54. SE NON È AMORE...
Klaus è rannicchiato a terra, con le ginocchia portate al petto e la schiena premuta contro il bordo della panchina. Le prime ombre della sera scuriscono l'argento dei suoi occhi, ma i bagliori rossastri del sole morente gli illuminano il viso pallido, svelandomi lo sguardo più strano che abbia mai visto. Un misto di sorpresa, sollievo e paura, come se il mio arrivo sia al tempo stesso la cosa più bella e più terribile che potesse succedergli.
So che è stupido, e forse anche sbagliato, eppure il mio primo pensiero è quanto sia incredibilmente attraente. La dolcezza con cui il venticello gli si insinua tra i capelli arruffati mi fa bruciare dalla voglia di passare le dita tra le sue ciocche color miele e la camicia scura che gli fascia il fisico snello risveglia il ricordo dei suoi fianchi sottili premuti ai miei.
Ma che cavolo mi prende?!
«Sai, ficcanaso, io e te dovremo discutere di questa cosa del dare ordini» sbuffa Klaus, alzandosi.
Aggrotto la fronte, cogliendo il tremito nella sua voce. Anche se cerca di apparire indifferente, ha i muscoli delle spalle in tensione e la postura rigida di chi è pronto a difendersi. Non capisco se sono io a innervosirlo così tanto, o magari c'entra la presunta conversazione con Alaric...
«Per me va alla grande». Lo indico con il mento. «Sei qui, no?»
«Sono serio».
Per la prima volta, ho l'impressione che sia davvero infastidito, malgrado ormai dovrebbe essere abituato al nostro gioco di punzecchiamenti. Sollevo le mani in segno di resa. «Sto scherzando, biondino. Che ne è del tuo british humor?»
Senza rispondere, Klaus si sfiora il bottone slacciato della camicia con un'espressione assorta. Poi scuote il capo, afferra il telefono abbandonato sulla panchina e lo ficca in tasca.
«Chi ti ha chiamato prima?» chiedo sospettosa. «E non dirmi il ragazzo gelloso».
Lui emette un sospiro pesante, evitando di guardare nella mia direzione. «Nessuno di importante».
«Per questo hai la faccia di uno che ha appena litigato con un Dissennatore?»
Quando incrocia le braccia sul petto in un gesto esasperato, la pietra d'onice incastonata sul suo anello scintilla. Ci sta giocherellando; un segno che ormai conosco e che significa che è agitato. «Cosa vuoi, Keeley?»
Spalanco la bocca, sbalordita. «Cosa vo... davvero? Ma hai battuto la testa, di recente?» Faccio una risata sarcastica. «Okay, ti do un indizio: piscina».
«Ah». Klaus sposta il peso da una gamba all'altra, continuando a studiare con snervante interesse l'altalena che oscilla lieve, avanti e indietro. «Beh, allora non c'è molto di cui parlare, no? È successo, ed è stato...» Prende a smuovere l'erba con la punta di una scarpa. «Lo sappiamo entrambi cos'è stato».
«Sì, un errore» completo in tono brusco.
Le mie parole gli strappano un sussulto, forse di sorpresa, e finalmente torna a guardarmi. Il suo viso è una maschera indecifrabile che non lascia trapelare nessuna emozione. «Infatti. Tra di noi non potrebbe mai funzionare».
Una stretta al cuore mi toglie il respiro per un attimo. Ha ragione, certo, ma avevo sperato almeno in una spiegazione. No, anzi, io la pretendo! «Allora perché diavolo mi hai baciata? Colpa degli effluvi del cloro?» sbotto frustrata.
«Non è né il momento né il luogo. Andiamo dagli altri».
Klaus si gira e si incammina lungo il sentiero di ghiaia che si snoda nel parco. Osservo la sua figura slanciata stagliarsi contro la distesa violacea del cielo, trafitta da nuvole purpuree simili a ferite sanguinanti.
Man mano che la notte avanza e il buio si infittisce, i suoi capelli biondi risplendono come una magnifica corona di oro e argento. Se non fossero piuttosto corti, sarebbero ondulati e folti, identici alla criniera di un leone; ironico, visto che è lo stemma degli Hallander.
Mi affretto a seguirlo e lo raggiungo in un largo piazzale ornato di cespugli irsuti, sassi bianchi e alberi spogli. Il silenzio del luogo, ormai deserto, è interrotto soltanto dal rumore scrosciante dell'enorme fontana circolare che si erge al centro.
Rappresenta la statua di un cavaliere che sorregge una spada, in groppa a un cavallo di pietra e, attorno al pilastro, zampilli e pennacchi d'acqua vengono sprizzati in alto dal fondo in un'esplosione gorgogliante di goccioline e schiuma bianca.
Il terreno è invaso di foglie secche che scricchiolano sotto i miei passi mentre punto decisa verso Klaus, che invece procede con agili falcate appena percettibili. Gli afferro il polso e lo tiro, facendolo voltare di scatto.
Brividi piacevoli cominciano a scendermi giù per la schiena nel rendermi conto di quanto gli sono pericolosamente vicina, abbastanza da respirare il profumo muschiato della sua acqua di colonia unito a quell'odore famigliare e buonissimo di... di lui.
«Voglio saperlo, qui e ora» affermo risoluta, sforzandomi di rimanere concentrata. «C'era almeno qualcosa di vero in quello che mi hai detto?»
Mi fissa per un istante. «Era tutto vero, Keeley. Tutto» mi sussurra, abbozzando un sorriso tenero. «Non credevo neanche di saper amare, ma il sentimento che provo quando ci sei tu è il più forte che io abbia mai sentito in vita mia. Se non è amore, non ho idea di cosa possa essere».
Abbassa la testa e socchiude le palpebre, con una faccia quasi sofferente. «Solo che... non sono sicuro di provarlo veramente per te».
Increspo le sopracciglia, più confusa che ferita. «Non ha senso».
«Forse, ma ho il terrore di amarti nel modo sbagliato. Non voglio ferirti». Klaus solleva un braccio e mi dà una carezza leggera sulla guancia, tracciando con il dorso dell'indice una scia infuocata sulla mia pelle. «Hai pianto per colpa mia?»
La domanda mi coglie alla sprovvista. Negli anni sono diventata così brava a nascondere il dolore che, di solito, non se ne accorge mai nessuno, ma avrei dovuto aspettarmi di non poter ingannare lui. Non esistono barriere per proteggersi da qualcuno che riesce a leggerti direttamente nell'anima.
Ripenso all'album di famiglia che mi ha regalato Ian, a mia madre incinta che aspetta di sposare l'uomo che ama e al destino crudele che ha infranto le promesse di quel futuro felice. «No» replico alla fine. «Non è colpa tua».
Un lampo di sollievo balena fugace nel suo sguardo, pieno di una dolcezza disarmante. Esita per un secondo, poi mi attira delicatamente a sé e mi avvolge tra le sue braccia, posando la sua fronte contro la mia. Posso percepire il suo respiro che accelera, il ritmo frenetico dei suoi battiti, ma mi costringo a rimanere immobile per non spaventarlo. È una sensazione troppo bella per rischiare di farlo staccare da me.
«Quindi, non vogliamo stare insieme, ma non riusciamo a stare lontani». Non posso fare a meno di guardare le sue labbra, leggermente dischiuse, con un taglietto sanguinante su quello inferiore: carnose, morbide, perfette.
L'eccitazione mi ribolle nel sangue, facendomi contorcere lo stomaco dalla tentazione di annullare la poca distanza rimasta tra noi. «Che facciamo?»
«Possiamo...» La voce gli esce in un sibilo. «Rimanere amici».
Amici.
Quel termine sembra così sbagliato associato a lui.
Io e Kal siamo amici, tanto che siamo stati accoccolati sul divano più di una volta e non ci ha fatto nessun effetto, neanche un po' d'imbarazzo. Questa è amicizia. Ma come posso essere amica di un ragazzo che desidero con tanta disperata intensità?
«D'accordo. Amici, allora» ripeto scettica, sollevando la testa.
Sto per ritrarmi, poi però incrocio di nuovo i suoi occhi grigi come la nebbia mattutina, screziati di pagliuzze blu. Lo stesso colore profondo e inquieto di un mare in burrasca, l'unico da cui mi lascerei volentieri trascinare fin negli abissi. E non resisto.
«L'ultima volta».
Prima che Klaus possa rispondere, mi sono già impadronita della sua bocca con foga, allacciando le mani dietro la sua nuca.
All'inizio, oppone una debole resistenza, teso come una corda di violino, ma infine si arrende e accoglie la mia lingua con piacere. Gli concedo tutto il tempo necessario per rilassarsi, per capire che non gli farò niente di male, e un gemito soffocato mi sale dalla gola appena, dopo qualche secondo, le sue mani cominciano a strusciarmi la schiena.
Con un movimento dolce, lo spingo ad arretrare fino a che i suoi talloni sbattono contro la fontana e Klaus si lascia cadere sul muretto, tirandomi piano a sé.
Mi metto a cavalcioni sulle sue gambe, con le ginocchia piantate intorno ai suoi fianchi, e gli premo i gomiti sulle spalle esercitando una lieve pressione. Ogni suo muscolo si contrae, ogni nervo teso allo spasimo, eppure si abbandona al mio invito, stendendosi a poco a poco sulla dura superficie di pietra.
Gocce d'acqua ci schizzano entrambi sul volto, gelide e pungenti, ma non mi importa; tutto ciò che conta è il sapore inebriante delle sue labbra, unito all'aroma metallico del sangue.
China sopra di lui, mi stacco dal bacio e mi prendo un momento per godere di quel corpo tremante che aderisce al mio, quasi lo completasse. Ascoltando il suono martellante del suo cuore che mi si ripercuote nel petto.
Con una mano ancora sul suo collo, gli faccio scivolare l'indice dell'altra lungo la linea morbida della mascella e seguo il solco della cicatrice pallida che risplende come ghiaccio al chiarore della luna, costringendolo a chiudere gli occhi al mio passaggio.
Mi blocco all'improvviso, rendendomi conto che non mi sta più stringendo. Anzi, è completamente immobile. «Scusa, ho esagerato» bisbiglio, ignorando a stento la bramosia che mi brucia nelle vene. «Dovresti fermarmi, se faccio qualcosa che non vuoi».
Faccio per alzarmi, ma Klaus mi afferra il polso e mi trattiene sopra di sé. «Non potresti mai farmi nulla che io non voglia». Mi sfiora una nocca con il pollice e posa il palmo della mia mano sulla propria guancia. «Toccami» ordina, o forse mi sta implorando.
Immergo le dita nei suoi capelli dorati, quasi luminosi nella crescente oscurità. So che non gli piace che glieli tiri, quindi mi limito ad accarezzarlo con tutta la delicatezza che possiedo. È ancora irrigidito e lo percepisco fremere di paura, una reazione difensiva su cui non ha nessun controllo, ma nel suo sguardo c'è una fiducia assoluta.
"Cosa provi, quando ti tocco?" vorrei chiedergli.
È un dubbio che mi tormenta da quel giorno in cui abbiamo guardato il tramonto al cottage di Céline, uno accanto all'altra sull'amaca: anche allora, mi era sembrato così spaventato e vulnerabile, fragile nelle mie mani, come lo è adesso sotto di me.
E se gli stessi facendo del male, senza volerlo?
Klaus rilascia un sospiro catartico, portandomi una ciocca blu dietro l'orecchio con un gesto simile a una carezza. «È una sensazione bellissima. E atroce» mormora, come se mi avesse letto nel pensiero.
Mi asciuga la tempia bagnata dal getto della fontana, il metallo freddo dell'anello che mi fa rabbrividire. «Il corpo ricorda anche quello che la mente dimentica, Keeley. E l'uomo cattivo, Vincent, quello che mi faceva era...» Deglutisce, annaspando alla ricerca delle parole giuste. «Doloroso. C'è una parte di me che continua a dirmi che quello è l'unico contatto fisico possibile e, quando qualcuno mi tocca, il mio primo istinto è di proteggermi, di lasciarlo fare, perché se rimango fermo e mi comporto bene mi farà meno male. Lui me lo ripeteva sempre».
Lo sento tremare ancora più forte e il bisogno di proteggerlo mi assale; gli deposito un bacio sul labbro, in corrispondenza del piccolo taglio, poi un altro sulla gola e affondo il viso nell'incavo della sua spalla, lasciando che mi abbracci per tranquillizzarsi.
«Quel mostro non ti toccherà mai più, Klaus» sussurro, inalando con avidità il suo odore dal colletto fradicio. «Ci sono solo io, qui. E con me sarai sempre al sicuro».
Non so per quanto tempo rimaniamo in silenzio, in quella posizione. Potrebbe essere un minuto come un'ora, per quanto mi interessa: sono trascorsi sette anni dall'ultima volta che mi sono sentita davvero a casa, ma mai quanto lo sono tra le sue braccia. Non esiste rifugio migliore del cuore di chi si ama più di qualsiasi altra cosa, perfino di noi stessi.
E ora, rannicchiata sul petto di Klaus che si alza e si abbassa a un ritmo sempre più regolare, con le sue mani aggrappate ai miei fianchi come se fossi per lui un'ancora di salvezza, su una fontana in mezzo a un parco vuoto, non posso negarlo...
Cavolo, se lo amo!
«Scusate, lungi da me voler disturbare...» esordisce una voce familiare, alle mie spalle.
Non sento il resto della frase: Klaus si solleva di scatto... e io cado dritta in acqua.
«Nostra madre sarà furiosa» borbotta Liam con disapprovazione, sfogliando pigramente il menù.
Da una decina di minuti ormai, ci troviamo in un piccolo ristorante dall'aspetto semplice e informale che dispone di una sala con i muri in mattoni e le travi sporgenti sul soffitto, dalla quale proviene un'intensa fragranza di pizza cotta nel forno a legna.
Noi invece siamo raccolti attorno a un tavolo, sotto un portico circondato da colonne, in un giardinetto rischiarato da lanterne che si affaccia al limitare di un bosco immerso nel buio della notte.
Grazie alla spiegazione di Simon, ho scoperto che siamo a ovest del fiume della città, sulla riva opposta rispetto al molo e al circo abbandonato in cui sono stata con Klaus. Avrei preferito non saperlo; l'idea di essere così vicina al luogo dove è morta Elizabeth, la mia sosia, mi ha resa improvvisamente più nervosa del solito.
Probabilmente per questo, durante tutto il tragitto fino a qui, non sono riuscita a liberarmi del presentimento che fossimo seguiti. Anche adesso, continuo ad avere l'impressione che qualcuno ci stia osservando, ma probabilmente è soltanto perché il cognome Hallander attira l'attenzione ovunque, soprattutto in un locale così fuorimano.
«Smettila di farne un dramma!» Accoccolata contro la spalla di Klaus, Eileen nasconde uno sbadiglio. «La mamma non ci ha mica ordinato di andare a cena da Oliver. Non può prendersela con noi, solo perché avevamo voglia di roba meno sofisticata di caviale e aragosta!»
Edric si apre il colletto della camicia con uno sbuffo, sistemandosi la catenina in oro bianco da cui pende il ciondolo del tridente. «Già, ti consiglio di dire questo, quando dovremo spiegarle come siamo finiti in un posto sperduto in mezzo al nulla».
Purtroppo, è seduto alla mia destra, quindi mi devo sorbire le occhiate di una giovane cameriera che approfitta di ogni ordinazione per passargli accanto.
«Ehi, l'idea è stata di Keeley!»
«Ho letto la parola "italiano" sull'insegna e i miei piedi sono entrati di loro volontà. Non è colpa mia» obietto in tono distratto, senza smettere di guardarmi intorno.
Il cielo è ridotto a un foglio d'inchiostro, squarciato da una luna solitaria, e soffia un venticello torrido che mi scosta i capelli umidi dalla faccia. Dopo il mio bagno involontario, sono diventati orrendamente crespi e gonfi -sia santificato il phon -, ma almeno mi rinfrescano un po'.
Liam solleva lo sguardo su di noi, accigliato. «La stiamo facendo preoccupare. Se io le scrivessi un messaggio per avvisarla...»
«Manderebbe la limousine a prenderci e fine divertimento!» Kal prende un altro pacco di grissini dalla cesta, scorrendo con l'indice l'elenco delle bevande. «Ehi, fratelli, secondo voi me lo danno uno spritz?»
Toby spicca un saltello sulla sedia. «Ne voglio uno anch'io!» Poi ci riflette, e aggiunge dubbioso: «È un'aranciata con le bollicine, vero?»
Klaus scoppia a ridere, arruffando la chioma corvina nel bambino con affetto. «Sicuro, peste».
Mi sporgo in avanti e lo fisso per un attimo, sperando che non se ne accorga. Le maniche della camicia sono arrotolate fin sotto ai gomiti e ha cercato di appiattirsi alla meno peggio i capelli biondi che gli avevo scompigliato.
A giudicare dalla frequenza con cui le sue dita affusolate indugiano sul bottone slacciato, è chiaramente ancora turbato per la chiamata di oggi pomeriggio, eppure sembra più rilassato da quando abbiamo lasciato il parco. Deve essere molto felice della sua decisione di rimanere solo amici... o per quello che è successo dopo?
No, non credo. Altrimenti, non si sarebbe messo nel punto del tavolo più lontano possibile da me!
«Ne dubito. Nessuno ha l'età per bere, qui» fa notare Simon, posizionato alla mia sinistra. «Voi cosa prendete? Hamburger?»
Klaus storce il naso. «Meglio la pizza».
«Oh, dai! Non ti piace l'hamburger? Sul serio?» domando sconvolta.
Eileen ridacchia. «Odia il pane».
«Il pane degli hamburger?»
«No, in generale. Di tutti i tipi». Kal sfodera un ghigno divertito. «Da piccolo, lo buttava nel water per nascondere alla mamma che mangiava la carne senza niente».
«Non odio il pane». Klaus circonda la sorella con un braccio, irrigidendosi un poco quando lei gli si stringe al fianco, e scrolla le spalle. «Solo che non mi piace molto».
La conversazione è interrotta dall'arrivo della cameriera. È una ragazza abbastanza bassa, con capelli color mogano legati in una coda di cavallo e le guance truccate di un rosso acceso. Indossa una maglietta nera aderente, con il logo del ristorante, in tinta con gli occhi scuri che dardeggia puntualmente su Edric.
Quando parla, la sua voce tradisce una lieve inflessione che non riconosco. «Che cosa vi porto?»
Accenno a Klaus con il mento. «Hamburger senza pane per il biondo della famiglia».
Lui mi rivolge una smorfia sarcastica e obietta mellifluo: «Ti rendi conto che saresti bionda anche tu, rompiscatole?»
La cameriera emette un verso stupito, impedendomi di ribattere. «Sei inglese» commenta, squadrandolo con uno sguardo di apprezzamento che si sofferma fin troppo sul bottone aperto sul petto.
Vorrei darmi uno schiaffo in questo istante: avrei dovuto allacciarglielo, lo sapevo!
Va bene che gli Hallander sono divinità, ma non può accontentarsi di ammirare Edric? E poi è legale flirtare con i clienti? Devo appuntarmi di cercarlo su Internet.
Klaus rimane interdetto un secondo, poi annuisce con un mezzo sorriso. «Sì, Londra. E tu sei... gallese, giusto?»
«Wow, complimenti! Non indovina mai nessuno!» ammicca la cameriera, sorridendo a sua volta. «Il tuo accento è più carino, però».
Mi schiarisco la gola. «Questa rimpatriata tra connazionali è emozionante, ma noi avremmo fame» bofonchio seccata, fingendo di non cogliere l'espressione corrucciata di Simon.
Dopo aver ordinato, raccogliamo tutti i menù e Edric, essendo il più vicino, li consegna alla ragazza, che casualmente gli sfiora la mano nel prenderli. Appena quest'ultima si è allontanata, tornando dentro la sala, Kal esplode e comincia a sghignazzare talmente forte che rischia di scivolare sul pavimento, tanto per cambiare.
Eileen emette un sospiro rassegnato. «Non è giusto. Quando siamo insieme, i bei ragazzi non ci provano mai con me, invece voi fareste conquiste anche in un ritrovo di pensionate!»
Klaus le dà un buffetto giocoso sul collo. «Questo perché i bei ragazzi sanno che siamo le tue guardie del corpo iperprotettive, sorellina».
«A proposito, fratello» gli dice Simon, guardandolo beffardo da dietro le lenti. «Se glielo chiedi con il tuo accento così carino, magari la cameriera ce lo dà, un po' d'alcol».
«Non saprei» replica Klaus con leggerezza, ignorando la punta di sfida in quelle parole. «Secondo me, le piaceva più Ed. Dovrebbe andarci lui».
Il diretto interessato accanto a me, che stava controllando l'ora sul suo Rolex, solleva subito la testa e la scuote con veemenza. «Neanche morto! Io non importuno nessuna ragazza!»
«Si chiama "corteggiare", Ed, e non credo le dispiacerebbe!» Kal sogghigna, dandogli una gomitata alle costole. «Forza, fratello! Proponile un baratto: due litri di birra in cambio del tuo numero di telefono!»
Edric lo fulmina con un'occhiataccia. «Non è il mio tipo, okay?»
«Il tuo tipo è un libro a copertina flessibile?» lo stuzzica lui.
«Lascialo in pace, dai!» Eileen picchietta l'indice sulla pancia di Klaus. «Vale anche per te».
Simon si avvicina con la sedia e mi prende la mano sul tavolo, intrecciando delicatamente le dita alle mie. Il suo tocco è caldo, ma gli occhi di Klaus che ci fissano, scuriti dal buio, bruciano come il fuoco dell'inferno.
Devo mordermi la lingua per non urlargli addosso che non ha nessun diritto di farmi sentire in colpa; lo sbircio attraverso le palpebre ridotte a fessura, giusto per dirgli "Siamo amici, no?", prima di voltarmi.
«Stavo pensando» mormora Simon, arrossendo in viso. «La mamma non c'è mai, la domenica sera. Potremmo approfittarne per... insomma, cenare. Sì, cioè, insieme. Io e te. Questa domenica, intendo».
Esito un attimo, mordicchiandomi il labbro. Sono una cattiva persona, se non gli racconto che io e suo fratello ci siamo baciati, ieri? O che ho praticamente pomiciato con lui, neanche un'ora fa?
D'altra parte, però, non c'è niente tra me e Klaus. È solo il mio nuovo amico con la cicatrice con cui ho avuto un piccolo scambio di saliva.
E anche Simon avrà di sicuro sbaciucchiato qualcuno in passato, tuttavia non è obbligato a parlarmene e nemmeno mi interessa che lo faccia. Inoltre, sa perfino che ho un ex e non ha mai chiesto il suo nome o altro...
«Ecco, e poi Hermione è amica di Harry, ma non deve giustificarsi per uscire con Ron!» esclamo d'un tratto.
Simon inarca un sopracciglio, confuso. «Ehm... che? Sarebbe un sì?»
«Sì, carotino». Apro una confezione di grissini e li mangio a "mitraglietta", come diceva mio padre, ovvero spezzettandoli a morsi rapidi man mano che li spingo dentro la bocca. «Sarebbe un sì».
«Scusate, una domanda seria» dichiara Kal a voce alta.
«Tu che fai una domanda seria?» Edric si versa l'acqua frizzante nel bicchiere e ripone la bottiglia sul tavolo. «La vogliamo proprio l'invasione aliena».
«No, davvero! Non posso essere l'unico che non ha capito come Keeley sia caduta in una fontana!»
Mentre Liam si scambia un'occhiata piuttosto eloquente con Klaus, io mi lascio ricadere contro lo schienale e biascico sulla difensiva: «A chi non capita di inciampare e finire in una fontana, di tanto in tanto?»
P.O.V. ALIZÈE
Con un gesto brusco, strappo la mia agenda dalle grinfie di Sparrow e la scaccio giù dalla scrivania, maledicendo fra me il giorno che ho permesso a Toby di tenere quella bestiaccia fastidiosa. Per tutta risposta, la gatta mi soffia e balza sul pavimento, per poi fuggire via appena la porta del mio studio viene spalancata.
Ian appare sulla soglia, appoggiato allo stipite. «Non ti piacciono proprio, i felini, vero?»
Felini, curiosa scelta del termine. «I cani sono meglio». Indico il portatile aperto davanti a me. «Sto lavorando. Che cosa vuoi?».
«Posso disturbarti?»
«Ormai l'hai fatto».
Prendendolo per un invito, Ian entra e richiude la porta alle proprie spalle. «Mi ha chiamato Oliver, tu non gli rispondevi. I ragazzi non sono andati a cena nel suo...»
«Lo so» taglio corto, raddrizzandomi sulla sedia. «Sono in un ristorante italiano, non lontano dal molo. Posto discutibile, ma tranquillo».
Lui aggrotta la fronte, a metà fra sorpreso e divertito. «Sono usciti con il tuo permesso, ma li tieni d'occhio comunque?»
Mi stringo nelle spalle, lasciate scoperte dal lungo abito smeraldo che mi arriva fino alle caviglie. «Li devo proteggere, in qualche modo».
La verità è che sarei disposta a pagare qualsiasi cifra, pur di sapere in ogni istante che cosa stanno facendo i miei figli, per avere la certezza assoluta che sono al sicuro.
Forse, questa è la parte più spaventosa di essere madre: tanti pezzi della tua anima che non puoi controllare, sparpagliati fuori dal tuo corpo, ma che rimarranno legati a te fino all'ultimo battito.
«O meglio, fargli fare ciò che vuoi tu». Facendosi serio, Ian si ferma dall'altra parte della scrivania e indica il giornale spiegazzato, accanto al laptop. «L'hai letto?»
«Sì, la tua fiamma del college è morta. Tragico, ma non mi riguarda». Abbozzo un sorriso ironico. «A distanza di vent'anni, ancora ti importa?»
Il suo sguardo si posa sull'aquila d'argento che mi pende sul petto, proprio nel solco tra i seni. «Il primo amore non si scorda mai, giusto?» sussurra con amarezza.
Mi irrigidisco e, d'istinto, sfioro il ciondolo quasi con una carezza. Il suo ultimo regalo, prima che il mio matrimonio lo portasse lontano da me, insieme a quello che è accaduto in seguito. Tutto per colpa di mio padre e delle mie stupide decisioni...
«So che stai cercando Maxwell, Gladys era sua amica e adesso questo incidente». Pronuncia l'ultima parola come se sputasse un veleno, guardandomi accigliato. «Dimmi che non c'entri».
Impiego qualche secondo a capire il vero significato di ciò che sta insinuando, dunque scoppio in una risata gelida. «Prima mi accusi di aver insabbiato chissà cosa sulla morte della ragazza che piaceva tanto a Klaus, ora credi addirittura che abbia ucciso la tua ex fidanzatina». Emetto un verso pregno di acido sarcasmo. «Con tutti questi hobby da serial killer, non avrò un momento libero».
«Nascondi qualcosa sull'omicidio di Elizabeth, non ne ho dubbi, ma non ho mai pensato che tu le abbia fatto del male. Io so chi era, in realtà» replica lui, prendendo una poltrona per sedersi.
«No». Sollevo una mano per fermarlo, poi indico un punto al mio fianco. «Vieni qui».
Senza protestare, Ian obbedisce e aggira la scrivania, appoggiandosi sul bordo della superficie d'ebano. È così vicino che il mio ginocchio, che spunta dallo spacco del vestito, gli sfiora la gamba; il suo desiderio di toccarmi la pelle nuda è evidente dal respiro sempre più pesante, ma sta aspettando di avere il mio permesso.
Questo mi provoca un moto di compiacimento: adoro l'effetto che gli faccio. E adoro avere il comando della situazione.
«L'hai trovato? Maxwell?»
«Se così fosse, gli avrei già restituito la figlia, no?»
Mi alzo e incrocio i suoi occhi, illuminati dalla luce soffusa del lampadario. Non lo amavo quando ci siamo sposati, ma anche allora dovevo ammettere che sono bellissimi: due magnetiche scaglie di ghiaccio che mutano al sole, diventando talvolta di un azzurro così luminoso da apparire bianco e altre di un blu intenso come il mare al tramonto.
«Riguardo a lei, le ho dato l'album. Non ho ancora capito perché non potessi farlo tu, però». Ian aggancia i pollici alle tasche dei pantaloni, anche se ho la sensazione che l'abbia fatto solo per tenere le mani ferme. «Hai tolto alcune foto».
«Alcune». Comincio ad aprirgli la camicia beige, sentendo il suo cuore accelerare a ogni bottone. Mi blocco a metà e gli accarezzo il petto, ampio e scolpito. «Per la cronaca, così posso vederti solo io».
Ian ridacchia, scuotendo la testa. «È stato un incidente, Ali. Non cerco di sedurre il personale. E poi per me ci sei solo tu» puntualizza, dandomi un bacio sulla spalla. «Curioso, però. Mi eviti, sei arrabbiata con me, ma fai la gelosa».
«Sei mio marito». Gli sfioro la cicatrice tonda sotto la clavicola destra, ben visibile sulla sua carnagione dorata. Una vecchia bruciatura. «Non sopporto che qualcuno tocchi le mie cose».
«Sarei una persona, non un oggetto, ma è quasi romantico da parte tua».
Riprendo a sbottonarlo e scendo fino a scoprirgli gli addominali, ammirando il suo fisico perfetto. Da giovane, ero convinta che sarebbe stato facile innamorarmi di lui: chi non avrebbe voluto un uomo mansueto, premuroso, gentile... e irresistibilmente attraente?
Ma l'esperienza mi ha insegnato una lezione importante: l'amore non nasce dalla bellezza, altrimenti io e Ian saremmo stati la coppia più felice della storia.
Ancora oggi, non sono sicura di come definire il sentimento che ci unisce, ma di certo ho imparato a fidarmi di lui. In fondo, è uno dei motivi che mi hanno permesso di superare quello che ho subito, insieme a Elaine. E ovviamente William, il mio piccolo William: ogni respiro che facevo era per il mio bambino, per proteggere il mio tesoro più bello e mio segreto più grande.
«Voglio che parli con Jason» sussurro in tono tagliente, premendo il mio corpo contro il suo, che si irrigidisce al suono di quel nome. «Quel ragazzo deve stare lontano da Edric. Non gli permetterò di alzare un dito su di lui. Nessuno farà mai del male ai miei figli».
«Jason non è più mio amico». La voce di Ian è tesa. «Comunque, per quanto ne so, non gli somiglia molto».
«La mela non cade mai lontano dall'albero».
La stessa frase che mi ripeto da diciotto anni, dal momento in cui presi in braccio quel fagotto urlante per la prima volta.
Dopo il parto, mi ero rifiutata per giorni anche solo di vederlo, ma era difficile ignorare i suoi pianti continui che nemmeno Carol riusciva a calmare. Alla fine, avevo accettato di fare un tentativo per esasperazione e quell'esserino biondo si era ammutolito di colpo, come se avesse capito che ero la sua mamma.
Ricordo che lo cullavo tra le mie braccia e l'emozione era così simile a quella che provavo nel tenere William, aveva perfino quell'odore unico sulla pelle che può avere solo il proprio figlio. Lo sentivo che era mio, e mi sembrava talmente fragile e innocente che mi odiavo per non riuscire ad amarlo come meritava.
Ma nei suoi occhioni grigi e blu c'era così tanto di lui, troppo... perché era anche il suo, lo sarebbe stato per sempre. E non lo volevo.
«Parla con Jason e basta» ordino con fermezza, voltandomi di scatto. «Non te lo sto chiedendo».
Ian si muove alle mie spalle e mi abbraccia da dietro con un sospiro. «Dovresti stare attenta, amore. Più tendi il guinzaglio, più dà fastidio il collare. Potrei stancarmi di obbedirti, prima o poi». Con una tenerezza adorante, mi bacia il collo, scatenandomi una serie di brividi. «Ti lascio lavorare».
Mi giro, lo afferro per la camicia e lo attiro a me in modo da sigillare la bocca alla sua. «Sono in pausa» mormoro, chiudendo il portatile.
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