14. SO COSA HAI FATTO
Non sono neanche le sette quando usciamo dalla casa e ci dirigiamo verso l'auto, ma il cielo è già una distesa violacea tinta di sfumature aranciate.
Se Baker Street mi era sembrata carina, adesso avvolta dalle prime ombre della sera il suo fascino è innegabile.
Una bellezza selvaggia e inquietante che mi mette in agitazione, come il sentore costante di un pericolo che si profila sempre più vicino.
Continuo a guardarmi intorno, per niente rassicurata dalle strade desolate, dai negozi chiusi o dai ristoranti pressoché deserti.
La mia mano giocherella con il coltellino svizzero attraverso il tessuto dei pantaloni, tenendomi pronta ad estrarlo in qualsiasi momento.
«Sei proprio una fifona» mi canzona Klaus, camminando con disinvoltura poco più indietro.
«Beh, c'è una ragione per cui sono una Serpeverde, e non una Grifondoro» ribatto sulla difensiva.
«Perché sei insopportabile?»
«No, perché ho una cosa chiamata istinto di sopravvivenza. Ce l'hanno tutti gli esseri intelligenti, infatti tu ne sei privo».
«I tuoi insulti sono sempre così originali che mi commuovono» replica sarcastico.
«Ovvio. Io sono la quintessenza dell'originalità».
Klaus affretta il passo e si accosta a me.
«Non riesci proprio a contenere tutto quell'ego che hai in corpo, vero?»
«È solo sincerità, fiorellino».
«Ah, ecco! Sei tornata ai nomignoli fastidiosi» esclama, sollevando gli occhi.
«Non è colpa mia se mi mandi in confusione. Sei un inglese dal nome tedesco che vive in America con una madre mezza francese». Faccio spallucce. «Provocheresti una crisi d'identità anche ai vecchietti che giocano a tombola».
«Ma che stai dicendo?» obietta stranito.
«Non lo so, dimmelo te. Sei tu che mi stai ascoltando».
Klaus mi fissa allibito, ma poi un'espressione rassegnata compare sul suo viso. «E comunque sono cresciuto in Inghilterra, ma sono nato a Sunset Hills, quindi...»
Una suoneria esplode nell'aria e la sua voce viene soffocata sotto i versi della canzone "Demons".
Inarco un sopracciglio, divertita. «Imagine Dragons? Sul serio?»
«Ehi, io non critico i tuoi gusti musicali» si difende, prendendo il telefono.
«Per forza. Io ascolto solo roba di qualità».
Sbircio sullo schermo e leggo il nome di Simon, un attimo prima che Klaus accetti la chiamata.
Non ha il tempo di parlare che viene travolto da una fiumana di parole, di cui riesco a cogliere solo un ronzio indistinto.
«Calmati, Simon, maledizione» lo interrompe Klaus seccato. «A volte, sei più isterico di Eileen quando deve fare un regalo di compleanno».
Non sento la risposta di Simon, ma sono certa che non sia un complimento.
«Aggiornami! Voglio sapere!» protesto, tirandogli una manica.
Klaus mi fulmina con lo sguardo e, mentre cerca di divincolarsi alla mia presa, dice al fratello: «Tranquillo, se anche la rapissero, ce la restituirebbero nel giro di un quarto d'ora».
«Chiede di me?» Mi aggrappo alla sua spalla per avvicinarmi al telefono, essendo più bassa di lui di alcuni centimetri. «CIAO CAROTINO!»
«Smettila! Non toccarmi!»
Klaus si libera con uno strattone, ma non prima che io gli abbia sfilato il cellulare dalla mano.
Mi affretto ad allontanarmi per impedirgli di riprenderlo, facendogli la linguaccia.
«Ehi, mi cercavi?» domando a Simon, ignorando Klaus che borbotta qualcosa che fa rima con "lonza".
«Keeley? Sei tu?»
«Conosci qualcun altro che ti chiami "carotino"?»
«Sì, cioè no, giusto». Fa una risatina nervosa. «Ero preoccupato per te. Al Lucky House sei sparita in quel modo...»
«Sparita? Ma non hai letto il mio messaggio sul tovagliolo?»
Klaus scuote la testa, come se quella fosse la cosa più ridicola che abbia mai sentito.
«La prossima volta prova con i segnali di fumo» commenta beffardo.
«Taci, prego. I biondi non hanno diritto di parola» lo riprendo, pestandogli un piede.
«Dici a me?» mormora Simon confuso.
«Non mi risulta che tu sia biondo».
«Ehm, va bene. Comunque, sì, ho trovato il tovagliolo, ma ho pensato che fossi andata via perché eri arrabbiata con me...» spiega esitante.
«Lo sono, infatti».
Posso quasi percepire il suo sguardo da cucciolo ferito dall'altra parte della linea.
«Non ti ho ancora perdonato per aver riso dei miei baffetti di cioccolata».
«Ah già» ridacchia Simon con fare agitato. «No, io mi riferivo a quello che ho detto prima, sai...» La sua voce si affievolisce fino a sparire.
Aggrotto la fronte, interdetta. «Perché? Che hai detto?»
«Niente. Lascia stare» risponde lui precipitosamente. «Sul tovagliolo hai scritto che dovevi fare una cosa da sola...»
«Infatti».
Segue una breve pausa, poi Simon puntualizza con una nota di amarezza: «Ma sei con Klaus».
Perché lo dice come se fosse un crimine?
Prima di tutto, non avevo previsto di essere investita, quindi non è colpa mia.
E poi, se era in ansia per me, dovrebbe essere sollevato che fossi con qualcuno che conosce, no?
Non che io gli debba spiegazioni, comunque!
«Purtroppo sì. Fidati, le dinamiche del nostro incontro non sono state ideali».
«Comunque, l'importante è che tu stia bene» conclude Simon, anche se sembra piuttosto deluso.
«Bene, non esageriamo. Tuo fratello stava per ridurmi ad una poltiglia sfracellata...»
«Va bene, basta!» Klaus mi strappa il telefono e se lo porta all'orecchio. «Stiamo tornando. Tieni Kal lontano dalla mia pizza».
«Io la voglio alle patatine fritte e cetriolini» urlo, ma ormai ha già riattaccato.
Klaus mi rivolge una smorfia disgustata. «Patatine e cetriolini? Che schifo».
«Tu fai schifo».
Proseguiamo lungo la via principale di Baker Street, costeggiata da alberelli spogli dai rami contorti intrecciati tra loro.
L'aria è immobile e frizzantina, carica dell'odore di salsedine e del profumo di carne cotta o di pesce cucinati per la cena.
Esili tentacoli di una lieve nebbiolina si trovano sospesi da terra, accesi di riflessi mistici alla luce del sole morente.
Quando scorgo l'auto nera parcheggiata sul bordo del marciapiede, una ventina di metri più avanti, trattengo a stento un sospiro di sollievo.
Nonostante ciò, il mio istinto continua a dirmi di non abbassare la guardia.
Forse, Baker Street non è poi così pericolosa...
«Visto, cuor di leone?» mi canzona Klaus. «Siamo sopravvissuti».
«KLAUS HALLANDER!» tuona una voce alle nostre spalle, talmente furibonda da farmi rabbrividire.
Ci voltiamo di scatto e vediamo un drappello di tre figure puntare verso di noi con passo spedito, quasi correndo.
«Non potevi stare zitto, biondino, vero?» commento, stringendo il coltellino svizzero nella tasca.
Klaus impreca sottovoce e un'ombra gli oscura il volto mentre osserva il ragazzo alla testa del corteo.
Vestito con una giacca di pelle e pantaloni strappati, ha un fisico scultoreo con spalle larghe, braccia muscolose e pettorali scolpiti messi in risalto dalla maglia aderente.
I suoi folti capelli corvini sono in netto contrasto con gli occhi di un verde dorato, che fissano Klaus ardenti di rabbia e disprezzo.
I suoi compagni, invece, sono entrambi piuttosto smilzi. Uno ha una chioma riccioluta color rame su cui porta un berretto con la scritta "Brooklyn".
L'altro, più robusto ma slanciato, ha una criniera castana raccolta in una coda e il tatuaggio di un teschio inquietante sul collo.
«Che diavolo vuoi, Jonas?» sbotta Klaus.
Non c'è la minima traccia di paura nel suo sguardo.
«Un autografo, magari. Ma faremo tardi alla serata pizza, questo è certo» borbotto.
Il ragazzo moro, Jonas, si ferma di fronte a Klaus e, con un gesto fulmineo, gli sferra un pugno in faccia talmente forte da farlo indietreggiare.
Sussulto per la sorpresa, il cuore che mi balza in gola, restando paralizzata ad assistere alla scena.
«So cosa hai fatto, bastardo!» grida a squarciagola, colpendolo di nuovo, stavolta allo stomaco.
Klaus si piega in avanti, le braccia strette intorno alla pancia, e sputa un grumo di sangue, ma non si lascia sfuggire neanche un lamento.
Ed è allora che qualcosa dentro di me scatta e riesco a riscuotermi, prendendo coraggio.
«Ehi, Rocky Balboa». Estraggo il coltellino svizzero e sollevo la piccola lama affilata. «Il biondino non piace neanche a me, però non lo uso come sacco da boxe».
Klaus si raddrizza e vedo che un livido rosso già gli si sta formando sulla guancia.
«Stanne fuori, Keeley» ansima irritato. Poi mi fa un cenno in direzione della macchina. «Vattene. Ti raggiungo dopo».
«Cioè dopo che ti hanno pestato?»
Jonas, che a malapena sembra essersi accorto di me, afferra Klaus per la camicia e lo sbatte con veemenza contro il muretto di mattoni che circonda un negozio di antiquariato piuttosto malandato.
«Pensavi davvero che i soldi della mammina sarebbero bastati per dimenticare?» ringhia con un tono fremente d'odio. «Per cancellare quello che hai fatto a lei?»
All'ultima parola, la sua voce si incrina, tradendo una nota di un altro sentimento, sepolto sotto la rabbia... dolore.
Klaus rimane in silenzio, il viso a pochi centimetri da quello di Jonas, senza neanche tentare di reagire o di liberarsi.
«Non hai niente da dire, fottuto bastardo? Eh?!»
Non ricevendo risposta, gli assesta un manrovescio che fa girare la testa di Klaus di lato.
Un taglio comincia a sanguinargli sul labbro, ma non emette nessun suono.
Quando vedo un lampo di furore guizzare nello sguardo di Jonas, capisco che le cose stanno per mettersi davvero male.
Maledetto biondino, finirò nei guai per colpa tua!
«D'accordo, adesso basta con questa virile dimostrazione di forza!» esclamo con fermezza.
«Tesoro, non abbiamo nulla contro di te, ma questa cosa non ti riguarda» commenta acido il ragazzo con il berretto.
Scusami, come me mi ha chiamato il Cappellaio Matto?
«Tesoro lo dici alla tua ragazza invisibile, Brooklyn!» ribatto, mostrandogli la mia arma.
«Non ha tutti i torti, eh, Raf?» lo stuzzica il ragazzo tatuato.
«Zitto, Jack!»
«Zitti tutti e due!» latra Jonas. Poi torna a rivolgersi a Klaus, scuotendolo per il colletto. «Dimmi perché! Dimmi perché l'hai fatto, stronzo!»
Ti prego, ditemi che gli dèi gli hanno concesso abbastanza neuroni da sapere che deve rispondere.
Se non dovesse farlo, non so cosa potrebbe succedere...
E, infatti, questa volta Klaus parla, ma le parole che pronuncia mi fanno desiderare di prenderlo a pugni io stessa.
«Non devo nessuna spiegazione né a te né tantomeno alla tua banda di idioti!»
Ma certo, bravo, provochiamo il nemico anche se è in superiorità numerica!
Che mossa geniale!
Jonas fa un rabbioso verso gutturale e scaglia Klaus a terra come se fosse una bambola di pezza.
Prima che lui possa rialzarsi, lo sta già riempiendo di calci.
E va bene! C'è bisogno di me!
«GERONIMO, ALLA CARICA!» strillo, lanciandomi verso di loro per separarli.
Ma il ragazzo con il berretto si muove con incredibile agilità e mi blocca le braccia dietro la schiena, torcendomi il polso per farmi cadere il mio coltellino.
Stringe così forte da fermarmi la circolazione, tanto che presto perdo la sensibilità alle mani. Tento di divincolarmi in ogni modo, ma le sue dita sembrano fatte d'acciaio.
«Calmati, ragazzina» sussurra al mio orecchio, allentando la presa come per accettarsi di non farmi male. «Non ti faremo nulla, promesso. Ce l'abbiamo con lui, non con te».
Il suo alito caldo, all'odore di liquirizia, mi solletica il lobo e devo trattenere uno starnuto per colpa del profumo eccessivo di dopobarba che mi penetra nelle narici.
«Lasciami subito, scimmia che ha saltato una fase evolutiva!» urlo infuriata, continuando a dimenarmi con tutte le mie forze.
Intanto, Jonas si è finalmente fermato, forse per riprendere fiato.
Klaus è accasciato sul fianco, ancora rannicchiato per proteggere la pancia e la testa dagli attacchi. Il suo respiro è affannoso e, anche se cerca di trattenerli, posso sentire dei sommessi gemiti di dolore.
Guardandolo, una strana sensazione mi serra la gola, improvvisamente prosciugata... e mi ritrovo a chiedermi se stia bene.
Quando l'idiota tatuato, che mi pare si chiami Jack, gli si avvicina e lo agguanta per i capelli biondi, qualcosa prende a contorcersi nel mio petto.
E, di colpo, vengo assalita da una vampata di... non ne ho idea.
So solo che voglio che gli stia lontano.
«NON TOCCARLO, BRUTTO ORCO DI MORDOR!» ringhio furibonda.
«Ti sei anche fatto la fidanzatina, Klaus?» sogghigna Raf, alle mie spalle.
«Fidanzatina? Io?» ripeto indignata. «Figuriamoci, neanche morta!»
Quando Jack lo tira di peso in ginocchio, Klaus non riesce a nascondere un rantolo e il suo viso, sporco di sangue e ciottoli, si contrae in una smorfia di sofferenza.
Ha le braccia libere, eppure non prova nemmeno a difendersi.
O è troppo esausto... o, come mi è sembrato fin dall'inizio, sta scegliendo di non farlo.
Ma perché mai qualcuno dovrebbe farsi picchiare in quel modo?
Jonas si china davanti a lui e sussurra con un tono che sfiora la disperazione: «Dovresti stare in prigione, non in una villa! Sei solo un fottuto codardo, e lo sai!»
Klaus sostiene lo sguardo del ragazzo, i suoi occhi grigi stranamente spenti, vuoti, ma riesco a leggervi la tristezza che lo sta lacerando.
Un dolore che va oltre quello fisico.
«Tale padre tale figlio, immagino» aggiunge Jonas con disprezzo.
Quelle parole sembrano infondere in Klaus un impeto selvaggio e sferra un pugno a Jonas, facendolo ribaltare all'indietro.
L'impatto dell'anello di metallo contro l'osso produce un suono raccapricciante che riecheggia nell'aria.
Gli si sarebbe scagliato letteralmente addosso, se solo Jack non lo avesse strattonato per i capelli, per poi immobilizzargli entrambe le mani.
Jonas si asciuga il rivolo cremisi che gli cola dal naso, si scosta una ciocca nera dagli occhi e si accovaccia di nuovo davanti a Klaus.
Con un gesto secco gli apre bruscamente la camicia, facendo saltare via i bottoni, fino a scoprirgli il petto.
La sua pelle bianca è diventata gonfia e rossa nei punti in cui è stato colpito e, sul suo torace, intravedo dei piccoli segni rotondi brillare di riflessi opalescenti alla luce smorzata del crepuscolo.
Non capisco cosa Jonas voglia fare fino a che nella sua mano non compaiono una scatola di sigarette e un accendino.
Ma siamo seri?!
Per la prima volta, la paura si insinua sul viso di Klaus, che inizia ad agitarsi tanto da costringere Jack a rafforzare la stretta per tenerlo fermo.
Jonas abbozza un sorriso privo di gioia. «Il fuoco ti spaventa ancora. Bene».
A quel punto, faccio ciò che farebbe chiunque... e rifilo una tallonata al ragazzo dietro di me, dritto ai gioielli di famiglia.
D'istinto, mi lascia andare subito, strepitando una serie di insulti.
Mi getto verso Jonas e gli salto sulla schiena, tempestandolo di pugni e graffi.
«Ma che caz...» urla lui scioccato, facendo cadere le sigarette e l'accendino.
Solleva le braccia nel tentativo di scrollarmi di dosso. Non riuscendoci, opta per schiacciarmi contro la recinzione di mattoni, mozzandomi il respiro.
Senza volerlo, sciolgo la morsa delle gambe intorno ai suoi fianchi e finisco carponi sull'asfalto, boccheggiando per prendere aria.
«Non provare neanche a sfiorarla, Jonas!» ringhia Klaus, lottando con più ferocia rispetto a prima.
Jack lo colpisce alle costole per intimargli di calmarsi, ma è chiaro che faccia molta fatica a trattenerlo.
Alzo il mento e fronteggio lo sguardo di Jonas, mascherando il timore che mi attanaglia le viscere.
Appena i suoi occhi trovano i miei, un'espressione sbigottita affiora sul suo volto e arretra barcollando, la bocca spalancata.
«E... Elizabeth?» mormora incredulo.
E chi diavolo sarebbe questa?
Aggrotto la fronte, confusa. «No. Io sono Keeley».
«Cosa sta succedendo qui?!» soggiunge una voce, cogliendoci tutti di sorpresa.
Angolo Jedi
Ciao, padawan!
Mi scuso per il capitolo un po' violento e per il linguaggio più volgare del solito, ma mi serviva per la trama.
Sarei curiosa di sapere cosa pensate della storia e di ciò che si potrebbe nascondere dietro a questo mistero... avete le idee un po' più chiare o brancolate ancora nel buio?
Gli indizi non sono ancora molti, ma ci sono :-)
Nel prossimo capitolo, comunque, torneranno i nostri fratelli (e sorella) Hallander, nel caso vi fossero mancati!
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