42. AMORE FRATERNO

P.O.V. KLAUS

«Hai una faccia da schifo, fratello» ridacchia Kal.

Con uno sbuffo, mi lascio cadere di peso sul divano e affondo il viso tra i cuscini di pizzo. Siamo tornati già da mezz'ora, ma ho avuto il tempo solo per lavarmi e farmi medicare il polso da Carol.
Finalmente, mi sono liberato dei vestiti fradici, sostituiti con uno spesso maglione di lana nero e una giacca di jeans altrettanto scura. Dalla manica sinistra sporgono le bende bianche che mi fasciano i tagli ancora pulsanti, scavati nella carne.

Nonostante il tepore che avvolge il soggiorno, animato dal fuoco scoppiettante che danza tra le fauci del camino, il gelo che si è insinuato tra le mie ossa continua a farmi rabbrividire. Stando al termometro, la mia temperatura rasenta i trentotto gradi e mezzo.

Non ricevendo risposta, Kal si allunga dal pouf su cui è appollaiato e mi dà un buffetto sulla nuca. A volte, è più insistente di Toby quando vuole costringermi a dargli il mio gelato o a comprargliene un altro, dopo che ha finito il suo.

«Smettila» farfuglio, scuotendo la testa per scacciare la sua mano. «Ho sonno».

«Ma se hai dormito per tutto il viaggio!» La voce di Keeley è intrisa di una sfumatura ironica. Tanto per cambiare. «Sia andata che ritorno. Ti stai trasformando in un bradipo, per caso?»

Mi ribalto sulla schiena e il mio cuore viene stretto dalla morsa di un sentimento senza nome. Keeley è stravaccata sulla poltrona davanti al ripiano con le preziose statuine di Capodimonte di Alizée. Le sfumature rosate del tramonto si riverberano sui suoi capelli blu, lucidi per la doccia recente. Le pietre d'ambra sul suo viso brillano come se fossero cosparse di polvere di stelle.
Anche con una semplice felpa -rigorosamente al contrario- e un paio di jeans sbiaditi, è talmente bella da togliermi il respiro.

Guardandola, vengo colpito da due dolorose consapevolezze, e non so quale sia peggio: che si è messa nel punto più lontano da me, o che sia anche quello più vicino a Simon.

So che è giusto così, che sono io a sbagliare, ma nel mio egoismo non posso evitare di pensare che darei qualsiasi cosa per avere altri cinque minuti da solo con lei.
Ho sprecato a litigare l'ultimo giorno che ho concesso a me stesso, prima di fare ciò che devo: starle lontano.

«Quando ha la febbre, Klaus diventa come un gatto. Dormirebbe anche su un ramo» commenta Eileen divertita.
Eppure, appena si volta verso di me, ogni traccia di ilarità sparisce e nel suo sguardo balena un lampo di rabbia. «E tu». Mi indica con fare minaccioso. «Dammi un buon motivo per non ucciderti subito».

Abbozzo un mezzo sorriso. «Perché sono fragile e malato?»

Mia sorella si accascia sullo schienale del divano, guardandomi torva. «Sono seria, idiota. Ci siamo preoccupati da morire».

Ha la stessa espressione che aveva da bambina, quando combinava qualche guaio e temeva di essere sgridata. I suoi occhi diventano grandi come palle da biliardo e scintillanti come due smeraldi.
In quelle occasioni, mi prendevo sempre la colpa. Avrei fatto qualsiasi cosa, se questo serviva a farla stare meglio.
Dopo anni, mi fa ancora lo stesso effetto. Un istinto di proteggerla che mi accompagnerà per sempre.

«Io non ero preoccupato». Kal prende una mela dal vassoio sul tavolino e un bagliore gli illumina le unghie. Oggi il suo look, a base di mascara e ombretto shimmer, è coronato da uno smalto fluo viola in tinta con la t-shirt. «La prossima volta che decidete di scappare di casa, però, portatemi con voi».

«Non credo si possa definire "scappare di casa", visto che siamo tornati di nostra volontà». Keeley distende le gambe sulla credenza in cui sono conservate le posate d'epoca. «Io non sono mancata a nessuno?»

Accanto a lei, Simon trasalisce come se avesse preso la scossa. «A me sì!» Arrossisce e comincia a balbettare. «Cioè, anche agli altri, certo».

Una fitta mi si propaga nel petto, insieme all'impulso di strappare via la mano con cui Simon le sta sfiorando il braccio.

Sfodero un ghigno sarcastico. «Avevi paura che non ti riportassi la tua donzella?»

Simon diventa paonazzo e si ammutolisce. Al contrario, Kal scoppia in una fragorosa risata e rischia di strozzarsi con il pezzo di mela che stava masticando. Si dà dei pugnetti sul petto e tossisce, sputacchiando ovunque. Anche se non sono a portata di tiro, mi faccio da scudo con un cuscino per sicurezza.

«Che schifo» borbotta Eileen.

Keeley mi scocca un'occhiata irritata. «Ti ricordo che ha guidato la donzella, biondino. Se fosse per te, ci saremmo schiantati al primo palo».

Un brivido di freddo mi scuote e allaccio i bottoni della giacca fino alla gola. Eileen fa il giro del divano, prende una coperta arrotolata in una cesta e me la tira in faccia.

Emetto un verso commosso. «Oh, che sorellina premurosa!» replico scherzoso, dispiegandola alla meno peggio su di me.

«La tua sorellina premurosa ti soffoca nel sonno, se dovessi sparire di nuovo».

«Non capisco perché te la sei presa tanto» sospiro con uno sbadiglio. «Tutti usciamo di nascosto di continuo, qui».

«Già, ma stavolta non ci hai portato con te».

Sbatto le palpebre, perplesso. C'è qualcosa di molto simile alla gelosia nel modo in cui sta sbirciando Keeley. Impettita, Eileen mi si avvicina e si accoccola al mio fianco sotto la coperta, con il capo posato sull'incavo della mia spalla. Il mio corpo si tende solo per un istante, ma torna subito rilassato al suo tocco così famigliare.

«Mi sono spaventata. Non farlo mai più» mi sussurra.

«Va bene. Scusa, Leen».

La stringo con delicatezza, sentendo le guance solleticate dai suoi boccoli ramati che mi inondano di aromi di shampoo al cocco e crema alla vaniglia. Per quanto le voglia bene, però, una vocina nella mia mente mi dice che non è lei la ragazza che vorrei tra le mie braccia, in questo momento.

«Sono l'unico a chiedersi perché la mamma ci abbia convocati tutti, a parte Liam e Toby?» soggiunge Simon.

Kal dà un altro morso alla mela e la sgranocchia. «Esatto, capisco...», deglutisce, «... i piccioncini in fuga romantica, ma noi -e intendo io soprattutto- che abbiamo fatto per destare le ire della dittatrice?»

Seduto in un angolino sotto la finestra, Edric sbuffa da dietro il suo libro. La scritta in oro sulla copertina recita "Ulisse", un romanzo di James Joyce. «Tre parole: festa di Halloween» bofonchia.

Per qualche ragione, fin dal nostro arrivo, mi sembra ancora più imbronciato del solito. I miei fratelli sostengono che sia perché Alizée lo ha punito per essere stato fuori tutta la notte, in seguito al suo appuntamento. A quanto pare, gli ha imposto allenamenti extra di nuoto e lo ha costretto a offrirsi di fare da tutor alla figlia del suo istruttore.
Io, però, ho la sensazione che ci sia qualcos'altro a turbarlo, sebbene non abbia idea di cosa potrebbe essere.

Kal scuote la testa con disapprovazione. «Ed, sei l'unico ragazzo esistente che può avere il muso lungo dopo aver fatto sesso per la prima volta».

Rimango a bocca aperta e lancio un'occhiata stupita a Eileen, che mi fa cenno di lasciar perdere. Simon si limita a raddrizzarsi gli occhiali sul naso.

Keeley è meno discreta e si profonde in un fischio ammirato. «La prima volta è sempre la peggiore. Lo so per esperienza».

Per poco, non mi strozzo con la mia saliva e sussulto. Per fortuna, il divano è ampio, altrimenti mia sorella sarebbe ruzzolata giù sul pavimento. Anche Simon ha un'aria sconvolta.

Per esperienza?

Edric avvampa e il libro gli scivola sulle ginocchia. «Io non ho... non è successo niente» ringhia a denti stretti, più imbarazzato che furioso. «Mi sono addormentato sul suo divano, tutto qui».

«E che ci facevi sul suo divano, birichino?» lo incalza Keeley.

C'è una strana complicità nello sguardo che si scambiano, come se condividessero un segreto di cui solo loro sono a conoscenza. «Quando ho portato a casa Sily, mi ha invitato dentro. Mi ha offerto un gelato e ho accettato, punto».

Kal sogghigna. «Hai usato il preservativo, vero?»

«Spero di sì» mi aggiungo. Eileen mi picchietta sul petto per farmi tacere, ma la ignoro. «Ci sono abbastanza Hallander nel mondo».

«Non l'ho usato perché non è servito, okay?!» sbotta Edric, ormai violaceo in volto. «Lasciatemi in pace».

Kal getta il torsolo della mela sul tavolino. «Non c'è niente di male. Saresti il secondo in famiglia a perdere la verginità».

Keeley inarca un sopracciglio. «Il primo è lo spilungone, scommetto. Lui e la cameriera demoniaca non me la raccontano giusta».

Un sorrisetto affiora sulle labbra di Eileen. «Intendi tra voi maschietti, vero? Altrimenti sarebbe il terzo».

La fisso in tralice, circondandole la schiena con un braccio. «Ho una voglia improvvisa di sterminare il genere maschile, fuori da questa casa».

«Io cosa dovrei dire con tutte le ragazze che ti ronzano attorno?»

Ammicco. «Ma io non ci vado a letto».

Di colpo, un frastuono di passi riecheggia dal piano superiore e Toby sfreccia urlando giù per le scale. I capelli corvini gli svolazzano dietro le spalle esili e tiene un piccolo oggetto chiuso nel pugno. «Fratellone, sei tornato!»

«Non correre!» lo rimprovera Eileen, sollevandosi dal mio torace. Il suo movimento è così improvviso che quasi mi ficca un gomito nelle costole.

«Hai la grazia di un elefante, sorellina» mugolo dolorante.

Toby si blocca a metà rampa, fa una pernacchia esasperata e finisce di scendere i gradini a due a due. Percorre il salotto di corsa e si arrampica sul bracciolo del divano, a pochi centimetri dalla mia testa. È evidente che gli sia costato un grande sforzo non tuffarsi direttamente sopra di me.

«Guarda che cosa ho trovato! L'avevo perso in valigia!» Tutto emozionato, mi sventola il giocattolo così vicino agli occhi che vedo solo una macchia scura. «Me l'hai regalato tu!»

Districo un braccio dalla coperta e gli scosto gentilmente la mano. Appena lo metto a fuoco, lo stomaco mi si contrae. Mi trattengo a stento dal toccare la cicatrice sul mio viso, assalito da un senso di nostalgica tristezza.

Il mio primo pensiero è: "Mamma".

Una parola che ormai ha perso ogni valore, ma un tempo aveva un significato anche per me. Un termine che non sono mai riuscito a legare ad Alizée.

Prendo il cavallino di legno e passo l'indice sulla criniera dipinta di nero, lottando contro il turbine di ricordi che mi travolge.
Era il mio destriero coraggioso che galoppava così veloce che niente di cattivo poteva raggiungerlo. Non esisteva male abbastanza potente da sfiorare il figlio del vento.
O, almeno, era ciò che credevo quando ero piccolo, prima di scoprire che non mi avrebbe protetto dal mostro da cui non riuscivo a sfuggire.

Uno tintinnio metallico attira la mia attenzione. Keeley è balzata in piedi, ritirando le gambe dalla credenza con uno scatto che ha fatto cadere sul pavimento una forchetta d'argento. Il suo sguardo è fisso sulla statuetta intagliata, la fronte corrugata in una smorfia confusa.

«Chi... chi l'ha fatta?» obietta scioccata. La trema persino la voce.

Non ho il tempo di rispondere che Alizée compare dall'atrio e si ferma sulla soglia del soggiorno.
Le luci pallide del sole morente penetrano dalla finestra e gettano la sua ombra sul muro, lunga e sottile come un artiglio. È avvolta in una camicetta di raso che le ricade in onde sinuose sulla gonna abbinata color avorio. La catenella con l'aquila le scintilla intorno al collo, ma il ciondolo è nascosto sotto la scollatura tra i seni.

«Toby, tu puoi andare» esordisce con un sorriso dolce in netto contrasto con il tono freddo.

«Ma sono appena arrivato, mammina!»

«Se vuoi rimanere mentre mi arrabbio con i tuoi fratelli, fai pure».

Toby si affretta a buttarsi giù dal bracciolo del divano. «No no, ho cambiato idea». E si fionda fuori dal salotto, esitando solo quando passa davanti alla madre per farla chinare e darle un bacino sulla guancia.

Appena l'eco dei suoi passi si spegne, segue un silenzio carico di tensione, che graffia le orecchie simile a carta vetrata. Uno di quelli che nessuno oserebbe infrangere.

Il viso di Alizée è immobile e inespressivo, ma la rabbia è scolpita nella pietra della sua maschera gelida. I suoi occhi, piccoli e verdi, vagano da uno all'altro dei presenti. Indugiano su Eileen, ancora stretta a me, mi scavalcano come se neanche esistessi e infine si posano su Keeley, ancora impalata a guardare il cavallino tra le mie dita.

«Siediti» le ordina secca. «E guai a te se proferisci parola».

Con grande sorpresa di tutti, Keeley le obbedisce senza protestare.

Ora, si è voltata verso Alizée e la sta fissando in maniera insolita. Non con lo stesso atteggiamento di sfida che ha sempre nei suoi confronti -beh, nei confronti di tutti- e neppure semplice ostilità. Anzi, nel suo sguardo c'è una sorta di rinnovato... rispetto. Sembra quasi che la stia vedendo per davvero per la prima volta.

«Toglietemi una curiosità». Mentre parla, Alizée continua a passare tutti i rassegna tranne me. Devo essere diventato invisibile. «Quanti anni avete?»

«Io quindi...» Kal coglie l'occhiataccia della madre e si zittisce, facendosi piccolo sul pouf.

«Uscite di casa di notte, andate alle feste senza il mio permesso, bevete fino a ubriacarvi, saltate le lezioni e adesso fate anche gite fuori città, perché no! Ma che cos'è, questo, uno zoo?» Pronuncia queste parole in un sibilo acido che mi ricorda quello di un serpente. «Vi piace farmi passare per la cattiva della situazione, ma forse dovreste farvi un esame di coscienza. Se vi impongo tante regole, magari è perché voi non sapete darvene da soli. William è l'unico con un minimo di disciplina...»

«Era solo una festa!» grida Eileen indignata, tirandosi a sedere sul divano. «E se non ti chiediamo le cose è colpa tua che dici sempre di no!»

Alizée arriccia il labbro, infastidita per essere stata interrotta. «E quindi siete andati di nascosto, certo. E pur sapendo che l'avrei scoperto, non avete pensato che se foste tornati sobri e a un orario decente, magari, sarei stata più incline a darvi il mio permesso in futuro». Fa una risata amara, canzonatoria. «Figurati, ovviamente no. Voi dovete divertirvi, giusto? Non importa che sia con alcol o droghe, è uguale... non negatelo. Oliver Hale mi ha riferito che Edric era del tutto fatto e gli altri erano ubriachi». La sua voce si alza di un'ottava. «E se vi fosse capitato qualcosa? Se qualcuno si fosse approfittato di uno di voi? Di vostra sorella, per esempio? Oppure siete così incoscienti che non ci avete nemmeno pensato?»

«Io non ho bevuto!» esclamo di getto.

Simon annuisce con forza. «Io neanche c'ero!»

«E poi è successo solo una volta!» rincara Kal. «Non siamo mica dei tossicodipendenti!»

La risposta di Alizée è sferzante. «In "solo una volta" possono succedere tante cose e vi assicuro che è sufficiente a non dimenticarle mai più».

Chino il capo e mi rigiro l'anello con il leone, serrando il cavallino di legno nel palmo, senza vederlo realmente. Il freddo che sentivo è svanito, ma in compenso ciò che ha detto mi sta gelando dentro.

So a cosa si riferisce, e non sono l'unico. Di sbieco, intravedo Kal che impallidisce ed Eileen che si mordicchia il labbro, entrambi incapaci di trovare argomentazioni in loro difesa.

«Volete comportarvi come un branco di bambini viziati? Perfetto, vi tratterò come tali! Da domani, non vi sarà più permesso uscire di casa senza chiedermi esplicitamente il consenso, tranne per andare a scuola. E non ve lo concederò mai prima delle cinque, dato che fino a quell'ora dovrete studiare».

Mi raddrizzo meglio sul divano, corrucciato. Alizée non ha mai fatto niente del genere. Siamo abituati alle sue punizioni -io ne sono il massimo esperto- e ce ne ha inflitte alcune decisamente peggiori. Tuttavia costringeva sempre Carol a controllare che le obbedissimo, non lo faceva lei stessa.

Ha davvero voglia di essere assillata da noi ogni volta che vogliamo farci una passeggiata o andare da un amico? Solo per un paio di scappatelle?

No. Ho il presentimento che ci sia un altro fine, nascosto dietro le sue decisioni...

«Inoltre» prosegue Alizée. «Non avrete da me più neanche un centesimo: carte di credito, auto, bancomat... tutto ritirato. Basta buffet a ogni colazione, basta shopping compulsivo, basta cameriere che vi rimettono in ordine le camere. Basta a qualsiasi cosa».

Come un vulcano che erutta, le lamentele esplodono nel salotto a quella notizia.
Per me, non è un problema rinunciare al lusso. Non è niente di nuovo: fino a undici anni, ho vissuto in una baracca ammuffita in uno dei borghi più poveri di Londra. E anche Keeley appare abbastanza insofferente.
Ma per chi non ha mai conosciuto altro deve essere devastante.

«Vuoi tagliarci i viveri?!» esclama Simon stralunato.

Eileen si alza in un salto dal divano. «Ma i soldi ci servono!»

«Esatto!» concorda Kal frenetico. Sembra sul punto di svenire. «Con cosa mi compro i fumetti e i manga? O le figurine di Dragon Ball? O i cofanetti in blu-ray? Per i trucchi non importa tanto li rubo a Eileen».

«E, quando finiscono i miei, con cosa li compro, genio?» lo rimbecca lei.

«Oh no, è vero! Questo è l'inferno!»

Keeley scrolla le spalle. «Io lo ripeto fin dal primo giorno».

«Non puoi farlo!» insiste Edric incredulo.

Alizée gli rivolge un sorriso mellifluo. «Sì, invece. Il denaro è mio» replica con semplicità. «E non disturbatevi a chiedere a vostro padre perché non vi aiuterà».

Di fronte alle facce disperate dei miei fratelli e di mia sorella, non riesco a trattenere una risatina. «Che esagerati» sussurro beffardo.

Per tutta risposta, Eileen mi rifila un calcio alla gamba, reso ancora più efficace dai tacchi a spillo. Una vampata di dolore mi invade il polpaccio.

«È il momento che impariate che le vostre azioni hanno delle conseguenze. La punizione finirà quando darete prova di un po' di maturità, e sappiate che questo riguarda anche la scuola» precisa, ottenendo ulteriori reazioni di sgomento. «Eccetto Edric, i vostri voti sono una cosa vergognosa!»

«I miei non sono male» biascica Simon pianissimo, certo di non essere udito.

«Hai ragione. È incredibile che trovi anche il tempo per studiare, dato quanto sei impegnato a baciare la tua sorellastra».

Quella provocazione colpisce Simon come una freccia. Per me, invece, è più simile a un pugnale che, già conficcato nel cuore, viene ruotato all'interno della ferita, affondando ancora più in profondità.

«Forte!» Kal prende a sghignazzare e gli scocco un'occhiataccia. «Io pensavo che le piacesse Klaus».

Per un attimo, ripenso allo strano sogno che ho fatto, oggi pomeriggio.
Ricordo che ero in auto e fingevo di dormire. Keeley mi stava confessando di essere innamorata di me, di non volermi ferire. Ma aveva paura di perdermi, come aveva perso suo padre e sua zia.

A quelle parole, il desiderio di abbracciarla era diventato un bisogno quasi fisico, una cosa viva dentro di me. Volevo baciarla e giurarle che sarei rimasto con lei fino a che mi avesse voluto.

Tuttavia non potevo; avrebbe capito che stavo origliando.
Sapevo che non era giusto rubare i suoi segreti, ma è così raro che Keeley mostri la sua vera anima che non ho potuto rinunciare all'opportunità di sentirne la voce.
E, stupidamente, avevo addirittura pensato che sentirmi dire cosa provasse per me mi avrebbe dato pace, invece mi ha fatto sentire solo più meschino.

Come ho potuto accusarla di avermi usato, quando inconsciamente sono io a farlo?

Perché ho negato i suoi sentimenti per me, quando sono i miei a essere sbagliati?

Alla fine, quando mi sono svegliato, con un sorriso da ebete e il calore delle sue labbra che mi ardeva sulla guancia, sono stato quasi felice che non fosse reale. Sebbene lo sembrasse molto...

«Come fai a saperlo? Eri nell'armadio?» domanda Keeley con amara ironia. Mi accorgo che mi sta sbirciando con la coda dell'occhio e contraggo la mascella, cercando di non far trapelare nessuna emozione. «E poi non sono la sua sorellastra. Non abbiamo legami di sangue».

«No, ma legalmente lo sei». Alizée intreccia le dita, affusolate come le mie, gli anelli che tintinnano l'uno contro l'altro. «Pertanto, vi consiglio di contenere le vostre effusioni e...»

«Scusami, signora».

Carol fa capolino dal corridoio sul lato opposto dell'ingresso e muove qualche timido passo nel salotto. Deve essere uscita da poco, a giudicare dai fiocchi di neve che le si sciolgono tra i capelli biondi e le guance arrossate sul volto paffuto. Quando ci giriamo tutti verso di lei, implorando una tacita richiesta di soccorso, sfodera uno sguardo di solidarietà mista a compassione.

«Nessun problema. Che cosa ti serve?»

«Ehm, il corriere ha portato questo». Con riluttanza, Carol estrae dalla tasca un pacco. Ha le dimensioni di un cubo di Rubik ed è confezionato con una carta regalo chiusa da un nastro nero. «Ma non c'era il nome del destinatario. Solo l'indirizzo».

Alizée si irrigidisce in maniera appena percettibile. Camminando con rapide falcate, raggiunge Carol ai piedi delle scale e le prende il pacco. Le fremono leggermente le mani per l'agitazione.

Kal si solleva dal pouf e si sporge oltre il divano per vedere meglio, puntellando un ginocchio sul mio gomito. «Spero sia una testa mozzata come nei film!» afferma con trepidazione.

Eileen scuote la testa, esasperata. «Al massimo lì dentro ci sta la testa di uno scoiattolo».

Anche Keeley abbandona la sedia, imitata a ruota da Simon. «Magari sono palline vibranti».

«Ed! Non dovresti ordinare queste cose su Amazon!»

Edric stringe il libro, ancora posato sulle sue gambe, e sono quasi certo che stia per lanciarlo in faccia a Kal. «Non ho ordinato niente, idiota!»

«Zitti!» La voce imperiosa della dittatrice riporta subito il silenzio. «Grazie, Carol. Non è niente. Qualcosa di Ian, di lavoro, probabilmente». Dal suo tono dubbioso, però, non sembra che ci creda granché.

Dopo aver congedato Carol, che con un po' di titubanza è sparita al piano di sopra, Alizée adagia il pacco sul tavolo e comincia a scartarlo. Dalla cautela con cui lo maneggia si direbbe che contenga una bomba.

Pur mantenendosi a una certa distanza, tutti si raccolgono intorno a lei. Solo Edric si mette in disparte, ma i suoi occhi color ghiaccio sono scalfiti dalla curiosità.

Io, invece, rimango disteso e abbandono la testa tra i cuscini, seguendo la scena dal divano. Ho riposto in tasca il cimelio del mio passato, ma mi sono ripromesso di restituirlo a Toby alla prima occasione.

Gliel'avevo dato un paio d'anni fa, quando si era spaventato per una lite particolarmente animata tra Ian e Alizée. Oltre che insulti, erano violati anche piatti quella sera, tanto che Kal era andato avanti settimane a fare battute come "mettete in salvo le stoviglie", ogni volta che sembrava imminente una nuova discussione.
Comunque, quel cavallino ammaccato era stata l'unica cosa che fosse riuscita a calmare il pianto del mio fratellino, rassicurato dalla storia sui suoi poteri di protezione. Sono sempre stato sollevato che lui, a differenza mia, non aveva mai dovuto scoprire che era una bugia.

«Klaus!» mi chiama Eileen, riscuotendomi.

L'attenzione di tutti è rivolta alla scatola che è spuntata dalla carta regalo, anch'essa nera come il nastro. È aperta, ma da questa visuale non riesco a vedere cosa ci sia all'interno.

Kal mi guarda da sopra la spalla di Simon, che è chino sul tavolo. «Ma non l'avevi perso, fratello?»

Accigliato, mi alzo e mi unisco agli altri. Nella scatola, su un batuffolo di ovatta, c'è una striscia di cuoio rovinata, usurata dal tempo. Impiego alcuni secondi a rendermi conto che è il mio braccialetto. Quello che mi ha dato l'uomo buono, sette anni fa, e che ho smarrito la sera alla Taverna.

Incrocio lo sguardo di Keeley. Il mio stesso stupore è riflesso sul suo volto, accompagnato da un'ombra cupa che oscura l'oro delle sue iridi. Non mi servono parole per intuire che è preoccupata. Anzi, la sua espressione sembra quasi atterrita, ma sarebbe assurdo: non basta così poco per spaventarla.

A meno che non sappia qualcosa che io non so...

All'improvviso, Alizée mi si para di fronte, mettendosi tra me e Keeley. Ha sempre avuto una carnagione pallida, che ho ereditato, ma in questo momento è cerea.

Mi porge un biglietto stropicciato, fissandomi in viso per la prima volta da quando sono tornato. «È per te» sussurra a fil di voce, con un pizzico di insolita gentilezza.

«Non credo tu voglia leggerlo, Klaus» dice Keeley cauta, come se già sapesse cosa ci troverò.

Un brivido mi scivola lungo la schiena. Se ha usato il mio nome significa che è terribilmente seria.
Con il cuore in gola, prendo il foglietto. Sopra, c'è un breve testo scritto in una calligrafia sottile e ordinata, che mi è molto famigliare.

So che ci tieni, attento a non perderlo di nuovo. Potrei non esserci io a recuperarlo, la prossima volta.

Sei cresciuto così tanto che quasi non ti avrei riconosciuto, se non fosse che somigli a tuo padre alla tua età. E per quell'orrenda cicatrice, certo.
Nonostante ciò, sei diventato proprio un bel ragazzo, come immaginavo. Sei sempre stato un bel bambino, in fondo.

In questi anni, ho pensato spesso al mio nipotino. Non sai quanto mi sei mancato. Spero che gli Hallander si siano presi cura di te come ho fatto io, ma ne parleremo.
E parleremo anche della tua amicizia con la figlia di Maxwell Storm.

Ci vediamo presto, piccoletto.
Vincent Waylatt

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