Capitolo |2|
Arrivammo a scuola e mi sentii finalmente tranquilla. Di solito i ragazzi della mia età la reputavano come un'istituzione volta a torturarli.
Beh... non sanno cosa significava essere torturati.
<<Che materia devi seguire oggi?>>, mi chiese Courtney scendendo dalla sua lussuosa jeep.
Suo padre era un avvocato affermato e sua madre una professoressa di diritto presso l'Università della Florida, sicuramente i soldi non le mancavano.
<<Arte, letteratura inglese, storia contemporanea e matematica. Tu oggi hai pure gli allenamenti?>>.
Courtney era la capitana della squadra di calcio.
<<Si, mi aspetti?>>.
<<Va bene ma andrò in terrazza così mi porterò avanti con gli studi... La settimana prossima abbiamo il test di algebra>>, feci una smorfia che lei ricambiò immediatamente.
Diciamo che avevamo un odio comune verso questa maledetta materia.
Ci incamminammo verso il corridoio affollato e rumoroso dove ci aspettavano al solito posto Clare e Grace.
Non mi stavano particolarmente simpatiche, troppo pettegole per i miei gusti, ma Courtney ci teneva che io frequentassi altra gente... sperava che prima o poi mi integrassi ma dopo quattro anni si era abituata al mio modo di fare.
All'inizio non era stato per niente facile starle dietro, feste e comitive non facevano proprio per me e dovette passare un bel po' di tempo prima che se ne rendesse conto; inoltre non sentivo neanche la necessità di dovermi impegnare.
Successivamente mi accorsi di apprezzarla e di averne quasi bisogno, era una ventata di aria fresca e frizzante che rendeva la mia vita più leggera.
Prima della morte dei miei genitori non trovavo difficile fare amicizia ma dopo ho iniziato a starmene per i fatti miei.
Sapevo che le relazioni portavano complicazioni e io non potevo permettermele. Almeno fino al diploma, quando avrei iniziato a vivere. Courtney era l'unica eccezione.
Il mal di testa si ostinava a non cessare, avrei voluto avere qualche aspirina per porre rimedio a questa tortura.
<<Ciao ragazze>>, dissero in coro le due.
Un'altra caratteristica è che, non si sa come, riuscivano a dire le stesse cose nello stesso momento. Cosa carina le prime volte ma poi con il tempo tendeva a diventare un po' irritante.
Io e Courtney ci scambiammo uno sguardo divertito e le salutammo.
<<Abbiamo una novità...>>, continuarono le due richiamando l'attenzione della mia amica.
<<Che novità?!>>.
Ovviamente Courtney era la prima che si faceva trascinare da queste stupidaggini e di certo non mi potevo aspettare grandi e profonde conversazioni da quel paio di oche.
<<Eric Grant! È tornato per frequentare l'ultimo anno di liceo>>, Clare diede il cambio a Grace e continuò, <<È un anno indietro e non si sa cosa abbia combinato in questi due anni ma qualsiasi cosa sia gli ha fatto bene. Così sexy... >>.
<<Così affascinante...>>, concluse Grace.
Quel nome non mi era nuovo ma non ero in vena di sforzare a ricordare chi fosse questo Eric, volevo solo sedermi e prendere una benedetta aspirina... magari in infermeria avrei potuta trovarla.
<<Aspettate...>>, Courtney spalancò i suoi occhi verdi, <<E' il fratello di Nathan?>>.
Quel nome richiamò il mio interesse e subito compresi di chi parlassero.
All'unisono risposero: <<Esatto!>>.
Era il fratello maggiore di Nathan, un tipo che a quanto pare era rimasto nel cuore di molte studentesse nonostante la sua fama di stronzo e dongiovanni lo precedesse.
Ciò che ricordavo era che aveva frequentato il primo anno di liceo in questa scuola per poi andarsene chissà dove a fare chissà cosa.
I soldi ti rendevano onnipotente.
Insomma era il tipico "badboy" che ogni liceo era obbligato ad avere. Il cliché era inevitabile.
Vidi Courtney esuberante per la notizia appena appresa... non so a cosa stesse pensando ma il "chi" ormai non era un mistero.
Nathan.
Courtney aveva una cotta per quel tizio da non so quanto tempo, era carino ma dubitavo fortemente della sua eterosessualità dato che ancora non si era accorto di lei, e su... chi non si era accorto della sua perfezione a scuola?
Era stata eletta reginetta per due anni di fila e riceveva più advances lei che qualsiasi altro essere divino.
Quando mi trasferii in questa scuola fui sconvolta dall'insistenza di Courtney nel volermi parlare. Evidentemente le sembravo un caso disperato.
Era popolare, bella, con una personalità ben definita e intelligente. Cosa poteva mai volere da me?
Sentii altri schiamazzi attorno a noi, la notizia sembrava essere già diffusa in tutta la scuola. Feci una triste smorfia, forse quella stramba ero io.
Tutto questo mi stava annoiando, decisi di salutarle e avviarmi in infermeria prima che la campanella suonasse. Al pensiero di quel rumore assordante mi vennero i brividi.
Mi beccai un'occhiataccia da Courtney ma non mi andava di ascoltare le frottole che stavano per dire quelle due, inoltre la mia presenza non avrebbe per niente influito sulla discussione.
Entrai in aula dopo che Mrs. Lopez, la simpatica infermiera di turno, mi aveva dato quel benedetto antidolorifico e mi sedetti al mio solito posto vicino la finestra.
Come sempre ero in anticipo ma mi piaceva stare da sola in quella stanza, entravo in una piccola dimensione di pace. Posizionai tutto l'occorrente e continuai a dipingere la tela incompleta.
Oggi c'era laboratorio artistico e per quanto amassi la storia e l'evoluzione dell'arte... preferivo disegnare.
Non eccedevo particolarmente in questa materia ma non mi importava.
Amavo dipingere e amavo l'odore dei colori ad olio, mi ricordavano i tempi in cui mia madre mi faceva giocare con i suoi colori.
Una volta versai involontariamente del colore acrilico su un dipinto che doveva vendere.
Mi aspettavo una sgridata ma lei mi disse che grazie al mio intervento il quadro era risultato più bello di prima.
Alla fine i committenti non vollero più comprare quel quadro e quindi venne appeso nel salone.
Era orribile! Pure Drew se ne lamentava.
Risi per quel ricordo impresso nella mia mente ma così lontano, mentre iniziava a riaffiorarmi l'immancabile gusto amaro.
Quello che provavo non era solo malinconia ma anche rabbia e rancore, mi divorava dentro.
Sistemai in modo accurato i colori sulla tela cercando di scaricare quelle brutte vibrazioni.
Era l'ultimo anno e avevo già dato un'occhiata alle varie strade da intraprendere, l'arte era una possibilità allettante.
Sapevo già che le rette da pagare sarebbero state un ostacolo enorme, per questo avevo provveduto a fare varie domande in modo da ottenere dei benefici economici.
Mi ero impegnata assiduamente per raggiungere il mio rendimento ottimale. Il collage per me non sarebbe stato solo una tappa di crescita da raggiungere ma l'inizio del mio riscatto.
Dei passi interruppero i miei pensieri,
<<E' questa l'aula del professor McFell? Non capisco perché ce ne siano due>>.
Alzai lo sguardo colpita dall'accento sconosciuto e rimasi imbambolata.
Quei riccioli scuri che contrastavano due occhi così chiari da sembrare ghiaccio.
Era lui. Non avevo dubbi.
Immediatamente venni scaraventata di fronte ad informazioni che avevo seppellito.
Cosa ci faceva qua?
<<Ti ho fatto una domanda, potresti gentilmente rispondere?>>, fece con un tono irritato.
<<S..sì>>, inghiottii rumorosamente.
Ero stata presa così alla sprovvista che fu difficile riprendere controllo del mio comportamento.
Le sue labbra si incurvarono leggermente in alto, <<"Sì, mi puoi rispondere" o "Sì, è questa l'aula"?>>, chiese divertito.
Non c'erano dubbi, mi aveva scambiata per un idiota. Cercai di ricompormi.
<<Sì, è questa l'aula>>, abbassai la mano che era rimasta sospesa tra me e la tela,<<Oggi c'è laboratorio, l'altra aula è utilizzata per la parte teorica>>.
La campanella concluse la mia risposta e la stanza iniziò a riempirsi diventando fin troppo rumorosa.
Lui continuò ad osservarmi più attentamente, sembrava entrarmi dentro e ispezionare ogni angolo dei miei pensieri. Mi sentivo priva di difese... come quella sera.
Non poteva ricordarsi di me, impossibile.
Dopo pochi secondi, che mi sembrarono interminabili, si girò e si sedette ad un paio di banchi di fronte a me, sotto gli occhi di tutti che non smettevano di fissarlo.
Ad un tratto, oltre a ricordare, capii.
Quella notte mi aveva detto il suo nome ma non avrei mai pensato che fosse lo stesso ragazzo di cui tutta la scuola parlava.
Eric.
Sentivo il cuore battere velocemente e una forte delusione stava avvolgendo la magia che avevo custodito.
Come poteva essere lo stesso ragazzo?
L'Eric che mi aveva capita era così distante da quello che tutti sembravano conoscere.
Fu una fatica per me continuare a dipingere e, solo dopo aver sbagliato per la terza volta a mischiare i colori, mi arresi al flusso dei miei pensieri e al ricordo di quella notte:
Andrew, il suo alito pesante, le mani troppo grandi e rozze per un ragazzo della sua età, il suo peso sul mio corpo e il dolore di aver perso l'unico briciolo di orgoglio e di integrità che mi era rimasto. Quella notte scappai di casa, non volevo tornare nella mia stanza perché il disgusto era troppo grande.
Uscìi e iniziai a camminare non so per quanto tempo o dove ma non mi importava... desideravo solo andare via, via da quel posto, via dai ricordi che volevano riaffiorare con prepotenza.
Non mi accorsi di piangere fino a quando la mia visuale annebbiata incontrò due occhi luminosi che mi riportarono alla realtà.
Un ragazzo appoggiato al muro di fronte mi osservava.
Ciò che mi fece fermare non fu la sua bellezza o la sorpresa di vedere qualcun altro sotto la pioggia... ma fu il suo sguardo.
Vidi nei suoi occhi la stessa frustrazione che ogni volta incontravo nel mio riflesso. Una frustrazione tormentata e dolorosa che a lui donava a differenza mia... se avessi mai dovuto immaginare un angelo dannato... sarebbe stato cosi. Anche lui ricambiò lo stesso sguardo intenso e solo dopo alcuni secondi, incapace di sostenere quella energia, abbassai gli occhi sulla sua sigaretta che non so come riusciva ancora a fumare sotto il cielo bagnato.
Lui lo notò.
<<Ne vuoi una?>>, mi chiese disinteressato.
Aveva una voce così calda che creava un assurdo contrasto con i suoi occhi glaciali.
<<N..non fumo>>, buttai fuori, come se stessi confessando un segreto. La mia voce, a differenza, era rauca e spezzata...ancora provata da ciò che era appena successo.
Fece una smorfia, <<Peggio per te, sembra che tu ne abbia proprio bisogno>>.
Non sapevo cosa rispondergli e non avevo proprio voglia di esporre la mia teoria di come il fumo aggravava la salute.
Potevo benissimo andarmene via, scappare e provare a rimettere in sesto la mia integrità ma qualcosa mi costrinse a rimanere con lui. Mi sentivo diffidente con il mondo ma lui mi sembrava qualcosa che andava oltre alla realtà...simile ad un sogno.
Decisi così di sedermi sul marciapiede a pochi metri di distanza da quel ragazzo, la camminata mi aveva sfinito e i piedi zuppi volevano un attimo di riposo, insieme al mio cuore ormai infettato.
Sentivo il suo sguardo su di me e tutto ciò mi infastidiva ma desideravo ancora ascoltare la sua voce. Ero in compagnia di una persona che stava scappando da qualcosa, perché sennò starsene fuori sotto la pioggia a contemplare il vuoto?
<<La tua paura più grande... qual è?>>, gli chiesi, non so che tipo di reazione avrei ottenuto ma volevo saperlo. Volevo conoscere per una volta cosa tormentasse l'altra gente. Volevo sapere se al mondo esistesse gente che soffriva quasi quanto me.
Ci pensò a lungo, sembrava aver preso sul serio quella domanda.
<<Di sbagliare>>, il suono afono della voce mi colpì più della stessa risposta, <<La tua?>>.
Mi voltai verso di lui, nonostante quella domanda gliela avessi posta io non avevo la minima idea di come rispondere e dovetti cercare la verità dentro di me.
Dopo alcuni minuti di silenzio parlai, <<Di sentirmi sempre indifesa, di non riuscire a difendermi>>.
Se ne fossi stata capace non mi sarei ritrovata qui, a camminare sotto la pioggia alla ricerca di una fuga.
<<Beh, Puoi sempre imparare a difenderti>>.
Lo disse come se fosse la cosa più logica di questo mondo, come se avesse trovato la soluzione di tutta la mia vita.
In quel momento sentii come se stesse sminuendo il mio dolore ma non sapeva cosa significava vivere e combattere con i demoni, nessuno lo sapeva.
<<E tu puoi sempre evitare di sbagliare>>, contraccambiai stizzita.
Notai una scintilla di sarcasmo nei suoi occhi ma fu così veloce che ritrovai di nuovo quel vuoto gravitazionale.
<<Touchè>>, rispose.
Rimanemmo in silenzio un altro po', la pioggia si era fermata e l'aria umida sembrava far stagnare l'acqua rimasta senza darle la possibilità di asciugarsi.
<<Non hai intenzione di andartene a casa>>, riaccese un'altra sigaretta.
Frenai l'impulso di dargli più informazioni di quelle che ero abituata a raccontare anche se già sembrava aver capito tutto, non era una domanda ma una affermazione.
No che non volevo tornarci ma sapevo già di non avevo altre alternative, ero in trappola.
<<Sì, prima o poi>>, ripensai di nuovo ad Andrew e dei tremori si appropriarono del mio corpo indolenzito. Sapevo riconoscere un attacco di panico perciò mi concentrai su me stessa per evitare di esserne sopraffatta.
Sentii dei passi avvicinarsi e ancor prima di riuscire a voltarmi verso quel suono, me lo ritrovai inginocchiato, di fronte a me.
Con una mano sfiorò una ciocca dei miei capelli, ero ipnotizzata da quel colore argenteo ma appena percepii il suo tocco mi ritrassi velocemente.
Lui sembrò non esserne minimamente imbarazzato o mortificato per la mia reazione, ripetette il gesto in modo automatico.
Era strano... come se in realtà lui non fosse li con me, lo sguardo triste si ostinava a trapassarmi l'anima per andare altrove... come se fossi solo una via transitoria.
<<Dovresti andare, non è sicuro stare qui. Da qualsiasi cosa tu sia scappata sarà meglio ritornarci. E' più sicuro affrontare qualcosa che si conosce invece che scappare incontro ad altri rischi sconosciuti>>.
Rimasi sconvolta da ciò che disse, poteva avere la mia età ma nessun mio coetaneo era capace di dire certe cose; eppure nelle sue parole non ci trovavo molto senso dato che qualsiasi altra cosa mi sarebbe potuta accadere non mi avrebbe mai portata più in basso di oggi. Stavo annegando nella disperazione e non riuscivo più a distinguere la superficie.
<<Parli come se sapessi...>>.
Non ero arrabbiata e neanche infastidita, ero troppo legata ai sentimenti per quella casa da essere coinvolta da altre emozioni.
<<Ti sei persa, proprio come me. Non è abbastanza?>>, si alzò lentamente e quel distacco mi turbò più del dovuto.
Mi ero persa? Forse... ma già da molto tempo e io non avevo fatto nulla per evitarlo.
L'ansia del pericolo tornò a trovarmi: E se Rachel fosse già arrivata?
Dovevo tornare indietro, non sapevo quanto tempo fosse trascorso ma era abbastanza da farmi sentire il campanello d'allarme.
Mi alzai di controvoglia all'idea di dover affrontare anche lei. Per quella sera ne avevo abbastanza. Una parte di me stava iniziando ad essere intorpidita da tutto quello che mi sarebbe accaduto, come se mi stessi lentamente annullando nella rassegnazione... e il panico mi assalì.
<<Penso di aver cambiato la mia paura>>, dissi in un sospiro tra me e me, <<Ho paura... anzi il terrore di azzerarmi. Di perdere l'istinto di lottare>>, spostai il mio sguardo verso il suo incuriosito, <<E se mi abituassi a tutto questo? Se diventassi indifferente alla mia vita?>>.
Mi guardò tristemente come se avesse capito perfettamente il significato delle mie parole. Era possibile?
<<Il solo fatto di avere questa paura ti dovrebbe far capire che sei fin troppo consapevole della tua vita da rimanerne indifferente>>.
Rimasi in silenzio e riflettei su quelle parole, era la prima volta che mi permettevo di abbandonarmi allo sconforto davanti a qualcuno... In realtà era la prima persona a cui aprivo il mio dolore personale.
Ne ero consapevole quindi? E allora perché mi sentivo morire ogni volta che mi facevano del male? Perché invece di riuscire a non dare peso ai loro gesti gli davo la possibilità di sgretolarmi?
Alzai gli occhi e arrivai alla conclusione, stavo imparando a vedermi e a trattarmi come facevano loro. La mia percezione era macchiata dalla loro marcia influenza. Il senso di colpa per essere viva non poteva giustificare il loro atteggiamento.
<<Grazie>>, dissi sincera scatenando il suo stupore.
Sembrava cosi impassibile che provai una certa soddisfazione nell'essere riuscita a coglierlo di sorpresa. Non capivo come ma quel ragazzo era riuscito a farmi riottenere lucidità, dovevo cambiare. Non avrei mai smesso di rimpiangere la morte dei miei genitori, non avrei mai smesso di odiarmi per essere ancora in vita ma non potevo farmi trascinare dalla loro malignità.
Ero forte e se non lo fossi stata abbastanza mi sarei sforzata di esserlo.
<<Riguardo alla tua paura. E' impossibile non sbagliare ma la cosa che conta è come ti comporti dopo. È quello a renderti degno di essere perdonato>>, continuai a guardarlo e feci una smorfia, <<Errare è umano, perseverare negli errori non lo è>>.
Un'altra scintilla intensa nei suoi occhi magnetici mi fece capire che avevo scelto le parole adatte.
<<Bella frase... proverò a ricordarmela>>, ricambiò la mia smorfia e fui felice nel cogliere la sua voce ironica.
Ci scambiammo uno strano sguardo prima che lui si voltasse lievemente dietro di sé.
<<E' stato...>>, sembrò cercare la parola adatta, <<Strano>>, disse poi sorridendo.
Sì... strano era la parola giusta.
<<Tu dici? In fondo siamo due sconosciuti sotto la pioggia che parlano di...paure>>.
<<Sono Eric>>, rispose secco dandomi le spalle.
Le mie labbra si mossero in automatico, <<Tamara>>.
<<Beh Tamara, direi che adesso non siamo più due sconosciuti>>.
Se ne andò così.
Da quel giorno qualcosa scattò in me, avevo paura di rimanere intrappolata in quel mondo dominato da incubi e morte. Volevo cambiare, avrei convissuto con il dolore della perdita ma non potevo permettere a loro di farmi del male, dovevo vivere quella vita che avevo strappato ai miei genitori. Lo dovevo fare per loro perché glielo dovevo.
La campanella suonò mentre io ero assorta, come sempre, nei miei pensieri.
Mi girai per cercare i suoi occhi ma già se n'era andato.
No, non si era ricordato di me.
Due sconosciuti, ecco cosa eravamo... con la sola differenza che lui aveva trovato la sua strada mentre io ancora ero bloccata nell'oscurità.
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