Capitolo |36|


Provai a sollevare le palpebre ma una forte luce bianca mi costrinse a richiuderle. Percepivo un dolore martellante alla testa e non capivo da dove venisse tutta quella luce.
Che ore sono? Cosa era successo?

<<Eric vai a casa e datti una ripulita, continuo a rimanere io>>.

<<Courtney, No!>>.

Appena sentii la sua voce il mio cuore prese ad accelerare e venni travolta da alcune immagini:
Eric con Sarah al suo compleanno, Alex, la lite tra, il bacio...
Avevo fatto l'amore con lui.
Le immagini di quella notte mi portarono un sorriso che immediatamente svanì... Andrew.

Aprii gli occhi spaventata da quel nome, provai a tirarmi su ma mi sentii priva di forze. Quella maledetta luce era cosi insopportabile che dovetti stringere gli occhi in due fessure.
Dove diavolo mi trovavo?

<<Tamara!>>, sentii di nuovo la sua voce entrarmi fino a dentro le ossa.
Era cosi bella ma allo stesso tempo mi faceva stare male.
Perché?

<<Dove sono?>>, cercai di cambiare invano la posizione.

<<Non muoverti, sei in ospedale... sei svenuta e hai battuto la testa>>, guardai il viso preoccupato e i riccioli scompigliati di Courtney.
Mi bastavano quei dettagli per capire che non aveva passato un bel momento. Quanto tempo era passato?

<<Quanto...>>, feci per chiederlo ma la voce di Eric mi interruppe, <<Tre giorni, tre maledettissimi giorni>>.
Guardai pure lui con più attenzione, la sorpresa fu tale da ignorare il fastidio di quella luce e ampliare la visuale.

I suoi occhi chiari erano attorniati da profondi aloni neri, la barba che di solito curava ogni giorno, era più lunga del normale e lo faceva sembrare più grande. Le sopracciglia erano incurvate verso il basso e tutto nella sua espressione esprimeva stanchezza e sollievo.

Ricordai ogni cosa, ricordai i miei disegni e la sofferenza si stava lentamente intrufolando nel mio cuore.
<<Perchè sei qui?>>, rimasi inchiodata dal suo sguardo e mi accorsi di quanto quelle parole gli stessero facendo male.

Come poteva starmi vicino dopo quello che gli avevo fatto?

<<Ti amo, in quale altro posto dovrei essere se non qui?>>, la sua voce ferita e asciutta mi faceva rendere conto di quanto quella mia decisione lo stava facendo soffrire.
<<Eric...io...>>

Mi prese il viso tra le mani, <<Lo so, ne parleremo dopo. Adesso riposa>>, mi diede un bacio dolcissimo prima sulle labbra e poi sulla fronte, lasciandomi senza fiato ma prosciugando la sofferenza.

Come avrei dovuto fare senza di lui?

Sentii una mano sulla mia. Courtney era rimasta in silenzio ad ascoltare e a trattenere delle lacrime che sapevo sarebbero state liberate una volta rimasta sola.
Le sorrisi, <<Scusami se ti ho fatto preoccupare>>.

Vidi una lacrima scivolarle sul viso, <<Ormai ci sono abituata>>.

Abbassai lo sguardo e mi ricordai del dolore insopportabile alla testa, <<Mi fa male un casino>>, toccai il capo e sentii delle bende.

Ancora prima che potessi chiedere, Eric mi fece abbassare le mani con le sue e mi precedette, << Hai avuto una commozione celebrale>>.

Ora capivo il perchè, <<Aspetta, avete detto che sto dormendo da tre giorni?>>, mi sforzai di capire come fosse possibile.

<<Si e no, non hai proprio dormito. Ti svegliavi ma subito dopo ritornavi a dormire... i dottori hanno detto che non era il primo...>>, non concluse la frase.
Sembrava essere arrabbiato per qualcosa.

Dovettero passare alcuni secondi prima che riuscisse a parlare, <<Che non era il primo trauma cranico che subivi...>>, disse tra i denti, <<C'era il pericolo che tu...che non ricordassi più nulla o peggio... Ma lo sapevo, la mia imbranata è forte>>, mi accarezzò il viso e mi appoggiai su di lui.

Sentii la porta della stanza aprirsi ed una giovane donna entrò con una cartellina in mano, <<Avete chiama...Oh, vedo che si è svegliata del tutto!>>, mi sorrise e avvicinandosi a Courtney maneggiò con il filo della flebo.

Ecco perché mi prudeva la mano, pensai all'ago e mi vennero i brividi.

<<Come ti senti?>>, chiese distrattamente l'infermiera.

<<Mi fa male la testa e... ho sete>>, mi toccai la gola e capii solo in quel momento quanto in realtà desiderassi un bicchiere di acqua.

<<Adesso ti darò della morfina, riguardo all'acqua...>>, guardò Eric e Courtney, <<Potete pensarci voi ma raccomando le dosi. Deve bere poco, è importante>>, si voltò verso di me, <<Resisti e non addormentarti, vado a cercare il dottore>>.

Uscì dalla stanza in fretta.

Non passò molto fino a che il medico mi visitò. Sembrava che tutto andasse bene e solo dopo che lo ripetette all'ennesima domanda di Courtney, Eric rilassò le spalle e si concesse un attimo di riposo sul divano.

Courtney uscì a fare delle telefonate mentre io rimasi ovviamente sdraiata sul letto, ad osservare quei riccioli neri e il suo viso.

Più lo guardavo più il mio cuore incespicava ma nonostante la consapevolezza di quello che avevo appena fatto e della mia decisione, sentire la sua vicinanza mi rassicurava.

La luce accecante di quella stanza rendeva la sua pelle più chiara di quella che in realtà era, contrastando il colore intenso dei suoi capelli scuri e delle lunghe ciglia. Le ferite che avevo curato erano state medicate e dal risultato finale direi pure da un professionista.
Il labbro spaccato era ancora evidente e il livido sullo zigomo, ormai viola, sembrava essersi appropriato di metà del suo viso. Eppure, anche in queste condizioni, era meraviglioso da mozzare il fiato.

Continuai a guardarlo cercando di tenere a mente che a breve sarebbe finito tutto.

Era giusto cosi, non potevamo continuare con i "tira e molla". Dovevamo crescere e per farlo era necessario allontanarci e seguire, con i nostri problemi, ciò che credevamo più giusto per noi senza essere influenzati dall'altro.

Le nostre vite erano troppo tormentate per dare all'altro ciò di cui aveva bisogno.

Non avrei mai superato tutto quello, lo sapevo già...l'idea di lasciarlo andare, di vederlo felice senza di me...mi spaventava.
Ma mi spaventava di più l'idea di continuare quel dramma.

La testa iniziava a farmi meno male ma percepivo il corpo farsi sempre più pesante e trascinarmi in una dimensione onirica.
E cosi, lentamente, scivolai in un sonno profondo... mettendo a riposo, per un attimo, la mia anima straziata.


Ero nella mia vecchia casa a Boston, indossavo un lungo abito nero di pizzo che accompagnava il movimento delle mie gambe ad ogni spinta sull'altalena.

Il sole splendeva e illuminava il piccolo ma verde giardino, sentivo l'odore della primavera e il calore di quella giornata era piacevole.

Continuavo a dondolarmi senza sosta, guardandomi intorno. C'era un silenzio assoluto ma non avevo paura, anzi... sentivo una certa soddisfazione.

Improvvisamente il cielo iniziò a prendere delle sfumature rossastre e il sole, prima in alto, si spostò velocemente verso ovest dando inizio ai colori del tramonto.

Sentii un tonfo secco, e poi subito ne susseguirono altri. Continuai ad andare su e giù con l'altalena e più il tempo passava più mi sembrava di andare sempre più in alto.

Non capivo da dove provenissero quei forti rumori, mi guardai attorno e vedevo la quiete più totale.

Iniziai a sentire freddo ai piedi e abbassai lo sguardo.

Buttai un urlo e colta alla sprovvista rischiai di cadere.

Mi trovavo a molti metri di distanza da una lastra di ghiaccio che si espandeva a rilento dal punto in cui mi trovavo.

Un altro tonfo spezzò quel silenzio e finalmente capii da dove provenisse.

Vidi delle mani colpire la superficie trasparente e dura dall'interno e non capii come ma venni spinta giù sbattendo violentemente le ginocchia su quella pianura fredda.

Il forte impatto mi costrinse a portare le mani in avanti per attenuare la caduta e il mio viso si trovò a breve distanza da quello specchio trasparente.

Fu lì che riuscii a vedere il viso della persona in agonia.

<<Mamma...>>, dissi sottovoce guardando i suoi occhi blu che sembravano un tutt'uno con l'acqua.

<<Mamma!>>, iniziai a dare dei pugni forti su quella parete solida ma niente.

Un movimento alla mia sinistra mi distolse per un momento da quel blu intenso.

Li sotto non c'era solo mia madre.

Dei visi iniziavano a risalire in superficie.

Drew.
Courtney.
Lauren.
Josh.
Luke.
Eric.

<<No...No!>>, iniziai a piangere di disperazione e continuai a sfogare la mia paura contro quel ghiaccio insensibile ai miei colpi.

Le loro mani continuavano a chiedere aiuto ma io non sapevo come aiutarli.

Perché non funzionava? Perchè non riuscivo a liberali?

Il panico mi avvolse quando i loro visi iniziarono ad allontanarsi da me e a sprofondare sempre più in basso.
<<No!>>, gridai ripetutamente ma nulla.

"Porti solo morte" mi girai verso quella voce con il viso in lacrime, <<Smettila!>>.

Una risata e poi di nuovo quelle parole "Porti solo morte"

<<Basta!>>.


Mi svegliai con un rumoroso "beep" incessante, mi bastò poco per ricordare dove mi trovassi. Girai il viso e vidi l'enorme elettrocardiografo. Almeno ero certa di essere ancora viva.

<<Buon giorno dormigliona>>.
Josh era nella sua solita tenuta professionale, sempre impeccabile ed elegante. Teneva in mano una cartella e il telefono.

<<Ciao>>, provai a dire e mi sorpresi di sentire la mia voce chiara e ferma.
Il dolore alla testa era cessato rispetto a prima.

Eric.
Voltai la testa su quel divano e il mio battito sembrò accelerare appena vide che era vuoto.

Il "beep" rivelava perfettamente il mio panico e Josh sembró capirlo.
<<L'ho costretto con la forza ad andare a casa, da quando è uscito dal commissariato non ha fatto altro che starti vicino. Non era un bello spettacolo per l'ospedale e per l'igiene>>, accennò un sorriso.

<<Commissariato?>>, chiesi confusa.

<<Si... ha passato una notte dietro le sbarre. E' stato difficile farlo uscire dato che ormai è maggiorenne ma...la situazione...era a nostro favore>>.

Sentii un'altra sequenza veloce di "beep", iniziavo ad odiare quel suono.
<<A nostro favore? Josh di cosa stai parlando?>>, per quanto mi sentissi meglio non riuscivo ad allontanare la confusione che avevo in testa.
Le immagini mi si accavallavano una dopo l'altra ma senza capirci davvero qualcosa.

<<L'aggressione è un'azione punibile ma il movente è stato ritenuto valido>>.

D'improvviso capii.
<<Lui... dov'è?>>, chiesi in un lamento.

La sua mano mi accarezzò dolcemente e mi guardò con aria triste e rassicurante, <<Non dovrai più preoccupartene...ci ho pensato io e dedicherò tutto me stesso per non permettergli mai più di respirare la libertà>>.

Fui certa che ormai sapeva cosa era successo, evidentemente già sospettava qualcosa e la scenetta di pochi giorni fa non aveva fatto altro che rendere le cose più chiare.
<<Grazie e mi dispiace per...>>

<<Smettila di ringraziarmi, siamo una famiglia dopotutto>>,?mi sorrise.

"Una famiglia".

Iniziai a piangere per quella parola, potevo davvero credere di avere una famiglia?
Era davvero cosi?

<<Josh! Ti ho detto di non farla agitare!>>.
La voce di Lauren, seria e preoccupata, fu la ciliegina sulla torta e iniziai a piangere con più foga.

<<Tesoro, va tutto bene... Perchè non mi ascolti mai?>>, diede un colpetto sul braccio del marito mentre con l'altra mano tentava di calmare le mie lacrime.

<<Lo sai che alle donne faccio questo effetto!>>.

Risi per la battuta anche se le lacrime non accennavano di smettere.

Dovettero passare alcuni minuti prima che riuscissi a prendere controllo del mio stato emotivo. Cosi, finalmente, mi spiegarono cautamente cosa era successo.

La polizia era arrivata subito dopo il mio drammatico mancamento, e vedendo ciò che era successo, obbligò Andrew ed Eric a venire con loro.
Da li la situazione sembrò toccare l'apice dell'assurdo.
Mentre io dormivo, Eric rischiava di farsi quasi tre anni di reclusione. Le lesioni che aveva arrecato erano molto gravi e se si fosse concesso un altro pugno... beh, non credo che si sarebbe trattato solo di aggressione.

Fortunatamente, grazie a Josh e all'influenza del padre, l'aveva avuta franca.

Pensai a lungo ai suoi genitori, dopo quello che era successo non li avrei biasimati se non avessero più voluto avere niente a che fare con me.

Per quanto riguardava Andrew... si era dichiarato colpevole volontariamente. Aveva inoltre confermato tutti gli abusi che avevo subito dentro quella casa, grazie a lui non ero più una bugiarda quindi.

Quando ci pensai mi venne da ridere, mi facevo pena da sola.

Josh mi disse che la sua confessione avrebbe sicuramente influito sulla riduzione della pena ma lui si sarebbe impegnato a farlo rimanere dentro il più possibile.

Ricordai di aver seguito dei corsi di legislazione, le violenze di quel tipo andavano dai 6 ai 14 anni. Sapevo già in partenza che non sarebbe mai stato in ergastolo. Era troppo giovane, si era volontariamente esposto alla legge ed erano passati molti anni.

Ma non volevo pensarci, sapevo già che qualsiasi cosa gli accadesse non avrebbe in alcun modo cambiato quel ricordo.

Dovetti passare altri due giorni dentro quella stanza immacolata, odiavo gli ospedali ma odiavo ancora di più quella attesa.

Eric venne spesso, ogni giorno portava con sé strane riviste insieme a dei film che si era sempre rifiutato di vedere con me.
Stavamo insieme qualche ora, parlavamo di tutto ma tranne della nostra situazione. Ogni tanto mi dava un tenero bacio sulla fronte ma oltre ad accarezzarmi non faceva altro. Sapevo che anche lui temeva quel confronto, stavamo solo aspettando che arrivasse quel momento, come se non dipendesse da noi.

Prima che tutto andasse distrutto avevo immaginato la nostra vita futura insieme, a New York. Lui sarebbe andato alla Siena University, io alla Cooper Union e nella stessa città saremmo stati vicino alle persone che più amavamo: Nathan e Courtney.

Ma adesso era tutto diverso.

Sapevo che lui non voleva allontanarsi da suo fratello tanto quanto io non desideravo vivere senza Courtney. Una parte di me mi urlava di non pensarci, le cose si sarebbero sistemate da sole. L'altra parte di me, quella sempre razionale e pragmatica, mi spiattellava in faccia quanto il mio piano facesse schifo. Non sarei durata neanche un secondo se fosse stato a pochi chilometri o addirittura metri di distanza da me. Non avrei fatto altro che cercarlo senza sosta e invece di pensare alla mia vita avrei solo sperato che il nostro rapporto si risistemasse.

Ma non volevo rinunciare a Courtney, lei senza di me ce l'avrebbe fatta magnificamente... io no. Stavo già voltando le spalle a colui che pensavo fosse l'amore della mia vita, figuriamoci se lo avessi fatto con l'unica vera famiglia che avevo.

Non sapevo cosa pensasse Eric, il nostro futuro e il nostro rapporto sembrava ormai essere argomento tabù. Sapevamo dell'immanente bivio che ci stava aspettando in modo minaccioso ma preferivamo ignorarlo. Da quando mi ero svegliata in quella stanza sterile e super illuminata, sembrava di vivere in un mondo parallelo.

I dottori avevano voluto tenermi sotto controllo per paura dei sintomi post traumatici ma fortunatamente andò tutto bene. Non desideravo stare la dentro neanche un minuto in più.

Ero nuovamente la "miracolata"... iniziavo a pensare che forse ero intoccabile dalla morte e che per questo le persone attorno a me dovevano pagare.

Darla aveva già da subito intuito questo mio pensiero, sapevo che era tutto nella mia testa ma il problema stava proprio la. Era la mia testa... come facevo a ragionare in modo diverso se riuscivo a vedere solo quello?

Quando tornai nella mia nuova stanza mi venne un tonfo al cuore.
I mobili, il verde mela orribile delle pareti e le tende anonime erano spariti. La stanza immacolata sembrava uguale a quella da cui ero appena uscita.

<<Abbiamo pensato che forse dovresti renderla...più tua. Tra poco te ne andrai via, lo sappiamo... ma vogliamo che tu abbia sempre un posto personale in cui fare ritorno. Puoi decidere qualsiasi cosa, puoi pitturarla tu o se vuoi possiamo chiamare qualcuno ma fanne ciò che vuoi. Certo se dovessi fare qualche buco preferirei che me lo dicessi prima ma...insomma...è casa tua>>.

A quelle parole piansi di nuovo, evidentemente "casa tua" e "famiglia" mi facevano questo effetto.

Per una settimana non uscii da li dentro, a parte se non per darmi una ripulita e andare a dormire con Courtney nella sua stanza.

Luke, Sam, Tiffany vennero ogni tanto a darmi una mano e per quanto riguardava il resto... mi concessi una tregua... anche se breve.

Non ero ancora pronta ad affrontare i problemi.

La borsa di studio sapevo già che fosse una meta ormai irraggiungibile ma egoisticamente non mi importava più. Josh e Lauren mi avevano esplicitamente detto che non me ne dovevo preoccupare, avrebbero provveduto a me. Potevo approfittarmene per una volta, no? Si trattava della mia istruzione dopotutto, era per una giusta causa.

Eric continuava a venire ogni pomeriggio, se ne stava sdraiato sul pavimento mentre io mi lasciavo andare all'immaginazione artistica. Non mi pesava averlo li, mi soffocava solo il pensiero di non rivederlo più.

Quando completai l'affresco della mia stanza ne rimasi soddisfatta: avevo scelto i colori che da sempre mi avevano tormentato ma allo stesso tempo regalato le uniche emozioni che conoscevo.

Il colore dominante era, ovviamente, il blu. Non era un blu cupo ma intenso, chiaro e luminoso. Si chiamava "Blu Fiordaliso" ed era simile agli occhi di mia madre.

Dipinsi delle piccole striature d'argento lungo tutte le pareti creando delle sfumature che andavano su un grigio-ghiaccio tendente all'azzurro. Ero soddisfatta del colore ottenuto. Non sarebbero mai stati come gli occhi cristallini e travolgenti di Eric ma a volte, a seconda della luce che filtrava dalla finestra, riuscivo a provare la stessa sensazione di elettricità e ipnosi.
Chiunque avesse saputo a chi mi fossi ispirata mi avrebbe ritenuta una pazza masochista. Come potevo superare la separazione con Eric se ogni giorno avrei dovuto dormire dentro il ricordo dei suoi occhi?

Ma sapevo già che non li avrei mai dimenticati e dato quanto significassero per me, era inutile fare finta di nulla. Quei colori ormai facevano parte della mia essenza. Mi dovevo abituare a condividere con loro le mie giornate, tanto valeva abbracciare il ricordo e andare avanti, a testa alta.

Per il restobavevo scelto il bianco: Letto bianco, scrivania bianca, tende bianche, porta bianca, armadio bianco e cosi via... perfino il tappeto peloso lo era. Il parquet fu l'unica cosa che non cambiai, mi piaceva quel grigio-sabbia e il modo in cui si sposava con tutto il resto.

Quando Courtney vide la stanza completata rimase stupita, <<E io che mi aspettavo un ammasso di colori rosati e di fiori spiaccicati da tutti i lati>>.

In effetti non mi sarebbe dispiaciuto ma dentro di me qualcosa era cambiato, quella scelta mi sembrava più affine alla vecchia Tamara.

Dopo aver terminato la "ristrutturazione" non ebbi più alcuna scusa per rifugiarmi e nascondermici dentro. Non ero ancora pronta allo sguardo ficcanaso della gente e del liceo ma dovetti fare uno sforzo ed uscire di casa per sostenere gli esami finali. Nonostante gli ultimi giorni fui in grado di cavarmela discretamente. Mi sarei diplomata e avrei frequentato l'università. Ce l'avevo fatta.

Non avrei voluto festeggiare, in realtà non mi sentivo assolutamente dell'umore giusto ma Courtney era un tornado e non ero nessuno per rovinarle uno dei giorni più importanti della sua vita. Fui grata che la festa si fosse tenuta nella casa in cui abitavamo. Molti dei nostri amici si aggregarono ai festeggiamenti della laurea, compresi i fratelli Grant.

Quella sera fu molto difficile da affrontare... era già stato faticoso uscire dalla tana per fare gli esami perciò ritrovarmi in mezzo ad occhi indiscreti mi aveva turbata cosi tanto che a metà serata mi rifugiai nella mia nuova stanza, insieme ad Eric. Rimanemmo abbracciati per tutta la notte, amavo dormire tra le sue braccia e mi faceva dimenticare la realtà che mi stava aspettando fuori da quella meravigliosa casa.

La notizia della mia vita non era sicuramente diventata di dominio pubblico ma la verità, sebbene non fosse stata resa ufficiale, girava già tra i soliti pettegolezzi. Come se la mia vita fosse un vero e proprio show di intrattenimento.

Riguardo Sarah... era un altro argomento Tabù e non avevo né il coraggio né alcun diritto di chiedere chiarimenti ad Eric.
Sapevo già cosa lo tormentava, riconoscevo bene lo sguardo assente che in certi momenti lo estraniava dalla realtà. Lui pensava non me ne accorgessi, se lo avesse saputo avrebbe fatto di tutto per non pensarci... per non farmi fraintendere. Ma io lo sapevo, sapevo quanto stesse soffrendo e quanto il senso di colpa lo stesse distruggendo. Io però non potevo fare nulla, era un suo problema. Perciò non provai ad indagare e lui non osò confidarsi. Speravo solo che per una volta non si facesse trascinare nei problemi di quella ragazza.

La prossima settimana avrei finalmente compiuto 18 anni, il 12 giugno era vicino.
Ma anche quello non avevo alcuna voglia di festeggiare. Come sempre, dopotutto.

Di solito Courtney mi obbligava ad uscire o a starcene a casa a mangiare le schifezze più buone del mondo... l'importante è che lo passavamo insieme. Era questa la regola. Erano questi i miei soliti piani.

Almeno cosi pensavo fino a quando lui me ne parlò.

<<Per il tuo compleanno... che ne dici se andassimo al mare? Potremmo invitare tutti, se vuoi perfino Luke>>, lo disse con una smorfia rassegnata.

Eravamo sdraiati in giardino. Avevo magnificamente superato l'anno a parte per algebra, l'unica B, ma non mi importava più... mi ero diplomata.
Come già sapevo la preside Moore mi confermò che le mie possibilità di un beneficio economico erano scarse... eppure mi sentivo liberata da un peso enorme. Mi sembrava di respirare un'aria più leggera.

Guardai Eric che giocava con una ciocca dei miei capelli.

Voleva festeggiare il compleanno insieme...che senso aveva? Ci saremmo lasciati a breve.
A volte mi sembrava di fingere eppure ciò che provavo per lui era vero. Stavamo solo filtrando, momentaneamente, tutto ciò che ci faceva male.

<<Eric...>>, non avevamo ancora parlato dopo quella notte. Tra di noi aleggiavano parole non pronunciate ma sapevamo che dovevamo prima o poi affrontarci.

<<Non ora! Lo so e parleremo ma... non adesso! Non sono ancora pronto, va bene?>>, evitava di guardarmi e forse era meglio cosi. Non volevo che sapesse quanto quelle parole mi facevano male ma soprattutto quanto sperassi che quel momento non sarebbe mai arrivato.

Sospirai pesantemente, <<Mi piacerebbe andare in quella casa a mare. Pensi che tua madre lo permetterebbe?>>.

Margot e John, alcuni giorni dopo essere stata dimessa, vennero a trovarmi.
Fu strano perché la situazione andò a completarsi con una "cena tra famiglie".
Da un lato del tavolo c'era la mia nuova famiglia, gli Allen, e dall'altra la famiglia di Eric Grant. Era una situazione assurda, sia per me che per Courtney.
Josh cercava di essere il più autoritario possibile, soprattutto di fronte a Nathan, ma a fine serata, dopo qualche bicchiere di vino, sembravano tutti essere amici di vecchia data e la tensione iniziale era del tutto svanita.

Avevo il timore che in qualche modo mi vedessero come una presenza negativa per Eric ma l'abbraccio di Margot risollevò il mio umore.

Sembrava che stessimo vivendo un periodo di pace, era come se i problemi fossero svaniti ma sapevo che non era cosi. I problemi dovevano essere risolti e non allontanati.

<<Appena mia madre lo saprà la renderai felice. Sarà dura far rimanere Amelie a casa, quando si tratta di te è fastidiosamente assillante>>.

Risi con affetto pensando ai suoi lunghi capelli e ai suoi occhi grandi e sinceri, <<Potrebbe venire anche lei, perfino i tuoi genitori. Non voglio una festa...insomma... non voglio il solito vostro "Party" da bevute, sbronze e strusciamenti>>.

<<Strusciamenti?>>, mi guardò con aria maliziosa e dovetti subito abbassare lo sguardo per evitare di saltargli addosso.

Stare cosi vicino senza toccarlo... era una tortura.

<<Mi hai capita>>, dissi subito, seccata e intimidita dalle sue allusioni, <<Se proprio volete che lo festeggi... voglio solo passarlo con le persone che amo>>.

<<Che ami...>>,?stavolta rifece l'eco in modo pensieroso continuando a giocare con la mia ciocca.

Quel gesto lo aveva sempre fatto Luke, mi piaceva ma era strano come fosse diversa la sensazione quando lo faceva Eric.

Rimasi in silenzio, mi aveva appena detto che non era pronto a toccare quell'argomento e sapevo che non lo ero neanche io quindi...lasciai stare.

Non sapevo cosa stesse pensando, non volevo saperlo.

<<Posso farti una domanda?>>, chiesi guardando la macchia nera sull'avambraccio.

<<E' impossibile impedirtelo>>, fece il suo solito sorriso sghembo.

Gli sfiorai i muscoli che al mio tocco guizzarono velocemente per poi rilassarsi. Sentii una flebile scarica di energia propagarsi dal polpastrello fino alla punta dei piedi.

<<Non mi hai mai spiegato il significato>>.
La lunga fascia nera era rimasta la, immobile, ad assistere a tutte le nostre peripezie e promesse non mantenute ma incise nei nostri cuori. Lasciò cadere il ciuffo di capelli e ricambiò il mio sguardo.

Sotto quella luce estiva il colore dei suoi occhi risultava essere così argenteo e trasparente da sembrare un diamante.

<<Indica "Lutto". E' uno stupido modo per non dimenticarlo mai. Lui... non meritava una fine del genere, l'unica sua disgrazia è stata quella di provenire da me>>.

Parlava di quel bambino.

Una fitta al cuore mi fece chiudere gli occhi, quando li riaprii notai che lui continuava a guardarmi con la stessa intensità di prima, senza censurare il dolore di quel ricordo.

<<Volevo che fossi li con me, evidentemente avevo già intenzione di dirtelo ancora prima che tu lo venissi a scoprire>>.

Mi sentii improvvisamente in colpa per il mio atteggiamento.
<<Ho sbagliato molte volte>>, gli presi la mano e appoggiai la mia testa sul suo petto.

Era la prima volta, da quella notte, che superavo quel confine. Sentii il suo cuore battere veloce e accompagnare i respiri pesanti.

Il caldo estivo era alle porte ma nonostante il lieve sudore che velava le nostre pelli, non mi infastidiva stargli vicino.

<<Potevamo fare sicuramente di meglio>>, mi baciò la fronte e rimanemmo li, in silenzio, a goderci quel momento.

La malinconia stava iniziando a farsi sentire e quel momento di pace aveva ormai assunto un retrogusto amaro ed aspro... simbolo che entrambi eravamo vicini alla fine. Era assurdo come potessimo amarci cosi tanto e allo stesso tempo essere consapevoli di non essere in grado di stare insieme.

Il nostro amore era unico e come tale era pure incomprensibile perfino a noi stessi.

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