36. L'AQUILA

La legna crepita nel camino, lambita da fiamme dorate che danzano nella penombra, tuttavia la stanza è avvolta da un'atmosfera gelida.
Il vasetto di caramelle gommose è di nuovo pieno, posato al centro della scrivania, accanto al ciondolo dell'aquila che mi osserva minacciosa, puntando il becco adunco verso di me.

La voce di Alizée sferza il silenzio come una frusta mentre dardeggia i suoi piccoli smeraldi da uno all'altra con uno sguardo agghiacciante.

«Chi dei due vuole dirmi dove siete stati?»

La ascolto a malepena, troppo assorta nei miei pensieri, tamburellando distrattamente le dita sulla superficie di legno.

«Siete spariti chissà dove, senza avvisare nessuno. E ricomparite due ore dopo in uno stato pietoso» sibila furibonda. «Pretendo delle spiegazioni. E fate in modo che siano decenti».

«Ehm, allora...» Klaus mi dà una gomitata alle costole, riportandomi al presente. «Forza, tu sei più brava».

Gli scocco un'occhiata torva, a cui risponde con un'espressione interrogativa che sembra significare "cosa dovrei dirle, esattamente?"

Esalo un sospiro seccato. «Abbiamo fatto una scampagnata in un bosco inquietante. Stavamo tornando a casa, ma uno psicopatico ha cercato di ucciderci». Faccio spallucce. «Per questo abbiamo fatto tardi».

Klaus si passa una mano sul viso con fare incredulo.

Alizée esita per un istante, un'ombra che guizza nelle sue iridi verdi, ma poi arriccia il labbro, infastidita. «Ti credi divertente?»

«Sono certa di esserlo, ma stavolta no» replico seria.

Tutto mi sarei aspettata, tranne il sorriso ironico che compare all'angolo delle sue labbra sottili. «Voi ve la spassate molto, insieme, vero?»

L'ennesima fitta alla caviglia mi fa sussultare. Quando Carol l'ha fasciata, dopo averci messo una pomata, era abbastanza gonfia e violacea.

«Non direi. Quando sono con lui, spunta sempre qualcuno con la pistola» mugolo irritata, facendo un verso dolorante.

«Secondo me, sì invece». Alizée intreccia le dita affusolate sul portatile dallo schermo abbassato. «Uscite di notte, dormite nello stesso letto, e adesso fate anche passeggiate romantiche al tramonto».

Klaus emette uno sbuffo. «Non c'era niente di romantico!»

«Strano, ma sono d'accordo» affermo.

«Zitti!»

Alizée si appoggia allo schienale, la postura diritta e rigida. La pelliccia bianca e nera le ricade sulle spalle, in tinta con il lungo abito candido che le mette in risalto la carnagione nivea, simile a quella del figlio.
Non lo avevo mai notato, ma è una delle poche cose che hanno in comune.

«Inizio a capire perché andate così d'accordo» mormora in tono acido. «Siete entrambi degli adolescenti capricciosi che vogliono solo attirare l'attenzione perché si sentono tanto trascurati».

«Non...»

Alizée solleva la mano. «Ti ho detto di stare zitto» dice a Klaus, piena di risentimento.

«Altrimenti mi rimandi in Inghilterra?» ribatte sarcastico. I suoi occhi, però, tradiscono la rabbia che sta provando. «Ormai è diventata una cosa noiosa, mamma».

L'ultima parola si abbatte su di lei con la violenza di un pugno. «Tu non sei proprio niente, per me. E, se avessi un minimo di riconoscenza, non ti comporteresti...»

«Riconoscenza?» sputa Klaus furioso. Si china in avanti di scatto e, per un folle attimo, penso quasi che voglia colpirla. «Io non ti devo niente! Perché non hai mai fatto niente per me!»

La donna afferra il ciondolo della sua collana, adagiata sulla scrivania, stringendolo con tale foga da sbiancarsi le nocche. «Ho fatto per te più di quanto meritassi, considerato tutto ciò che ho perso per colpa tua!»

Klaus aggrotta la fronte e si abbandona di nuovo sulla sedia, sforzandosi di apparire indifferente. Ma io mi accorgo del lampo di dolore che balena sul suo volto; non è difficile intuire che sta pensando a suo padre.

All'improvviso, qualcuno bussa con esitazione, dando un paio di deboli colpetti.

«Che cosa c'è?!» sbotta Alizée frustrata.

La porta si apre di poco, quanto basta per permettere ad una testa dai ribelli capelli corvini di fare capolino. Il piccolo tridente gli oscilla sul petto, scintillando sulla camicia grigia dai lembi che sporgono sopra i jeans.

«Scusa, mamma. Non volevo disturbarti». Edric guarda me e Klaus con un'espressione tesa. «Posso tornare dopo, se preferisci». Nella sua voce trema una nota speranzosa, come se non volesse altro che poter battere in ritirata.

«No». Alizée libera dalla sua presa l'aquila d'argento e ritira la mano, lasciandola ribaltata sulle ali divaricate. «Vieni pure».

Con l'aria di un condannato che va al patibolo, Edric si richiude la porta alle spalle e muove qualche passo verso di noi. Si ferma davanti alla libreria, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena.
Normalmente, è bravo a nascondere le sue emozioni, invece ora la sua agitazione è palpabile, tanto che continua a mordersi il labbro.

«Volevo chiederti se...» Si schiarisce la gola, impacciato. «Posso andare a teatro, stasera? Cioè, ehm, dopo cena. Alle nove» farnetica in tono nervoso.

«Hai un appuntamento?»

A quella domanda, Edric sussulta e il suo viso diventa cereo. «No! Non è un... non lo è! No!» Sembra sul punto di avere un infarto. «È solo una... una...»

«Un'uscita?» suggerisce Klaus.

«Sì, ecco». Annuisce più volte, visibilmente sollevato di aver trovato una scappatoia. «Un'uscita... amichevole. Niente di importante».

Alizée sbatte le palpebre, studiandolo con curiosità. «E con chi?»

Edric sgrana gli occhi. Di solito, hanno una tonalità di azzurro chiarissima e fredda, simile al ghiaccio, ma adesso sono di un blu limpido come il cielo d'estate. «Una persona» mormora in un soffio.

«"Una persona" è un po' generico» lo ammonisce la madre tagliente.

Per un secondo, riesco a vedere la guerra di pensieri che infuria sul suo viso, dietro uno sguardo animato da un misto di incertezza e timore.

Alla fine, Edric china la testa, fissando il pavimento con una maschera impassibile. «Un'amica, si chiama Sili. Te ne avevo parlato». C'è qualcosa di triste, anzi di rassegnato nel suo tono. «Per il mio compleanno, mi ha regalato dei biglietti per l'opera di stasera. Ho pensato che sarebbe stato scortese rifiutare».

«Sili Taylor, certo. Viene da una buona famiglia». Alizée rivolge al figlio una smorfia soddisfatta. «Non parlavo di lei quando ti ho detto che dovresti trovarti una ragazza, ma è meglio di niente».

Un vago rossore si propaga sulle guance del ragazzo, ma si limita a torcersi le dita sudate, le mani ancora congiunte dietro la schiena.

«Va bene» conclude lei con leggerezza. «Ma non fare tardi. Domani devi studiare».

«Posso... posso andare?» replica stupito.

«Sì, certo».

Sebbene cerchi di trattenerlo, un piccolo sorriso si forma sul viso di Edric, illuminatosi come un albero di Natale. «Posso prendere l'auto nuova? Devo accompagnarl... ehm, cioè, accompagnarla io».

Lo spettro di un ghigno si dipinge sulla bocca di Klaus, ma scompare in un attimo.

Beh, certo, l'auto di Alaric l'abbiamo noi, parcheggiata nel garage della villa.

Osservo con fare assente l'aquila sulla scrivania. Ho passato gli ultimi trenta minuti a cercare di non farlo, ma adesso i miei pensieri vengono attirati su di lui.

Alaric...

Era la sua voce, ne sono certa: roca e gutturale, con la stessa inflessione ironica. E anche il fisico era simile, sebbene sia difficile capirlo a causa del pesante giubbotto che portava.

Eppure, più ci rifletto, più mi sembra assurdo.
Prima di tutto, Alaric non ha niente di minaccioso e, anche quella volta che siamo rimasti da soli nella biblioteca della scuola, mi sono sempre sentita a mio agio in sua presenza.

E poi quale motivo avrebbe avuto per uccidere mia zia, che neanche conosceva?

Se, come credo, l'assassino lavorava per qualcuno che cercava mio padre, dubito che avrebbe assoldato un ragazzo appena maggiorenne.

Inoltre, c'è anche la conversazione che l'uomo aveva avuto con Moira, prima di spararle.
Ho avuto l'impressione che parlassero di qualcosa di vecchio, che deve essere accaduto in passato, e Alaric è decisamente troppo giovane perché vi fosse coinvolto.

D'un tratto, vengo rapita dal riflesso dorato che le fiamme del camino gettano sull'argento lucido del ciondolo.
Strizzo le palpebre e noto le due brevi frasi incise sul petto dell'uccello.

Sarò ovunque sarai tu.
Ti amerò ovunque saremo.

Le lettere sono così piccole e sottili, le parole addossate l'una all'altra, che da lontano è quasi impossibile non farsi sfuggire quel particolare.

«Puoi uscire anche te, signorina Storm».

Sollevo la testa, disorientata. Edric è sparito e Klaus osserva la madre con un cipiglio sospettoso. Quest'ultima, invece, mi sta rivolgendo un'espressione stranamente cordiale, che non mi rassicura affatto.

«Non dovresti dirmi cose brutte brutte e mettermi in punizione?» obietto corrucciata. «Il tutto ricordandomi che sono un'ingrata e che puoi cacciarmi quando vuoi?»

«Non voglio sprecare fiato». Alizée mi fa un sorrisetto sornione. «Prego, vai pure. Ci vediamo fra poco, a cena».

Io e Klaus ci scambiamo un'occhiata perplessa, quindi scrollo le spalle ed entrambi ci alziamo con estrema lentezza. Una parte di me si aspetta quasi che succeda qualcosa, come una di quelle trappole dei film d'avventura in cui cala una lama enorme che mozza la testa al povero malcapitato.
E ho ragione.

«Tu no, Klaus». Lo sguardo che gli lancia è il più gelido che io abbia mai visto. «Dobbiamo parlare».

Lui esita per un secondo e torna seduto, prendendo a rigirarsi l'anello al dito in modo irrequieto.
Mi immobilizzo, assalita da un istinto di protezione nei suoi confronti. Non penso che gli farebbe del male, non fisicamente, ma non ho dubbi che voglia ferirlo.

«Tranquilla, Keeley». Alizée parla con una cruda gentilezza. «Te lo restituisco tra poco».

La ignoro e guardo Klaus, che mi fa un cenno rassicurante con il capo. Resto ferma ancora un istante, poi mi giro e lascio in silenzio la stanza, senza riuscire a liberarmi della sensazione di aver appena commesso un grande errore.

***

«MAMMINA!»

Tobias si tuffa di corsa tra le braccia della madre che, ferma sulla soglia del portone di quercia, lo solleva e gli accarezza i lunghi capelli neri.

«Ci sei stata pochissimo, in questi giorni» dice il bambino avvilito, stringendola forte. «Mi sei mancata tanto».

Alizée gli fa un sorriso dolce. «Anche tu, piccolo». Lo accarezza con affetto, prima di depositarlo a terra.

Klaus compare dietro di lei e, dando un buffetto sulla nuca al fratellino, si siede di fronte ad Eileen, malgrado ci sia un posto libero alla mia destra.
Il suo sguardo è impassibile, ma non posso fare a meno di accorgermi che evita di guardare nella mia direzione.

Tobias aggrotta la fronte. «Ma ci sto io lì, di solito».

«Toby, fai il bravo, forza» ammicca Ian, fingendo di non notare Klaus.

Si alza e scosta la sedia al suo fianco, quella a capotavola, per permettere ad Alizée di occuparla.

«Ciao, amore». Le posa un bacio delicato sulla guancia. «Sono contento che tu abbia smesso di evitarmi».

«Dovevo lavorare» taglia corto lei in tono rigido.

Gli occhi azzurri dell'uomo si scontrano con i suoi freddi smeraldi mentre aggiunge: «E poi volevi evitarmi».

«Sì, anche quello».

La cena è a base di pesce.
Polpettine di tonno e ricotta per antipasto, insaporite da capperi e acciughe, fette di salmone innaffiate di vino bianco con grani di pepe nero e branzino al forno dal contorno di patate.
L'atmosfera è tesa, la tavola appare un campo minato in cui ogni minimo gesto sbagliato può innescare una devastante reazione a catena di esplosioni.

Alizée e suo marito non si rivolgono la parola. Edric pilucca dal piatto senza il minimo appetito, controllando il suo Rolex nuovo di zecca ogni due minuti.
Klaus non mi degna di un'occhiata, mangiando a testa bassa come se cercasse di non attirare l'attenzione.
E, accanto a me, Simon mi fissa di sottecchi da dietro le lenti storte che continua a tirarsi sul naso.
Ci sarebbe un insopportabile silenzio imbarazzante, se non fosse per Tobias che, posizionato tra me a Kal, si è lanciato in un euforico resoconto del suo soggiorno a Londra con il padre.

«E poi siamo andati a Watford!» grida eccitato. «Siamo stati nel castello di Hogwarts! Non quello vero perché quello è ad Alnwick, lo sanno tutti!» Mi strattona la manica, rendendosi conto che mi sono distratta. «Sono stato nella Sala Grande, e nell'ufficio di Silente! E anche nel dormitorio dei Grifondoro! Poi, poi ho giocato a Quidditch, però con la divisa dei Corvonero perché io sono Corvonero! E ho preso il boccino!»

Kal sogghigna divertito. «Quindi avete vinto?»

«No, abbiamo perso. Però ho preso il boccino» ribadisce Tobias con orgoglio. «Papà mi ha visto. Vero? Vero, papà?»

Ma Ian non lo sente, troppo impegnato a sbirciare Klaus con un'espressione indecifrabile.

«Uffa!» Il bambino picchietta la base del bicchiere sul tavolo, schizzando coca cola sulla tovaglia. «Papi, ascoltami!»

«Toby, smettila!» lo rimprovera Alizée severa. «Stai bagnando tutto, e non si urla a tavola!»

Il suo entusiasmo si sgonfia come un palloncino bucato. «Scusa, mammina». E riprende a mangiare con un broncio sconsolato.

Gli do un lieve pizzico sul braccio e Tobias sussulta, massaggiandosi il gomito. «Ahia, perché?»

Faccio spallucce. «Sono Serpeverde».

«Dovresti farti i capelli verdi, allora!» esclama, tornando allegro. «Puoi farli blu anche a me?»

Scuoto la testa. «Non ti presterò mai la mia tinta».

«Voi femmine siete cattive».

«Oh sì». Kal annuisce. «Quando cresce il seno, è la fine».

Tobias mi indica. «Ma lei non ce l'ha».

«Piccolo umano» dico con un sorriso sarcastico. «Sappi che sei morto».

Simon si sporge verso di me, tossicchiando per farmi girare. «Ehi, so che ti sei fatta male. Tutto okay?» bisbiglia apprensivo.

Percepisco l'imbarazzo che si è creato tra noi, pesante come una gualdrappa. «Potrebbero amputarmi la gamba».

«Cosa?!» esclama impallidito. «Ah, scherzi».

Gli faccio l'occhiolino. «Stai imparando».

«Comunque, ti avevo chiamata. Oggi pomeriggio. Ma non hai risposto».

«Lo so, carotino». Infilo in bocca un boccone di salmone, guardando Klaus di sbieco. «Ero impegnata a non farmi uccidere».

«Che?» replica, aggrottando le sopracciglia.

«Lascia stare, tanto non mi crede nessuno».

«Dopo possiamo parlare del...» Simon si blocca, arrossendo, e abbassa la voce. «Cioè noi... ci siamo baciati».

Faccio un cenno vago con la mano e prendo un tovagliolo per asciugarmi il vino sulle labbra. «Mi ricordo, c'ero anch'io».

«Allora...»

Un fragore metallico risuona nell'aria quando Edric lascia cadere la forchetta sul piatto.
«Scusate» mormora, bianco come un cencio. «Potrei andare in camera?»

«Non stai bene?» obietta Ian. «Non hai toccato cibo...»

Eileen ridacchia. «È solo preoccupato per il suo appuntamento».

«Non è un appuntamento!» Edric le scocca un'occhiataccia. «Non ho fame, tutto qui».

«D'accordo, vai pure» concede Alizée.

Lui la ringrazia e, prima che il padre possa proferire parola, si è già dileguato fuori dalla sala.

«Ovvio» esclama Kal acido. «Se chiedo io di alzarmi durante la cena, risponde di no. Ma il cocco di mamma, invece, può».

All'improvviso, Ian batte le mani, richiamando gli sguardi di tutti su di sé. Tranne Klaus che è intento a giocherellare con il suo anello.

«Ragazzi, devo farvi un annuncio» esordisce in tono pacato. «Avrei preferito che ci foste tutti, ma non è un problema. Potrete riferirlo a vostro fratello domani».

Kal emette un gemito inorridito. «Ti prego, no! Detesto le riunioni di famiglia!»

«Fra un paio di mesi, in questa casa, si terrà un evento importante a cui dovrete parteciperare tutti» riprende il padre, sfoderando un sorriso. «Un matrimonio, per la precisione».

Tutti i presenti, anche Klaus, rimangono letteralmente esterrefatti dalla notizia. Perfino Alizée sbarra gli occhi, colta alla sprovvista.
Solo io, però, avverto un brivido d'orrore scendere lungo la schiena, accompagnato da un'altra fitta alla caviglia.
Di colpo, mi sembra di aver divorato un intero acquario e lo stomaco mi si contorce nelle viscere.

Non c'è niente al mondo, neppure chi ordina la pizza senza mozzarella, che disprezzo più dei matrimoni.

«Ma tu e la mamma siete già sposati!» ribatte Simon confuso.

«E, comunque, non lo fareste di nuovo» rincara Kal. «Errare è umano, ma perseverare è diabolico».

Alizée punta verso il marito uno sguardo furioso. «Di che stai parlando, Ian?»

«Matt si sposa».

Questa volta, sono l'unica che rimane indifferente, in mezzo ad un'ondata di shock generale.
Liam inarca un sopracciglio con moderato stupore e si volta verso Klaus, che dischiude le labbra visibilmente perplesso. Nel grigio delle sue iridi, tuttavia, le sue pagliuzze blu si accendono di una luce delusa... o, forse, addirittura triste.

«Matt si sposa? Zio Matt?» Eileen fissa il padre come se avesse appena affermato di voler comprare un cane a tre teste. «Ma sono tutti e due consenzienti, vero? Lei è consenziente?»

«Perché, è una donna?» lo incalza Kal.

«Certo che è una donna».

«Ed esiste?» intervengo, tanto per non sentirmi esclusa.

Ian mi lancia un'occhiata, come se implorasse misericordia. «Ovvio che...» Poi però appare dubbioso. «Okay, non l'ho mai vista, ma sono quasi sicuro di sì».

«Magari è un robot».

«No, Toby. Non è un robot».

Eileen scuote la testa. «Non ci credo».

«Già, neanch'io» ribatte l'uomo, altrettanto incredulo. «In ogni caso, è vero. E mi aspetto che voi vi comportiate bene: ci saranno molte persone importanti. Niente gesti inopportuni, vestiti inappropriati o altre cose infantili. Siete grandi, ormai». Il suo sguardo si incolla su Kal con fare ammonitorio. «Chiaro?»

«Certo. La priorità è non rovinare l'immagine della famiglia felice e perfetta» annuisce lui risentito.

«Non ci saranno problemi». Liam si sistema la cravatta. La sua voce è calma, ma distaccata. «Faremo tutti i bravi».

Ian abbozza un sorriso, che non viene ricambiato. «Grazie, William». Poi torna a rivolgersi a tutti noi. «Vi consiglio di trovarvi una ragazza da portare. O un ragazzo, nel vostro caso» ridacchia, accennando a me e a Eileen. «Siete Hallander, quasi tutti almeno, perciò è meglio che non venite da soli. La gente invidiosa è sempre pronta a criticarci».

È abbastanza chiaro che quel “quasi tutti” non era riferito solo a me, infatti vedo Liam contrarre la mascella, infastidito, mentre continua ad osservare Klaus.
Probabilmente, si aspettava una sua reazione, invece lui rimane ammutolito, una maschera impenetrabile calata sul volto.

Una risata rauca, una di quelle che raschiano la gola, ci coglie tutti alla sprovvista, accompagnata dallo stridio di una sedia che raschia sul pavimento.
Alizée si è alzata con un movimento rapido, gli anelli che tintinnano quando preme le mani sul tavolo.

«Chiaro, me lo dici solo adesso perché sai benissimo che non posso evitarlo. Da domani, mezza Sunset Hills già lo saprà» grida sprezzante. «Ma questa me la paghi, Ian. Giuro che me la paghi».

Mi guardo intorno, confusa, ma anche gli altri sembrano non avere idea di cosa sta succedendo.

Ian emette un sospiro. «Calmati, Alizée. Non so che cosa...»

«Lo sai benissimo!» L'espressione della donna è uno specchio di puro odio. «E sai che non voglio quel drogato in casa mia!»

Vedo Klaus che serra le dita in un pugno, scosso da fremiti furibondi, ma ancora una volta non si azzarda a parlare.

«Quel “drogato” si chiama Matt. Non è mica un barbone che ho raccattato in aeroporto». Non sta urlando, ma ora anche Ian ha alzato il tono, gelido quanto quello della moglie.

«Il barbone lo ospiterei più volentieri».

«È mio fratello».

Gli occhi verdi di Alizée, dilatati e scintillanti, sono così lucidi che potrei pensare sia sul punto di piangere. «Ti ho detto che non lo voglio qui!»

«Ed io non voglio tuo figlio qui, ma lo sopporto da sette anni».

La donna indietreggia di un passo, urtando le gambe della sedia, il viso paonazzo come se l'avessero appena schiaffeggiata.

«Basta». La disinvoltura con cui Liam si intromette tra di loro è disarmante. «Adesso state esagerando».

«Stanne fuori, per favore».

«No, papà» ribatte, e la sua calma imperturbabile incute quasi timore. «Perché mentre tu e la mamma eravate troppo occupati a lavorare, a litigare o a bere per fare i genitori, sono stato io a prendermi cura dei miei fratelli. Perciò credo proprio di avere diritto di parola».

«Sparisci dalla mia vista» ordina secca Alizée.

Dopo qualche secondo di nervoso silenzio, Klaus reclina il capo, accorgendosi di essere osservato. «Io?» commenta sbalordito. «Ma non ho detto niente! Non ho neanche fiatato!»

«SPARISCI!»

A questo punto, la sorpresa cede il posto alla rabbia e Klaus si solleva con tale veemenza da far tremare i piatti sulla tavola.
«Certo! Ormai anche la fame nel mondo è colpa mia!» ringhia, puntando spedito verso la porta. «Andate al diavolo!»

Non se n'è ancora andato che Alizée ed Ian hanno già ripreso a discutere, con Liam che funge da paciere.
Quando Toby si tappa le orecchie spaventato, decidiamo che forse è meglio seguire il saggio consiglio di Kal e ce la filiamo.

«Niente tiramisù per dessert, presumo» borbotto.

E, zoppicando, sgattaiolo via insieme agli altri, con Simon che mi stringe la mano.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top