Capitolo |7|


Il sole pomeridiano tentava di mantenere il buonumore che avevo dentro il corpo ma più mi allontanavo dalla casa di Courtney e più sentivo l'ansia crescere. "Casa mia" distava dalla sua circa 20 minuti a piedi.
La potevo definire una mia vicina di casa e ne ero felice, soprattutto per il fatto che grazie a lei potevo fare a meno di prendere l'autobus per andare a scuola.
Ovviamente Rachel e Finn non mi permettevano di utilizzare la macchina nonostante avessi già la patente, ottenuta con i miei soli sacrifici. Sapevo di dovermi conquistare la mia indipendenza e la patente era una tappa fondamentale.

Cercai di programmare ogni passo che avrei dovuto fare una volta aperta la porta di casa.
Finn sarebbe tornato dal lavoro a momenti ed ero sicura che Rachel non sarebbe rientrata prima delle 2:00. Lavorava in un supermercato e oggi avrebbe fatto il turno serale.

Aprii la porta e iniziai subito a svolgere le mie quotidiane faccende domestiche.
Rachel non amava la casa in disordine ma neanche fare pulizie.

Dopo aver finito di riordinare e di lavare piatti, pavimento e bagno, portai fuori la spazzatura. Al mio rientro trovai Finn seduto sul divano, la sua posizione rigida mi diede un brutto presentimento.

<<Finn sono tornata circa un'ora fa e ho appena finito le faccende domestiche>>.
Si girò improvvisamente e dai suoi occhi lucidi e rossi capii che era ubriaco. Ormai erano rare le volte in cui non lo fosse.

<<Un'ora fa?!>>, ruggì, <<Dove sei stata?>>, si agitò nervosamente sul divano.
Vedevo già il suo pugno avventarsi sulla mia faccia.
Lo sapevo, quella stronza non gli aveva detto nulla! Lo faceva di proposito così lui si sarebbe incazzato con me.

Cercai di controllare la voce, più sembravo debole e maggiore erano le probabilità di dargli il coraggio.
<<S...sono stata da Courtney. Ieri ho chiesto il permesso a Rachel e mi aveva detto che potevo andare visto che non avevate bisogno di me>>, parlai tutto d'un fiato perché volevo sbrigarmi a spiegargli la situazione.
Finn non godeva di molta pazienza e poteva scoppiare in qualsiasi momento.

<<Non sparare cazzate! Rachel non ne sapeva nulla!>>, si avvicinò bruscamente, ormai rassegnata da ciò che sarebbe successo.

<<T..ti giuro che io gliel'ho dett...>>, quel colpo arrivò.

I suoi pugni facevano molto più male, quelli di Rachel erano mirati e pensati ma Finn... sembrava una belva affamata.
Non stava attento a quanti colpi mi dava o dove me li dava. Era incapace di ragionare come Rachel nel momento della rabbia.

Barcollai per ritrovare l'equilibrio e stare in allerta ma non ebbi abbastanza tempo.
Mi prese per i capelli e mi scaraventò sul pavimento freddo, colpendomi ripetutamente con dei calci. La botta alla testa aveva già iniziato a provocarmi un forte fischio alle orecchie e fu difficile riuscire a parare quelle botte.

Di solito arrivava a 6 colpi, ne mancavano solo 4.

L'addome mi faceva così male da non riuscire più a respirare, ogni volta che il mio diaframma si espandeva una forte fitta sembrava lacerarmi da dentro e i continui colpi peggioravano la situazione. Trattenni il fiato, avevo imparato che in queste situazioni era meglio non fare troppi movimenti. Mi rannicchiai sperando di fargli cosi pena da lasciarmi li a terra e scaricare la sua rabbia su qualcos'altro.

Chiusi gli occhi provando a dissociarmi dal dolore ma non ci riuscii... Faceva troppo male.

<<Credi di potertene andare in giro a fare la Troia senza ricevere una punizione? Che cosa penseranno le altre famiglie? Sei una vergogna!>>, urlò come una belva per poi andarsene nel salone a guardare la TV, lasciandomi distesa sul pavimento.

Era finita.

Rimasi a terra ad aspettare quel minimo di volontà per riuscire ad alzarmi. Era come se il mio cervello si fosse spappolato mentre tutto intorno a me continuava a girare.
Il silenzio era interrotto solo dal mio respiro frantumato e da una stupida pubblicità che faceva da colonna sonora alla mia agonia:
*...Compra il nuovo detersivo, i tuoi bambini...*.

Patetica, ero cosi patetica.

Perché continuavo a sperare in qualcosa di diverso? Ogni volta che respiravo la libertà scoprivo che era stato solo per sbaglio, come una finestra dimenticata aperta o un piccolo spiraglio invisibile che avevo accidentalmente trovato.
La mia vita era questa e si, tra pochi mesi me ne sarei andata da loro e da questo incubo ma quante altre situazioni del genere avrei dovuto sopportare fino a quel giorno?
Non si tratta solo di dolore fisico, quello fa solo da contorno a tutto il resto. La prima cosa ad essere maltrattata non era il corpo ma la persona, perdevi tutto il rispetto verso te stessa nel momento in cui un pugno o un calcio incontravano una parte di te.
Ero inutile.
Quante altre persone stavano passando la stessa cosa? Quante altre persone si sentivano sole non perché lo fossero ma perché la propria anima era così avvolta dal buio da essere ciechi?
Ero così stanca di questa vita, non era neanche mia. La mia vita era finita nel momento in cui i miei genitori erano morti.
Io stavo vivendo qualcosa che non mi apparteneva, dovevo morire io in quell'incidente.
Io dovevo morire non loro, non si meritavano tutto questo e io non meritavo macchiarmi di colpe che non avrei mai voluto avere.
Chiusi gli occhi immaginando mia madre.
Delle lacrime iniziarono a scendermi sul viso mentre venivo travolta da un abisso rassicurante.

Un rumore scosse i miei sensi annebbiati e capii di aver perso conoscenza.
Sentii la porta chiudersi con forza e solo dopo aver trattenuto il respiro realizzai di essere rimasta sola.
Era uscito lasciandomi come una pezza rovinata sul pavimento, non si era minimamente preoccupato di me.
Ma cosa pretendevo? Mi aveva ridotta lui così.

Cercai di riprendere un normale controllo del respiro. Dovevo alzarmi, non potevo rimanere là.

Provai ad aiutarmi con le braccia e, nonostante le fitte trafiggessero il mio corpo, ci riuscì.
Mi trascinai dentro il bagno, chiudendomici, e con una immensa paura di ciò che potevo vedere osservai il mio riflesso.
Era assurdo come da fuori sembrasse che non mi fosse accaduto nulla.
Se non fosse stato per il poco sangue che gocciolava dalla testa e per i miei occhi completamente distrutti nessuno se ne sarebbe accorto.
Eppure mi faceva tutto così male.

Decisi di pulire la ferita alla testa sperando che non fosse troppo profonda, era solo un piccolo taglietto sulla fronte ma il sangue non smetteva di uscire. Le emorragie in quel punto erano sempre le più fastidiose da fermare. Dopo un paio di minuti ci riuscii, non si sarebbe notato particolarmente.

Pensai subito al sangue finito sicuramente sul pavimento della cucina. Mi sarei dovuta sbrigare a lavare tutto prima che qualcuno me ne avrebbe dato la colpa.
Alzai la maglietta per controllarmi.

<<Cazzo!>> , si intravedevano già delle grosse macchie rossastre. Mi avrebbero dato rogna per almeno una settimana o forse anche di più.

Ogni volta che i miei polmoni inglobavano ossigeno, un forte dolore mi costringeva a produrre dei piccoli lamenti. Dovevo metterci del ghiaccio, mi avrebbe aiutato ad atrofizzare la sofferenza e magari anche a prevenire il gonfiore del bernoccolo sulla fronte che stava già crescendo.

Lo odiavo!

Odiavo me stessa per non riuscire a difendermi!
Odiavo mia madre per essersene andata via lasciandomi da sola!
Odiavo Drew per avermi condannata con loro!
Odiavo questa vita!

Uscì dal bagno, pulì il pavimento della cucina senza fare rumore, presi due barrette, una bottiglia d'acqua e dei pacchetti di prezzemolo surgelato che Rachel non utilizzava da anni. Mi chiusi nella mia stanza e feci quello a cui ormai da tempo era abituata a fare.
Dovevo aspettare solo pochi mesi.
A giugno avrei compiuto 18 anni e sarei diventata maggiorenne.
Avrei abbandonato questo inferno e frequentato una università.
Dovevo trovarmi un lavoro in modo tale da racimolare qualche spicciolo per la mia nuova vita.

Solo 5 mesi.

Speravo solo di riuscire a sopravvivere prima di poter respirare la libertà.

~•~

L'indomani mi svegliai peggio di come mi ero addormentata, da qualsiasi lato io mi muovessi sentivo delle fitte lungo tutto lo stomaco e il petto.
Scoprii di avere pure un livido sulla spalla e indossai qualcosa che mi permettesse di nasconderlo per bene. Avevo sciolto i capelli in modo tale da coprire il bernoccolo e per un momento fui grata al mio riflesso per apparire cosi normale. Inghiottii la rabbia che cercava di impossessarsi del mio corpo, non potevo farlo... non dovevo farle capire nulla.

Stranamente Courtney non sembrò accorgersene, era troppo presa a raccontarmi dei messaggi che si era scambiata con Nathan. Forse con lui di mezzo si sarebbe distratta e avrebbe mollato un po' la presa, era un bene. Questa volta mi sarei risparmiata la sua faccia afflitta e ciò equivaleva ad avere meno preoccupazioni.

La vedevo cosi felice che mi dimenticai della precedente giornata, non mi importava più. Non l'avevo mai vista cosi presa da un ragazzo e da quello che mi aveva appena raccontato, Nathan non era da meno.
Avevano parlato per tutto il giorno e per la maggior parte del tempo era lui quello che poneva domande. Eravamo entrambe scioccate per come si stava evolvendo il loro rapporto ma obiettivamente non c'era nessuna novità. Stavamo parlando di Courtney, era fantastica.

Alla prima ora, come ogni lunedì, avevo arte. Amavo quel corso ma adesso il motivo era un altro: Eric.
Quando non si presentò a lezione il mio cuore sembrò prosciugarsi del tutto.
Scacciai quella sensazione di tristezza che aveva preso il posto dell'agitazione di rivederlo di nuovo.
Non potevo reagire cosi, non potevo far dipendere il mio umore dalla sua presenza o dalla sua assenza. Non era normale. Inoltre quei sentimenti non facevano per me.

Il professore dopo aver spiegato si rivolse a coloro che dovevano partecipare alla mostra. Mercoledì ci saremmo dovuti recare direttamente alla galleria in cui si sarebbe svolto l'evento di beneficienza.
Per quel giorno non sarei dovuta andare a scuola ma la cosa più importante era che avrei saltato due ore di fisica. Non potevo ricevere notizia più bella.

Alla fine della lezione, chissà per quale brutto gioco del destino, il professore mi chiese di informare Eric dell'appuntamento di mercoledì. Perché proprio io? Non si era accorto che ero quella meno socievole della classe?

Durante la pausa pranzo Nathan fece un cenno a Courtney, invitandola a pranzare con lui e gli altri componenti della squadra.
Ovviamente la mia splendida e geniale amica mi obbligò a seguirla nonostante l'invito non fosse rivolto a me.

Per tutto il tempo Luke non spiccicò parola, anzi fece finta che non esistessi.

Ero consapevole di non essere nessuno per lui, di essermi comportata male e di non avere neanche instaurato tutto questo gran rapporto ma rimasi con l'amaro in bocca. Difficilmente mi trovavo bene con le persone e lui era un ragazzo simpatico.
Al tavolo c'erano pure Tiffany e Samantha... se gli sguardi potessero uccidere allora sarei stata morta e sepolta.
Samantha, a differenza del fratello, mi diede più che attenzioni. Mi fulminò con gli occhi per almeno cinque volte. Era piccolina ma aveva un temperamento cosi singolare e vivace da riuscire ad intimidirmi.
Nell'ora successiva, essendo nello stesso corso di Storia, Tiffany mi spiegò che non dovevo prenderla sul personale e che prima o poi le sarebbe passata, come gli sarebbe passato a Luke.
Io ci speravo davvero.

Tiffany era quella classica ragazza che sembrava avere il doppio della sua età con tutte le risposte della vita. Non parlava molto e quando lo faceva era essenziale, come se avesse un limite di parole da poter utilizzare al giorno.

I dolori all'addome non cessavano di smettere ma la mattina avevo preso degli antidolorifici e quindi riuscì a sopportare i colpi martellanti.

Eric sembrava essersi assentato e la cosa mi turbava parecchio.
Stava male? Era con quella biondina a fare chissà cosa?
Oltretutto ero in ansia perché dovevo informarlo di mercoledì e questo mi portò a chiedere a Nathan di darmi il suo numero di cellulare.
Potevo limitarmi ad informarlo tramite suo fratello ma la parte più stupida di me voleva avere il suo numero. Era come se avessi paura che da un momento all'altro lui sparisse dalla mia vita, come due anni fa.

Dopo quella notte mi capitò più di una volta di ritrovarmi a camminare fino a quella panchina con la speranza di rivederlo per non sentirmi sola nel mio dolore ma ovviamente non sapevo che fosse lontano più di sei milioni di chilometri.

Riuscii ad accumulare tutto il coraggio che avevo e chiesi il numero a Nathan, mi avvertì che sicuramente non mi avrebbe risposto perché oggi era un giorno "particolare" per lui.
Mi sforzai di non chiedere cosa intendesse con "giorno particolare". Era già strano chiedergli il numero figuriamoci fare domande personali sulla sua vita. 
Se non mi avesse risposto beh, non mi sarebbe importato. Io dovevo solo avvisarlo, il resto non era importante.

Ovviamente...talmente non mi importava che infatti per scrivergli un semplice cordiale messaggio di informazione impiegai quasi tutta l'ora di Algebra.

Alla fine optai per un semplice messaggio:
*Ciao Eric sono Tamara Evans , frequentiamo il corso di Arte insieme. Il professore mi ha chiesto di dirti che mercoledì ci dobbiamo presentare direttamente presso la Galleria! Ho chiesto il numero a tuo fratello perché non sapevo come contattarti. Scusa per il disturbo e buona giornata. *

Non sapevo se sapesse il mio cognome o si ricordasse di quella sera in spiaggia, anche se sembrava abbastanza lucido. Inoltre potevo scommettere che io ero l'unica Tamara che "conoscesse" ma non ne ero poi tanto sicura.

Quante Tamara esistevano in Florida? Mia madre, impulsiva e sentimentale, aveva scelto questo nome perché era ossessionata da "Tammy Wynett" , una cantautrice country degli anni'60. Nonostante ci fossero altri miliardi di nomi che preferivo al mio ringraziavo il fatto di non essermi ritrovata con il nome originale: "Tammy". Sarei sembrata un cucciolo di cane.

Eppure preferii specificarlo, volevo dargli l'impressione di mettere tutto in discussione. Non volevo fargli capire quanta strada avesse fatto già dentro il mio cuore.

Era un semplice messaggio.

Un semplice messaggio che non aveva ricevuto neanche una risposta.

Stupido idiota, sbruffone, snob ed egoista che non era altro!

Quel pomeriggio, per distrarmi, decisi di andare- ovviamente a piedi- ad informarmi per alcuni lavori che avevo adocchiato su un sito di annunci.
Non riuscii a trovare nulla e non era neanche stata una buona idea dato il mio corpo dolorante. Il mio umore era decisamente a terra così decisi di fare l'unica cosa che mi procurava piacere: mangiare.

Non avevo voglia di fare la solita routine del "aspetto buona buona nella mia stanza per non fare arrabbiare i miei cari zietti" e non potevo andare avanti con le barrette, era malsano.
Cosi appena vidi l'insegna di un fast food non ci riflettei neanche un secondo. Fui invasa da un forte odore di frittura che mi fece venire l'acquolina in bocca.

Ordinai da mangiare e mi sedetti lentamente su un tavolo abbastanza isolato. La camminata mi aveva distrutta e i lividi non aiutavano assolutamente. Non era una novità ma per quanto puoi vivere a stretto contatto con il dolore ti ci puoi mai abituare?

<<Ecco a te, vuoi che ti porto qualche salsa per le patatine?>> .
Mi girai e vidi una ragazza che poteva essere poco più grande di me.
Indossava una targa con quello che immagino dovesse essere il suo nome: "Sarah".

Ecco, il suo nome mi piaceva molto di più. Esotico e femminile, come lei d'altronde. Era altissima, fisico atletico, pelle olivastra, capelli neri e lunghi. Sembrava una modella.

<<N..no grazie, sto bene così>>.
Mi fece un sorriso forzato e si recò al bancone per prendere un'altra ordinazione.

D'improvviso mi sentì in colpa per l'ammasso di grassi e carboidrati che stavo per ingurgitare.
Poi mi lamentavo dei chili di troppo.

Mangiai tutto ciò che avevo preso e aspettai una mezz'oretta prima di decidere di andarmene.

Oggi Finn e Rachel dovevano tornare presto a casa perché verso le 21:00 avevano un appuntamento con i loro amici poco raccomandabili, amici che non erano mai gli stessi e che fortunatamente vedevo raramente.
Mi avevano esplicitamente chiesto di non farmi vedere e non mi andava proprio di rimanere chiusa in camera.

Ricevetti un messaggio da Courtney:
*Nathan ci ha invitate ad una festa a casa sua, sarà mercoledì sera! Ti prego dimmi di sì, dimmi di sì, dimmi di sì, dimmi di sì!*

Un'altra festa? Diceva sul serio?

Pensai a lei e al fatto che finalmente era riuscita ad avvicinarsi a Nathan, non potevo rovinarle tutto. Voleva il mio supporto. Iniziai a pensare ad una scusa plausibile per convincere Finn e Rachel... avrei potuto usare la mostra a mio vantaggio e non tornare troppo tardi.
Il solo pensiero di parlare con loro e scatenate nuovamente la loro ira mi fece rabbrividire. Il mio corpo non avrebbe retto un'altra botta.

Pensai al sorriso di Courtney e sospirai. Non potevo deluderla, la paura a confronto non era nulla.

Risposi al messaggio: *Ci proverò*.
Ovviamente Courtney ne fu felice.

Presi il mio zaino e dopo aver pagato uscii dal locale.
$8,00 per un menù, mi serviva un lavoro.

I dolori all'addome diventarono più intensi ma dovevo resistere, non potevo impasticcarmi di medicinali.

Arrivai a casa e filai dritto in camera mia stendendomi così finalmente sul letto.
Sentii la piacevole sensazione dei muscoli che si rilassavano, anche questa giornata era passata.

Ricevetti un sms e con fatica cercai di sfilare il cellulare dalla tasca dei jeans.

Mi aspettavo di leggere un messaggio di Courtney in cui avrebbe parlato della festa, di Nathan o di cosa indossare e così via ma mi stupii quando lessi il nome che poche ore fa avevo stupidamente salvato in rubrica.

Stronzo imbecille:
*Ti ringrazio. Buonanotte*

Ok si, poteva sforzarsi e scrivermi qualcosa di più...lungo... ma mi aveva risposto.

Un sorriso da idiota mi spuntò sul viso e mi addormentai con quelle sole 3 parole.

Le 3 parole più inaspettate della mia vita.

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