33. IL BRACCIALETTO
«Uran shukalt sekhonat».
Kara mi rivolge una smorfia scettica, la matita che picchietta sul taccuino per l'impazienza. I capelli biondi sono trattenuti ai lati della fronte da spille e i suoi occhi tradiscono una tacita minaccia di danni fisici alla mia persona.
«Che?» borbotta seccata.
«Significa "Vorrei una cioccolata". È arabo». Scuoto la testa con disappunto. «Un po' di cultura, testa di paglia!»
Al mio fianco, Kal ridacchia e intreccia le mani dietro la nuca, noncurante dello sguardo in tralice che gli ha rivolto la ragazza prima di allontanarsi.
Con un clima così rigido da creare le stalattiti sui tetti e una quantità di neve che rasenta il metro, fa una certa impressione vederlo con una maglietta lilla a mezze maniche e dei pantaloncini -a pois dei colori dell'arcobaleno- lunghi fino al ginocchio.
Come sempre quando esce, non è truccato, ma è stato ben dieci minuti ad ammirare invidioso l'ombretto perlato verde salvia di una cameriera.
Credo che si stia ancora trattenendo dal chiederle dove lo abbia comprato.
Inaspettatamente, si è rivelato il compagno ideale nel periodo passato ad evitare Simon.
Infatti, per perseguire il mio proposito, ho passato quasi tutte le giornate fuori dalla villa, in particolare nel luogo che apprezzo più di qualsiasi altro a Sunset Hills: il Lucky House.
E, con me, c'era sempre Kal.
Pur sostenendo di farlo soltanto per salvarsi dalle lezioni pomeridiane con Stefan, so che in realtà anche lui è alquanto solo.
Stando insieme così tanto tempo, ho scoperto molte cose che lo riguardano, tra cui il fatto che non riesce a stringere amicizia da quando, nei corridoi della scuola, si è diffuso il pettegolezzo che sia transessuale. Poiché è bastato il suo abbigliamento stravagante, spesso tendente al viola o al rosa, per indurre i compagni a prenderlo in giro, posso capire la sua reticenza a far sapere del suo amore per il make-up.
Anche se non lo ammetterei nemmeno al prete nel confessionale, segretamente ho iniziato a considerarlo alla stregua di un migliore amico.
L'unico che ho, per l'esattezza, ma è un dettaglio.
«Allora?» lo incalzo. «Voglio sentire questa intensa storia d'amore».
Kal sbircia di nuovo la cameriera con l'ombretto, pieno di desiderio. «Mmh... non credo sia Urban Decay».
Continuo a scorrere il dito sullo schermo del telefono, aperto sui risultati della mia ricerca, ma si stanno rivelando completamente inutili, com'era prevedibile.
Stamattina, nella mia camera, ho provato a contattare Gladys, ma per ben dieci chiamate il mio telefono ha squillato a vuoto, lasciando uno sguardo frustrato sul volto di Klaus, seduto accanto a me sul letto.
Ho tentato anche di fargli una sua descrizione, ma la verità è che di belle donne castane dagli occhi scuri ne è pieno il mondo.
Senza contare che, in sette anni, si può cambiare molto.
Inoltre, lui non è neanche sicuro sulla tonalità delle iridi di quella che ho iniziato a definire “donna buona”. E ha detto di ricordare con chiarezza che era bionda... ma magari si trattava di una tinta.
Anche se nulla sembra presagire che la mia teoria sia giusta, non posso fare a meno di rimuginare sul modo in cui Gladys abbia cercato di nascondersi quando ha visto Klaus oltre la vetrata, alla paura nella sua voce mentre mi faceva notare che sarei dovuta andare da sola.
A questo punto, ho deciso di indagare su di lei in stile detective da quattro soldi.
Risultato: nessuno.
Non ha un profilo Facebook o Instagram, il suo nome non risulta sull'elenco telefonico e, tra tutte le "Gladys Turner" di cui ho trovato traccia nell'abisso di Internet, nessuna risponde alle sue caratteristiche.
Di fatto, potrebbe benissimo non esistere.
«La smetti di pensare all'ombretto?» obietto stizzita, alzando la testa.
Kal si lancia in bocca un orsetto gommoso del suo candy cocktail con succo di ciliegia.
Nonostante le banconote che continuava ad allungare sul bancone, la signora Brown -la proprietaria- si è rifiutata di darglielo alcolico.
È ironico che in un locale mondano come il Lucky House si abbia più rispetto per la legge che nella sfarzosa Taverna.
«Perché ti interessa sapere del matrimonio dei miei?» mi chiede scettico.
Sarebbe abbastanza assurdo riconoscere che non ne ho idea.
Per qualche ragione, una parte di me è convinta che Alizée debba essere coinvolta in questa storia, avere un legame con mio padre.
Pertanto, ho iniziato a raccogliere informazioni anche sul suo conto e, in particolare, sul suo passato.
Scrollo le spalle. «Magari voglio solo sapere come due persone che non riescono a stare nella stessa stanza abbiamo potuto fare sei figli».
Fin da subito, avevo sospettato che Ian e Alizée avessero un brutto rapporto, ma presto ho dovuto ricredermi.
Non hanno proprio nessun rapporto.
Da quando il marito è tornato, Crudelia esce per continue riunioni di lavoro che la trattengono fuori casa per ore. Inoltre, le cene con "gente importante", a cui trascina un rassegnato Edric, sembrano essersi moltiplicate.
In pratica, i due si alternano in maniera quasi esilarante: se c'è uno in casa, l'altra scompare, e viceversa.
Il lato positivo è che, senza Alizée, abbiamo tutti una maggiore libertà, oltre al fatto che non siamo ancora stati puniti per la scappatella di Halloween.
«Un forte istinto materno?» suggerisce Kal ironico.
«Più probabile una pessima marca di preservativi». Scoppiamo a ridere entrambi. «Liam mi ha detto che è stato un matrimonio per convenienza economica».
Kara ritorna ondeggiando sui tacchi e deposita una tazza fumante sul tavolo di fronte a me. L'aroma intenso di cioccolata mi stuzzica le narici, facendomi venire l'acquolina.
«Ti ringrazierei in arabo, ma non lo meriti».
«Quello non è arabo» precisa seccata.
Annuisco con fermezza. «Sì, invece. Non hai sentito la mia pronuncia fluente?»
Lei mi dà un calcio all'altezza della caviglia e si allontana compiaciuta al mio sussulto, più per la sorpresa che per il dolore.
Mi chino e inizio a massaggiarmi il punto colpito. «Lascerò la peggiore recensione nella storia delle recensioni alle cameriere» bofonchio, sollecitando Kal a proseguire con un cenno.
«I miei genitori si sono sposati perché, invece di essere anime gemelle, erano anime siamesi. Si completavano a vicenda». Dal ghigno sarcastico sul suo volto deduco che non ci sia nessun'accezione romantica in quelle parole. «Gli Hallander erano una famiglia rispettabile, i filantropi di Sunset Hills che organizzavano sempre gala di beneficenza e finanziavano le mense per i poveri».
«Percepisco un "ma"».
La luce maliziosa nei suoi pozzi neri si accende d'amarezza. «Peccato che fosse tutta apparenza: gli Hallander erano in bancarotta. Nostro nonno aveva dilapidato il suo patrimonio tra vacanze in luoghi esotici e regali costosi alle sue tante amanti. Presto, persero anche quei pochi spiccioli che gli rimanevano e dovettero perfino vendere la casa di famiglia».
Aggrotto la fronte, confusa. «La villa in cui viviamo...»
«Appartiene ai Blackwood, a mia madre» completa Kal, bevendo un sorso del suo succo. «Anche se oggi non si direbbe, dato che ovunque c'è il leone e quella H degli Hallander».
«Quindi Ian ha sposato Alizée per il denaro». Un calore piacevole si propaga nel mio petto mentre avverto il liquido bollente scivolare nella mia gola, sciogliendo la morsa del gelo esterno. «Ma lei cosa ne ha guadagnato, oltre ad un bel manzo?»
«Una buona reputazione». Kal coglie il mio sguardo interrogativo e precisa: «Hai notato che la mamma non usa mai il suo nome da nubile?»
«Sì, e allora?»
«È stata tutta un'idea di nostro nonno, Jonathan Blackwood. Oltre alla Black High School, aveva fatto costruire anche un centro commerciale a Baker Street, soltanto per farsi buona propaganda in vista delle elezioni comunali. Ma, siccome non voleva spendere troppo per un quartiere malfamato, per l'edificio furono utilizzati materiali scadenti».
«Sento odore di tragedia» commento, pulendomi la bocca con il tovagliolo.
Kal fa un cenno d'assenso. «Infatti. Parte della struttura crollò, uccidendo una cinquantina di persone. So che fece scalpore la morte di una coppia che lasciava un bambino orfano e senza parenti. La gente è sensibile su queste cose».
Una caramella a forma di vermiciattolo gli pende dal labbro, ma viene risucchiato un attimo dopo, seguito da un intenso masticare.
«Ovviamente, nonno Jonathan riuscì ad evitare problemi legali grazie ai suoi soldi, ma nessuno dimenticò: ormai, il nome Blackwood veniva associato a quella tragedia. E gli scandali sono sempre dannosi per gli affari».
Ricordo che è lo stesso concetto che mi aveva esposto Alizée, il giorno in cui l'ho affrontata per parlare di Elizabeth.
Adesso capisco da chi l'ha imparato.
«I Blackwood avevano una sola figlia femmina. E gli Hallander avevano due maschi, ma nessuno avrebbe mai preso in considerazione zio Matt per questo. Non è mai stato adatto ai matrimoni... e aveva problemi di droga» esclama Kal sogghignando. «Ed ecco l'unione perfetta».
Ed entrambi incastrati in un matrimonio che nessuno dei due voleva.
«Ehi, che ci fate voi qui?»
Eileen sfila tra i tavoli di legno grezzo, diretta verso di noi con la tazza di cappuccino alla cannella in equilibrio sul piattino. Porta una borsa a tracolla sulla spalla e un'altra, appesa all'incavo del gomito, da cui straripa una montagna di vestiti dal cartellino sporgente.
«Sorella, se finiremo sul lastrico sarà colpa del tuo disturbo ossessivo compulsivo per lo shop...»
La voce di Kal si perde in un rantolo strozzato e la caramella gommosa alla coca cola, che stava mordicchiando, gli scivola dalla bocca.
Incuriosita, seguo la traiettoria del suo sguardo fino ad una ragazza piuttosto graziosa che è appena uscita dalla toilette.
Ha un fisico sodo e formoso, corredato da una carnagione mulatta e fianchi larghi. Gli scuri capelli a rasta le ricadono sulle spalle lasciate scoperte dalla camicetta e un piercing le scintilla sul sopracciglio sinistro.
Eileen si volta e solleva la mano per attirare la sua attenzione, prima di lasciarsi cadere sulla sedia al mio fianco. «Kal, dovresti seriamente smettere di sbavare addosso alla mia migliore amica. È imbarazzante».
Per tutta risposta, lui rimane imbambolato a fissarla avvicinarsi al nostro tavolo, un'espressione da ebete stampata sul viso.
«Leen, non mi avevi detto che ci fosse tuo fratello» dice la ragazza, sfoderando un caloroso sorriso. «Ciao, Kal».
«Cio... mlia... me st... i?»
Eileen si dà una sberla sulla fronte mentre l'amica sbatte le palpebre, a metà tra divertita e confusa. «Come, scusa? Non ho capito».
«Credo che fosse una lingua aliena» intervengo, più che altro per farmi notare. Detesto essere ignorata. «Vulcaniano, forse».
«Ah, ciao! Io sono Amelia» Mi tende la mano, raggiante. «Tu devi essere Keeley. Ho sentito parlare molto di...» Esita per un secondo, posando gli occhi color nocciola sulla mia maglia al contrario. «... di te, insomma».
«Ovvio, sono una stella che tutti ammirano». La squadro con attenzione dalla testa ai piedi. «Sei un'anatra con poteri magici camuffata da umano, per caso?»
«Che?»
«Hai il nome della strega di Paperino. E hai anche i capelli neri come lei». Mi gratto il mento, sospettosa. «Me lo diresti se fossi tu, vero?
Amelia assume una smorfia interdetta e biascica uno sbrigativo “Certo”. Fa per prendere posto accanto ad Eileen, ma Kal si affretta a liberare la sedia vicino a lui dai fumetti che vi aveva posato sopra.
«Puoi metterti qui» le propone speranzoso, picchiettando le nocche sullo schienale. «Se vuoi».
Sebbene cerchi di sembrare disinvolto, nei suoi gesti e nel suo tono è palese una tensione impacciata piuttosto insolita.
«Va bene, grazie». Amelia fa una risatina e si siede, scambiandosi un'occhiata complice con Eileen.
Quest'ultima fa uno scatto improvviso, come se avesse appena ricevuto la scossa. «Aspettate, quale dei due demoni infernali serve a questo tavolo?» domanda angosciata. «La vipera bionda o l'idiota palestrato?»
I suoi smeraldi dardeggiano prima su Kara e poi su Jonas, intento a maneggiare con la macchinetta del caffè bloccata.
Per un istante, si sofferma sui muscoli delle sue braccia che si contraggono mentre cerca di staccare il portafiltro incastrato, e un lampo bramoso le guizza sul viso. Si affretta a girarsi, le guance leggermente tinte di rosso, ma Kal è troppo impegnato ad ammirare Amelia per accorgersi del suo imbarazzo.
«La vipera bionda». Faccio un sorrisetto malizioso e aggiungo sottovoce: «Comunque, l'idiota palestrato non sembra dispiacerti».
Eileen mi scocca uno sguardo indispettito, gonfiando il petto come se l'avessi appena punta nell'orgoglio con quell'osservazione. «Ognuno ha le sue debolezze, Keeley. A me piacciono gli addominali e a te gli occhiali... o le cicatrici».
C'è qualcosa nel modo in cui pronuncia quelle parole, quasi con risentimento, che mi spinge a tacere.
Non può essere una coincidenza... e se Simon le avesse detto del nostro bacio?
I successivi trenta minuti sono i più noiosi della mia vita.
Dopo aver scoperto che Amelia ha la sua stessa passione per un vecchio manga chiamato “Death Note”, Kal ha iniziato a sciogliersi e i due si sono isolati nel loro mondo popolato da dèi della morte appassionati di mele.
Eileen, invece, si mette a raccontarmi del suo pomeriggio, passato a vagare da un negozio di vestiti ad uno di scarpe, ma io non la ascolto granché.
Per quanto mi sforzi, non riesco a carpire informazioni dalla sua voce o dalla sua espressione.
Sono convinta però di percepire una punta di ostilità nei miei confronti, ma forse è una sensazione dettata dalla mia paranoia.
Non sapendo cos'altro fare, estraggo il mio coltellino svizzero e comincio a limarmi le unghie, guardando fuori dalla finestra.
Un turbine di fiocchi candidi imperversa per le strade, avvolte da una lieve bruma sospesa nell'aria pungente. Le auto procedono con cauta lentezza, scivolando sulla patina di ghiaccio dell'asfalto spalato dalla neve.
Il suono di una notifica mi riscuote dai miei pensieri e prendo pigramente il telefono, certa che sia l'ennesimo tentativo di Alan di contattarmi.
Invece no.
“Sei libera, ficcanaso?”
Il mio cuore accelera un poco, immaginando quel nomignolo pronunciato dal suo accento inglese.
Scaccio quei pensieri e digito: “Forse. Perché, mi desideri, fiorellino?”
“Ardentemente”. Segue una faccina esasperata.
«Hai un coltellino svizzero?» mi domanda Amelia perplessa.
Abbasso un attimo lo schermo, il tempo di guardarla con una scrollata di spalle. «Tu no?»
Un altro messaggio di Klaus cattura di nuovo la mia attenzione, prima che possa rispondermi.
“Prima di coinvolgerti in questa storia, voglio essere completamente sincero con te”.
Una breve pausa durante la quale posso quasi di percepire la sua esitazione. Poi aggiunge: “Devi capire quanto è pericoloso”.
Aggrotto la fronte, sentendo montare un senso d'ansia che mi si incastra come un macigno alla bocca dello stomaco. “Ed io che pensavo stessimo cercando il topolino dei denti...”
“Sono serio. Dimmi dove sei, ti voglio portare in un posto”.
“Pretendo maggiori informazioni, biondino”.
All'improvviso, una mano si posa sulla mia spalla e la testa di un ragazzo emerge tra me ed Eileen, accompagnata da un forte odore di tabacco.
«Ehi, belle fanciulle» sogghigna Jacob.
«Bella fanciulla?» Kal ridacchia divertito. «Così mi fai arrossire però. Sono timida».
Amelia si lascia sfuggire una risatina che a me sembra piuttosto incerta, anche se non ne colgo il motivo.
Gli scanso il braccio con un gesto brusco e agito la lama sottile davanti al suo naso. «Toccami di nuovo e userò il tuo intestino come sciarpa» sibilo minacciosa.
Jacob giocherella con la catena dorata che porta al collo, il suo teschio tatuato che mi fissa con i baratri neri delle orbite vuote. «Chi ha sbagliato con te? Mamma o papà?»
Digrigno i denti, rabbiosa. «Non saprei. Nel tuo caso, chiunque dei due abbia messo male il preservativo».
«Che diavolo vuoi, Jack?» sbotta Eileen infastidita.
«Volevo proprio te, sorellina degli Hallander».
Kal stringe la cannuccia del suo cocktail analcolico, un sorrisetto sinistro sulle labbra. «Ti consiglio di stare attento».
Jacob inarca un sopracciglio con una smorfia di sfida. «Altrimenti, cosa mi fai, nanetto?»
«Io, niente. Ma lei ti farebbe molto male» replica, accennando alla sorella.
«Voi Hallander siete così melodrammatici». Jacob emette un sospiro di finta disperazione. «Sto solo cercando Raf e, visto che ti scodinzola sempre dietro, pensavo sapessi dove posso trovarlo».
Eileen si stringe nelle spalle. «Non ne ho idea». Il suo ghigno compiaciuto, però, è in netto contrasto con il tono innocente.
«Forza, ho bisogno del mio fratellino. Ho dimenticato le chiavi e non posso tornare a casa, altrimenti mia madre rompe le palle».
Ah già, a questo proposito...
«Non è un mio problema» commenta lei, sorseggiando il suo cappuccino con noncuranza.
«Bastarda».
Jacob si allontana verso il bancone, ma ha mosso soltanto pochi passi che l'ho raggiunto. Faccio un fischio per richiamarlo e, appena si è voltato, gli rifilo una ginocchiata dritta tra le gambe.
«Cazzo!» grida sofferente, arretrando sotto gli occhi della piccola folla di giovani che popola il Lucky House.
«La prossima volta che tenti di portarmi a letto da ubriaca, colpirò lo stesso punto. Ma con il coltellino». La mia voce gronda di una gentilezza velenosa.
Massaggiandosi i gioielli, il ragazzo mi lancia uno sguardo di disprezzo. «Capisco perché sei la fidanzatina dello sfregiato. Siete due fottuti psicopatici».
Un'idea mi balza nella mente. «Visto che siamo in argomento... hai preso tu il suo braccialetto?»
«Che?» chiede confuso.
Tamburello il tallone sul pavimento con impazienza. «Un braccialetto di cuoio molto rovinato. Klaus l'ha perso quella sera».
«Perché diamine avrei dovuto prenderlo?» A poco a poco, una strana espressione si forma sul suo viso, come se iniziasse a capire. «Gli è caduto. Frank l'ha trovato e lo ha messo tra gli oggetti smarriti».
«Frank? Il barman?»
Jack annuisce. «Il locale è di mio zio» precisa, sfoderando un sorriso tronfio. «Comunque, dubito che il tuo ragazzo riavrà indietro il suo orrendo braccialetto. Poco dopo che siete andati via, un uomo ha detto che era suo e lo ha preso».
Corrugo la fronte, colta alla sprovvista. «Che uomo? Che aspetto aveva?» lo incalzo sospettosa.
«E a me cosa dovrebbe fregare?»
«Ehi, smettetela voi» soggiunge Jonas, afferrando l'amico per una manica della giacca di pelle. I suoi occhi verdi si posano su di me. «Pensavo che avessimo chiarito, no?»
Faccio spallucce. «Stavamo solo facendo una chiacchierata».
Mi giro e faccio per tornare al tavolo, ma la voce di Jacob mi trattiene, pregna di amarezza: «Aveva la faccia piena di cicatrici. Era proprio il tuo tipo, in effetti».
Quando mi accascio di nuovo sulla sedia, l'immagine del mostruoso uomo con l'occhio bianco che ho visto fuori dall'appartamento di Alan mi sta ancora assillando.
Doveva essere lui, non c'è altra spiegazione.
Ma perché ha preso il braccialetto che l'uomo buono ha dato a Klaus?
Immersa nelle mie riflessioni, impiego qualche secondo ad accorgermi che ho ricevuto un altro messaggio.
Leggendolo, gocce di sudore gelido mi scendono lungo la schiena e un brivido mi fa tremare il telefono nella mano.
“Voglio mostrarti il luogo in cui Elizabeth mi ha portato... la notte in cui è morta”.
Angolo Jedi
Scusate, spero che questo capitolo non risulti troppo noioso.
So che non succede molto, ma sono state dette cose che saranno importanti per la trama.
Vi chiedo un po' di pazienza: prometto che ci stiamo avvicinando al cuore della storia.
A proposito, vi sta piacendo?
Avete già delle teorie?
Sono curiosa di scoprire le vostre opinioni :-)
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