24. M.W.

Senza proferire parola, Klaus continua a fissare la dedica sul retro della foto, stringendola così forte che quasi ho paura che possa rovinarla.
Il suo volto è una maschera talmente impenetrabile da farmi desiderare di avere la mia bacchetta per provare a leggergli la mente.

Sono seduta al suo fianco, sullo schienale della panchina nel cortile del piazzale della scuola, dominato dalle statue in marmo di importanti personaggi americani della storia, ciascuno identificato con una targhetta dorata che ne illustra le gesta.
E non so se sia più inquietante lo sguardo del leone inciso sulla pietra d'onice dell'anello di Klaus oppure quello di Abraham Lincoln con la sua barba da stregone.

I rumori della festa ci giungono remoti, le grida e la musica che si perdono sotto il canto squillante degli allocchi trasportato dai respiri del bosco che cresce intorno alla collina.
Il cielo si è spogliato delle sue stelle e la luna è ormai un riverbero etereo in una profonda distesa nera.
Una brezza frizzante e pungente che si insinua nelle mie ossa, carica degli effluvi autunnali che scacciano la puzza di fumo e di alcol, affogata tra aromi di agrumi e profumi di osmanto e crisantemo.
In certe culture, quest'ultimo è considerato il fiore dei morti e, forse per questo, vederlo sbocciare nel cuore di una notte cupa, alla soglia del mese dei defunti, mi mette inquietudine.
Per qualche ragione, non riesco ad evitare di guardarmi intorno, tremando un poco nella mia felpa, con il persistente presentimento che non siamo da soli.

«Capisco perché ti abbiano bocciato, comunque» borbotto, infilando le mani dentro la manica per riscaldarle.

Klaus rimane immerso nei suoi pensieri, e per l'ennesima volta dalla fine del ballo al buio mi ritrovo ad ammirarlo, rapita dal suo fascino.
Malgrado la sua reticenza, indossa uno smoking nero di alta sartoria con gemelli d'oro ai polsini. I capelli biondi, accuratamente domati, risplendono come un'aureola dorata nell'oscurità, ma sono i riflessi pallidi della cicatrice che gli conferiscono un alone irresistibile di mistero.
Gli manca solo un papillon intorno al colletto per coronare quel quadro di pura perfezione.

«Com'è possibile?» domanda Klaus all'improvviso.

«Beh, se leggi così lentamente, è ovvio che...»

I suoi occhi dardeggiano su di me, seri e tenebrosi, i piccoli zaffiri dispersi nell'argento liquido. «Com'è possibile che si conoscessero?»

«Sunset Hills è una piccola città. Non è così strano» replico, sbattendo i denti. «E poi mio padre... beh, attirava l'attenzione».

«Mi ricorda qualcuno».

Con un gesto distratto, Klaus si toglie la giacca e me la posa delicatamente sulle spalle. Subito, mi ci avvolgo dentro, inebriata dal suo profumo di acqua di colonia di cui è intrisa, e altri brividi mi scuotono il corpo, molto diversi da quelli di prima per il freddo.

«Ce l'hai fatta a darmela! Credevo che stessi aspettando che morissi assiderata».

«Potevi chiedermela» sbuffa esasperato.

«Tu sei la tomba della cavalleria». Scuoto la testa con disapprovazione. «E sappi che non ho intenzione di restituirtela».

Un sorrisetto impertinente spunta all'angolo delle sue labbra. «La vuoi tenere per poter sentire il mio odore? Che cosa romantica!»

«Maledetto!» Indispettita, gli sferro un pugnetto sulla nuca, facendolo ritrarre. «Non copiare le mie frasi!»

«Oltre che ficcanaso, sei anche violenta».

«Quando ti ho detto che mi piacciono le risse, avresti dovuto capire che non sono la reincarnazione di Gandhi» ribatto noncurante.

Klaus torna a concentrarsi sulle iniziali scarabocchiate in fondo al testo. «Non può essere una coincidenza, Keeley. Se M.W. è davvero Michael Waylatt...»

«E lo è, di sicuro».

«Non ne possiamo essere sicuri» precisa, scoccandomi un'occhiata eloquente. È come se volesse avere una piccola speranza che ci stiamo sbagliando. «Ma se è così, allora Alizée deve saperlo».

Annuisco. «Crudelia sa molto più di noi, questo è certo. Non sprecherei tempo a chiederglielo, però. Non ci dirà niente».

«Non ha nessun senso. Perché adottare la figlia dell'amico dell'uomo che...» La sua voce si spegne, lasciando la frase in sospeso.

«Aggiungila alla lista di domande. Ormai è così lunga che potremmo disboscare la foresta amazzonica».

«"Ho commesso un errore"» legge con acido sarcasmo. «Un modo buffo per definirmi».

Mi mordicchio il labbro con fare incerto. «Per consolare qualcuno, su Internet consigliano di abbracciarlo. Visto che non lo gradiresti, fingi che io l'abbia fatto».

Klaus aggrotta la fronte, perplesso, ma poi scoppia in una debole risata. «Sei incredibile» mormora di getto.

«Ovvio, sono io». Esito per un secondo, tentando di reprimere la mia curiosità. Invano. «Sul serio Alizée lo ha... ucciso

«Ho usato una metafora, ma è abbastanza giusto» spiega Klaus con un sospiro pesante. «Dopo alcuni giorni da quello che le aveva fatto, Alizée lo denunciò. Michael venne arrestato e al processo si dichiarò colpevole. Non che servisse: il test del DNA aveva già confermato che il figlio che lei aspettava era suo. E c'era una testimone che l'aveva visto allontanarsi... dopo».

Anche se si sforza di apparire impassibile, posso percepire il dolore lacerante che gli provoca dover parlare di lui.
Immediatamente, mi sento in colpa per aver insistito sull'argomento.

«Michael fu rinchiuso in prigione, ma continuava a chiedere che Alizée gli facesse visita. Stando a quanto ho sentito, si era pentito e voleva scusarsi. Come se potesse bastare». Emette un verso rauco, pregno di amarezza. «Lei si rifiutò per molto tempo di vederlo, ma alla fine accolse la sua richiesta».

«Ho la sensazione che non lo abbia fatto per perdonarlo».

Klaus scuote la testa. «Nessuno, a parte Alizée, sa cosa si siano detti. Secondo l'opinione di molti, deve aver minacciato una persona a cui Michael teneva, suo fratello forse. È l'unico modo in cui può averlo costretto a fare una cosa del genere...»

«Che cosa?» domando, bramosa di sapere.

«Michael si tolse la vita, il giorno dopo la sua visita».

Spalanco la bocca, esterrefatta. Anche se Alizée mi sembra una donna più propensa alla vendetta, piuttosto che a dimenticare, non avrei mai immaginato che fosse capace di istigare qualcuno al suicidio.

E la foto?
Deve averla mandata prima di pagare il prezzo del suo errore...

«Non capisco ancora cosa c'entri mio padre». Mi stringo nella sua giacca calda mentre una parte di me, minuscola e insignificante, ripensa al fugace abbraccio tra noi durante il ballo. «Inizio a credere che sia tutto collegato. Michael, la morte di Elizabeth, la mia adozione...»

L'omicidio di mia zia e perfino la scomparsa di mio padre, aggiungo mentalmente tra me.

«E anche il messaggio dell'altra sera» puntualizza Klaus riflessivo. «Chiunque me l'abbia mandato, voleva attirarmi alla Taverna, da te».

«E perché non ci è successo niente? Ti ricordo che eravamo a piedi e da soli!»

«Certo, ma nel quartiere più ricco di Sunset Hills. Ci sono telecamere ovunque, fuori dalle ville. Nessun idiota ci avrebbe aggrediti in quella zona».

Inarco un sopracciglio, scettica. «Quindi ha fatto un gran casino solo per rubarti un braccialetto rovinato?»

«Oppure voleva essere certo che tu fossi Keeley Storm, questa volta» sentenzia tetro.

Il mio sguardo si incatena al suo, così profondo da farmi accapponare la pelle. E, nel silenzio, un nome aleggia senza il bisogno di essere pronunciato: Elizabeth.
Nella mia mente, riaffiora l'immagine dell'uomo deturpato con un occhio bianco che ho visto fuori dal palazzo in cui vive Alan... e se ci fosse stato davvero?

«Klaus, qualche giorno fa...» esordisco in tono cauto.

«Eccovi, finalmente! Abbiamo un SOS, ragazzi!»

A causa della tensione che si era creata, entrambi sussultiamo al suono inaspettato di quella voce. A Klaus sfugge la foto, che si posa sulle sue gambe, ed io rischio di ribaltarmi dallo schienale della panchina, ma mi salvo aggrappandomi a lui.

Ma è soltanto Eileen che si sta dirigendo verso di noi, barcollando sui tacchi per colpa di qualche drink di troppo. In realtà, sono piuttosto convinta che sarebbe già caduta a terra, se non fosse per il ragazzo che la sostiene.

Appena colgo l'espressione di Klaus, che scruta la mia mano ancora sulla sua spalla, lo lascio. «Lo so, lo so. Non devo toc... BROOKLYN?» urlo scioccata.

Rafael si ferma di fronte a noi e, incrociando lo sguardo gelido di Klaus, si affretta a ritirare il braccio con cui cingeva Eileen per aiutarla a mantenersi in equilibrio.
Porta lo stesso berretto che aveva la sera che l'ho incontrato, il quale è in netto contrasto con il suo costume da Tristo Mietitore composto da una falce e un mantello nero con cappuccio.

«Conosci Raf?» mi chiede Eileen stupita.

«Ci siamo incontrati una volta, sì».

Rafael si schiarisce la gola con palese disagio. «Già, a scuola».

«Sicuro» concordo ironica. «E voi due siete...?»

Afferrandolo per un polso, Eileen lo travolge in un abbraccio, facendolo arrossire sulle guance e, per poco, non gli cade la falce finta per la sorpresa. «Migliori amici!»

Klaus contrae la mascella, corrucciato. Se si potesse uccidere qualcuno con gli occhi, Brooklyn sarebbe appena crollato stecchito.

«Hai nominato un SOS, sorellina?» obietta, marcando l'ultima parola come un ammonimento.

«Oh sì. Dobbiamo tornare a casa entro», sbircia l'orologio dell'amico, «mezz'ora. La mamma torna in anticipo, prima delle due».

«Sono appena arrivato e già dobbiamo andarcene? Ed io che pensavo di essere nato sfortunato».

«E Crudelia è stata così gentile da avvisarti?» soggiungo stranita.

«No, ma ha avvisato Carol. E lei è sempre stata complice nelle nostre Operazioni Talpa».

A quelle parole, Klaus sogghigna divertito, invece io mi limito ad assumere una smorfia confusa, senza capire a cosa si stia riferendo.

«Comunque» riprende Eileen con estrema serietà. «Klaus, tu recupera Kal. Se ti offre da bere, non accettare, per carità. Un fratello fatto mi basta».

«Kal ha drogato Edric» riassumo in risposta all'aria interrogativa di Klaus, che esplode in una fragorosa risata.

Eileen incrocia le braccia sul petto, guardandolo truce. «Non è divertente».

«Un po' sì».

«Non lo trovavo più e mi sono spaventata. Per fortuna, Raf mi ha detto che è al Savage, con Ric».

«A proposito». Klaus assottiglia le palpebre con ostilità. «Tu perché sei ancora qui?»

«Klaus!»

«Tranquilla, rossa. Ci vediamo domani». Rafael le deposita un timido bacio sulla guancia e ci fa un cenno di saluto impacciato, biascicando un esile "Ciao" prima di dileguarsi con la sua falce.

«Non vedo l'ora che gli spezzerai il cuore» dice Klaus compiaciuto. «È cotto di te da dieci anni».

«Ma stai zitto!»

«Scommetto che è stato lui il tuo cavaliere, nel ballo al buio».

«In verità, no». Eileen appare alquanto imbronciata. «Chiunque fosse non si è fatto vedere. Questo significa che è molto timido oppure molto stronzo».

«Di sicuro la seconda» affermo. «Come sai che non era Rafael?»

«Perchè profumava di rosmarino».

Faccio spallucce. «Magari era una spianata».

Eileen ridacchia, tuttavia è chiaramente molto seccata dal fatto di non conoscere l'identità del ragazzo. «E voi con chi avete ballato?»

«Nessuno!» rispondiamo in coro, scambiandoci un'occhiata.

Stando attento a non farsi notare, Klaus mi restituisce la foto e si alza. «Vi accompagno da Ed e Ric, poi vado a cercare Kal. Non potete girare da sole». C'è una vena di apprensione nella sua voce.

«Biondino, il Savage è lì». Indico l'edificio alle nostre spalle. «Possiamo sopravvivere anche senza di te per dieci metri».

«Non esiste» taglia corto. «E Simon, invece, dov'è?»

Il mio stomaco si contorce in maniera spiacevole al ricordo della nostra ultima conversazione. Ancora posso vedere il suo sguardo ferito, la speranza nei suoi occhioni verdi che si spegne, sciogliendosi come ghiaccio al sole.

«Mi ha mandato un messaggio poco fa. È andato via in moto». Eileen si stringe nelle spalle, sbirciandomi di sbieco. «Non so perché».

Si è innamorato di me... e non è mai un bene per nessuno. Ecco perché.

Volenti o nolenti, Klaus ci scorta come una guardia del corpo oltre l'atrio affollato di ragazzi spaparanzati sulle poltroncine, adocchiando talvolta la sorella per accertarsi che riesca a reggersi, e ci lascia solo all'ingresso del bar.

Prima che di varcare l'arco, Eileen mi blocca con un gesto gentile ma sicuro e, accertandosi che Klaus si sia allontanato, mi chiede con un cipiglio severo: «Simon è andato via per colpa tua, vero?»

«Ehm». Di solito, non mi sento quasi mai in imbarazzo... in questo momento, però, vorrei avere un mantello dell'invisibilità. «Potrei aver avuto un ruolo non indifferente».

«Tu mi piaci, Keeley...» prosegue lei sincera, o almeno credo.

«Percepisco un "ma"».

«Ma non giocare con i miei fratelli».

Gonfio il petto, punta sul vivo. «Non lo sto facendo. Per questo ho rifiutato Simon, per non illuderlo».

«Non mi riferivo solo a Simon». E indica con il mento la giacca che porto.

«Ma perché siete tutti convinti che tra me e il biondino ci sia una sorta di strana storia d'amore?» grugnisco frustrata.

«Passate molto tempo insieme e avete dormito nello stesso letto. Il dubbio è legittimo».

Sollevo l'indice a mezz'aria. «Per l'esattezza, lui ha dormito con me».

«Klaus non ha mai avuto una ragazza» dichiara all'improvviso.

Mentirei se dicessi che, a quella rivelazione, non mi sembra di avere un criceto che lancia i petardi nel petto.
La possibilità che nessuna abbia potuto scoprire il sapore delle sue labbra o che potrei essere la prima... ma cosa sto pensando?!

«Non fraintendermi. Moltissime ci hanno provato con lui, ma per la maggior parte di loro era solo una sfida. Sapevano che non gli piace il contatto fisico e volevano potersi vantare di essere le uniche a cui ha permesso di toccarlo» riprende Eileen sprezzante. «Credevano che sarebbero bastati un paio di appuntamenti e avrebbero avuto quello che volevano... alcune hanno anche cercato di forzarlo».

«Io non sono così» sbotto infastidita.

«Non ti conosco abbastanza per giudicarti, ma conosco mio fratello». Non c'è cattiveria nella sua voce, solo preoccupazione. «La verità è che Klaus ha bisogno di tempo... assicurati di essere disposta ad aspettarlo, se mai dovesse piacerti. Ha già sofferto abbastanza».

Eileen entra per prima nel bar e, dopo un istante, mi riscuoto e la seguo a mia volta.
A differenza della mattina in cui ci sono stata con Jonas, il Savage è deserto.
Senza quell'esplosione di vitalità, avvolto in un silenzio assoluto che fa ronzare le orecchie, il suo aspetto è alquanto sinistro, sebbene sia illuminato dai lampadari al neon.
Ci aggiriamo tra i tavoli e i separé, superando il bancone vuoto e abbandonato, e arriviamo fino ad una delle due televisioni, collegata ad una console.
E ci ritroviamo davanti ad una scena davvero inaspettata.

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