Ch. 7: Quando essere secondo fa male

È stato molto tempo fa, e ora
non so più nulla di lei
che una volta era tutto.
Ma tutto passa
(Bertolt Brecht)

Sono passate da un pezzo le nove.
Le due bistecche, oramai fredde, attendono ancora nei piatti; fuori ha iniziato a scendere una pioggia leggera e di Liam ancora nessuna traccia.

Fisso l'anta del frigo. È ricoperta di calamite e fotografie. Ognuna di esse racconta di istanti felici e spensierati: le serate con gli amici, i viaggi, i successi sportivi. Un senso di fastidio misto ad invidia affiora crudele tra i miei pensieri, nel momento in cui mi rendo conto che non so nulla di come se la sia passata mio fratello da quando me ne sono andato.

Lo sguardo si focalizza su uno scatto in particolare e lo stomaco torna a stringersi. Ha un braccio sulle spalle di Alexis. La tira a sé, stampandole un grande bacio sulla guancia e lei ride, col viso sporco di gelato. I loro occhi brillano, sono felici. Una felicità di cui io non ho fatto parte, troppo impegnato a vivere il mio inferno, lontano da tutti quelli che amavo.

Finalmente sento la porta aprirsi e per una frazione di secondo il cuore accelera. Tento di mantenere la calma, sforzandomi di ricordare il tono tranquillo di Lex mentre mi assicurava che la questione con la polizia non aveva nulla a che fare con me.

Gli vado incontro circospetto e, quando lo vedo appendere il pesante giubbotto da motociclista, prendo la parola: - Che diavolo hai fatto? A scuola si vocifera che tu sia coinvolto in un giro di droga! -

Vedendo che non si volta proseguo, tentando di stemperare: - Oddio, si dice anche che diventerò presto padre, quindi, immagino che pure questa sia una puttanata! -
In risposta, mi osserva, con cipiglio divertito.
- Diventerò zio?! - Sghignazza, ma l'espressione del viso non lo asseconda.

Mi scompiglia i capelli e, superandomi, raggiunge la cucina.
- Sono distrutto Lucas. Sono in piedi da trentasei ore ed ho una fame che non ci vedo! - Dice, spalancando il frigo ed estraendo due Bud.
Afferro quella che mi porge e attendo, osservandolo inforcare le patate.
Restiamo in un silenzio tombale per qualche minuto.

- Ricordi Niel? Quello che lavora all'autofficina? È finito nei cazzi per alcune questioni di droga. Doveva fare una consegna a dei pezzi grossi ma è stata sequestrata e qualcuno deve aver fatto il suo nome per patteggiare uno sconto di pena.
Ieri notte la polizia è venuta a chiedermi di andare in commissariato per rispondere ad alcune domande.
Su di me non hanno un cazzo ma lui è nella merda fino al collo. - Racconta, tutto d'un fiato, senza mai distogliere lo sguardo dalla forchetta che gioca col cibo.

- Tra qualche giorno dovrò incontrare dei tizi e chiudere la cosa al posto suo. Starò via per un po'. - Continua, con una freddezza che mi fa rabbrividire.
Resto fermo, metabolizzando quanto ho appena sentito: mio fratello, il quarterback più amato della storia di questa città, lo studente che ha ottenuto più borse di studio, vuole trafficare droga. È impazzito?!
- Ma sei uscito di testa? Che cazzate stai dicendo? Devi fare una consegna al posto suo?! Starai via qualche giorno?! Ma ti senti? Ti sei bevuto il cervello?! - Mi alzo di scatto, battendo le mani sulla superficie scura della cucina.

- Come pensi abbia tirato avanti, dopo che ve ne siete andati? La casa, le spese, il cibo, la scuola... Le borse di studio per il football non bastavano e Niel è stato l'unico a darmi una mano. Mi ha preso a lavorare con lui, mi ha insegnato il mestiere, è stato un fratello per me! - Ribatte alterato.

- Certo, ti ha insegnato a spacciare droga! Mentre il tuo vero fratello, era a fare in culo chissà dove! - Il mio tono acido si mischia al rancore che provo da tempo.

- Che ne vuoi sapere, ragazzino del cazzo! Mentre io mi rimboccavo le maniche e mi mantenevo da solo, tu avevi tutto pronto e pagato! Dove non bastavano i soldi di mamma arrivavano quelli dei nonni! - Urla, avvicinandosi e lasciandomi spiazzato.

Mai, prima d'ora, ho visto Liam così incazzato.
Respiro e mi costringo a mantenere la calma, respingendo questa sensazione dolorosa che mi fa bruciare gli occhi dal nervoso.

- Non sai un cazzo nemmeno tu, di me, Liam, quindi evitami la storiella della vita di stenti per giustificare il fatto che mi hai abbandonato! -

- Porca puttana, Lucas! Avevo diciotto anni, era tanto se riuscivo a badare a me stesso! So che stare con mamma sarà stato una merda, ricordo com'era!- Sospira.

- Ma, almeno, per te è stato facile! Inoltre, appena me l'hai chiesto ti ho riaccolto qui, felice di farlo! - Conclude, fiero di se stesso, e io stringo il pugno, nell'istante in cui una voglia immensa di colpirlo si impossessa di me.

- Sono passati cinque anni, cazzo! Ho dovuto chiedertelo io! Non sei mai venuto a prendermi come avevi promesso. Mi hai scaricato e hai pensato solo a te! - Gli vado sotto.

Non vacilla, nemmeno per un secondo - Pensavo fossi felice lì, che non volessi più lasciare gli amici o qualche troia che magari ti scopavi! - Mi fissa serio, lanciandomi un avvertimento, e mi spinge per riacquisire una distanza sopportabile.

- Pensavi... appunto! È che, di me, non te ne fregava un cazzo! - Sbraito, rifacendomi avanti con la consapevolezza che, in uno scontro, le prenderei clamorosamente.

Mi afferra per il collo della maglietta e mi ritrovo ad alzarmi sulle punte, per assecondare quella trazione che sta per lacerare la stoffa.
È livido di rabbia. Probabilmente ho colto nel segno e, si sa, la verità non piace a nessuno.

Ci ritroviamo faccia a faccia. La differenza di altezza fra noi fa sì che io debba sollevare leggermente il mento, per sostenere il contatto con i suoi occhi che, da verdi, si sono fatti vitrei.

Il braccio gli trema nel tentativo di controllarsi. Poi l'attenzione gli cade sulla mia pelle, lasciata scoperta dalla porzione di tessuto tirato allo stremo.
- Che cazzo hai fatto?! - Prorompe, vedendo il segno che dalla clavicola mi segue la spalla, fino a raggiungere il braccio. Il taglio, profondo e frastagliato, si è rimarginato ma è ancora violaceo e ben visibile.

Il suo viso si dipinge di stupore e, lentamente, torno a posare i talloni al terreno, lasciandolo al contempo interdetto e concentrato sulla ferita.
Con uno strattone mi sottraggo alla sua presa e mi sistemo la maglia, ormai slabbrata.

- Non sono cazzi tuoi! Non ti è fregato niente fino a ora, continua così! - Sputo con astio, deciso a farmi colpire.

- Piantala di fare il ragazzino Lucas... dimmi c~ -
Un bussare insistente attira la nostra attenzione.

Il suo sguardo scorre dalla porta a me, poi di nuovo alla porta.
- Ne riparliamo, il discorso non si chiude qui! - Decide unilateralmente di mettere fine al nostro litigio.

Raggiunge la porta e la spalanca, mostrando Alexis fradicia sul patio.
Che diamine le è successo?

Trema, ora al riparo sotto la piccola tettoia, e io resto inerme, sospeso tra la voglia di correre da lei e l'immobilità dei miei piedi, cementati alle assi di questo pavimento.

- Di nuovo? - Le domanda Liam, in una loro complicità che io non posso comprendere e alla quale non posso arrivare.

La tira a sé, facendola sbattere contro il suo petto, e lei sparisce tra le sue braccia.
Dopo un'istante, che mi sembra essere durato troppo a lungo, i loro corpi finalmente si staccano.

Mio fratello si toglie il golf, lo fa scorrere sulla testa di Lex e, prendendola per mano, la conduce verso il piano superiore.

- Vattene a letto, Lucas! - Mi liquida, infine, come se avessi ancora dodici anni.

Ed il mio cuore perde un battito, nell'esatto momento in cui sento la sua porta chiudersi alle loro spalle. E, per la prima volta, soffro nel non essere la prima scelta di qualcuno; nel vedere, quella che era la mia migliore amica, cercare conforto in un altro.

Nel sapere Alexis nel letto di mio fratello.

Maggio, terza media

Piangeva... Piangeva da ore, e non accennava a voler smettere. Avevo provato con la cioccolata, con qualche sketch comico e con il solletico, ma nulla sembrava riuscisse a calmarla.

Alexis era triste ed io mi sentivo totalmente inutile.
Avevo solo tredici anni, cosa potevo saperne io di come si consola una ragazza?

Sicuramente Liam avrebbe saputo cosa dire per farla sentire immediatamente meglio, ma io non ero lui, e Lex era venuta da me; voleva fossi io a starle vicino. Ma come, se non sapevo nemmeno cosa la facesse star male.
Dopo quasi due ore, era sfinita. Gli occhi viola, il respiro a singhiozzi, e ancora non ero riuscito a farle dire una parola.
Ero disperato.

Mi alzai di scatto con un ringhio di frustrazione, tentando di afferrarmi i capelli troppo corti. Stavo per mettermi a piangere anch'io, ma non volevo, non potevo... dovevo aiutare lei!

Feci due giri della stanza, come un leone in una gabbia troppo stretta; poi scattai nella sua direzione, senza mai incrociare il suo sguardo, così da non mostrarle i miei occhi, diventati ormai rossi come i suoi.

Mi posizionali alle sue spalle, sedendomi sul pavimento, avvolgendola con le braccia e lasciandola seduta tra le mie ginocchia aperte.
Quella fu la prima volta in cui mi resi conto di quanto io fossi cresciuto rispetto a lei; di quanto, pur essendo entrambi ancora dei ragazzini, Alexis risultasse minuta tra le mie braccia.

La strinsi, quasi a volerla soffocare. La strinsi tanto da farla diventare parte di me e, in quell'istante, lei mi penetrò nell'anima.

Dopo un ultimo singhiozzo trattenuto, si rannicchiò fino a sparire contro di me ed intrecciò le dita della sua mano alla mie; voltò la testa, soffiandomi un "Grazie" appena percettibile sulle labbra.
Oramai da mesi, l'affetto sconfinato che provavo nei suoi confronti si era tramutato in un'attrazione dolorosa.

La desideravo ogni istante, ogni momento, ogni attimo.
Tutte le volte che mi sorrideva, io morivo su quelle labbra.
Tutte le volte che litigavamo per un nulla, io mi eccitavo.
Tutte le volte che mi sfiorava con quella naturalezza, io la odiavo.
E averla così vicina, così indifesa contro il mio corpo, mi aveva trasformato in brace che inutilmente tentavo di spegnere.

Mi concentrai sul momento difficile che stava passando e che richiedeva l'appoggio del suo migliore amico, rilasciando ogni desiderio mi avesse attraversato la mente.
Con la manica del braccio libero, si asciugò il naso, ed io mi risparmiai di esternare ad alta voce il verso di disgusto che mi passò per la testa.

- Oggi mi hanno presa in giro. Odio la festa della mamma; la odio ogni anno sempre di più!!! Non è colpa mia se mamma e papà sono morti! Li odio, Lucas! Non li voglio più vedere! - Disse, stringendo con ancora più forza la mia mano.

- Non importa cosa dicono! Sono solo dei cretini! Tu potrai non avere una mamma o un papà, ma, anche se non è granché come consolazione, hai me! Io ci sarò sempre Alexis! - Le promisi, con tutta la sincerità di cui disponevo e, allo stesso tempo, con tutta la falsità di chi, in quella promessa, non metteva nulla di disinteressato. Era inutile negarlo. Io ci sarei sempre stato, perché oramai la volevo.

Quello stesso giorno, feci una promessa a me stesso: Lei sarebbe sempre venuta prima di tutto il resto.

Il giorno dopo, tornai a casa con un occhio nero e la maglia sporca del sangue che mi era uscito dal naso. Non ero certo bravo a fare a botte, ma almeno un pugno giurai di averlo messo a segno.

Forse fu anche quel fatto, la convocazione a scuola del preside per rissa, a peggiorare la situazione, già precaria, che regnava a casa dopo che più di un anno prima papà se ne era andato.

A nulla servirono le spiegazioni sulle provocazioni del gruppetto di idioti nei confronti di Lex per salvarmi dal mese di punizione. Ma io, quella punizione, non la terminai mai!

Due settimane dopo mi svegliai a Portland.

Spazio Autore

Un altro ch. è terminato!
Vorrei davvero sapere cosa ne pensate❤️
Sembra che tra Liam e Alexis le cose siano serie! Povero Lucas🥲
Cosa può essere successo a lei per presentarsi a casa Morris in quello stato?
Ci vediamo al prossimo capitolo: Un "Duro" risveglio. Ci sarà da ridere!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top