Wednesday
"Ma di cosa stai parlando!?" chiese Delilah mentre infilava nuovamente il suo camice verde. Harry si sollevò sulle braccia e con un balzo scese dal letto, aprendo la porta della stanza. La ragazza gli bloccò il gesto, appoggiandogli una mano sul bicipite che in quei giorni Harry aveva iniziato a far lavorare parecchio.
"Devo prima assicurarmi che non ci sia nessun-"
"E' passato un giorno, ho il diritto di stare con lei." Harry prese la mano della ragazza, scostandosela di dosso e accompagnandola fino al fianco, dopodiché spinse la porta verso l'esterno, scostandola con una spallata abbastanza forte. La porta di legno si spalancò di colpo, ed Harry si diresse a passo rapido verso Tamara che aveva ancora gli occhi chiusi, una benda sul lato sinistro del labbro e un livido ad occupare il suo mento. Harry si risedette sulla sedia del giorno prima, afferrandole delicatamente la mano, accarezzandone il dorso che era stato liberato dal tubicino della flebo. Delilah, scuotendo la testa, si mise dall'altra parte del letto, sostituendo la flebo, rimpiazzandola con una nuova. Tamara fece tremolare le palpebre, e aprì i suoi occhi scuri, con il sole che entrava piano nella stanza, illuminandola dolcemente. La ragazza girò piano la testa verso Harry, sollevando l'angolo delle labbra. Fece una leggera smorfia, ed Harry le accarezzò una guancia delicatamente, come se avesse potuto romperla solo sfiorandola.
"Sei tu" disse lei in un sussurro, mentre Delilah sorrideva con un angolo della bocca, picchiettando l'indice sul contenitore di vetro. Scrisse qualcosa su un foglio appoggiato sul tavolino accanto al letto ed infilò le mani nelle tasche del camice.
"Buongiorno, signorina Porston, come si sente?"
Tamara sembrò essersi accorta solo in quel momento della presenza dell'infermiera, avendo la forza di sollevare piano un sopracciglio. Harry aveva le bende ad avvolgergli le mani dalle dita affusolate che in quel momento stavano scostando i capelli di Tamara dalla fronte.
La ragazza guardò Delilah, aprendo piano la bocca, in quanto i tubicini che le scendevano lungo la gola le davano incredibilmente fastidio. "Quando me ne vado?" chiese con voce graffiante e appena udibile. Harry scosse la testa. "Cosa ho avuto?" continuò la ragazza, spostando solo lo sguardo dal ragazzo che le stava sistemando i capelli dietro le orecchie, all'infermiera dal volto simpatico. Aveva degli occhi verdi simili a quelli di Harry.
Il riccio vide un attimo Tamara, mordendosi poi il labbro inferiore. E se avesse creduto che lui non fosse altro che il suo ragazzo, rimuovendo tutto quello che era successo in quei cinque giorni?
"Hai sbattuto forte la testa a terra e hai avuto una commozione cerebrale. Se dovessi rispondere bene agli esami, potremmo farti uscire prima del previsto, ma devi reagire, signorina."
Tamara ingoiò, facendo una smorfia. Le sue labbra erano screpolate e secche, gli occhi cerchiati di nero e i piercing che erano stati rimossi dal suo volto. Da quell'angolazione, Harry avrebbe potuto pensare che si trattasse della sua Tamara.
"Tuo padre" iniziò la ragazza, stringendo la mano di Harry. Il riccio annuì.
"Non preoccuparti di lui."
Delilah abbassò il capo e fece un passo indietro. Poi si guardò le spalle. "Adesso vi lascio da soli, ma tornerò tra un poco. Ah, Harry" disse, richiamando l'attenzione del ragazzo. Lui sollevò il capo nella sua direzione.
"Sì?"
"Non fare niente." Ed uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
"Cosa ricordi?" chiese Harry, avvicinandosi al volto della ragazza per non farla sforzare ad alzare la voce per farsi sentire.
Tamara sollevò il collo, aggiustando la testa sul cuscino, i capelli sparsi come se fossero un'aureola scura. "Io e te alla ferramenta" iniziò, chiudendo gli occhi come a voler ricordare bene, "e poi tuo padre che si butta addosso a te" terminò con un filo di voce. Poi Tamara riaprì gli occhi, puntandogli sul volto pallido di Harry. Sollevò la mano che stringeva quella del ragazzo, girandola piano per vedere le fasciature. Poi gli analizzò i lividi sulla guancia e intorno all'occhio, il verde reso persino più evidente. Si sentiva intorpidita, incriccata, incapace di muovere un muscolo come se si fossero scaricate le batterie che le avrebbero permesso di mettersi in movimento.
"Dimmi che tutto quello che è successo non è stato un sogno" ammise.
Harry aggrottò le sopracciglia, appoggiando la testa sul gomito sollevato sul materasso. "Riguardo cosa?" chiese, e per un attimo ebbe paura. Ebbe timore che si fosse dimenticata, o che credesse di aver immaginato tutto quanto, quando invece niente era più lontano dall'essere realtà, sebbene quella storia fosse assurda e incredibile.
"Dimmi che sei tu l'Harry Styles buono."
Quella semplice espressione, fece sprofondare il cuore di Harry nel sollievo, lasciandolo andare ad un sospiro che non aveva saputo di trattenere.
Annuì con il capo, facendo danzare sulla sua fronte un boccolo bruno. "Sì" disse sorridendo, sebbene i suoi muscoli facciali fossero doloranti per i colpi che aveva incassato la scorsa mattina. La finestra era chiusa e in quella stanza iniziò a mancare l'aria. "Sono io."
Tamara chiuse gli occhi, prendendo un grosso respiro, sebbene le cannule nelle narici le trasmettessero ossigeno puro. "Grazie al cielo" sussurrò, schiudendo le labbra. Non riusciva a tenerle chiuse a causa dei tubicini che le urtavano nella gola. Se ne sarebbe voluta sbarazzare quanto prima. Tamara si girò verso il ragazzo, riappoggiando poi la mano sul materasso. "Tu stai bene?" chiese, piano.
Harry annuì nuovamente, stringendo le labbra. "Sì, sebbene questa notte mi sia accaduta una cosa."
Tamara aggrottò le sopracciglia. "Cosa?" chiese.
Harry annuì, spostando lo sguardo fuori dalla finestra. "Credo che tra me e il tuo ragazzo ci sia forse un legame empatico, o qualcosa che ci lega indissolubilmente."
Tamara rimase in silenzio, facendo vagare i suoi occhi scuri sul volto pallido del ragazzo accanto a lei. "Ho sognato un momento della sua giovinezza, Tam, e non so come prendere questa cosa. Lui ti ha detto tutto di sè?" chiese Harry, ricambiando l'occhiata.
Tamara chiuse gli occhi, annuendo, le goccioline della flebo che continuavano a scendere piano.
"Ogni singola cosa" rispose, ed Harry si sentì rincuorato. Passò i dieci minuti successivi a raccontargli di cosa avesse ricordato, un sensazione che avrebbe tanto voluto rimuovere dalla sua mente. Non capiva perché gli fosse successo, perchè avesse avuto quell'opportunità di vedere nel mondo di quell'Harry problematico e solo, a parte Tamara. La ragazza l'aveva ascoltato in silenzio, spostando poi lo sguardo sulla stanza vuota in cui era rimasta per un giorno interno, sentendo le lacrime agli angoli degli occhi. Lei era stata accanto ad Harry, da quel momento in poi, e avrebbe tanto voluto salvarlo, ma non c'era stato assolutamente niente da fare.
All'improvviso, quella sfilza di parole malinconiche venne interrotta dalla porta azzurra della camera che veniva aperta verso l'interno, rivelando la dottoressa Lawrence, la stessa che aveva intimato ad Harry di allontanarsi. Il ragazzo si alzò in piedi per lo spavento, mantenendo ancora la mano di Tamara, mentre la dottoressa lo guardava schifata e infuriata.
"Ti avevo ordinato-"
"Non fa niente" disse Tamara, socchiudendo gli occhi nei confronti della donna sovrappeso. "Avevo bisogno di lui."
La Lawrence si avviò rapidamente verso la ragazza, controllando la cartella clinica posata sul tavolino, e incenerì Harry. "Adesso, però, se ne deve andare veramente. Dobbiamo farle degli esami."
Altri medici entrarono nella stanza, ed Harry venne allontanato, con Tamara che veniva accerchiata da quegli uomini vestiti in bianco e che trafficavano con i macchinari intorno a lei. Ad un certo punto, il letto della ragazza venne staccato dal muro, e un dottore si mise proprio dietro la testa di Tamara, spingendola fuori dalla stanza, con la flebo che seguiva il letto e una mano che usciva fuori dal materasso, leggermente pendente. Delilah sbucò dalla porta nel muro e tirò Harry in quella direzione. "Adesso ti conviene proprio andare via."
"Lei ha bisogno di me."
"No, lei ha bisogno che noi ci prendiamo cura di lei, e tu non puoi trovarti in mezzo a questo casino, Harry. Ti ho concesso quello che volevi, ora però devi darmi ascolto."
Harry indurì la mascella, avviandosi arrabbiato verso l'altra porta, uscendo sul corridoio di quell'ala dell'ospedale gremita di pazienti già a quell'ora del mattino. Si andò a sedere su una sedia, incrociando le braccia al petto e spostando i suoi occhi sulla punta delle scarpe. Dall'interno della stanza, Delilah scosse la testa e si richiuse la porta davanti al viso, nascondendosi alla vista di quel ragazzo. "E comunque" disse Harry tra sè. "Ci sono già in mezzo, e non ho idea di come uscirne."
La giornata trascorse inevitabilmente lenta, i dottori che gli passavano davanti senza dire una parola. Harry non aveva idea di dove avessero portato Tamara, non sapeva cosa le stessero facendo, e non avere niente in mente lo faceva solo destabilizzare. Ad un certo punto si mise in piedi, sgranchendosi le braccia e le gambe doloranti. Si avvicinò ad un cestino della spazzatura e iniziò a sciogliersi le bende che gli incorniciavano le nocche. Giunto in prossimità della fine, sentì la garza aderire maggiormente alla pelle spaccata, per questo fece una smorfia quando fu costretto a tirare un po' di più per liberarsene. Non c'era più sangue, fortunatamente, ma la pelle era fresca e rosea. Gli sarebbero rimaste sicuramente delle profonde cicatrici.
Slegò anche l'altra mano, buttando le garze sporche nel cestino davanti a lui, dopodiché si avviò per i corridoi, prendendo gli ascensori per scendere al piano terra. Erano due giorni che non mangiava, e sebbene non avesse sentito la fame per tutto il tempo, in preda alla preoccupazione e al senso di colpa per aver permesso che fosse successo qualcosa a Tamara, in quel momento il dolore allo stomaco si fece molto più intenso, spingendolo verso il bar accanto al bancone dei ticket. Non aveva un soldo con sè, non poteva permettersi neanche una caramella.
Una signora anziana, seduta ad un tavolino nell'angolo, si alzò in piedi, reggendosi per metà sulla stampella. Si avvicinò ad Harry, dandogli qualche centesimo in mano. Harry guardò stupito la donna, la cui mano stava chiudendo la sua. "No, signora, non fa niente."
"Non preoccuparti" disse quella, con una voce flebile e bassa. "Ho già pranzato da un pezzo. Con questi" disse, alludendo alle monete, "puoi prenderti almeno una cosina da niente."
Harry le sorrise, e le accarezzò una guancia. Aveva i capelli tenuti stretti in una crocchia, gli occhi azzurri e il volto pieno di rughe in ogni angolo. Harry non avrebbe mai potuto pensare che qualcuno gli si sarebbe avvicinato e che gli avrebbe dato qualche spicciolo.
Allora qualcosa di buono, in quel mondo, c'era.
La signora anziana si allontanò, uscendo da sola dal bar, piano, muovendosi con una lentezza allucinante. Harry si girò verso la macchinetta e si prese una misera merendina. Beh, meglio di niente, pensò, scartantola e prendendone un morso. Uscì dal bar, camminando per quei corridoi che nascondevano chissà quali anime, chissà quanti dolori celati dietro quei muri grigi e spenti. Solo un'ala del palazzo era colorata, piena di disegni e quant'altro. Alcune infermiere girovagavano per le stanze, ed Harry passò davanti ad ognuna di esse. Ad un certo punto, un pagliaccio fece capolino da una porta di vetro, le braccia rivolte indietro e le sue mani strette in quelle di un bambino, in un piccolo trenino che si formava man mano che i piccoli lasciavano la stanza. Harry si fermò, addossandosi al muro e incrociando le braccia. C'erano forse sei bambini, seduti in quel momento intorno al pagliaccio che, con la sua aiutante, reggeva una busta facendo uscire da quella alcuni giocattoli. I bambini indossavano tutti i loro pigiami, le loro mamme che li guardavano da dietro il vetro e sorridevano tristemente.
Harry li guardò con un nodo allo stomaco, vedendoli ridere e ignorare qualsiasi cosa di cui fossero affetti. Ad un certo punto, si sentì tirare un angolo della maglietta e abbassò lo sguardo. Una bimba bionda gli stava vicino, con il volto sollevato su di lui e gli occhi azzurri puntati sul viso di Harry. "E tu chi sei?" gli chiese, con un vocina acuta e tenera contemporaneamente. Harry si inginocchiò alla sua altezza. "Sono Harry, invece tu?" le domandò.
La bambina si prese una ciocca bionda, avvolgendola intorno all'indice. Abbassò il capo in imbarazzo, spostandosi sui talloni e facendo oscillare il camice bianco che indossava. Aveva dei lividi sulle braccia. Harry spostò lo sguardo, turbato.
"Io sono Afrodite" gli rispose la piccola, e una signora al di là del vetro si accostò per vedere la scena. Harry le prese la manina e le baciò il dorso.
"E' un nome bellissimo."
La bambina sollevò le spalle.
"Sai a cosa è legato il tuo nome?"
Afrodite scosse il capo, sedendosi per terra e incrociando le gambe. Harry si appoggiò sulle ginocchia, mentre dall'altra parte della stanza il pagliaccio faceva girare i bimbi intorno.
"Afrodite era una dea nata dalla schiuma del mare. Era una bellissima ragazza con tantissimi poteri magici. Tutti le volevano molto bene, sebbene a volte facesse i capricci" le raccontò Harry, accarezzandole la chioma bionda.
"E poi?" chiese la bambina. "Lei ha trovato il suo principe azzurro?"
Harry rise, mordendosi il labbro e mettendosi in piedi. La piccola lo seguì a ruota, sollevando le braccia verso l'alto. Il sole al di là della finestra stava calando rapidamente. "Certamente, ogni principessa ha un principe."
"E la tua dov'è?" chiese Afrodite.
Harry la prese in braccio. "La mia principessa non è qui, adesso. Ma tornerò da lei."
La bambina sorrise, dandogli un bacio sulla guancia.
"Perché sei qui?" le chiese Harry, cercando di sorriderle.
La bambina si guardò il braccio, sollevando poi le spalle. "Non lo so" ammise, innocente. Qualsiasi cosa avesse, Harry sperò che lei, insieme a tutti quei bambini, potessero stare meglio. Non meritavano di soffrire. "E tu perché hai questi lividi in faccia?"
Harry fu sul punto di risponderle, quando una ragazza travestita da pagliaccio gli si avvicinò. "Afrodite, vieni a giocare con noi? Se vuoi" disse, puntando lo sguardo su di Harry, "può venire anche lui."
Harry la fece scendere a terra, accarezzandole una spalla. "Dai, piccola, vai da loro. Io devo tornare di là" disse, indicando il corridoio. Afrodite mise il broncio.
"Tornerai dalla tua principessa?" chiese.
Il ragazzo si leccò le labbra. "Una specie" disse, sorridendo, poi vide la piccola allontanarsi mano per mano insieme al pagliaccio, ricongiungendosi al gruppo di bambini.
Quando imboccò l'altro corridoio, prese l'ascensore e, una volta arrivato al solito piano, si accorse di Delilah che spingeva una sedia a rotelle. Harry iniziò a respirare più rapidamente, correndo verso di lei. "Hei!"
L'infermiera si girò, e il ragazzo la superò, vedendo Tamara seduta sulla carrozzella, con l'asse della flebo stretto in mano. "Ma quando-"
"Ti stavamo venendo a cercare" ammise Delilah. "Voleva stare con te."
"Non posso lasciarti neanche un secondo" scherzò Tamara, che non aveva più il sondino nel naso. Harry scosse la testa, sollevando i suoi occhi verdi sull'infermiera.
"Che esito hanno dato gli esami?" chiese.
Delilah scosse le spalle. "Come sai già, non ha niente di grave. Se tutto va bene, potrebbe uscire domani."
Tamara sorrise, ed Harry si lasciò andare ad un sospiro rilassato. "Mi hai fatto prendere un infarto."
La ragazza scosse la spalle. "Ci deve essere pur qualcuno nella tua vita che ti faccia provare quest'esperienze."
Delilah si scostò, indicando al ragazzo la sedia a rotelle. "Se vuoi, puoi trasportarla, ma fatti conto che fra mezz'ora passa la cena."
"Infatti non vedo l'ora di mangiare quel delizioso brodo che si cucina qui" disse Tamara sarcasticamente, alzando gli occhi al cielo. Il trucco sul suo volto era quasi scomparso, ed Harry si morse il labbro, mettendosi alle spalle della carrozzella.
"Sta' zitta" rispose, quando Delilah si era ormai allontanata.
Tamara sollevò una mano e picchiettò quella di Harry. "Ah, e mi devi anche dire cos'hai combinato con quell'infermiera."
Harry alzò gli occhi al cielo. Quel mercoledì sera, sarebbero dovuti andare alla festa a casa Mitchell, ma Tamara gli aveva detto di non volerci andare. Alla fine, in un modo, o in un altro, era stato destino che quei due non si dirigessero in quella famosa "casa degli specchi."
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Dopo circa un'ora, la sera precendente, Tamara aveva fatto scendere Harry al piano di sotto.
Jamie se n'era già andata, Anne aveva fatto preparare del pollo tenuto al caldo nel forno e Jeremy continuava a rifinire il suo romanzo. Si era preso una porsione del pollo ed era tornato subito in camera sua.
Tamara ed Harry avevano cenato in silenzio, seduti ai due capi opposti del tavolo, giocherellando con la carne nel piatto. La ragazza era preoccupata per lui e per il malore che aveva avuto. Non riusciva a pensare a nient'altro se non al suo ragazzo che potesse star male nell'altro mondo. Se davvero fosse successo qualcosa, il panico avrebbe avuto il sopravvento, e non si sarebbe mai perdonata il fatto che lo avesse lasciato da solo con Zayn e Louis il venerdì scorso. Se gli fosse stata accanto, non lo avrebbe lasciato girovagare brillo per quell'imponente casa, e sicuramente non si sarebbe mai scambiato con quel ragazzo cupo che le si sedeva di fronte. Quando l'atmosfera fu troppo tesa, Tamara lasciò cadere la forchetta nel piatto. "Oggi è martedì, Harry."
Il riccio sollevò il capo, gli occhi e il naso arrossati. Si sentiva un senso di rabbia ad occupargli il petto, avrebbe voluto prendere qualsiasi cosa fosse a portata di tiro e lanciarla contro la parete. "Lo so."
"Domani sera c'è la festa."
"So anche questo, e mi auguro che vadano a quella dannata casa degli specchi."
Tamara girò intorno al tavolo, scompigliandoli i capelli, ma Harry si spostò di lato, scansando il suo tocco. "Scusami, ma non mi sento molto bene" E si mise in piedi, prendendo il piatto e lanciandolo malamente nel lavandino del piano cucina. Tamara si morse il labbro e recuperò la sua borsa, uscendo di casa quanto prima. Sapeva che la miglior cosa da fare fosse uscire di casa, Harry aveva bisogno di stare da solo.
E infatti rimase solo per tutta la notte e tutta la prima parte di mercoledì, con la madre che di tanto in tanto bussava alla sua porta e si assicurava che Harry stesse bene.
Una volta uscita, Harry - seduto sul suo letto, con il viso rivolto alla finestra aperta - si girò, prese il cuscino tra le mani e lo scagliò contro la porta.
L'ignoto lo infastidiva, non aveva più alcuna certezza nella sua vita, niente che potesse lontanamente aiutarlo a sperare di poter tornare indietro. Amava quella vita, avere dei genitori premurosi, il lusso che traboccava da ogni parete di quella villa mastodontica, ma non era la sua vita, e non sapere se la sua Tamara stesse bene, lo faceva diventare una bestia. All'ora di pranzo, Jamie bussò delicatamente alla sua porta, facendo sporgere la testa di poco, gli occhi piccoli che guizzarono subito sulla figura del ragazzo girata di spalle. Aveva la camicia da notte slacciata, ma gli ricopriva le spalle possenti e i capelli erano lasciati sciolti sul collo teso. "Tua madre vorrebbe che tu venissi a tavola."
Quel mercoledì, se tutto fosse andato bene, sarebbe potuto tornare a casa. L'unica cosa che doveva fare era stare davanti ad un fottuto specchio a sperare che la sua controfigura noiosa si specchiasse. Anne aveva le braccia incrociate sul piano del tavolo, in attesa che il figlio prendesse posto a tavola. Una volta seduto, Harry prese la forchetta ed iniziò ad assaggiare quello che Jamie aveva preparato.
"Possiamo, per favore, parlare?"
In risposta, la donna ebbe solo un mugulio di Harry che manteneva gli occhi bassi.
"Si può sapere cosa sta succedendo? Hai cacciato maleducatamente Smith da casa, e ti giuro che pagherai molto presto per questo gesto sconsiderato, ti comporti esattamente come un ribelle. Sembra che tu stia attraversando un cambiamento che, mi dispiace, non riesco proprio a capire."
Harry si tolse la forchetta dalla bocca e, ingoiato il boccone, strinse la mascella. "Tu come ti sentiresti trovandoti in un mondo in cui ti viene rinfacciato quello che non hai mai avuto? Vorresti rimanere, o vorresti tornare alla tua vita, nonostante quella in cui sei stato catapultato ti piaccia moltissimo?"
"E questo cosa c'entra, adesso?" Anne si passò le mani tra i capelli sciolti, spazzolandosi poi le maniche della giacca costosa. "Non so cosa stia succedendo Harry, ma è necessario che io mi preoccupi?"
"Se sei mia madre, dovresti" ma poi Harry si impose di non continuare. A che scopo stava portando avanti quella discussione? Non avrebbe potuto dire niente a nessuno, quello scambio improbabile era un segreto che condivideva solo con Tamara. Sentì una stretta allo stomaco e si alzò in piedi. "Scusami, ma non ho fame, credo sia per l'influenza."
"Harry-"
"Non preoccuparti, okay? Tutto tornerà com'era prima."
E si allontanò dalla cucina, avviandosi al piano di sopra. Sulle scale si imbattè in suo padre, con un gruzzolo di biglietti in mano e che scendeva rapidamente i gradini, fiondandosi in cucina a dare chissà quale notizia alla moglie. Al suo passaggio Harry si scansò un poco. Ogni qualvolta gli fosse vicino, si sentiva le mani formicolare, ma doveva essere il figlio perfetto, o almeno ancora per pochissimo. Certo, erano passati solo cinque giorni, eppure ne aveva combinate così tante che l'Harry buono avrebbe potuto solo sognarle. Si chiuse in camera sua, appoggiandosi alla porta. Spostò il suo sguardo sulla scrivania colma di quaderni. Avrebbe dovuto aspettare che Tamara tornasse dalla scuola per posizionarsi di fronte allo specchio del corridoio, così si avvicinò alla scrivania e si sedette sulla sedia imbottita. Iniziò a sfogliare i quaderni, leggendo gli appunti che Harry prendeva freneticamente durante le varie lezioni, poi si accorse del suo telefono, appena nascosto dietro un portapenne. Quale stupido avrebbe potuto lasciare il cellulare a casa? Harry sentiva la mancanza del suo, e si rimproverava sempre di averlo perso in quella dannata festa che era stata l'inizio di tale sventura. Sbloccò quello di Harry e trovò come sfondo una sua foto con Tamara. Aveva il viso girato verso di lei, le labbra protese in avanti come per sfiorarle la guancia con un bacio e i capelli tenuti indietro da un quintale di gel. Tamara manteneva la fotocamera del telefono e si notava a malapena il suo braccio proteso in avanti per scattare il selfie. I suoi occhi marroni erano leggermente girati verso di lui, con le labbra strette e le sopracciglia arcuate. Harry fece una smorfia. Chissà quante foto si facevano, quei due. Lui non era per niente un amante di quel genere di cose, preferiva godersi il momento piuttosto che perdere tempo a fare selfie e quant'altro. Aprì immediatamente l'icona di Facebook, stupendosi del fatto che uno come Harry potesse avere un account. Sfogliò la home, e stranamente aveva tra gli amici tutte quelle persone che non facevano altro che prenderlo in giro. Sotto tiro gli capitavano sempre foto di Zayn e Louis, oltre che di Liam che passava il suo tempo in giro con il suo piccolo cagnolino, oltre a studiare. Iniziò a navigare, spinto dalla curiosità, sul profilo di Zayn e notò uno stato che catturò particolarmente la sua attenzione.
"Se stasera alla festa viene Styles, ci sarà da divertirsi...oh, un attimo. Lui non verrà mai."
Harry si ritrovò a scuotere la testa, poi gli venne un lampo di genio. Sul suo viso si aprì un ghigno divertito e aprì nuovamente la home, scrivendo uno stato molto particolare che nessuno si sarebbe mai dimenticato. Quando sentì dei rintocchi sulla sua porta, si affrettò a scrivere le ultime parole, sorridendo beffardo, e spense il telefono, riponendolo dove l'aveva trovato. Erano le cinque e mezzo del pomeriggio e Tamara era finalmente arrivata. Lasciò che la sua testa facesse capolino nella stanza ormai disordinata del ragazzo ed entrò, sorridendogli. Aveva lo zaino in spalla, i capelli legati in una coda alta e gli occhi leggermente truccati. "Come stai, oggi?"
Harry si alzò in piedi, spostando malamente la sedia e la afferrò dalla spalliera. "Come sempre. Il raffreddore però è quasi passato. " La fece spostare e si avviò giù per le scale, le sue mani grandi che mantenevano la spalliera della sedia in legno. "Sai se i genitori se ne sono andati?"
Tamara lasciò lo zaino ai piedi del letto e si mise a raggiungerlo, facendo una leggera smorfia quando Harry non aveva detto "miei". Si sentì vagamente colpita, ma non ci prestò poi molta attenzione. "Sì, tuo padre è andato alla casa editrice, tua madre in ufficio a mettersi d'accordo con Rebekah, la modella di punta. Sai, non era molto entusiasta. Ha saputo di Smith?"
"Avrebbe potuto non saperlo? Quella donna ha orecchie e occhi in ogni parte di questa villa." Finite di scendere le scale, posizionò la sedia proprio davanti allo specchio nel bel mezzo del corridoio. Jamie si affacciò dalla cucina.
"Harry? Cosa stai facendo?" chiese, dubbiosa.
Il ragazzo la ignorò, così Tamara si girò verso la domestica. "Lascialo stare, okay? Sta leggermente delirando."
Jamie sollevò un sopracciglio, poi scrollò le spalle e si richiuse la porta alle spalle. Tamara vide Harry dirigersi verso il divano del salone e lo seguì. "Secondo te", iniziò il ragazzo, sedendosi a peso morto. "Harry è riuscito ad ambientarsi?"
Tamara gli si sedette accanto, controllando l'orario sul telefono. "Lo spero. E' un ragazzo molto chiuso, timido..non voglio pensare che anche lì stia male."
"Tamara gli avrà fatto fare sicuramente qualcosa."
La ragazza annuì, leccandosi le labbra secche. Harry sollevò la testa su di lei. "Sono in astinenza, cazzo."
Lei si scansò di'impulso, guardandolo atterrita. "Non ci provare nemmeno."
Harry sbuffò rumorosamente. "Ti pareva."
"Deve essere dura per te, considerando che lo fai praticamente sempre."
Harry annuì, facendo oscillare un boccolo sulla fronte ampia. "Sì, è molto duro."
Tamara gli schiaffeggiò una coscia piegata sul divano e scoppiò a ridere. "Spero che tutto questo" disse, "non mi faccia diventare una ragazza cattiva."
In quel momento toccò ad Harry scoppiare a ridere sguaiatamente. "Fidati, non ce n'è pericolo. Una santa come te rimane per tutta la vita." Poi guardò la ragazza, asciugandosi una lacrima inesistente sotto l'occhio. Notò con la coda dell'occhio la piccola cicatrice sul labbro inferiore che si era procurata sabato scorso, quando Zayn l'aveva colpita, e la guardò, sorridendo con un angolo della bocca e facendo apparire una tenera fossetta sulla guancia. "O almeno" si corresse, "ti auguro di diventare cattiva."
"Dovrei esserne onorata?"
"Non per forza, ma ammettilo, ti sei divertita stando al mio fianco."
Tamara si lasciò sfuggire un mugugno dalle labbra, abbassando lo sguardo sul pavimento. Harry si morse il piercing e si sporse su di lei, afferrandole il mento e costringendola a guardarlo negli occhi verde smeraldo. "Ti ho fatto provare l'ebbrezza dell'essere una ribelle."
Tamara spostò la sua mano. "Adesso non esageriamo. Sì, mi hai fatta divertire, ma non sarò mai una ribelle come l'altra me."
Harry si mise in piedi, sollevandosi sulle gambe e sbuffando annoiato. "Come vuoi. Che ore sono?"
"Quasi le sei."
"Perfetto." Si avvicinò alla sedia nel corridoio e ci si sedette sopra. "La festa dovrebbe iniziare a momenti. Harry potrebbe specchiarsi da un momento all'altro, e non posso essere impreparato."
"E io che faccio?"
Il riccio si aggiustò la camicia da notte che aveva addosso - che, a dirla tutta, sembrava più un accappatoio di seta - e le lanciò solo una rapida occhiata. "Quello che vuoi." Spostò la testa per stiracchiare i muscoli del collo e si mise in posizione eretta di fronte la superficie riflettente, in attesa.
Le ore passavano lente, eppure continuavano a passare, con Tamara che a tratti guardava la tv, a tratti provava ad intavolare una conversazione con Harry. Jamie lasciò la villa degli Styles intorno alle nove di sera, quando ormai la cena era pronta. Tamara andò in cucina e preparò due porzioni. Era bello pensare che in quella casa fin da subito l'avessero accettata e che la considerassero parte della famiglia, come se dovesse stare con Harry per sempre. Peccato che, in quei giorni, era praticamente da sola a casa, con l'ombra del suo ragazzo a vagare come un'anima in pena alla ricerca della salvezza.
Gli portò il purè di patate e le verdure in un piatto, insieme ad un po' di pane e ad una forchetta. Harry la ringraziò e iniziò a mangiare senza mai distogliere lo sguardo dallo specchio. L'orologio continuava a far muovere le sue lancette, eppure non era successo ancora nulla. Harry aveva lasciato il piatto per terra, la pazienza che ormai era ridotta all'osso. Tamara aveva provato a farlo alzare in piedi, a staccarsi un po' da quella postazione fissa, ma il ragazzo era irremovibile. Sembrava fosse affetto da un disturbo ossessivo compulsivo che non gli permetteva di spostarsi neanche di un centimetro, distogliendo vagamente lo sguardo. Ormai non c'era più niente da fare.
"Dai, cazzone, specchiati" diceva Harry di tanto in tanto, così Tamara si allontanò, andandosi a stendere sul divano nel salone. Piegò le mani sotto la guancia e chiuse gli occhi. Harry, quando sentì il silenzio a permeare quella casa troppo grande, ipotizzò si fosse addormentata e chiuse un attimo gli occhi, sentendoli bruciare.
Quando li riaprì, vide il suo riflesso. I capelli erano scompigliati, gli occhi arrossati e lucidi, una leggera peluria a ricoprirgli il mento e la base del naso, le labbra schiuse e screpolate. Indurì la mascella. "Dai, cazzo, muoviti!"
Ma nonostante continuasse a guardare, il suo riflesso non dava segni di movimenti autonomi. Harry incominciò ad avere un senso di fastidio ad intorpidirgli le membra, la mascella stretta e le narici dilatate. Era solo un cretino.
Aveva ipotizzato qualcosa, e vi si era buttato a capofitto senza pensare potesse rivelarsi falso. Eppure pensava che la storia di Jeremy fosse giusta. Evidentemente, non sarebbe mai successa una cosa del genere a loro.
Si sentì un un idiota completo, seduto di fronte ad uno specchio, sperando che il suo sosia si specchiasse. Era convinto che avrebbe funzionato, ma era stata solo un'illusione.
Sentì il petto alzarsi e abbassarsi rapidamente, la frustrazione che gli fece mordere il labbro inferiore e un forza improvvisa che lo spinse a colpire lo specchio con il pugno chiuso.
Il rumore dei vetri infranti si irradiò per tutta la casa, facendo destare Tamara che si alzò preoccupata. Harry era seduto, il pugno destro sanguinante e il vetro riverso un po' per terra, un po' sulle sue cosce. Si alzò in piedì e fece capovolgere la sedia.
"Harry!" urlò Tamara, e gli bloccò le braccia, stringendole tra le sue. "Smettila, ti sei fatto male!"
"Sono un coglione, Tam!"
"No" disse lei, cercando di mantenere fermo Harry prima che potesse rompere qualcos'altro. Sentì le scarpe cigolare sui vetri, e le ignorò, spostando con un gesto delicato il ciuffo dalla fronte del ragazzo. "Ci hai provato."
"E non è servito ad un emerito cazzo, ti rendi conto? Non tornerò mai dalla mia ragazza, mai!"
"Tornerai, Harry."
"No. " Aveva il respiro pesante, si liberò dalla presa della ragazza e la allontanò. "E' meglio che tu torna a casa, è tardi."
"Ma-"
"Pulirò io questo casino."
Tamara prese la sua mano sanguinante. "Lascia che io ti aiuti con le ferite." Spostò lo sguardo su quello che rimaneva dello specchio sulla parete. "Ti saresti potuto persino fare più male. Sei stato stupido a colpire lo specchio."
"Non ho pensato a quello che ho fatto. Tendo ad agire, e poi a pensare."
Tamara strinse la labbra, spostando con un piede alcuni vetri. "Andiamo in bagno."
Harry indurì la mascella. Abbassò lo sguardo e vide il suo volto riflesso in un pezzo triangolare. Lo pestò con il piede e poi si lasciò condurre al piano di sopra dalla ragazza che aveva ancora il cuore a mille. Per loro, non ci sarebbe mai stato un lieto fine.
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