Capitolo 7
Barcellona, con il cuore in tumulto per quel contatto , per quello scambio di parole, entrò come una furia in casa e, senza vederlo, andò a sbattere contro Arturo. Aveva gli occhi furenti. «Levati!» disse in malo modo.
«Barcellona,» il suo tono la fece fermare dopo che si era spostato, «abbiamo lavorato insieme e puoi dire di conoscermi un po'.» disse lui tranquillo. «Non vedo il perché di questo tono.»
Fece un passo in avanti arrivando a fissarlo dritto negli occhi, Arturo fece mezzo passo all'indietro.
«Io invece so perché di questo tono e della mia furia. Jessy è la mia migliore amica!»
Arturo sbiancò e crollò. «Lei è meravigliosa, è bellissima, la guardavo sempre quando veniva a trovare Tony. Ero invisibile, mi ha parlato rare volte da quando lavoro là, e poi...» Alzò lo sguardo sognante su Bacellona. «E poi mi ha visto, ha visto proprio me... Tuttavia è sparita, non veniva più e io non sapevo come dirle che ero perso per lei.»
Barcellona sentì sparire tutta la rabbia davanti a quella confessione quasi timida.
«Dille quello che hai detto a me ora e vedrai che le cose fra di voi si sistemeranno.»
«Non si lascia avvicinare, scappa, se ne va!» Aveva la faccia sconsolata.
«Prova lo stesso, sii coraggioso e buttati. La vita va vissuta.»
«Farai anche tu così con Jordan? Metterai in pratica i tuoi stessi consigli?»
Barcellona stava per dirgli di farsi gli affari suoi, quando lui alzò una mano per fermarla.
«No, non provarci. Abbiamo passato un viaggio di otto ore infernale con Tony. Per tutte le otto ore e in seguito, a turno, ha sgridato sia me che Jordan, quindi se provi solo a dire che non sono affari miei potrei urlare.» Rise. «Tu sai cosa vuol dire passare otto ore su un aereo con Tony che rimprovera Jordan per averti trattata come una delle sue solite amichette senza ritegno? Ne ha dette anche a me, perché era da tempo che si era accorto che ero perso di Jessy e non voleva sapere cosa fosse successo alla festa, ma che dovevo assolutamente risolvere le cose con lei. Per non parlare poi quando siamo arrivati qui e tuo zio ci ha fatto il terzo grado.»
Barcellona rise del racconto di Arturo, annuì con la testa e poi si allontanò con un sorriso divertito, immaginando la scena dell'aereo .
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«Siccome sarebbe la mia festa di fidanzamento, avrei da farvi una richiesta e dovrete promettermi che lo farete come un favore a me personale.» Tania guardava Barcellona e Jessy severamente. «Vorrei che per quel giorno siate serene, anche se ci sono i due poveri malcapitati di turno che pendono dalle vostre labbra e che voi maltrattate e ignorate da giorni. La tensione che sprigionate comincia a darmi sui nervi e non voglio che roviniate la mia festa.»
Barcellona si guardava le punte dei piedi e Jessy ebbe un moto di piacere nel fissare la carta da parati della stanza. Sotto lo sguardo severo di Tania, entrambe promisero di comportarsi bene e di mettere da parte il risentimento per una sera. Finalmente Tania sorrise felice e le lasciò da sole.
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Barcellona indossò un abito leggero per la festa: la gonna arrivava al ginocchio e quando piroettava si alzava quasi completamente. Quando camminava il tessuto si muoveva sinuosamente sul suo corpo. Si truccò leggermente e mise dei sandali senza tacco, visto che poi li avrebbe tolti perché la festa si teneva sulla spiaggia, sul retro della casa.
Era già pieno di gente. Andò incontro a Berlin e ad Athena che erano arrivati in quel momento, si abbracciarono e parlarono un poco fra di loro. Arrivò anche Jessy con un abitino azzurro che le nascondeva il corpo. Aveva notato che alla sua amica si vedeva già il ventre arrotondato, mentre lei la guardava e non vedeva nulla.
Dopo un po' arrivò Arturo, prese la mano a Jessy e, chiedendo scusa ai presenti, la portò a fare una passeggiata lontano da occhi e orecchie indiscrete.
Jordan invece si mise seduto su un dondolo e rimase lì guardandosi intorno, cercando con gli occhi Barcellona. Teneva un bicchiere in mano, con un liquido colorato dentro, ma lo aveva assaggiato appena, poi si era perso a cercare i lunghi capelli neri o le gambe di Barcellona.
«Ciao straniero.» Barcellona lo salutò tranquilla. «Posso sedermi?»
Jordan la guardò e le sorrise sornione. «Mi dispiace, il posto è occupato...» La guardò intensamente negli occhi. «dalla mia fidanzata.» lo sguardo di sfida che le lanciò la fece sorridere.
Fece due passi e gli si mise seduta accanto, sapendo bene ciò che avrebbe comportato.
«Era una battuta o una proposta?» gli disse ridendo.
Jordan la guardò intensamente per qualche istante, poi allungò un braccio e da un vaso là vicino prese una rosa e gliela porse, si alzò dal dondolo e le si inginocchiò davanti.
«Ci sono alcune cose su cui non faccio mai battute.» Sorrise e da una tasca dei pantaloni prese un astuccio che aprì, mostrando all'interno un solitario. «Barcellona, vuoi sposarmi?» Jordan le sorrise nervoso, Barcellona vedeva che era nervoso, ma quello non le bastava, lei voleva anche il suo cuore.
Scosse la testa. «Prima di darti una qualsiasi risposta, voglio sapere "perché".»
Jordan rimase spiazzato. «Come perché? Non esiste un perché!» esclamò. «Perché ti voglio sposare? Ma perché è la cosa più giusta da fare: tu sei innamorata di me e io non riesco più a stare senza di te, ti voglio al mio fianco sempre.» La voce era roca, carica di emozione.
Barcellona lo guardò con occhi tristi, gli sorrise, gli accarezzò una guancia e chiuse la scatolina che lui teneva ancora nella mano. «Tutte buone ragioni, ma manca quella giusta per me.» Si alzò dal dondolo e si voltò.
«Ragione giusta? E quale sarebbe secondo te?» le chiese dietro.
Barcellona voltò impercettibilmente il capo verso di lui. «Se mi fai questa domanda, vuol dire che non hai capito e le ragioni sono sbagliate in partenza. Un rapporto sbagliato in partenza non darà mai la ragione giusta. Non posso dirti qual'è la tua ragione giusta, ma io so quale è la mia per rifiutare.» Si allontanò, sparendo in mezzo alla gente e lasciando Jordan allibito e sconvolto.
Si mise seduto di nuovo sul dondolo, fino a che non vide due persone che lo fissavano crucciati, di fronte a se.
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