Capitolo |31|
<<Tamara>>.
Mi svegliai con fatica. Non riuscii ad aprire subito gli occhi, talmente pesanti da sembrare due mattoni.
Per non parlare del mal di testa che non mi diede neanche il tempo di capirci qualcosa.
<<Hey ciao...>>, continuò la voce.
Cercai di sollevare le palpebre e finalmente vidi Courtney seduta sul mio letto.
In mano aveva un vassoio e mi sorrideva, quel sorriso che mostrava sempre quando era preoccupata.
Fu come uno schiaffo mentale, immagini del giorno precedente mi sopraffecero.
Eric, le foto, le lettere, la gravidanza...
Sentii nuovamente il bisogno di piangere e lo feci, ero troppo stanca e confusa per controllare le mie emozioni.
<<Vieni qua>>, mi abbracciò in modo protettivo.
Mi aggrappai a lei, stringendola forte.
<<Ne vuoi parlare?>>, mi chiese porgendomi un fazzolettino di carta.
Parlarne? E di cosa? Di come la mia vita faceva schifo?
<<No>>, dissi tra un singhiozzo e l'altro.
Odiavo la mia debolezza.
<<Va bene. Io...ascoltami io oggi devo andare a scuola...>>
Scuola.
La borsa di studio, la media, le assenze...
<<No... no... Come ho potuto dimenticarlo?! Come?!>>, urlai.
<<Tamara che c'è? Calmati ti prego...>>
<<Ragazze che cosa sta...Tamara!>>, Lauren si precipitò verso di me e la mia crisi di panico.
<< La borsa di studio io...non posso mancare ad altre lezioni, la preside mi aveva avvertito, come ho fatto...>>, iniziai a boccheggiare alla ricerca di aria.
Sentivo la trachea stringersi e i polmoni appesantirsi ad ogni respiro.
Mi aveva dato un'altra possibilità e io l'avevo sprecata, come diavolo avevo potuto fare una cosa del genere? Avevo rovinato tutto... con Eric, con la mia vita... e solo con le mie stesse mani.
<<Tesoro calmati, ci ho già pensato io... Per la scuola risulti essere in lutto, è giusto che ti prenda dei giorni di pausa...>>
<<No! Lauren, non capisci!>>, rimasi a corto di aria mentre un formicolio leggero iniziava a serpeggiare sulle mie gambe.
Ispirai profondamente, <<A causa delle mie assenze...non posso permettermene altre!>>, feci per alzarmi ma caddi subito a terra. Un rumore stridulo si impossessò della mia testa, era cosi assordante da non farmi sentire altro.
<<Courtney! Aiutami a metterla sul letto e chiama il dottore! Su, sbrigati!>>.
Avevo la vista annebbiata da piccole macchie nere e la sensazione che tutto intorno a me girasse.
Sentii delle mani prendermi e poggiarmi sul letto... e poi il vuoto più totale.
~•~
Mi risvegliai nella stanza degli ospiti, riuscii a riconoscerla perché il colore delle pareti era orribilmente indimenticabile: verde mela.
Odiavo il verde mela.
Mi misi seduta e mi accorsi di un filo di plastica attaccato al mio braccio.
Che ci faceva una flebo in quella stanza?
Cercai di alzarmi ma una mano mi precedette.
<<Non muoverti!>>, Lauren mi afferrò la spalla spingendomi nuovamente sul letto, <<Sei appena svenuta e il dottore mi ha raccomandato di non farti fare movimenti bruschi quindi stai ferma>>, armeggiò con la rotellina di quella sacca trasparente.
<<Non ricordo come...>>, mi mancò il respiro, <<La scuola!>>.
<<Tamara calmati, per piacere. La preside Moore mi ha assicurato che queste assenze non influenzeranno quelle che hai già fatto>>.
Guardai i suoi occhi calmi e rassicuranti.
Aveva chiamato la preside?
Senti le spalle rilassarsi e la testa svuotarsi immediatamente.
Lei notò il mio cambiamento e imitò la mia reazione, <<Ovviamente dipenderà da te recuperare ma la borsa di studio non ne risentirà visto i tuoi ottimi voti. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi, la preside...>>
<<Aspetta...>>, la interruppi, <<significa che non ho aggravato la mia situazione?>>.
<<Si...e stavo dicendo, prima che mi interrompessi, che la preside ti consiglia di ritornare Lunedi prossimo, per non perdere troppe lezioni, ma nel caso in cui non te la sentissi...>>
<<Certo! Lunedi ritornerò a scuola...>>, sospirai per il sollievo.
Avrei dovuto ringraziare la preside, tutto ciò che stava facendo per me non era da dare per scontato.
<<Ascoltami... so che ci tieni davvero tanto a questa borsa di studio ma soprattutto so quanto significhi per te farcela da sola...però... quello che vorrei dirti è di non preoccuparti. Ti ho sempre detto che se non dovessi vincerla ci saremo noi...>>
<<Lauren, ti prego...>>, sapevo cosa stesse per dirmi e non volevo affrontare per la milionesima volta questo discorso...
<<Tamara non mi importa se tu dici di no, ti aiuteremo lo stesso. Quindi metticela tutta per cercare di raggiungere il tuo obiettivo ma sappi che noi ci siamo e appena vedremo che ne hai bisogno ti aiuteremo in qualsiasi modo. Hai capito?>>.
<<Si>>.
Non avevo le forze per contraddirla, tanto avrebbe vinto comunque lei.
<<Bene, adesso mangia tutto. Tornerò più tardi...Sai cosa devi fare oggi?>>, mi guardò preoccupata.
Guardai fuori dalla finestra, era mattina...Courtney mi aveva detto che stava andando a scuola.
Avevo del tutto perso la cognizione del tempo.
<<Oggi devi sostenere l'interrogatorio...>>, continuò Lauren, sembrava quasi che non volesse dirlo.
<<Si si, certo che me lo ricordo è solo che... non ho fatto caso a quanto tempo fosse già passato>>.
<<Josh ha fatto in modo di spostarlo di pomeriggio... hai ancora un paio di ore quindi stavolta ti chiedo di riposarti, davvero Tamara... ne hai bisogno>>.
Guardai Lauren e mi dispiacque per lei, le stavo facendo passare un inferno, il mio inferno.
<<Va bene>>, dissi prendendo il vassoio che era poggiato sul comodino.
Mi sorrise e se ne andò, apprezzai la sua delicatezza. Non mi aveva fatto nessuna domanda riguardo ieri nonostante sapessi quanta preoccupazioni le avessi procurato.
Pensai ad Eric ma in qualche modo la mia mente riuscii a ricacciare indietro quel pensiero, il problema era l'enorme peso che sentivo al petto... speravo che prima o poi mi avrebbe lasciata in pace.
Non ero in grado di riflettere su Eric e su ciò che era successo. In realtà non mi sentivo pronta neanche a parlare con degli sconosciuti, descritti da Josh come degli stronzi senza anima. Ma dovevo farlo, almeno questo dovevo farlo.
Mangiai un muffin e bevvi il cappuccino che Lauren mi aveva appena portato.
Non avevo mai fatto colazione a letto, escluse quelle volte in cui mangiavo una barretta per non dare fastidio né a Finn né a Rachel.
Pensai a loro due e a quanta paura avessero provato, era paragonabile a quella che mi facevano provare loro?
Mi sdraiai nuovamente sul letto, presi il telefono tra le mani e andai a leggere le notifiche di whatsapp.
Ovviamente nessuna ombra di un suo messaggio.
Mi avevano scritto Courtney, Sam, Tiffany, Luke, Robert e persino Daisy. Perché aveva il mio numero? Che faccia tosta.
Che senso aveva farmi le condoglianze quando non aveva fatto altro che sfottermi per tutto l'anno? Cogliona...
Lessi il messaggio di Courtney che mi raccomandava di stare tranquilla.
Gli altri messaggi erano tutti un: "Condoglianze", " Se ne vuoi parlare ci sono", " Mi dispiace tanto".
Cosa c'era da dispiacersi?
Certo in effetti da fuori sembrava una grossa perdita. La povera ragazza orfana che perde gli unici parenti in circostanze terrificanti.
In realtà avevo perso ciò che per anni era stato un incubo.
Eppure sentivo un vuoto, era come se mancasse qualche cosa, non ne ero indifferente ma neanche profondamente colpita.
Presi il telefono e mi preoccupai solo di rispondere a Courtney poi dopo ci ripensai e inoltrai a tutti un semplice e anonimo "grazie", senza preoccuparmi se la risposta avesse avuto senso con il messaggio che mi avevano mandato.
Posai il telefono e mi guardai attorno.
Non avevo per niente sonno e facendo attenzione alla flebo andai in bagno per vedere come ero conciata.
Mi misi davanti allo specchio e mi venne nuovamente da piangere, ero un disastro.
Avevo la faccia pallidissima e gonfia, non riuscivo a vedere neanche bene visto che gli occhi sembravano due mongolfiere.
Aprii il rubinetto e mi sciacquai il viso con dell'acqua gelida.
Non so per quanto volte ripetei quel gesto, in alcuni momenti la mia testa fluttuava verso Eric mentre in altri non pensavo a nulla.
Smisi dopo essermi accorta di avere le dita delle mani raggrinzite e mi dedicai ai denti.
Stavo per prendere il solito spazzolino impacchettato per gli ospiti che Lauren metteva sempre nel cassetto, quando vidi uno spazzolino nuovo vicino al dentifricio.
Solo lei riusciva a pensare ad ogni piccolo dettaglio, aveva una dote innata.
Finito di cercare di recuperare presentabilità, rifeci il letto per poi ributtarmici di nuovo.
Avevo gli stessi vestiti di ieri ma non mi andava di farmi una doccia...ripensai ad Eric e al giorno prima.
Una fitta al petto mi fece capire che non dovevo.
Se avessi avuto i libr... senza farlo a posta mi resi conto del mio zaino sopra la scrivania, accanto c'erano quattro scatoloni con tutte le mie cose.
Lauren era un angelo, non c'erano altre spiegazioni...
Con un enorme sorriso mi legai i capelli in un'alta coda e mi dedicai allo studio, sapevo già il programma perché lo avevo chiesto ai professori quindi potevo procedere senza alcun rischio.
Lo studio, come la corsa, era un ottimo modo per non pensare ad altro... appena mi accorgevo che ciò che stavo studiando non riusciva più a catturare tutta la mia attenzione passavo ad un'altra materia.
Da letteratura passai a scienze per poi fare fisica, arte e filosofia.
L'algebra la lasciai in un angolino, prima o poi l'avrei dovuta affrontare ma non oggi.
Appena chiusi i libri mi accorsi che era ora di pranzo, non avevo molta fame ma dovevo smetterla di reagire in questo modo.
Lauren e Josh mi erano stati tanto di aiuto e l'unica cosa che potevo fare era farli preoccupare il meno possibile.
Uscii dalla stanza e scesi le scale per poi entrare in cucina.
Vidi Lauren apparecchiare mentre Josh stava controllando alcuni documenti. Ritrovarli entrambi in cucina, in settimana e all'ora di pranzo, era molto strano.
Varcai l'entrata e si accorsero immediatamente di me.
<<Oh...stavo per chiamarti, è quasi pronto... >>, disse Lauren sorridendomi.
Ricambiati il sorriso e mi accomodai nel mio solito posto.
Era strano vederli contemporaneamente in quella casa, di solito capitava solo nelle festività dato i loro impegni lavorativi.
La mia situazione aveva richiesto una eccezione.
<<Come ti senti?>>, Josh mi indagava con il suo sguardo da "Sono un avvocato e capisco quando menti".
Come mi sento?
Esausta, sconfitta, dilaniata, arrabbiata, delusa, impaurita, fragile e inutile.
Inghiottii tutti quei pensieri e risposi.
<<Bene, sto bene. Lauren grazie per avermi riportato le mie cose e... e vi voglio ringraziare per quello che state facendo per me... senza di voi non so cosa avrei fatto>>.
<<Siamo qui per questo... Non ci devi ringraziare ma voglio solo una cosa...>>, vidi Josh farsi serio e, posando i fogli che aveva in mano, si sedette di fronte a me, <<Da oggi in poi dovrai essere più matura di quello che hai già dimostrato di essere... devi cercare di capire i tuoi limiti e siccome momentaneamente ne hai passate tante devi...>>
<<Tamara, Josh vuole dire che nessuno sarebbe in grado di reagire positivamente a tutto ciò che hai passato quindi devi salvaguardarti. Soprattutto adesso che dovrai affrontare questa situazione nuova. Capito?>>.
In poche parole mi stavano dicendo che ciò che era successo ieri non doveva più capitare. Come facevo però a fingere su qualcosa che era già successo, il mio limite era stato già superato.
Inghiottii nuovamente la verità.
<<Si, ho capito>>, avevano bisogno di sentire altro e io avevo bisogno di farli preoccupare il meno possibile.
<<Bene, dopo pranzo ti mostrerò alcune cose per prepararti e poi andremo al commissariato. Starò sempre con te, non ti lascerò neanche per un secondo... te lo prometto>>, mi rivolse uno sguardo sicuro e solidale che mi rassicurò più del caldo sorriso di Lauren.
Dovevo farlo.
Non si trattava più di me e della mia vita.
Ho sempre avuto l'enorme desiderio di lasciarmi tutto indietro ma per farlo dovevo mettere un punto a tutto questo.
Solo che forse non mi sentivo ancora pronta ad affrontare tutto.
Ma avevo due scelte:
-Seguire le mie paure e nascondermi da tutto;
-Seguire la rabbia e la frustrazione che provavo per affrontare gli incubi che mi avevano sempre tormentato.
Ormai avevo scelto la seconda via e non potevo tirarmi più indietro.
Quel momento arrivò presto e non feci altro che ripetermi: "l'ultimo sforzo e poi andrà meglio". Doveva essere per forza cosi perché non credevo di riuscire ad affrontare un'altra catastrofe.
Mi sentivo nervosa, le mie mani si stavano torturando a vicenda mentre il mio respiro si faceva sempre più irregolare.
Io e Josh eravamo scomodamente seduti dentro quattro mura grigie, sembrava quella solita stanza da interrogatorio che si vedeva nei film, un ambiente che non ti metteva sicuramente a tuo agio.
Più di una volta mi guardai attorno, non so cosa mi aspettassi di trovare di diverso da quelle pareti lisce e tetri, ma lo facevo istintivamente.
Avevo la continua sensazione che qualcuno mi osservasse.
Ovviamente era solo una mia impressione dovuta alle manie di persecuzione che mi portavo dietro ma non cambiava il fatto che fossi a disagio e da quando avevo messo piede là dentro cercavo di limitare ogni mio movimento.
Non volevo destare sospetti.
Era ridicolo, non ero una criminale solo che avevo paura di sbagliare e non potevo permettermelo.
<<Tamara stai tranquilla, se ti porranno domande troppo forti non sei obbligata a rispondere ma sarebbe opportuno che lo facessi, più cose dici più loro avranno degli elementi su cui basarsi. Capisci ciò che sto dicendo?>>.
<<Si!>>.
Lui e Lauren non facevano altro che dirmi: "Hai capito?", quando in realtà capivo più di chiunque altro.
<<Non preoccuparti, limitati a rispondere alle loro domande e... >>
<<Josh me l'avrai detto almeno una decina di volte... Ho capito!>>, mi morsi subito il labbro, pentita dal mio tono acido.
<<Hai ragione, scusami!>>, disse tossendo imbarazzato.
Non dovevo rispondergli in quel modo, d'altronde anche lui era teso solo che a differenza mia riusciva a mascherarlo.
Le mie pellicine delle mani, invece, urlavano pietà.
La porta si spalancò facendo entrare due uomini, di cui uno in divisa e l'altro in abito formale. Entrambi potevamo avere poco più dell'età di Josh.
Il tizio non in uniforme si avvicinò con aria di superiorità, <<Salve, sono l'investigatore Sullivan e lui è il commissario che mi aiuterà in questo caso. Lei deve essere Tamara Evans mentre lei... Il suo... Supervisore?>>, alzò un sopracciglio verso Josh, <<Mi scusi, Come la dovrei definire?>> disse con tono arrogante.
Bene, già mi stava sugli zebedei.
<<Sono il suo avvocato e a breve il suo tutore, ho già tutte le pratiche avviate>>.
Mi girai di scatto verso Josh.
Il mio che cosa? Perchè non me l'aveva detto?
Non facevano altro che dirmi che per loro facevo parte della famiglia ma non avrei mai pensato che avrebbero dovuto chiedermelo.
<<Capisco... bene, possiamo iniziare>>, si sedette sull'unica sedia disponibile lasciando il suo "compare" in piedi, quest'ultimo con totale indifferenza prese una seduta posta nell'angolo vicino alla porta e vi si accomodò.
Quella sedia non l'avevo neanche notata, evidentemente quel grigio anonimo della stanza mi confondeva.
Il commissario richiamò la mia attenzione porgendomi un fascicoletto.
<<Allora signorina questo è un incontro ufficializzato, qualsiasi cosa dirà verrà registrata da delle telecamere. Acconsente insieme al suo avvocato e supervisore, in quanto ancora minorenne, di poter usare le sue testimonianze come prove? Dovrebbe firmare i tre fogli. Può prendersi tutto il tempo per leggerli ma sono elencate tutte le varie possibilità che le ho appena sintetizzato>>, concluse con voce monotona.
In quel momento la mia mente si bloccò.
Nessuno mi aveva detto delle telecamere, in realtà non mi ero soffermata neanche a pensarci. La mia vita sarebbe diventata di dominio pubblico.
<<Tamara, tutto ciò che verrà detto qua dentro potrà essere utilizzato solo se verrà tutelata la tua persona>>, disse Josh come se avesse percepito i miei pensieri.
Feci un profondo respiro, ormai c'ero dentro. Presi i fogli e li firmai, subito dopo Josh fece la mia stessa cosa.
<<Il caso del 30 Marzo 2017...>>, il commissario monotono fece una prefazione di ciò che era accaduto quel giorno senza escludere le caratteristiche dei "corpi defunti" e il loro ritrovamento.
<<Signorina Evans... posso darti del tu?>>, intervenne l'investigatore.
Il commissario aveva finito il suo monologo descrittivo e io ero riuscita a non scappare via.
Serrai i pugni per cercare di scaricare il nervosismo e l'ansia che mi torturava.
<<Si>>.
<<Bene Tamara, raccontami cosa hai fatto quel giorno e come hai scoperto il corpo>>.
Feci un profondo respiro e risposi alla domanda senza tralasciare alcun particolare, compresa la chiamata.
<<Quindi questa... Darla, può confermare il tuo alibi>>, non capii se fosse una domanda o una affermazione. La sua arroganza nel modo di parlare... mi infastidiva.
<<Si!>>, cercai di tranquillizzare quella parte di me che pensava fossi ritenuta colpevole di quella strage. Non ero io il mostro.
<<Parlami della chiamata>>.
Gli raccontai ogni cosa cercando di non fargli capire il mio sospetto è il relativo coinvolgimento di mio... di Aron. Non stava a me scoprire l'assassino, volevo solo uscire fuori da tutto questo il prima possibile.
<<Ho parlato con alcuni tuoi amici, mi hanno detto che il rapporto con la famiglia non era buono. Hanno mai provato a farti del male?>>.
<<Si>>, inghiottì rumorosamente. Con chi aveva parlato?
<<Cosa ti facevano?>>.
Strinsi di nuovo i pugni e parlai di ogni particolare che ritenessi indispensabile per fargli capire il tipo di rapporto che avevamo. Era l'unico modo per far comprendere agli altri cosa significasse vivere in quella casa. Gli parlai pure di Andrew ma senza accennare al suo abuso. Gli dissi solo che non avevamo una buona relazione.
<<Ti sei mai difesa? Hai mai utilizzato la violenza con loro?>>.
Le sue domande sembravano disinteressate, come se fosse solo obbligato a porle... come se non fossero cosi essenziali da influire sull'indagine.
<<No!>>, ma avrei dovuto farlo.
Quando potevo rispondevo a monosillabi, il tempo sembrava non trascorrere mai e le domande erano tutte uguali.
<<Non ti sei mai chiesta il perché tuo zio non tornasse più a casa?>>.
Certo che me l'ero chiesta ma in fondo non vederlo mi faceva comodo.
<<Si ma non mi importava. L'ultima volta che ho sentito Finn è stata durante una chiamata. Mi aveva detto che voleva essere avvisato una volta che avessi trovato Rachel ma non sono più riuscita a mettermi in contatto con lui>>.
Pensai alla chiamata e ricordai che Finn quel giorno aveva detto di essere a casa. E se fosse stato ucciso in quel momento?
<<Era la tua famiglia, come può non importarti?>>, la sua superbia era agghiacciante. Come poteva farmi certe domando dopo ciò che gli avevo raccontato.
Alzai lo sguardo verso il suo viso indisponente e scortese, <<Ho perso la mia famiglia dopo la morte dei miei genitori>>, sputai con tutto l'odio che avevo in corpo.
Lui sembrò non darci peso a differenza del commissario nulla facente che mi guardò incredulo.
Dovevo calmarmi, sentivo il giudizio di Josh e l'importanza di quell'interrogatorio sulle spalle. Dovevo resistere.
<<Come era il rapporto tra Andrew e i suoi genitori?>.
Quel nome mi diede il voltastomaco.
<<Normale>>, non volevo proprio parlare di lui.
<<Definisci normale>>, continuava a scrivere su un foglio bianco senza mai osservarmi, mi considerava appena e se non fosse stato per quelle domande sarei sembrata invisibile alla sua vista.
Dovevo definire il rapporto? Orribile e disgustoso.
Mi strinsi nelle braccia e cercai di essere più collaborativa.
<<Non erano persone affettuose, Andrew da quando ha iniziato il college non è più tornato a casa... neanche per le vacanze. Spesso sentivo Rachel lamentarsi del figlio, diceva che era un ingrato e che nessuna madre si meritava questo>>.
Mi faceva ridere considerare Rachel come una madre. Quando pensavo a quel ruolo immaginavo la mia o Lauren e Margot, perfino Sophie- la madre di Luke- ma non Rachel. Lei era solo un essere spregevole, non conosceva l'amore ma solo la possessione e l'egoismo.
<<Capisco>>, si grattò il mento, <<Riguardo tua zia, sapevi che prendeva abusivamente dei farmaci psichici?>>.
Abusivamente? Ma di che stava parlando?
<<Cosa?! No! Cioè, si! Ma non erano abusivi! Andava da uno psicoanalista. Stava migliorando, da quando era ritornata da Miami...>>
<<Qui non ci risulta alcun medico, la vittima veniva a contatto con le medicine tramite un fornitore che abbiamo recentemente arrestato>>, mi indicò una foto.
Era un uomo segnato da rughe profonde con pochi capelli bianchi ed una barba fin troppo lunga per la sua piccola faccia.
<<Lo conosci?>> .
Accennai un "No" con la testa, pensando ancora a ciò che mi aveva detto.
<<È impossibile. Stava migliorando. Ho pure conosciuto il suo terapista, quando tornavo da lavoro mi è capitato di trovarlo a casa nostra>>, guardai John ma sapevo già che non avrebbe potuto dire nulla, poteva intervenire solo nel caso in cui mi sarebbero state rivolte delle domande che avrebbero intaccato la mia persona.
<<Mi risulta che staccavi da lavoro alle 2 di notte. Mi stai dicendo che alle 2 passate, tornando dal bar, ti ritrovavi di fronte uno psichiatra?>>, sembrava quasi infastidito, come se lo stessi prendendo in giro. Come se stessi insultando la sua intelligenza.
Stavo dubitando seriamente che ci fosse qualcosa da insultare, era un imbecille presuntuoso!
<<Anche per me la situazione era strana ma Rachel mi aveva detto che era un modo per controllare i suoi sbalzi d'umore. Non veniva sempre a quell'ora, capitava che lo incrociassi durante il pomeriggio... in base ai turni di Rachel>>.
<<Tamara credo proprio che tua zia abbia detto una grossa bugia e che quel dottore fosse solo un amico con cui si sballava. I vicini non hanno mai notato nulla di strano, né uno sconosciuto pseudo dottore >>.
I vicini non avevano mai notato neanche le urla, i rumori ambigui e tutto ciò che volevano nascondere. Figuriamoci se avessero spiattellato chi usciva o entrava da quella casa, preferivano pensare alla propria vita. La zona in cui vivevo non era per niente raccomandabile e sicura, le azioni illecite risiedevano dentro ogni abitazione del mio quartiere.
Pensai all'uomo cosi professionale, non poteva aver mentito. Era impossibile. Non dava l'impressione di un drogato ma di uno che li curava.
<<Avrei certamente capito se a casa mia fosse entrato un tossico. Lei stava cambiando. Non ha più mostrato alcun tipo di violenza. Né fisica né verbale>>, tranne che nell'ultima telefonata pensai tra me e me.
<<Non metto in dubbio che gli psicofarmaci avessero dato ottimi risultati, possibilmente tua zia riscontrava dei grossi problemi. Era predisposta geneticamente, dalla parte di suo padre, a determinati problemi. Crediamo che avesse delle forme di bipolarismo e di depressione>>.
Provai in tutti i modi a convincerlo, uscii pure il biglietto da visita che mi aveva lasciato per dimostrargli che la mia informazione era vera ma non riuscii a fargli cambiare idea. Era inutile continuare, sembrava come se volesse ascoltare solo ciò che riteneva affine alla sua teoria.
<<Mi creda, per anni ho vissuto con lei e sono sicura che non si sarebbe mai potuta suicidare>>.
Dovevo almeno fargli capire questo punto, se avessero pensato il contrario allora quasi sicuramente il caso sarebbe stato concluso senza alcun colpevole ma non era cosi.
<<Le persone a volte fanno dei gesti inspiegabili ed il suicidio non potrà mai avere un movente valido>>.
Mi scappò una smorfia ironica, <<No aspetti... è davvero assurdo. Anche lei lo ha detto! Rachel aveva dei problemi! Che senso aveva prendere dei farmaci illegalmente nel momento in cui ne aveva bisogno veramente?>>
Pensai a tutte quelle volte che la vedevo entrare con una busta in mano, piena di farmaci. Mi sembravano troppi perfino per una come lei ma ero certa che non si era invischiata con cattiva gente. Venerava troppo la sua autoconservazione per rischiare di indebitarsi di nuovo e farsi ammazzare. Eppure avevo sempre dubitato di come riuscisse a pagarsi quella terapia con le relative medicine.
<<Non hai mai pensato che un disturbo del genere, una volta reso ufficiale e frequentando un analista, avrebbe portato automaticamente una revoca del suo ruolo come tua affidataria?>>.
Una scintilla percorse la mia mente annebbiata e stanca.
No che non ci avevo pensato, credevo bastasse che sorvolasse sul modo in cui mi trattava ma non avevo pensato al fatto che potesse essere ritenuta non idonea per i disturbi e l'assunzione di medicinali. Ma era cosi logico, il sistema per quanto fosse sbagliato appena fosse stato informato della sua terapia sarebbe intervenuto. Eppure questo non trasformava un omicidio in un suicidio.
Dovevo spostare l'attenzione su un altro aspetto, non mi importava di ciò che Rachel faceva. La fuori c'era un assassino a piede libero, questo importava.
<<Mi ascolti qui non si tratta solo di Rachel e sinceramente neanche mi importa di cosa facesse. Qui si tratta di qualcuno che ha ucciso due persone e si trova ancora in circolazione. Quella lettera acquisisce significato solo se scritta da qualcun altro che voleva far credere il contrario. Non mi avrebbe mai scritto quelle parole e non era neanche cosi tanto umana da scrivere un addio ad una persona, neanche se fosse stato suo figlio>>.
<<Abbiamo interrogato suo cugino e ci ha messo al corrente delle chiamate con sua madre. Ci ha confermato il fragile stato emotivo in quanto si sentiva abbandonata da suo marito. Stessa identica cosa ci hanno detto il giro di amicizie che sua zia frequentava. Era una persona instabile e il suo ultimo cambiamento celava un disagio che non riusciva a gestire>>.
Come poteva essere cosi sicuro delle sue supposizioni? Neanche la conosceva e soprattutto era ridicolo pensare che quella lettera fosse davvero frutto di Rachel.
<<Io vivevo in quella casa e per quanto lo volessi non potevo ignorarla. Lei non si è uccisa, tanto meno lo avrebbe fatto con una corda... e poi c'è la coincidenza di Finn... sono due omicidi e come tali sottintendono la presenza di un pazzo omicida>>, mi ero sporta in avanti e appoggiai con disperazione le mani sul tavolo.
<<Sei così convinta che sia stata la stessa persona ad uccidere i tuoi zii. Come mai?>>.
Diceva sul serio? Quale assurda coincidenza portava due assassini ad uccidere nella stessa casa? Non erano dei Boss della mafia o dei narcotrafficanti da accumulare cosi tanti nemici attorno a loro.
<<Credo sia stupido pensare il contrario, inoltre le ho già detto di Miami. Ho aiutato mia zia a saldare un debito con un certo Marcus. Potrebbero essere stati loro>>.
Omisi le informazioni che riguardavano Aron e tenni per me pure il coinvolgimento di Luke, lo avevo già trascinato abbastanza.
<<Di Miami lo sapevamo già, abbiamo già provveduto a parlare con i diretti interessati e siamo arrivati ad una conclusione che mi dispiace deluderti è totalmente opposta alla tua. Crediamo che Finn sia stato ridotto in quel modo da tua zia ma che la malattia e il senso di colpa le avevano fatto dimenticare l'episodio. Non è la prima volta che capita>>.
Spalancai gli occhi. Rachel che uccideva l'unica persona che riusciva a capirla? L'unica persona per cui provasse un sentimento il più vicino possibile all'amore. Erano degli stupidi.
<<Come potete arrivare ad una conclusione del genere dopo tutto quello che vi ho raccontato...>>
<< A quanto pare prima che suo zio se ne andasse da casa vostra, aveva avuto una lite con Rachel riguardo una presunta relazione extraconiugale che Finn aveva intrapreso con una sua collega. Ci sono tutti i presupposti per un omicidio passionale. Riguardo a te...In mano non ci stai dando altro che delle parole di un adolescente evidentemente traumatizzata>>.
La mia schiena si irrigidì immediatamente e i muscoli tremavano senza tregua per la rabbia che stavo provando, <<Di quali prove avete bisogno?! Sono sicura che se anche avessi delle prove concrete, come la lettera, o questo stupido biglietto da visita, non andrebbero bene. Perché? Vorrei capire con quale logica deducete chi è colpevole e chi no>>.
Non mi interessava se Rachel veniva accusata di un reato non commesso e non mi importava neanche onorare la morte di Finn, di loro due non mi importava più nulla. Ciò che mi importava era mettere sulla giusta strada le indagini perché volevo che tutto ciò finisse ma se il colpevole non fosse mai stato ritrovato allora ciò avrebbe significato solo una cosa: avrei dovuto avere sempre paura delle persone che venivano coinvolte nella mia vita!
Il dubbio che dietro ci fosse davvero Aron non se ne sarebbe mai andato, quella lettera...era una prova chiara!
Ma mi ritenevano una ragazzina priva di capacità di giudizio, se gli avessi raccontato dei miei sospetti mi avrebbero riso in faccia ottenendo così solo altre rogne.
<<Scusate ma credo si stia passando il limite. Le sue parole offrono degli elementi sufficienti per contestare le vostre deduzioni>>.
<<Presenteremo prima tutto all'avvocato del distretto e al giudice per capire come comportarci>>, disse il commissario che fino ad allora non aveva spiccicato parola.
<<Un'ultima cosa... Prima ha accennato a Miami e di un certo Marcus. Ha mai visto in casa degli uomini che non conosceva?>>.
Ci pensai su, certo che li vedevo anche se credevo fortemente che non c'entrassero nulla con i tipi di Miami, quella era gente davvero pericolosa e di certo non perdevano tempo a frequentare quella casa.
<<Si ma erano amici di Finn o di Rachel. Non li conoscevo e raramente rivedevo gli stessi visi ma d'altronde sono solo una ragazzina, non credo possiate davvero dare retta a ciò che dico...>>, alzai teatralmente le spalle, <<Sono troppo traumatizzata>>.
Si mise a ridere, <<Interessante come sembra essere indifferente alla morte dei suoi unici parenti>>.
Ricordai le parole di Eric :" Io non riesco ad essere indifferente alla morte".
Una fitta lancinante colpì il mio cuore ormai font troppo martoriato ma ben presto la rabbia divampò a tal punto da farmi esplodere.
Scattai in piedi e inavvertitamente buttai la sedia a terra! Non mi preoccupai del mio atteggiamento "poco composto", non mi preoccupai di Josh e neanche dei due idioti che avevo di fronte.
<<Dopo tutto ciò che le ho raccontato credeva che mi mettessi a piangere?! L'unica cosa che provo è sollievo nel non doverli rivedere mai più!>>.
Sentii Josh sussurrarmi minacciosamente di rimettermi a posto e di stare tranquilla. Da quel momento avrebbe parlato lui.
Come potevo stare zitta?
Vidi il commissario scambiarsi un sorrisetto con l'investigatore.
Stavano sorpassando ogni limite, qualunque tipo di approccio stessero utilizzando non sarebbe mai e poi mai rientrato nella normalità.
Non era giusto, non era affatto giusto.
Ascoltai John e solo dopo averlo guardato, iniziò a parlare.
<<La ragazza ha dovuto subire dei maltrattamenti che hanno inevitabilmente lasciato delle ferite aperte, nonostante tutto non ha mai sporto denuncia per paura di cosa le sarebbe accaduto. Ha sopportato violenze verbali e fisiche che ogni ragazzina della sua età avrebbe considerato distruttive. Non biasimatela se prova un certo tipo di sentimento per le uniche persone al mondo che potevano darle amore ma che invece l'hanno trattata come nessuno merita di essere trattato>>.
<<Noi capiamo perfettamente che la situazione è delicata ma le sue accuse non potranno mai essere ritenute valide dato che i diretti interessati non sono più tra noi>>.
Le mie accuse? Non erano accuse ma verità.
<<Sta per caso dicendo che mi sono inventata tutto?!>>.
<<No...>>, disse poco convinto, << Sto dicendo che la sua dichiarazione non potrà essere confermata totalmente>>.
Stava accadendo davvero?
Avevo passato anni a ingoiare il mio passato, a non condividerlo con nessuno se non con me stessa e adesso... adesso dovevo battermi per fare credere agli altri di aver vissuto in un inferno?
Che quelle persone erano orribili e che la loro morte, per quanto mi fosse indifferente, non fosse stata causata da uno di loro?
Sembrava un enorme barzelletta di cattivo gusto.
Era la verità, come si poteva non credere alla verità?
Non riuscii a rimanere in silenzio.
<<Siete così convinti del fatto che non sia attendibile. Cosa ci faccio qui? È ovvio che per voi il caso è già chiuso. Come potete trovare la verità se siete i primi a non volerla cercare?>>.
Josh mi afferrò un braccio, sapevo di star peggiorando la situazione ma come potevo rimanere in silenzio di fronte a certe assurdità? Finalmente mi ero decisa ad uscire allo scoperto e raccontare tutto.
Come potevo ingoiare quelle parole che mi divoravano da dentro?
<<Se ti poniamo delle domande non significa che non sappiamo le risposte. E' il nostro modo per confrontare i fatti e analizzarli. Stiamo solo facendo il nostro lavoro, abbiamo già visto casi di questo genere e so come andrà a finire ma continueremo a indagare. Non voglio insistere ma che tu lo voglia o meno mi sono già fatto una idea del caso tramite le prove che ho visto e che sto vedendo>>.
Come potevo fidarmi di una persona del genere? In poche parole mi stava dicendo che avrebbe indagato solo per dimostrarmi che aveva ragione.
Che giustizia era questa se non la sua?
Non era giusto, era così tutto schifosamente ingiusto.
<<Credo che sia il caso di finirla qui, si stanno toccando argomenti delicati con toni fin troppo accesi e inadeguati. Avete abbastanza elementi da presentare al giudice, aspetteremo l'esito per poter agire di conseguenza>>.
<<Si ne abbiamo abbastanza, domani presenteremo tutto e verrete informati. Grazie per il vostro contributo>>.
Contributo? Questo lo chiamavano contributo? Ma se non avevano, anzi aveva fatto altro che lanciare sentenze senza un minimo di confronto.
Sentii la mano di Josh aiutarmi a mettermi in piedi e ad accompagnarmi fuori.
Ero stanca e avrei voluto solo dormire.
Appena uscimmo fuori presi una boccata di aria fresca, l'aria là dentro sembrava provenire da un altro pianeta... era così pesante e nauseante.
<<Riguardo al biglietto da visita, gradirei che lo dessi a me. A quanto ho visto mi sa che dovremmo muoverci in modo indipendente>>.
Lo guardai con rispetto, lui mi credeva!
Gli diedi ciò che mi aveva chiesto, grata di liberarmi di quella possibile prova. Volevo uscire da quel casino il prima possibile.
<<Che senso ha avuto tutto questo? Ho raccontato cose della mia vita uscendone come una adolescente traumatizzata e inattendibile>>, pensai a voce alta.
<<Non dire così, farò tutto il necessario per venire a capo di questa storia.
Ho cercato di metterti in guardia, avevo già capito con chi ci saremmo dovuti confrontare... ma tu non devi preoccuparti più del dovuto. Ti sei comportata benissimo, adesso tocca a me. Ti prometto che non mollerò fino a quando non avrò la certezza che starai bene>>.
Lo guardai negli occhi, sembrava crederci così tanto. Io non credevo più a nulla, stavo dubitando pure di me stessa.
Mi asciugai con una mano la fronte imperlata di sudore, <<Josh ti prego, portami a casa>>.
<<Ne verremo a capo>>, mi baciò dolcemente sui capelli e si precipitò in macchina.
Una bugia.
La mia vita, il mio dolore sembrava essere per altri una enorme bugia.
Il peggio era che io dovevo lottare per difenderla e farla diventare verità.
Una verità che avrei voluto solo dimenticare.
Il tragitto in macchina sembrò essere interminabile, forse ero troppo esausta per sopportare quel viaggio.
Desideravo solo un letto e una intera giornata per dormire.
La mia mente passava da un pensiero all'altro e per la maggior parte del tempo era riempita da mille immagini di Eric.
Sentivo la necessità di mettere ordine nella mia vita, ero soffocata da tutto quel caos... il problema è che non sapevo come fare. Mi sentivo sopraffatta da tutti quegli eventi e da quelle emozioni. Sapevo che una dormita ed una lunga doccia mi avrebbe fatto sentire meglio ma ero consapevole che non avrebbe risolto il mio trambusto.
<<Come è andata?>>, Lauren era seduta in cucina e in mano aveva una ciotola con un impasto bianco.
Stava sicuramente cucinando qualche dolce, quando era nervosa si rintanava nello zucchero.
<<Diciamo che non poteva andare peggio. Scusate ma ho bisogno di andare in camera, sono stanca. Non chiamatemi per cena, non ho molta fame>>.
<<Tamara ne abbiamo già parlato e devi rimetterti in forze. Qualsiasi cosa capiti non c'entra nulla con la tua salute. Se vuoi stare da sola ti porterò la cena in stanza ma mi aspetto che tu la finisca. Hai capito?>>.
Neanche risposi a quella specie di richiamo, adesso non ero neanche libera di mangiare quando volevo? Ero già stata per anni obbligata a sottostare alle regole di Rachel e Finn e non avevo intenzione di continuare ad essere comandata a bacchetta.
Salii le scale di corsa e chiusi la porta facendo più rumore possibile.
Mi pentii subito del mio atteggiamento, loro non c'entravano nulla e solo che avevo così tanta rabbia da avere il bisogno di prendermela con qualcuno.
Mi stesi sul letto, non ero pronta a fronteggiare il mio disordine.
I punti interrogativi erano così tanti da farmi paura.
Presi il telefono che avevo lasciato sotto carica a casa, avevo ricevuto messaggi di condoglianze ma di Eric nessuna traccia.
Come aveva potuto dirmi quelle cose in quel momento?
Perché mi aveva fatto credere di essere l'unica per lui e poi abbandonarmi così?
Che senso aveva?
Pensai ai suoi abbracci e ai suoi baci. Ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo respiro così caldo da farmi sentire al sicuro.
Perché lo amavo?
Odiavo me stessa per essermi lasciata travolgere così tanto, cosa pensavo?
Che saremmo stati insieme per sempre?
Che stupida.
Sentii bussare alla porta e subito dopo entrò Courtney, <<Hey!>>.
<<Hey>>, risposi mortificata. Sapevo già il perché fosse li.
<<La mamma è preoccupata per te, a volte è insopportabile però vuole solo aiutare e...>>
<<Courtney lo so, mi sono comportata da stronza solo che... sono esausta ma allo stesso tempo mi sembra di avere cosi tante emozioni dentro di me che non riesco a trattenerle>>.
Si sedette sul letto, <<Direi che sia il minimo dopo tutto quello che stai passando>>, inclinò leggermente la testa e i riccioli biondi caddero dolcemente sul suo viso.
<<Mi chiedo solo se prima o poi finirà, voglio svegliarmi e vivere la giornata senza preoccuparmi di cosa lascerò dietro>>.
Si avvicinò a me e mi abbracciò, <<Lo sai che io ci sarò sempre, vero?>>.
<<Si>>, sospirai e contraccambiai quel rassicurante abbraccio.
Passammo una delle nostre solite serate, quelle con i film, che facevamo prima di tutto questo.
Forse sarebbe stato meglio non cambiare nulla, continuare a vivere in quella casa insieme a Finn e a Rachel.
Avrei aspettato i pochi giorni e mi sarei trasferita senza interrompere gli studi.
Mi sarei concentrata sullo studio e avrei guardato solo in avanti.
Magari se non avessi mai incontrato Eric allora non ci saremmo mai parlati nel suo primo giorno di scuola. Mi avrebbe ignorata e io non me ne sarei fatta neanche un problema.
Quella sera pensai ad una vita senza gli ultimi cambiamenti, senza spiacevoli verità che venivano a galla o continue domande sul mio passato.
La vita di prima, sebben più difficile, sembrava più sopportabile.
~•~
Lunedì mattina mi alzai dal letto con il solito mal di testa.
La notte, per via di un incubo o dei mille pensieri, non riuscivo più a prendere sonno e così le ore passavano tra mille girate nel letto.
Il giorno prima avevo chiamato Bay per chiederle una settimana di ferie, ovviamente lei aveva insistito e voleva darmi di più ma prima riprendevo in mano la mia vita e prima mi sarebbe sembrato di averne ancora il controllo.
Visto che adesso abitavo in quella casa avrei continuato ad andare a scuola con Courtney.
La macchina di Rachel era off limits perchè Josh e Lauren non volevano che stessi sola ma soprattutto che la utilizzassi.
Non ero abituata a quel tipo di regole, sapevo che lo facevano perchè erano preoccupati per me ma mi sentivo soffocare.
<<Sei pronta? Oggi sarai al centro dell'attenzione ma, come ogni pettegolezzo, verrai dimenticata tra due settimane. "La ragazza sola e sfortunata" non verrà più nominata>>.
<<Si certo, solo che hai dimenticato di aggiungere "l'ex ragazza di Eric, sola e sfortunata, reduce da violenze domestiche". Non credo che due settimane basteranno>>.
<<Quanto sei egocentrica... Ieri ho visto una foto di Jess e credimi, i suoi nuovi piercing sui capezzoli ti ruberanno la scena >>.
Guardai la mia amica e risi della sua espressione schifata, le fui grata.
Non mi spaventava il confronto con i 768 ragazzi del liceo, mi spaventava il confronto con Eric. Avevo paura di cosa potessi trovare di fronte o di cosa avrei provato rivedendolo.
Sapevo che ormai tutta la scuola era al corrente della mia situazione, i giornalisti locali avevano finalmente qualcosa su cui scrivere e fui solo felice che Josh avesse esplicitamente minacciato tutti coloro che avrebbero osato infastidirmi.
In realtà non provavo più niente, ero atrofizzata per i troppi sentimenti provati.
<<Hey, supereremo anche questa>>.
<<Lo spero>>, dissi scendendo dalla macchina e guardando l'enorme edificio che avevo di fronte.
Aspettai che Courtney chiudesse la jeep e mi incamminai verso l'entrata.
Da lontano, nel solito posto accanto all'aiuola, vidi Tiffany e Sam insieme agli altri.
Cercai subito Eric ma non era lì, mi feci scappare un sospiro rumoroso richiamando l'attenzione di Courtney.
Fu imbarazzante rivederli, mi sentivo tutto il tempo compassionata e odiavo quella sensazione. La campanella fu la mia salvezza e senza completare l'ennesimo "Sto bene", scappai in classe.
L'unico che mi stupii fu Luke, non mi fece nessuna domanda anzi più di una volta aveva tentato di cambiare discorso passando per quello superficiale della situazione.
Ero sicura che appena fossi andata via Sam avrebbe iniziato ad andarci pesante con le parole e a prendersela con lui, mi misi a ridere per quella scena.
In fondo mi volevano bene e anche io gliene volevo.
Mi sedetti al mio solito posto aspettando il professore.
Quella mattina avevo arte e sperai con tutto il mio cuore di non rivederlo, magari oggi sarebbe stato assente... di solito la mattina veniva insieme a Nathan e se non sbaglio questo pomeriggio avrebbero dovuto avere pure gli allenamenti e...
Tutte le mie speranze vennero infrante nel momento in cui vidi dei riccioli neri spuntare dalla porta.
Rimasi impietrita e appena riuscii a riprendere possesso del mio corpo, voltai velocemente la testa.
Perché era venuto?
Non poteva starsene a casa per oggi?
Perché mi aveva fatto credere di essere assente?
Strinsi forte i pugni ma appena sentii le unghie a contatto con la mia pelle, rilassai subito la mano.
Calmati!
Uno, Due, Tre, Quattro, Cinque, Sei, Sette, Otto, Nove, Dieci.
Non so per quante volte ripetei quei numeri, anche mentre il professore spiegava, cercavo in tutti i modi di non pensare a lui.
Mi sembrava perfino di riuscire a distinguere ogni suo respiro, ogni suo movimento o battito di ciglia.
Ero un caso perso.
Appena la lezione finii mi fiondai fuori, non feci caso ai mille occhi puntati addosso.
Odiavo essere al centro dell'attenzione ma momentaneamente avevo così tante cose a cui pensare che non mi importava di loro.
Le lezioni passarono lentamente, ogni tanto qualcuno si avvicinava a me e mi bloccava in qualche discorso di incoraggiamento.
Ma la gente a cosa pensava?
Come avrei dovuto reagire?
"Oh grazie mille, sono felice che una persona sconosciuta mi dedichi dieci minuti del suo tempo per compatirmi o dirmi quanto è dispiaciuta. Davvero, sei eccezionale".
Nell'ora di pranzo mi diressi verso la mensa cercando di pensare ad ogni possibile piano per non stare vicino ad Eric ma un messaggio di Courtney mi risollevò l'umore.
Mi stava aspettando nel parco con due immense pizze.
Quanto la amavo.
<<Le ragazze mi hanno chiesto se ti andava di uscire a fare compere e...>>
<<Courtney non mi va molto, preferisco studiare per gli esami>>, diedi un grosso morso ma me ne pentii subito. Eric adorava la pizza.
Ingoiai controvoglia la poltiglia di ricordi e cibo, quello stronzo mi aveva rovinato l'unico piacere che provavo dalla vita.
<<Va bene, allora seguirò il tuo esempio così nel frattempo mi darai una mano...>>
<<Smettila! Non sei obbligata a rimanere a casa se io non esco. È già tanto se ti rapisco per pranzo, non voglio fare l'amica guasta feste>>.
<<In realtà ti ho detto io di venire a pranzare qua quindi in teoria ti ho rapita...>>
<<Courtney... sai cosa intendo...>>
<<Okay! Va bene! Ma io faccio quello che mi pare! Sei libera di pensarla come vuoi ma tanto farò sempre di testa mia. Con cosa iniziamo oggi? Letteratura? Algebra? Chimica? Quei maledetti sali non li ho capiti>>.
Decisi di non continuare quella discussione perchè tanto tra le due lei era quella più testarda.
<< In realtà io sono piuttosto avanti con il programma ma ti aiuterò lo stesso>>.
Mi rivolse una espressione scioccata e disperata, << Ma come fai?! Ti cade il mondo addosso eppure sei sempre più avanti di me negli studi!>>.
<<È appunto questo il segreto, più studio e meno penso. Su dai andiamo, ci aspetta la nostra amata algebra>>, dissi prendendo i due cartoni di pizza e scaraventandoli dentro la pattumiera.
Avevo si e no mangiato metà fetta, dopo aver pensato ad Eric la fame mi era passata.
Sentii i passi di Courtney e con la coda dell'occhio notai la sua espressione preoccupata.
Di nuovo, ero riuscita di nuovo ad appesantire l'aria con una mia battuta idiota.
Ero una pessima amica.
Nelle restanti lezioni avevo il cervello in pappa per tutti i discorsi ipocriti di incoraggiamento. Alla fine dell'ultima ora mi accorsi di Daisy e delle sue continue occhiatacce.
Sperai con tutto il cuore che mentre uscivo dall'aula non mi venisse a rompere le scatole ma ovviamente non fu così e me la ritrovai di fronte, a masticare quella odiosa gomma come se non ci fosse un domani.
<<Posso parlarti? solo due secondi>>.
<<Non ho alcuna voglia di sentire la tua voce, infastidisci qualcun altro>>, cercai di superarla ma mi si parò nuovamente davanti.
<<Solo...solo per poco tempo>>, aveva smesso di masticare e per la prima volta la vidi in difficoltà, non so perché lo feci ma acconsentii.
Se avesse voluto dirmi qualcosa di brutto sarebbe stato meglio farlo adesso. Ormai avevo compreso il suo modo di fare e se non me la fossi scollata di dosso ora sarebbe stata una zecca per non so quanto tempo.
<<Hai un minuto!>>, guardai l'orologio appeso al muro e iniziai a contare i secondi.
Non parlò subito e aspettò che fossimo da soli in aula.
<<Ti rimangono 45 secondi!>>.
Fece un respiro e mi rivolse uno sguardo serio, <<Tu non mi piaci, non mi sei mai piaciuta!>>.
<<Sentimento reciproco, volevi dirmi questo? Già lo sapevo, ora posso andare?>>, risposi seccata.
<<No...ecco... Mi dispiace, hai passato cose orribili e io mi sono comportata da stronza anche se non te lo meritavi, non sempre>>.
Ah era così? Bastava risultare penosa per non averla più in giro a rompermi le balle?
Ridicola.
<<Hai finito?>>.
<<Ho saputo che ti sei lasciata con Eric... a dire la verità appena l'hanno detto sono stata felice ma poi ho pensato ai reali motivi e al fatto che lei era ritornata. È stato per Sarah, vero?>>.
Mi stava prendendo in giro?
Aveva creato tutta questa messinscena per informarsi su Eric?
Ma quanto poteva cadere in basso?
<<Vai a farti fottere!>>, dissi prendendo lo zaino che avevo poggiato sul banco.
<<No aspetta, non pensare che abbia un doppio scopo... io so di non avere alcuna chance con Eric e nonostante ci vada dietro da non so quanti anni preferisco vederlo con te che con quella stronza!>>.
Ricordai la foto, eppure lei sembrava essere vicina a Sarah. Insomma era l'unica a starle vicino mentre tutto sorridevano e scherzavano felicemente.
Cosa era? Una rivalità tra amiche? Sarah si era impossessata dell'infatuazione della sua migliore amica?
Tutto ciò mi faceva sprofondare nella rabbia.
Eric mi aveva lasciata, io non facevo più parte della sua vita!
<<Ascoltami Daisy, la mia relazione con Eric non è affar tuo e non mi importa dei tuoi sentimenti quindi fai ciò che vuoi ma lasciami stare>>.
<<Dimmi solo se è stato per lei, per favore>>.
<<Perché? Così potrai vendicarti e dirlo in giro?>>.
<<Sei scema? Ti ho appena detto che è una stronza! Credi che sia contenta di vederlo insieme a lei? Pensavo che se ne fosse andata all'inferno e invece no>>.
<<Daisy per favore, lasciami stare>>, sentivo gli occhi pizzicare e il groppo in gola si stava facendo sempre più grosso.
<<Dimmi solo se è per lei!>>.
Non mi importava se lo sapeva o meno, entrambe avevamo perso la partita il problema è che mi pesava ammetterlo.
Speravo tanto che ciò che era accaduto fosse solo un brutto sogno.
Ma non era così.
<<Si!>>, abbassai gli occhi mentre le lacrime cercavano di fuggire dal mio controllo.
Era stato per lei, per quelle foto e per quelle lettere.
Mi aveva lasciata perché preferiva stare con lei, perchè vedeva in lei Victoria e perchè evidentemente riusciva ad essere meno opprimente rispetto a me.
<<E cosa vuoi fare? Vuoi cederglielo così? Senza lottare? C'è sicuramente qualcosa sotto...Ho visto come ti guarda e neanche a quella Troia rivolgeva così tante attenzioni e...>>
<<Smettila!>>, iniziai a piangere di fronte a lei, vidi alcune persone girarsi verso di noi e spettegolare a bassa voce.
<<Tu che puoi, riprenditelo>>, disse per poi andarsene.
Di istinto diedi un pugno alla parete, altre persone si fermarono a guardarmi ma non mi importava. Eric era riuscito perfino a insegnarmi le sue cattive abitudini.
Mi toccai la mano indolenzita ma era nulla in confronto a ciò che sentivo dentro di me.
Odiavo ogni cosa,
Odiavo le bugie di Eric e di Rachel.
Odiavo me stessa per essere una persona debole da permettere a tutti di ferirmi.
<<Che cazzo guardate? Fatevi una vita! Andatevene!>>.
Sussultai appena sentii la sua voce.
Una tregua, volevo solo una tregua.
<<Tamara! Tutto bene?>>.
Mi alzai senza guardarlo, come poteva rivolgermi una domanda del genere?
Era proprio un deficiente.
<<Che hai fatto alla mano? Aspett...>>, mi afferrò il braccio costringendomi a rimanere con lui in quella stanza.
Ti prego vattene, per favore lasciami stare, ti prego non toccarmi.
Iniziai a pensare intensamente a quelle parole sperando che mi sentisse ma non si spostò di un millimetro.
<<Tamara...>>
<<Che vuoi?! Che domanda é?! Come credi che stia?! >>, gli urlai a pochi centimetri dal suo viso.
Lo vidi chiudere la porta dell'aula con la serratura senza lasciare la presa sul mio braccio.
Più di una volta lo aveva fatto, impedirmi di uscire quando volevo andarmene.
Perché lui poteva allontanarsi quando voleva e io invece dovevo sottostare ai suoi ordini?
Strattonai il braccio così forte da farmi male ma almeno riuscii a liberarmi da quella presa.
Il mio corpo voleva saltargli addosso e risentire ogni suo muscolo ma la mia testa mi elencava i milioni di motivi per cui non dovevo farlo, per cui non potevo più farlo.
<<Sono un bastardo, vero? Non riesco mai a trovare le parole giuste e sbaglio sempre. Faccio sempre così, apro bocca senza pensare a ciò che dico e subito dopo me ne pento>>.
Mi asciugai le lacrime, quante altre volte dovevo piangere davanti alle persone? Avrei imparato mai la lezione?
<<Ieri ... no... da quel pomeriggio in cui abbiamo litigato ho tentato mille volte di scriverti un messaggio o di chiamarti ma non ci sono mai riuscito. Non doveva andare così, avevo programmato di parlarti di questa faccenda già da tempo ma non in questo modo>>.
Io non so se si rendesse conto dell'enorme pugnale che aveva in mano e di quanto quelle parole non facevano altro che farlo penetrare dentro di me. Lentamente. Lasciandomi in un'agonia insopportabile.
Non aveva neanche un minimo di pietà, non vedeva quanto fossi penosamente distrutta?
<<Ho saputo dell'interrogatorio. Come stai?>>.
Lo guardai sconvolta, <<Che diritto hai di farmi certe domande?>>, la mia voce spezzata non nascose il mio tono accusatorio.
Sembrò non rendersi conto di quello che mi stava chiedendo. Mi aveva lasciata da sola, nel momento in cui io avevo più bisogno di lui e adesso pensava che con una semplice domanda sarebbe ritornato tutto al suo posto? Che gli avrei sorriso e magari ringraziato per poi raccontargli quanto la mia vita mi sembrasse una Telenovela da quattro soldi?
"Ha bisogno di me", "non posso abbandonarla".
Quelle parole martoriavano la mia testa e il mio cuore.
Diceva che non poteva abbandonarla e che lei aveva bisogno di lui, ma io in tutto questo che ruolo avevo?
Anche io avevo bisogno di lui pero a differenza sua poteva abbandonarmi?
Valevo cosi poco rispetto a lei da poter essere lasciata in qualsiasi momento?
Ignorai il suo silenzio ed esausta gli feci una delle domande che fluttuavano per giorni attorno a me.
<<Fammi capire una cosa... da quanto tempo pensavi di ritornare con lei?>>.
I suoi occhi azzurri si spalancarono, <<Cosa?! No! No!>>, si avvicinò bruscamente verso di me ed io di istinto indietreggiai.
Non doveva più toccarmi.
Con una espressione addolorata ritornò indietro, <<Non l'ho avvicinata per questo... volevo solo chiarire ma poi le cose si sono complicate... ho visto quanto stava male... io ho bisogno di tempo per risolvere certe cose>>.
No, evidentemente non si rendeva conto.
Respirai a fondo, <<É semplice Eric. Io Ti amo, tu?>>, lo guardai negli occhi cercando di lottare contro i battiti irregolari del mio cuore.
Non so dove trovai il coraggio e la forza per fargli quella domanda, evidentemente dovevo sbatterci più volte la testa fino a fracassarla prima di arrendermi.
I suoi occhi sembravano assumere una sfumatura più chiara e limpida.
<<Si! Si che ti amo! Però adesso non posso darti quello di cui tu hai bisogno. Mi dispiace farlo ora perché so quello che stai passando>>.
Non poteva darmi ciò di cui avevo bisogno. Di nuovo. Sembravamo ritornati al punto di partenza.
Io avevo bisogno solo di lui.
Era dispiaciuto? Mi amava?
Parole, erano solo parole.
<<Fermati qua! Non voglio ascoltare più nulla!>>.
<<Cosa significa questo?>>, mi chiese impaurito.
<<Niente... Vuoi il tuo spazio? Prenditelo pure!>>.
<<Così...così non mi piace. Non voglio che reagisci così!>>.
Risi alle sue parole, <<Scusa ma cosa aspetti che faccia?>>.
<<Che mi capisca!>>.
Ero sconcertata.
Come poteva pretendere una cosa del genere?
<<Non ci riesco! Non trovo un senso logico a ciò che mi hai detto ma d'altronde non mi hai mica detto tutto>>.
Avevo un'altra domanda nascosta che mi tormentava e straziava contemporaneamente, <<Ci sei andato a letto?>>, gli chiesi.
Me ne pentii subito perché non ero in grado di ricevere un "Si" come risposta ma dovevo sapere tutta la verità.
Rimase in silenzio.
<<Eric se sono, anche una briciola, importante per te... ti prego, dimmi la verità e abbi le palle di rispondermi!>>, fu impossibile trattenere la rabbia.
Lo vidi sedersi sul banco e mettersi le mani tra i capelli.
Era un si, ci era andato a letto.
Come aveva potuto farmi una cosa del genere? Dopo le cose che mi aveva detto, dopo Victoria.
Lo aveva fatto di nuovo e con la stessa persona.
<<Oh mio Dio!Non posso crederc...>>
Alzò lo sguardo disperato, <<No! Tamara cazzo, no! Non ci sono andato a letto! Mi sono fermato in tempo, ma...>>, i suoi occhi ritornarono ad essere due pozzi bui e e profondi, <<Ma l'ho baciata>>.
Un altro pezzo, aveva distrutto un altro pezzo di ciò che era rimasto di me.
Sentii le gambe cedere ma riuscii ad aggrapparmi al banco e a non dare cosi altro spettacolo.
L'aveva baciata?
Era stato lui a iniziare?
Cosa significava che si era fermato in tempo?
Che se non fosse stato impegnato con me ci avrebbe dato dentro?
<<Quando?>>, riuscii a chiedere solo questo.
Ma sapevo quando era successo, non c'era alcun bisogno di dirmelo.
<<Quella notte>>, era rassegnato, come se non potesse farci nulla... come se quel bacio fosse stato impossibile da evitare.
Il puzzle sembrava completarsi, <<È per questo che non hai risposto...>>
<<No! Non ho risposto perché il telefono era...>>
<<Si si in macchina, vero! Ci devo credere? Perché non ci sei andato a letto? Avrebbe avuto senso se le mie insistenti chiamate ti avessero interrotto...>>
Sta volta non si preoccupò di un mio rifiuto e si avvicinò a me fino a quando mi ritrovai abbastanza vicina da sentire il suo respiro sulla pelle, <<Non ci sono andato a letto perché Ti amo!>>.
<<Mi ami?>>, gli feci un eco disgustato.
Di nuovo, la rabbia che covavo dentro esplose come una bomba, << Mi. Ami?! E allora perché cazzo l'hai baciata?!>>, lo spinsi lontano da me, avevo bisogno di aria.
<<Non lo so... non la vedevo da troppo tempo e tra noi non è mai finita definitivamente, non c'è mai stato un chiarimento finale e per tutti questi anni la nostra storia è rimasta in sospeso e...>>
"La nostra storia".
<<Mi hai appena detto che non volevi ritornarci insieme ma...>>, ma cosa?
Continuai a guardarlo e la furia di prima sembrava essere diminuita. Quel dolore era tutto inutile.
<<Lascia stare, è inutile spiegarmi qualcosa che non capisci neanche tu>>.
<<Io voglio stare con te ma quando sto con lei capisco cosa le ho fatto e non posso voltare pagina, non posso fregarmene di nuovo. Non posso essere felice se non lo è anche lei! Non posso stare con te mentre penso a cosa le ho fatto! So già che mi odierai...>>
Lo odiavo?
Si, lo odiavo perché non mi permetteva di stare con lui.
Lo odiavo perché mi coinvolgeva troppo.
Lo odiavo perché ce l'aveva fatta, mi aveva reso una delle sue conquiste.
<<Si che ti odio, ma solo perché non riesco a cancellarti dalla mia maledetta vita!>>, urlai con sincerità.
<<Tamara per me non è stato facile prendere questa decisione e dirti queste cose>>.
Alzai lo sguardo e riconobbi il ragazzo di due anni fa, quello malinconico e distrutto. Pensai alla gravidanza e al suo senso di colpa.
In un secondo tutta la mia rabbia si dileguò.
Non riuscii a parlare, volevo abbracciarlo e consolarlo.
Volevo sapere cosa era successo e cosa stava provando in quel momento.
Ma rimasi immobile a fissarlo.
<<Potevi dirmi di Sarah, potevi dirmi che avevi bisogno di vederla e potevi perfino parlarmi dei tuoi pensieri>>.
<<Se ti avessi parlato di lei avrei dovuto coinvolgerti in ciò che mi diceva e non ti sarebbe andato bene>>.
<<E pensi che nascondermelo fosse la scelta migliore?... Mi sembra di impazzire! Tutti i momenti passati insieme mi sembrano... mi sembrano così irrilevanti>>.
<<Credimi! É scelta migliore! Per te e per me!>>, non capivo a quale scelta si riferisse dato che il giorno prima sembrava che avessimo terminato e adesso mi diceva che mi amava. Quello non era amore, o almeno non era un amore sano.
Mi aveva esplicitamente detto "Noi non ci facciamo bene" e adesso dopo avermi detto del bacio insisteva nel convincerci di aspettarlo. Domani cosa avrebbe fatto? Lo avrei trovato sposato? Si sarebbe trasferito? Mi avrebbe detto che in realtà non provava le stesse cose?
Era troppo inaffidabile.
<<Cosa facciamo?>>, mi chiese.
Facciamo?
<<Noi?...>>, dissi quasi ridendo, come se esistesse ancora un "Noi".
<<Dici che hai bisogno di spazio per capire... Non so proprio cosa tu debba capire ma il problema è che mi hai lasciata da un momento all'altro da sola con i miei sentimenti e non so proprio che farmene! Non fai altro che cambiare idea, sei troppo volubile! Avevo già capito certe cose ma tu...tu insistevi e continuavi a mentirmi...>>, pensai a ciò che mi aveva detto l'investigatore, che credevo troppo facilmente alle cose che mi dicevano.
<<L'hai baciata con le stesse labbra che poche ore dopo hanno baciato me e hanno detto che mi amavi. No! Eric... la domanda non è che facciamo visto che tu hai già deciso... la domanda è che cosa devo fare io!>>.
<<Non siete sullo stesso livello, tu sei diversa!>>.
Io ero diversa, lo sapevo già. Ero quella che dalla vita non poteva aspettarsi altro che merda, era quella che sempre dietro l'angolo veniva travolta da un problema.
Lo sapevo già.
<<Eric non sono mai stata brava con le cose a metà e non ci ho mi creduto veramente. Non ho la forza di aspettare che tu ti decida... decidere poi per cosa? Se ne vale la pena stare o no con me nonostante i problemi? Prendi una decisione ora! O stiamo insieme o non stiamo insieme!>>.
Dentro di me speravo che quella corazza cadesse facendomi così vedere il vero Eric. Volevo che mi mostrasse tutti i sentimenti che provava, quelli che nascondeva dietro la maschera. Eppure sapevo che se anche lui fosse ritornato indietro, se anche lui mi avesse dato delle motivazioni valide, io... io non avrei mai dimenticato come mi aveva fatto sentire in pochi secondi.
Ero abituata ad affrontare situazioni distruttive ma lui... mi aveva rasa al suolo.
Ma in fin dei conti non mi importava, lo avrei perdonato perché stare senza di lui era più insopportabile della ferita che mi aveva recato.
<<Mi dispiace! Odio me stesso per tutta questa situazione ma non riesco a darti una risposta adesso perché non posso farlo!>>.
Parlava di senso di colpa. Non si trattava solo di questo, lui provava qualcosa per lei.
Come potevo aspettare una persona che credeva di amare un'altra?
La nostra non era una relazione normale... con me niente era normale... come aveva potuto baciarla e il giorno dopo abbracciarmi?
Come diavolo faceva a stare con me mentre le sue mani e i suoi occhi sfioravano quelle lettere?
<<Ti sbagli, la risposta me l'hai appena data!>>.
<<Non puoi provare ad aspettare?>>.
<<Non fai altro che dire di aspettarti! Ma aspettarti per cosa? Non sei neanche sicuro che dopo vorrai stare con me>>.
<<Da cosa lo deduci?! Cosa ti ha fatto credere che io non vorrò stare con te?>>.
<<Eric mi stai prendendo per scema? Hai appena detto che ti devo aspettare per poi riparlare della nostra relazione e decidere cosa fare! Ma ti rendi conto dell'insensatezza del tuo discorso?>>.
<<Tamara io ne voglio riparlare per spiegarti tutto anche il motivo della mia scelta ma non ho mai dubitato di ciò che provo per te... Ne voglio riparlare perché magari dopo tutto quello che ti dirò tu cambierai opinione che hai su di me!>>.
Cosa altro c'era?
Perché non me lo diceva e basta?
<<Continuo a non capire>>.
<<Non fare quella faccia, come se per me non contassi nulla. Ti ho detto che per me é difficile, devi solo...>>
<<Non capisci vero? Dici che per te non é facile ma adesso me ne sbatto altamente di cosa provi! In questi giorni ho passato le pene dell'inferno! Sento di farcela a stento... Mi sembra quasi come se fossi sull'orlo di un precipizio e non posso proprio permettermi false speranze. Dici che mi ami ma io non ti credo! non ti credevo prima...figurati adesso che so che l'hai baciata>>.
<<Perché non mi ascolt...>>
<<No! Adesso fammi parlare! Io Ti amo! Ti amo così tanto che mi fa male il cuore ogni volta che ti vedo perché l'unica cosa che vorrei fare è stare vicino a te, ho bisogno di te ma tu non mi permetti di starti vicino. Non amerò mai nessuno così! Non so cosa ti stia passando per la testa, non so cosa stia succedendo tra te e Sarah e non so cosa significhi per te. So solo che preferisci stare con lei che con me. E' compassione? Amore? Rimorso? Non lo so. Ma io? Io cosa dovrei fare?!>>, ripresi fiato tra le lacrime, << Forse sono troppo problematica, forse sono troppo insicura ma non posso stare in agonia aspettando che tu ti senta pronto di spiegarmi ogni cosa perché conta ciò che stai facendo adesso! Potrai avere tutte le motivazioni del mondo ma non cambia il fatto che hai preferito lasciarmi nei miei problemi!>>.
<<Vuoi davvero questo?>>, disse guardandomi negli occhi.
Credeva davvero che volessi questo?
Non riuscivo neanche ad immaginare una giornata senza di lui e dubitavo fortemente di uscirne intatta da questa storia... ma cosa potevo fare?
<<No che non lo voglio ma tu non mi lasci altra scelta! Stai facendo tutto tu, ricordatelo!>>.
Stavolta presi lo zaino e aprii la porta.
Non c'era più nessuno e la cosa mi diede sollievo, volevo stare in pace con il mio dolore.
Ci avrei mai fatto l'abitudine?
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