donato a sette anni. Non lo prendo da settimane, dalla domenica che ho fatto il tour della città con Simon, per la precisione.
Non ho ancora trovato il coraggio di afferrarlo che una voce mi strappa ai miei pensieri con un sussulto. «Keeley, sei sveglia?» chiede Carol, bussando piano alla porta. «Sei in ritardo per la colazione».
Mi affretto a rimettere il cassetto al suo posto e mi tiro in piedi, proprio nel momento in cui la maniglia si abbassa e dalla fessura spunta la testa della governante, incorniciata da una cascata bionda. I suoi occhi celesti mi esaminano un secondo, poi vagano per la stanza e si soffermano sull'album ancora aperto sulla scrivania.
Mi scrollo la polvere dai jeans in un gesto meccanico, malgrado non sarebbe necessario dato che il pavimento è pulito e lindo come sempre. «Potevo essere nuda, signora Ossa!»
Un lieve rossore si propaga sul suo viso paffuto. «Oh, ehm, scusa! È che Arianne mi aveva detto di averti chiamata, ma non scendevi e mi sono preoccupata che...» Si ammutolisce, forse intuendo che stavo scherzando, e abbozza un sorriso intriso di dolcezza. «Comunque, ora me ne vado».
«Aspetta!» Colpita da un'idea, attraverso la camera di corsa e rovisto rapidamente tra le foto del raccoglitore fino a che trovo quella che cerco.
Un giovane Ian – in pratica, la copia meno pallida di Edric – è seduto su una panchina fuori dal cortile principale della Black High School, con una giacca scura piegata sul gomito e un'espressione assente rivolta a un qualche punto lontano dall'obiettivo.
Al suo fianco, in bilico sullo schienale, un ragazzo gli sta stringendo la spalla, fissandolo di sbieco con uno sguardo che oserei definire adorante. Porta una divisa che sembra cucita da un ottimo sarto, tanto è aderente al fisico robusto, e il sole risplende sui suoi folti capelli color sabbia e sulla carnagione chiara del viso, costringendolo a socchiudere le palpebre.
Sono certa di non conoscerlo, o perlomeno non ha niente di familiare, eppure c'è qualcosa in lui che ha attirato la mia attenzione nello stesso istante in cui l'ho visto. Qualcosa che non mi convince.
Forse per il fatto che è presente in moltissime immagini, sempre appiccicato a Ian come se gli fosse stato attaccato con una colla molto resistente, per poi sparire del tutto nel periodo del suo fidanzamento con Alizée.
«Tu sai chi è?» chiedo, indicandolo. «Mister Muscolo, intendo».
Carol si avvicina dietro di me e appoggia una mano sul bordo della scrivania, aggrottando la fronte con fare dubbioso. Appena lo riconosce, le labbra le si dischiudono e si lascia sfuggire un "oh".
Arcuo un sopracciglio. «Deduco sia un sì».
«Questo è Jason».
«Come il tipo con la maschera da hockey in Venerdì 13?» Rilascio un sospiro ammirato. «Il suo machete è fighissimo!»
Lei ridacchia, imbarazzata. «Già». Raddrizzandosi, comincia a stropicciare la fettuccia di lana del suo grembiule bianco, chiaramente a disagio. «Era un grande amico del signor Hallander. Stando a quanto si dice, si sono allontanati perché Jason non... beh, non voleva che sposasse la signora Alizée».
«Perché no?» Emetto un verso sarcastico. «Anche se, in effetti, ci sono un milione di ragioni per cui "non sposare Crudelia" era un buon consiglio».
«Sono solo voci» taglia corto in tono incerto, scuotendo il capo. «La verità è che era un ragazzo che finiva spesso nei guai. Nonostante ne uscisse sempre grazie al denaro dei genitori, non godeva di una buona reputazione in città e il signor Hallander doveva... insomma, ecco...»
«Mantenere immacolato il suo nome?» suggerisco.
Carol trasalisce e mi scocca un'occhiata quasi disperata. «Ti assicuro che Ian è sempre stato un uomo molto buono, ma la sua famiglia aveva davvero bisogno del matrimonio con i Blackwood. Non merita di essere giudicare male per azioni di tanti anni fa».
Prima che io possa insistere sull'argomento, mi coglie alla sprovvista dandomi un buffetto affettuoso sulla guancia. «Ti conviene andare, tesoro, altrimenti quella brigata di sotto finirà tutti i biscotti alla mandorla che vi ho preparato».
Annuisco. «Prendermi per la gola. Ottima strategia».
Mi incammino verso la porta della stanza, lasciata socchiusa. Una parte di me è avida di ottenere altre informazioni, un'altra non vuole metterla in difficoltà; forse perché è la persona più gentile che abbia incontrato nella villa.
Giunta sulla soglia, mi blocco all'improvviso e mi giro, sbirciando un'ultima volta l'album rilegato in pelle rossa. «Tu credi che il passato possa tornare?» mormoro, senza neanche accorgermene.
Carol si sfiora distrattamente la pancia, un lampo di malinconia che le balena sulla faccia. «Non credo se ne vada mai. Ma guardare troppo indietro, Keeley, spesso ci impedisce di vedere quanto è meraviglioso ciò che abbiamo davanti».
Supero il corridoio tappezzato di dipinti, svolto a sinistra e arrivo fino alle scale. Sfreccio giù per i gradini a due a due, facendo la linguaccia alle cameriere che confabulano al mio passaggio. Ne incrocio una nel soggiorno che scoppia a ridere, accennando alla mia felpa bianca con il cappuccio sul petto; per tutta risposta, inciampo per sbaglio nel secchio d'acqua e sapone con cui si accingeva a lavare il parquet.
Ancora prima di entrare, sento un fracasso di voci concitate provenire dalla sala delle colazioni, tra cui si distingue con chiarezza quella sottile e acuta di Tobias che strepita "Hai mosso il gomito, non puoi!". Increspo le sopracciglia e varco la soglia a rapide falcate, restando abbastanza confusa dallo spettacolo che mi ritrovo di fronte.
La cucciolata è quasi al completo.
I ragazzi sono raccolti da una parte del tavolo rotondo, liberata da piatti e posate per fare spazio a Edric e Liam che stanno facendo braccio di ferro. Il primo è diventato paonazzo e, a giudicare dalla mascella contratta, si sta trattenendo dal gridare qualche insulto a Kal, che continua a dargli pacche sulla schiena e a incitarlo con riferimenti a varie saghe.
In mezzo a loro, Tobias funge da arbitro alla gara, saltellando tutto emozionato sulle gambe di Simon con la chioma corvina che gli oscilla sulle spalle, mentre quest'ultimo si preme un pugno sulla bocca e rivolge al soffitto una smorfia piuttosto sofferente.
L'unica che si rende conto della mia presenza è Eileen che, seduta in disparte, mi fa un cenno e torna a guardare i fratelli con aria rassegnata, spalmando una quantità possibilmente letale di Nutella sul panino.
Mi abbandono sulla sedia accanto a lei, prendo una ciotola e la riempio fino all'orlo di Froot Loops, dei fiocchetti di mais ricoperti di glassa zuccherata. «Hanno mangiato gli spinaci per colazione o Kal ha messo della droga nei loro succhi di frutta?»
«Nessuna delle due. Vogliono provare a vedere chi è il più forte» borbotta Eileen, riponendo il vasetto. La sua camicetta aderente, con rose blu ricamate su tessuto nero, le delinea le curve generose del seno e, attorno alla gola, porta un foulard bordeaux trapunto di perline che si sposa alla perfezione con i suoi boccoli ramati. «Cose da maschi. Ergo, cose da stupidi».
Verso il latte caldo dal bricco e lo mescolo ai cereali. «Sta vincendo il cliente fidato di Louis Vuitton?»
«Boh, penso di sì. Ma non importa». Eileen dà un morso al panino, deglutisce e dichiara con orgoglio, a voce abbastanza alta da farsi udire anche da loro: «Tanto il più forte resterà sempre papà».
Avverto una stretta spiacevole intorno allo stomaco, ripensando a quando anche per me mio padre era un eroe, il cavaliere in armatura scintillante che mi avrebbe protetta da qualsiasi male.
Ed era vero, peccato che questo non includesse lui stesso. Niente mi ha ferita più delle sue bugie e dei suoi segreti, dopotutto...
«Non mollare, Ed! La Forza è con te! Fallo per il bene superiore, fratello!» Kal cerca di scansargli le ciocche appiccicate alla fronte sudata, ma l'altro lo scaccia con uno sbuffo irritato. «Vinci in nome di Raziel! Fallo per... per...»
«PER GERONIMO!» mi aggiungo, e Simon ruota di scatto la testa per la sorpresa.
Con un colpo deciso, Liam riesce ad abbattere la mano di Edric, che produce un suono secco quando sbatte contro il piano di legno. Infervorato, Tobias inizia ad applaudire e balza in piedi così rapidamente da assestare una gomitata dritta ai gioielli di Simon, che impreca in un sussurro d'agonia: «Oh Gesù, uccidimi!»
«Non è possibile!» Kal spalanca le braccia, incredulo. Anche se non è truccato, la mancanza di glitter è compensata da una t-shirt scintillante di brillantini gialli a forma di smile, con sotto la scritta: "Uno stregone non è mai in ritardo... infatti, sono un babbano". «Ed, mi hai deluso! Se dovessi darti un voto, sarebbe il più basso della tua carriera scolastica!»
«Forse, se non mi strillavi nell'orecchio, ce l'avrei fatta!» commenta lui torvo, massaggiandosi le nocche arrossate.
Kal crolla sul bancone, con un biscotto di pasta frolla stretto tra le labbra. Lo spezza in due e comincia a masticare. «Stanotte ti metterò dei ragni dentro il cuscino».
«Che fantasia». Annoiato, Edric si srotola la manica destra della camicia grigia, che aveva tirato su fino al gomito. «Tu e Klaus l'avete già fatto».
«Già, e ti sei rifiutato di dormire nel tuo letto per un mese!» sogghigna dispettoso.
«Avevo undici anni, idiota!»
«Tocca a me!» soggiunge Tobias entusiasta, scoprendosi il braccino sottile. «Vuoi farlo anche con me?!»
Liam lo trascina delicatamente sulle proprie ginocchia e sorride. «Credo che non avrei nessuna chance contro di te, fratellino».
«Infatti, è ovvio che ci batteresti tutti!» rincara Kal convinto.
La mia attenzione viene attirata da Simon, che punta zoppicando nella mia direzione. È infagottato in un pesante maglione color tortora, chiuso sul collo da una breve fila di bottoni, e i riccioli rossi gli ricadono sugli smeraldi puntati su di me. «Ehi, buongiorno».
«Buongiorno». Prendo un boccone di cereali. «Ancora intero il compare?»
«Il compare?» domanda confuso.
Eileen rotea gli occhi, esasperata, ma rimane in silenzio a bere la sua spremuta d'arancia, con l'aria di chi non vuole proprio essere coinvolta.
«Non so come lo chiami. Secondo in comando?» Ottenendo in cambio solo un'espressione interdetta, preciso: «Oh, insomma! Il genitale legato ai tuoi cromosomi XY!»
Il viso di Simon avvampa, diventando della stessa tonalità dei suoi capelli, e muove istintivamente la mano sulla patta dei pantaloni. «Beh, ehm, sì. Sta... cioè bene. Sto bene».
Ormai violaceo, afferra il vassoio con gli ultimi tre biscotti alla mandorla e me lo porge. «P-per te. Li ho fatti lasciare io» balbetta con dolcezza. «Scusa se sono pochi, ma Kal ci si è praticamente buttato sopra».
«Spero non in senso letterale». Divoro un biscotto con un unico morso, poi deglutisco. «Non voglio mangiare i suoi germi e trasformarmi in un hobbit con l'eyeliner».
«Ti ho sentita, Marinette farlocca!» esclama Kal con finta indignazione, lanciandomi addosso un tovagliolo appallottolato. Siccome è troppo lontano, però, atterra sul pavimento a diversi metri di distanza da me. «Visto? Non sei l'unica che sa inventare soprannomi tipo... FRATELLO!»
«Se mi chiami così, potrebbero sorgermi dei dubbi esistenziali» ribatto, corrugando la fronte.
Con il suo passo felpato, Klaus supera la porta della sala e mi passa vicino, provocandomi un brivido lungo la schiena nonostante non mi abbia nemmeno sfiorata. Una larga camicia blu cobalto gli fascia il corpo flessuoso in maniera disinvolta, l'accenno di barba è sparito e i capelli biondi, appena lavati, sono così lucidi da apparire ancora più chiari del solito. Quando si china per dare un bacio sulla tempia alla sorella, incrocio di sfuggita le sue iridi, dello stesso grigio fosco del cielo nuvoloso di fuori.
«Lo sai che i Froot Loop sono cereali per bambini, ficcanaso?» mi chiede, sfoderando un mezzo sorriso.
«Che c'è, li vuoi tu?» Immergo il cucchiaino nella ciotola e vuoto in bocca una manciata di fiocchetti zuccherati. «Gnam, gnam».
Klaus ridacchia e mi ruba un biscotto con un gesto talmente veloce da schivare lo schiaffo con cui cercavo di fermarlo.
«Ladruncolo! Sei fortunato che gli amici dividono tutto» bofonchio indignata, mettendo particolare enfasi su quella parola.
Amici.
Una maschera indecifrabile gli cala sul volto, ma non ha il tempo di reagire che viene chiamato da Kal. Mi fissa intensamente per un istante annuendo, saluta Simon e Edric con un segno del capo e infine si allontana. Non sto trattenendo il fiato, eppure l'effetto è lo stesso che riemergere dall'acqua dopo essere stati in apnea troppo a lungo.
«Devi rivendicare il nostro onore!» lo implora Kal, buttandosi dal bancone. «Liam ci ha stracciati a braccio di ferro!»
«Oh, ti prego!» Eileen si colpisce la fronte, incredula. «Klaus, per favore, non unirti al circolo della mascolinità tossica. Dimostra che c'è ancora speranza per il tuo genere».
Lui scrolla le spalle, noncurante. «Saprei come farti perdere».
«Come non detto. Tanti fratelli e non se ne salva uno».
«Per la cronaca, io sono stato costretto» puntualizza Edric in tono svogliato, vuotando la tazza di latte caldo.
Liam sposta Tobias sull'altro fianco e si rimbocca i polsini della giacca verde menta, con risvolti neri di montone e un fazzoletto bianco nel taschino. «Liberissimo di provarci, fratellino» dice pacato.
«Consiglio spassionato, amichetto» intervengo, bevendo un sorso di succo. «Non sfidare mai un concentrato di steroidi ambulante».
Ignorandomi, Klaus bisbiglia qualcosa all'orecchio di Kal, che assume un ghigno malizioso e si precipita di corsa fuori dalla stanza. Poi si avvicina a Liam e gli appoggia un braccio sulla spalla.
«Toglimi una curiosità, fratellone». Un lampo impertinente gli balena nello sguardo, facendo risaltare la cicatrice sulla pelle pallida. «Che cosa vince, orgoglio o galanteria?»
Liam emette un brusco respiro, pur mantenendo il suo tipico atteggiamento tranquillo. «Sei così meschino».
«Lo so».
Simon posa il mento sul palmo, studiandomi con un'espressione perplessa. «Hai litigato con Klaus?»
Per poco, l'ultimo biscotto alla mandorla che stavo mangiucchiando non mi va di traverso. «Che?» obietto, tossendo per mandarlo giù. «No, perché? Siamo amici, adesso».
«Non lo eravate anche prima?»
Estraggo il coltellino svizzero dalla tasca e lo uso per limarmi le unghie. «Se tralasci quando mi ha investita, sì. Amicissimi». C'è qualcosa di omicida nell'occhiataccia che mi becco da Eileen.
«Bene». Simon mi sfiora timidamente il polso, fa per parlare ma poi un cipiglio interrogativo gli spunta sul viso.
Non ne capisco la ragione finché non vedo Kal ritornare, affiancato da una ragazza alta con una cascata di ricci scuri, vestita con la divisa bianca e nera da cameriera. Liam dardeggia subito i suoi occhi azzurrognoli su di lei, le labbra che si increspano in un sorriso sottile nel momento in cui si accorge che è arrossita leggermente.
Arianne si schiarisce la gola, tentando senza troppo successo di non guardarlo. «Che cosa vi serve, ragazzi?»
Klaus prende la parola per primo. «William vorrebbe fare braccio di ferro con te».
«Non è affatto vero» afferma prontamente il diretto interessato. «E non sei obbligata. Anzi, mi dispiace molto per il comportamento infantile dei miei...»
«D'accordo». Cogliendo tutti di sorpresa, Arianne attraversa spavalda la sala e gli si posiziona sulla sedia di fronte, facendo sghignazzare Kal. «Però non farmi vincere» sibila, puntellando il gomito sul tavolo.
Liam fa scendere Tobias dalle sue gambe e, con l'aria di un condannato a morte, le avvolge teneramente la mano nella propria, grande almeno il doppio. Anche da questa distanza, posso percepire il fremito visibile che quel tocco suscita nella ragazza. Quando viene dato il via, Arianne dà uno strattone e inizia a spingere, tutti i muscoli contratti per lo sforzo, ma ovviamente non riesce neanche a smuoverlo.
Dopo qualche secondo, Liam sospira e si lascia sconfiggere. Cogliendo lo sguardo di rimprovero di lei, si abbassa e le deposita un bacio lieve sulle nocche, tenendo le loro dita ancora intrecciate. «Scusa» sussurra mortificato, prima di sciogliere la presa.
Sia io che Kal ci sbellichiamo dalle risate. Klaus invece aspetta che Arianne sia uscita, poi rifila al fratello maggiore una gomitata scherzosa e ammicca: «Sei così prevedibile».
Eileen getta in disparte il giornale che stava leggendo. «Prendete appunti, cavernicoli».
«Beh, ho perso» dichiara Liam con leggerezza. «Dovrebbe provare qualcun altro. Klaus e Simon, magari».
Klaus torna improvvisamente serio. Il suo corpo si irrigidisce come quando viene toccato, la mascella serrata in una linea dura. «Non ho voglia» replica impassibile, prendendo delle strisce di bacon dal piatto. «E poi sono stanco. Non ho dormito granché».
Simon si alza, rivolgendogli un sorriso bonario. «Dai, perché no? Una rivincita per il tiro con l'arco di ieri». Si sistema gli occhiali storti sul naso. «Se preferisci, possiamo anche fare con la sinistra, visto che sei mancino. Così non sei in svantaggio».
«Che fratellino premuroso». Klaus gli lancia un'occhiata gelida. «Ma siamo in ritardo e vorrei fare colazione. Un'altra volta».
«Poi farete anche una gara a chi piscia più lontano, per caso?» sbotto sarcastica, rigirando il coltellino nel palmo. «Anche questo è molto mascolino».
«Ehi, c'è un articolo su di noi!»
Tutti ci voltiamo sorpresi verso il piccolo Tobias, che ha aperto il giornale sull'ultima pagina di cronaca, dove si trovano in fondo anche i sudoku e altri giochini enigmistici.
Eileen glielo strappa di mano, lo dispiega sul tavolo e inizia a scorrerne in fretta le righe, impallidendo sempre di più. Sia io che Simon ci protendiamo oltre la sua spalla, ma riesco a leggerne solo il titolo scritto in grassetto – "Rosa o giallo a villa Hallander?" –, prima che lei lo accartocci con foga sotto gli sguardi sbigottiti dei suoi fratelli.
«Che stupidaggine!» ringhia a denti stretti.
«Cosa dice?» La voce di Liam è così penetrante da farmi rabbrividire.
Eileen, però, non risponde. Sembra incapace di distogliere gli occhi da Klaus, che non tarda a rendersene conto e chiede, con una punta di amarezza: «È su di me, vero?»
«Non vuoi leggerlo, fidati».
«Sorellina». Corrucciato, Klaus percorre la sala e allunga il braccio per prendere il giornale ormai spiegazzato, ma Eileen glielo impedisce. «Sorellina» ripete minaccioso. «Se c'è un articolo su di me, ho il diritto di leggerlo. Dammelo».
«Perché? Sono solo...»
D'un tratto, Tobias pesta un piede a terra. «Uffa, io voglio sapere chi è Michael Waylatt!» urla imbronciato, incrociando le braccia sul petto. «Perché lì c'è scritto che è fratello di papà e zio Matt?»
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