46. STORM PT.1
«Per l'ennesima volta» ringhio a denti stretti, chiudendo con foga l'armadietto. «Non so con chi il biondino andrà al matrimonio, ma di certo non sarete voi, dato che non vi conosce neanche».
Per un secondo, le due ragazze mi fissano sconvolte dalla mia reazione, ma superano subito lo stupore e si scambiano un'occhiata speranzosa. A quel punto, devo lottare contro l'impeto di sbattere il libro di scienze che ho in mano sulle loro testoline. È un mostro di quasi seicento pagine, magari basta a tramortirle il tempo sufficiente a darmela a gambe.
Nel weekend, la notizia delle nozze di un Hallander ha fatto il giro della città ed è diventato il pettegolezzo prediletto sulle bocche dell'intera Black High School.
A quanto pare, non c'è essere femminile all'interno dell'istituto che non aspiri a essere l'accompagnatrice di un membro della famiglia protagonista del grande evento. Di conseguenza, appena sono scesa dalla limousine e per il resto della mattina, sono stata bersagliata di domande assurde sulla situazione sentimentale dei miei fratellastri, da parte di studentesse di ogni età.
Curiosamente, malgrado ancora tutti lo ritengano responsabile di un omicidio, Klaus è comunque il più gettonato, insieme a Edric. E questo, per qualche motivo, mi irrita profondamente.
«Tu ci hai mai parlato?» mi chiede la ragazza con una treccia che rasenta il fondo schiena, emozionata. «Che tipo è?»
La sua amica, con brillantini alle orecchie e un anello al naso, le dà una gomitata per zittirla e si rivolge a me. «Ma è vero che non si fa toccare da nessuno?» Senza aspettare la mia risposta, scuote il capo, facendo svolazzare i boccoli dorati. «Che peccato! È troppo sexy per sprecarlo così!»
Rilascio uno sbuffo frustrato. «Già, dovremmo lanciare un nuovo slogan "Salva un Klaus, portalo a letto"».
Ignorando il fastidioso bruciore al petto, ficco il libro nello zaino e mi apro un varco tra di loro con una spallata. Le supero e mi incammino lungo il corridoio affollato, ma percepisco decine di sguardi premere sulla mia nuca man mano che mi allontano. Un'audace bambinetta del primo anno tenta addirittura di fermarmi, strillandomi dietro per sapere se Edric è single o no.
All'improvviso, Kal spunta da dietro l'angolo e mi affianca. Il berretto a forma di Pikachu è storto sui capelli arruffati, il suo giallo acceso in contrasto con la maglietta magenta su cui campeggia la scritta "Fuck you" in arcobaleno. Niente trucco, come sempre a scuola, ma in compenso ha le unghie smaltate di nero.
Una luce euforica arde nei baratri neri dei suoi occhi. «Ricordami di dire a mio fratello che le sue fan lo reclamano!»
«Stai zitto» borbotto cupa, precedendolo su per le scale.
«Oh oh! Ti sei...» Kal si interrompe per spedire un bacio volante a una sua compagna che, passando, gli aveva mostrato un sorriso smielato. Poi si volta di nuovo. «Ti sei proprio svegliata con la luna storta, oggi!»
Mi lascio sfuggire uno sbadiglio esausto. «Magari, almeno avrei dormito». La mia voce, ridotta a un sussurro, viene sovrastata dal frastuono e, per fortuna, non mi sente.
Ho passato tutta la notte con lo sguardo puntato al soffitto della camera, immersa in un buio denso come inchiostro. I miei pensieri vagavano da un pezzo all'altro di quel puzzle che non riesco a decifrare: mio padre, Alizée, Michael, Elizabeth... E tutto mi riconduceva a Klaus.
Sempre a Klaus.
Più ci rifletto, più mi sembra che la mia vita gravitasse intorno alla sua fin dall'inizio, ancora prima che i nostri sguardi si incrociassero. Ogni decisione che ho preso e ogni azione che ho commesso seguivano la traccia di un filo che, invisibile e attorcigliato, ha guidato i miei passi fino a lui.
"Sei qui perché Klaus è nato". Forse, in fondo, in quella frase c'era più verità di quanta credessi.
«Keeley, stai per spiaccicarti tra tre, due...»
Mi riscuoto di colpo, rendendomi conto che sto andando dritta contro una colonna. Kal scoppia a ridere e gli assesto un calcio alla caviglia, ma ottengo in cambio solo un ghigno beffardo. Anche se sono di pessimo umore, non riesco a non trovare piacevole stare con lui.
Dato che non possiamo pranzare al Savage, non avendo il denaro per pagare a causa della punizione imposta da Alizée, siamo costretti a recarci alla mensa. Non l'ho mai vista prima ed ero abbastanza diffidente, soprattutto perché nel mio vecchio liceo ho avuto brutte esperienze con la brodaglia che servivano al posto del cibo -quasi ho perso un dente per colpa di un pezzo di ferro!- tuttavia ero certa che, in un istituto privato di queste dimensioni, la mensa non avrebbe potuto che essere altrettanto prestigiosa. E avevo ragione.
Appena io e Kal varchiamo la soglia, ci ritroviamo in un'enorme sala rettangolare dalle pareti rivestite di boiserie in pregiato mogano, lunghi tavoli sul lucido pavimento di legno laccato e un bancone adibito a bar, circondato da espositori straripanti di libri e opuscoli.
La gigantesca vetrata, talmente trasparente che potrebbe non esserci, è dominata da una serie di gradoni che si affacciano a un ampio solarium. Un'elegante scalinata conduce a una loggia che, chiusa in una colonnata, corre lungo il muro frontale e offre una zona di svago con slot machine, divanetti in pelle, bersagli per le freccette e perfino un tavolo da biliardo.
Un proiettore sta trasmettendo un documentario sulla civiltà dell'antico Egitto e la noiosa cantilena del conduttore fa da sottofondo all'incessante baccano di sedie spostate, forchette che raschiano sui piatti e grida esaltate.
Al nostro passaggio, diverse ragazze si girano e ci indicano, strepitando frasi confuse che si perdono nello schiamazzo generale, ma non ho dubbi di aver udito parole come "Klaus" e "matrimonio".
Dopo aver riempito i vassoi, individuiamo le due figure che si sbracciano nella nostra direzione, le loro teste ramate che spiccano nella folla, e ci avviciniamo destreggiandoci tra il labirinto di poltrone foderate e alunni in movimento.
Kal, che ha continuato senza sosta a vantarsi per la sua nuova popolarità, si ammutolisce con un rantolo strozzato quando si accorge della presenza di Amelia. A velocità incredibile, si affretta ad accelerare e si scaraventa sulla sedia accanto a lei con tanta irruenza da rischiare di ribaltarla.
Posizionato a capotavola, Simon mi accoglie con un sorriso affettuoso e butta lo zaino a terra, liberando il posto alla sua sinistra.
Mossa astuta, carotino.
«È un incubo!» geme Eileen orripilata, nel momento stesso in cui mi siedo. Si sta accanendo sui suoi bocconcini di pollo che infilza ripetutamente con la forchetta, schizzando pomodoro ovunque. «Per i prossimi due mesi, dovrò sopportare che tutta la scuola faccia sogni erotici sui miei fratelli! Che schifo!»
«Concordo» commento sarcastica. «Definirlo un delirio di massa degli ormoni sarebbe un eufemismo».
Il viso di Amelia emerge da dietro il manga che era intenta a leggere e ammicca all'amica con fare malizioso. «Beh, per forza. Onestamente, i tuoi fratelli sono dei gran fighi».
A quell'osservazione, Kal si cinge la nuca con le mani in un atteggiamento tronfio mentre Simon arrossisce e cerca di balbettare una sorta di strano ringraziamento.
«E anche vostro padre, in realtà» aggiunge, facendo spallucce.
Eileen fa un'espressione disgustata. «Questo non volevo proprio sentirlo».
Prendo un cucchiaio di purè di patate e lo faccio cadere sul piatto, lo stomaco ridotto a un groviglio contorto. Lasciando perdere la conversazione, i miei pensieri tornano a rivolgersi a mio padre per l'ennesima volta.
E, di nuovo, vengo assalita dal bruciante sentimento che mi corrode da quando ho lasciato l'appartamento di Gladys: rimpianto.
Ancora non mi sembra vero che, dopo sette anni di silenzio, ho avuto l'occasione di parlargli. Ma ciò che è davvero folle, illogico e stupido è che l'ho sprecata.
Avrei potuto chiedergli dov'è stato, scoprire cosa sia stato più importante di crescere la figlia che sosteneva di amare o pretendere di sapere il motivo di tutte le sue bugie sul suo passato. Invece, gli ho urlato contro... e ho passato le ore seguenti a pentirmene.
«Ehi». Simon mi accarezza il gomito con delicatezza. «Tutto bene?»
Prima che possa proferire parola, nella mensa si diffonde un brusio eccitato. Mi giro e vedo Edric che procede verso di noi, scortato da un gruppetto di ragazze che gli fanno cenni o lo chiamano a gran voce per attirare la sua attenzione, parlottando e facendo risolini quando risponde con un pigro gesto della mano o un saluto svogliato.
Giurerei di aver sentito anche una di loro strillare: «Sei bellissimo!» ma preferisco illudermi che sia stata solo una mia impressione.
E, in effetti, oggi è particolarmente attraente.
I capelli corvini, ribelli come sempre, giocano un meraviglioso contrasto con la camicia bianca che gli fascia il corpo quasi come una seconda pelle, accentuando le spalle larghe e le braccia muscolose a cui si contrappongono i fianchi sottili e snelli. Il ciondolo del tridente gli oscilla sul petto scolpito, lasciato scoperto dal colletto aperto e il brillio degli zaffiri si sposa con le sue iridi di un azzurro freddo e pallido.
Kal prende a contorcersi in preda alle risate, stringendosi la pancia, e per poco non scivola a terra. «Che entrata gloriosa, fratello!» sghignazza canzonatorio.
Nonostante tutto, non mi trattengo dall'accoglierlo con un fischio canzonatorio. «Tutto merito del fascino da tenebroso, eh?»
Edric si affloscia sulla poltrona vicina alla mia. «Chiudete il becco» sibila cupo, posando il vassoio. «Prima una psicopatica mi ha seguito in bagno perché voleva sapere se uscissi con qualcuna».
«Momento, momento. Fammi capire». Kal solleva un dito, guardandolo incredulo. «Le ragazze cascano ai tuoi piedi come se fossi il cantante di una boyband... e ti lamenti?!»
Di nascosto, estraggo il telefono usa e getta dalla tasca ed esito per un momento, incerta se provare a contattarlo di nuovo. Durante la notte insonne, ho fatto un paio di tentativi, ma per una volta papà ha rispettato la sua parola: non ha mai risposto.
Mi ha ordinato di non indagare, di starmene buona e non creare casini, ed è sparito ancora. Nessuna spiegazione, nessuna risposta, soltanto altre domande.
Può scordarselo!
«Voi Hallander dovreste creare una rivista porno e mettere Klaus in copertina. Diventereste ancora più ricchi». La voce, quella voce, mi riporta bruscamente alla realtà con un sussulto.
Alaric si sporge in avanti, puntellando un gomito sul mio schienale. Il suo solito odore di gel è mescolato con un aspro profumo di limone che mi punge le narici. Sta esplorando il corpo di Edric con gli occhi perlacei che brillano di bramosia, insinuandosi sotto i bottoni aperti sul torace.
Anche se non la sta nemmeno sfiorando, quest'ultimo diventa paonazzo sulle guance e china la testa, come se volesse sprofondare sotto il piano del tavolo.
«Parlando di sogni erotici...» obietto, mettendo via il telefono.
Comincio a squadrare il ragazzo asiatico con diffidenza, alla ricerca di qualche indizio che mi suggerisca che sia lui, l'uomo che ho visto nel circo, e che ha ucciso mia zia. Eppure, tranne la stessa stazza massiccia, non riesco a trovare niente.
Non che mi aspettassi un'insegna al neon sulla faccia: "Sono un pazzo omicida, arrestatemi".
All'improvviso, mi torna in mente un particolare e abbasso lo sguardo sulla sua gamba destra, i cui muscoli sono messi in risalto dagli strettissimi pantaloni di calzamaglia. Una ferita non guarisce in due giorni, in teoria...
«Per favore, fino a ieri erano tutte convinte che Klaus fosse un serial killer! Vogliono solo poter leggere i loro nomi sui giornali e scroccarci un po' di fama!» sbotta Eileen irritata, tirando fuori uno specchietto da una custodia di madreperla. Prende una trousse argentata, tempestata di paillettes, e comincia a sistemarsi il trucco. «Spero davvero che ne valga la pena e che questo matrimonio sia una cosa seria, altrimenti giuro che ucciderò Matt, stavolta!»
«Prima di vostra madre, intendi?» ridacchia Amelia.
Alaric corruga la fronte. Staccare lo sguardo da Edric sembra costargli uno sforzo immenso. «So che Klaus lo venera, ma onestamente non credevo che vostro zio si sarebbe mai sposato. A parte a Las Vegas, certo».
Simon scrolla le spalle. «In effetti, non è mai stato proprio il tipo da... insomma, relazioni stabili. O relazioni, in generale».
Con un lampo di desiderio, Kal segue i movimenti della sorella che si sta mettendo un mascara dorato, senza accorgersi che Amelia lo sta osservando stranamente corrucciata. Conoscendolo, deve morire dalla voglia di farselo prestare.
«Oh sì! Quell'uomo è un grande» dichiara con orgoglio. «Ed è anche il parente meno noioso che abbiamo. Pensa che, quando aveva la mia età, andava a letto con donne di quaranta o cinquant'anni».
«E come mai il toyboy e Crudelia non vanno d'accordo?» replico, continuando ad allungare occhiate in tralice ad Alaric.
«Non ne abbiamo idea. Mamma lo odia da sempre a quanto ci risulta, anche se il loro rapporto è peggiorato con l'arrivo di Klaus. Forse perché Matt lo ha accettato più facilmente dei nostri genitori: ha perfino costretto papà a dargli il nostro cognome». Eileen si blocca con il rossetto a mezz'aria, riflettendo. «E poi sono persone completamente diverse. Voglio bene allo zio, ma spesso ho il sospetto che abbia la sindrome di Peter Pan o roba del genere. È un bambinone di trentacinque anni, in pratica».
«Ripeto, un grande!»
«A proposito di parenti». Sollevo il mento e, ruotando sulla poltrona, scruto attentamente Alaric, ancora in piedi dietro di me. «Hai fratelli? Cugini? Padri? Esseri maschili che ti somigliano?»
Il ragazzo increspa le sopracciglia, colto alla sprovvista. «Ehm, no. Sono figlio unico. E, a parte mia madre...»
«La escluderei, a meno che non sia la versione femminile di Rambo».
Esita per un attimo. «D'accordo, farò finta che questa tua curiosità non sia inquietante» riprende perplesso, allungando le vocali della prima parola. «Ho solo mio padre, che vive in Virginia, anche se non sono del tutto sicuro che si ricordi di avere un figlio». Cogliendo il mio sguardo interrogativo, aggiunge con una punta di amarezza: «I miei sono divorziati da quindici anni e lui non torna a Sunset Hills da... beh, da allora. Se si esclude qualche toccata e fuga, ogni tanto. E, per rispondere alla tua domanda, no. Non ci somigliamo granché».
Superato un primo momento d'impaccio, rimango a studiarlo con interesse clinico ancora per un minuto, infine con molta noncuranza gli sferro un pugno all'altezza della coscia.
Alaric sobbalza e fa uno scatto all'indietro, più per la sorpresa che per il dolore, massaggiandosi il punto colpito. «E questo perché?»
«Ha fatto male?» domando, sotto gli sguardi stupiti degli altri.
«Non molto, ma non capisco...»
Faccio un gesto vago con la mano. «Niente, lascia stare. Dovevo accertarmi che tu non fossi un potenziale omicida».
E adesso mi rimane solo un ragazzo con cui devo parlare...
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top