Regrets


"Si può sapere cosa sta succedendo?" Tamara entrò in camera di Harry, chiudendo la porta alle spalle e girando la chiave affinché nessuno potesse disturbarli. Harry era seduto sul letto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani. La ragazza notò la finestra chiusa e le persiane abbassate, la penombra della stanza che rendeva macabra e terrificante la figura ricurva del riccio. Si sedette accanto a lui, appoggiandogli una mano in mezzo alle scapole muscolose. Quella mattina Harry aveva voluto restare da solo, Tamara era rimasta a casa sua a tentare di studiare per il giorno dopo, ma il pensiero verteva sempre sul ragazzo problematico che le era accanto. Dal primo momento in cui l'aveva visto Harry era sembrato spavaldo, menefreghista. Aveva continuato a comportarsi come aveva sempre fatto nel suo mondo, ma negli ultimi giorni era successo qualcosa, qualcosa che stava spezzando qualsiasi barriera avesse mai eretto intorno a lui. La sua schermaglia di forza e indosponenza si stava sgretolando man mano che il tempo passasse, e Tamara avrebbe tanto voluto che non si sentisse così. Non poteva capirlo, non sapeva cosa gli stesse passando per la testa in quel momento, l'unica cosa che poteva fare era stargli vicino, sebbene lui volesse rimanere chiuso nella sua stanza. Vederlo con la testa persa tra le mani, le labbra chiuse in un broncio e gli occhi serrati come se volesse scacciare qualche immagine terribile che gli passava davanti, la faceva sentire impotente. Harry aveva provato a guardarsi nello specchio la sera prima, ma la frustrazione derivata dall'effettivo fallimento non poteva in alcun modo essere cacciata dalla sua mente confusa e appannata. Tamara gli accarezzò la schiena, e sentì i muscoli tesi del ragazzo, come un gatto che va incontro alla mano che si avvicina per accarezzarlo.
Quel ragazzo non aveva mai avuto a che fare con persone, al di fuori della sua ragazza, che gli volessero bene, e la mancanza di affetto di tutti quegli anni gli si stava rigettando addosso.
Bastò un secondo, e Tamara pensò al suo Harry. Non aveva idea di come potesse stare, l'unico gesto che le era concesso era pregare la sera prima di dormire, chiedendo che stesse bene e che la sua controfigura potesse stargli accanto, non lasciandolo mai. Le mancava tantissimo sebbene la sua immagine le stesse sempre davanti, ma erano due persone diverse, totalmente diverse, e la sua assenza incominciava a pesare in tutti i sensi. Voleva che tornasse, che tornasse da lei quanto prima, però voleva anche che l'Harry che le era seduto accanto trovasse la pace di cui aveva sempre avuto bisogno ma che non aveva mai avuto modo di raggiungere. "Perché le finestre sono chiuse?" chiese lei per porre fine a quel silenzio asfissiante.
"È tutto inutile, Tam" disse lui con un filo di voce, senza rispondere alla sua domanda, come se non l'avesse nemmeno sentita. Alzò la testa e puntò i suoi occhi arrossati sulla ragazza, delle occhiaie profonde a solcare la sue pelle eburnea. "Non si specchierà mai, e non tornerò mai più alla mia vera vita. Non riuscirò a tornare dalla mia ragazza. Sebbene il mio mondo faccia schifo, mi sento attratto da esso, ma il filo che continua a tirarmi verso la mia Londra diffamata non riesce a smuovermi per niente. Non voglio rimanere inchiodato qui, perché mi sto affezionando a tutto questo e non è un lusso che posso permettermi" concluse tirandosi il piercing con i denti bianchi.
Tamara staccò la mano dalla schiena del ragazzo e se l'appoggiò in grembo, torturandosi le dita. "No, ti dico che-"
"Tamara." Il suo nome sulle sue labbra acquisí un'ammonizione mai sentita. "Devo tornare adesso, perché potrebbe arrivare il punto in cui io non voglia più andarmene. Devo tornare a casa mia, Tamara ha bisogno di me e non posso tenerti ancora più lontana dal tuo Harry."
La ragazza si alzò in piedi di scatto e gli puntò l'indice contro. I suoi capelli legati ondeggiarono sulla sua schiena ad ogni minimo movimento, con Harry che seguiva ogni suo gesto, rassegnato, sovrapponendo l'immagine della sua Tamara a quella ragazza che stava per urlargli contro.
"Devi smettere di dire che è colpa tua" disse lei, puntandogli il dito. "Non hai scelto tu di far avvenire questo scambio, per cui la distanza tra me e il mio ragazzo non ha niente a che fare con te." Rabbiosa, si girò verso la finestra e sollevò le persiane, inondando l'ambiente con la luce del sole al tramonto. "Un altro giorno è passato, e non possiamo perdere tempo. Se vuoi, però, posso sempre lasciarti un po' di spazio ma, Harry, non puoi rimanere così con le mani in mano. Ti ho conosciuto forte e spavaldo, che fine ha fatto la tua sicurezza?"
Harry indurì la mascella e si alzó a sua volta, girandosi verso di lei che dava le spalle alla finestra, la luce del crepuscolo che rendeva più scura la sua figura.
"Sì" rispose soltanto, e Tamara abbandonò le braccia lungo i fianchi.
"Sì a cosa, esattamente? Ti ho detto così tante cose che-"
"Lasciami spazio."
La ragazza si bloccò, sentendo gli occhi inumidirsi improvvisamente. Ma allora che senso aveva avuto il suo discorso di pochi istanti prima?
Sentì un groppo in gola che la costrinse ad annuire senza proferire una sola parola, bloccando qualsiasi suo tentativo di spronarlo.
"Quindi hai deciso di arrenderti" annunció infine dopo aver fatto un profondo respiro.
Harry continuò a guardarla negli occhi, fermo in tutta la sua statura e le mani nelle tasche del jeans.
"Va bene" continuó lei ancora prima che lui potesse risponderle. "Allora non dire che vuoi tornare nel tuo mondo, se non tenti nemmeno di trovare una soluzione a tutto ciò."
"Qualsiasi cosa io abbia provato-" ma la voce roca di Harry venne bloccata dalla mano sollevata di Tamara che si passò un dito sotto l'occhio per scacciare una lacrima solitaria.
"Hai gettato le armi. Non sei, allora, il guerriero che credevo fossi." Detto ciò si allontanò, tornando verso la porta e aprendola, lasciando le chiavi infilate nella toppa. Appoggiò una mano sullo stipite e girò di poco la testa, giusto in tempo per vedere Harry voltarsi cupo verso di lei, il sole che intanto spariva e scuriva quell'ambiente ormai lugubre. "Ricordati che io ho provato ad aiutarti. Magari non ho trovato una soluzione, ma almeno ti sono rimasta accanto e ho cercato di non farti passare attraverso tutto questo da solo." E se ne andò, scendendo di corsa le scale e abbandonando la casa di Harry.
Il ragazzo dilatò le narici, sentì il petto abbassarsi e alzarsi rapidamente e si gettò sulla scrivania, buttando a terra qualsiasi cosa avesse avuto davanti, i libri che si riversavano sul pavimento e i fogli di appunti che si libravano in aria. Poi si fiondó sulla porta, sbattendola violentemente e lasciandosi scivolare contro di essa, la testa sollevata sul legno e i pugni chiusi sulle ginocchia.
"Io ci provo" disse a se stesso. "Ci sto davvero provando, ma non ci riesco. Per la prima volta, non riesco ad ottenere quello che voglio." Sentì bussare alla porta improvvisamente e sbuffò, esausto.
"Harry!" urlò la madre sbattendo i pugni contro il legno. "Che è successo?" chiese allarmata.
Il ragazzo non si degnò di aprire la porta, si girò e appoggiò la mano fasciata sulla superficie liscia. "Niente."
Doveva distanziarsi.
Non poteva permettersi di farla entrare nella sua vita perché, nella sua, non c'era e non ci sarebbe mai stata. Al di là della porta sentì il padre sussurrare alla madre, e appoggiò l'orecchio contro il legno.
"Dobbiamo portarlo da qualcuno?" Jeremy aveva la voce ridotta ad un sussurro, ed Harry avrebbe tanto voluto prenderlo a pugni. Non gli serviva nessuno, stava benissimo da solo.
Solo la sua Tamara avrebbe potuto farlo sentire meglio, ma non era lì con lui.
"Aspettiamo di vedere come si comporta, ho paura per lui."
Anne era preoccupata. Harry si alzò in piedi e si buttó sul letto, seppellendo la testa nel cuscino. Ricordò benissimo cosa si era ripromesso la domenica precedente, ovvero che avrebbe potuto trovare la via d'uscita rimanendo se stesso e a testa alta, ma ormai si era reso conto che un cambiamento era avvenuto, era solo troppo orgoglioso per poterlo ammettere a se stesso.

Quando fuori dalla finestra il cielo era ormai scuro e le stelle cospargevano di luce quell'oscurità, Harry si alzò dal letto, con i capelli abbassati sugli occhi e le braccia abbandonate lungo i fianchi. La fasciatura alla mano era di una tonalità rosea che necessitava di essere cambiata, così abbandonò per la prima volta la stanza da quella mattina. Non aveva pranzato, non aveva voglia di fare niente e quel senso di nullità che lo costringeva ad arrendersi la rese ancor più frustrato di quanto fosse stato dalla sera prima. Spalancò la porta e si avvió lungo il corridoio per raggiungere il bagno. Lasció la porta aperta e strinse le mani al contorno del lavandino, con gli occhi fissi sullo scarico. Quando li sollevò, incontrò il suo riflesso immobile. Una ruga solcava lo spazio tra le sopracciglia, gli occhi arrossati sebbene non avesse pianto e la mascella serrata. Perché gli era capitata quella sventura? Perchè una fottuta coincidenza gli stava rovinando la vita? Non aveva idea di come fare, ogni sicurezza avuta all'inizio su una possibile via di fuga stava svanendo, lasciandolo nudo contro una dura realtà. Abbassò di scatto gli occhi, sciogliendosi rabbiosamente la fasciatura intorno alla mano. La gettó a terra, aprendo poi il rubinetto. L'acqua fredda entrò in contatto con la sua pelle tagliata, alcune gocce di sangue che si mescolavano e rendevano l'acqua rosea. Trasse un respiro profondo, poi girò di poco la testa, puntando i suoi occhi sulla fine del corridoio.
Anne era lì, con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo verde puntato addosso al figlio. Ci fu un attimo di silenzio, si sentiva solo l'acqua continuare a scorrere nel lavandino, nient'altro. I loro occhi erano incastrati tra loro, stessa tonalità di verde in contrasto. Anne aveva le labbra leggermente separate e i capelli sciolti sulle spalle.
Harry ingoiò a vuoto, poi con uno scatto afferrò la porta e la sbattè, interrompendo il contatto con la donna. Chiuse rapidamente l'acqua, sbuffando, e prese l'asciugamano, passandoselo intorno alla mano per tamponare i tagli che chissà quando sarebbero guariti.
Aspettò qualche minuto, torturandosi il piercing con i denti, poi riaprì la porta e si mantenne la mano con l'altra, avviandosi verso la "sua" stanza. Quell'ambiente così ordinato, perfetto, profumato non apparteneva alla sua vita, era solo una proiezione di tutto quello che aveva perso nella sua misera esistenza. Chiuse un attimo gli occhi. Misera esistenza? Prima che arrivasse in quel mondo estraneo credeva che la sua vita andasse bene per lui, e di certo non credeva di poter mai avere di meglio, sebbene tutte le mancanze che aveva. Ma stava bene. Si sentiva bene, e quel senso di pace gli aveva lasciato un vuoto all'interno del petto nel momento stesso in cui era stato attratto da quel fottuto specchietto retrovisore. Quando giunse sotto l'arcata della porta spostò il suo sguardo sul letto dalle coperte sgualcite e notò Anne seduta, con le mani strette tra loro in grembo e gli occhi bassi, puntati sulle sue ciabatte. Aveva una vestaglia addosso che non era allacciata in vita e arrivava fino al pavimento. Harry si bloccò, rimanendo con la mano libera a mantenere l'asciugamano sull'altra e gli occhi nuovamente piantati su quella donna preoccupata per il figlio.
"Va' via" disse Harry spostandosi di lato per lasciarla passare, ma Anne non si mosse di un millimetro. Anzi, guardò Harry negli occhi, un'espressione impassibile in volto.
"Ti prego, non farmelo ripetere. Sto benissimo, ho solo bisogno di stare da solo." Non voleva cacciarla, solo che non aveva nemmeno voglia di battersi per restare chiuso nella sua solitudine.
Anne si leccò le labbra, poi una piccola fossetta apparve sulla sua guancia. "Sai" inziò, spostando lo sguardo su tutta la stanza e i fogli sparsi per terra. "Quello della mamma é forse il lavoro più difficile del mondo. Certo, é la stessa donna a sceglierlo, eppure quando ti ritrovi a vivere situazioni diverse, ti rendi conto di quanto sia arduo."
Harry si allontanò dalla porta e le diede le spalle, iniziando a rovistare con le poche cose che erano sulla scrivania. Sentì dei passi al piano di sotto, una porta sbattere e poi il rombo di un motore. Jeremy se ne stava andando. Meglio così, pensò il ragazzo, così non avrebbe dovuto parlargli per almeno un altro po'. Certo, quell'uomo era diverso dal Jeremy che Harry conosceva, ma non sapeva niente di lui, al di fuori del suo lavoro, quindi parlargli gli sembrava una presa in giro che avrebbe evitato tranquillamente. Non ci sarebbe stata nemmeno Tamara al suo fianco, ma tanto non si sarebbe presentata nemmeno tanto presto, dopo averla cacciata spudoratamente da casa.
"Una mamma cerca sempre di stare accanto al proprio figlio, di farlo stare bene e di non fargli mancare niente." Anne si morse il labbro inferiore, iniziando a girarsi la fede all'anulare. "Quando ti ho preso in braccio la prima volta, ho sentito esplodere in me tutto l'amore del mondo, avevo il cuore a mille ed ero felice di aver provato tutto quel dolore per farti nascere. L'amore nei tuoi confronti era più forte di qualsiasi sofferenza mai provata." Harry si girò, sbattendo le palpebre più volte. Si appoggiò con il bacino alla scrivania, gli occhi fissi sul capo abbassato della madre. No, non poteva sentire quelle cose, altrimenti avrebbe iniziato ad affezionarsi davvero a quella donna, e non poteva, perché dall'altra parte non ci sarebbe stata nessuna mamma ad aspettarlo. "Ti ho assistito in ogni tappa, supportandoti e aiutandoti per quanto mi fosse stato possibile, e ho cercato di farti avere tutto, Harry. Tutto." Picchiettò il letto al suo fianco e, nonostante fosse contrario, il riccio le si accostò, facendo abbassare pesantemente il materasso morbido.
"Perché mi stai dicendo queste cose?" chiese, scompigliandosi i capelli con la mano sana, mentre l'altra giaceva sulla sua coscia muscolosa e che non allenava da un po'.
"Perchè" disse Anne, prendendo la mano di Harry e stringendola nella propria, "voglio che tu sappia che ti sono e ti sarò sempre accanto, qualsiasi sia la tua scelta. Ultimamente, come ti ho fatto notare fin troppe volte, sei cambiato, non ti riconosco più, e mi chiedo dove sia finito mio figlio. Il ragazzo che è sempre chiuso in camera a studiare, che esce ogni sera ma torna sempre prima di mezzanotte, il ragazzo che preferisce rimanere in casa piuttosto che uscire da solo nelle vie desolate di questo quartiere, l'Harry che è sempre attento a non farsi male perché gli da fastidio la vista del sangue." Sfiorò la mano con l'asciugamano, chiudendo poi la sua, delicata e dalla unghie smaltate, su quella fasciatura temporanea e improvvisa. "Ti stai facendo del male, e non ho idea di cosa stia succedendo. Voglio che tu stia sempre bene, ma se non mi parli, non posso saperlo, e questa ignoranza non sta facendo che uccidermi. Non mi parli più, metti sempre più distanza tra noi. Sono preoccupata, bambino mio."
Harry spostò gli occhi sul comodino pieno di libri accostati alla parete, un astuccio di occhiali vuoto e un bicchiere d'acqua mezzo pieno. "Io.." Quanto avrebbe voluto dirle tutto, partendo dallo scambio fino alla stupidaggine del vero figlio nel non specchiarsi da qualche fottuta parte. Ma quella storia non aveva nè capo, né coda, non avrebbe potuto parlare di qualcosa incomprensibile a lui stesso e altamente incredibile, così assurda da farlo chiudere direttamente in uno studio con un bravo psicologo. Meglio rimanere nell'ignoranza, pensò, altrimenti non avrebbe saputo gestire qualsiasi reazione da parte di Anne.
"Tu cosa, Harry? Sono qui, accanto a te. Puoi dirmi di tutto, non spetta a me giudicarti. Sei tu l'artefice della tua vita, e ti vorrò sempre bene, come te ne ho voluto nel momento in cui ho capito di averti dentro di me."
Harry sentì uno squarcio nel petto, una voragine che iniziò ad allargarsi e che lo avrebbe distrutto. Stando in quel mondo, gli si stava gettando addosso tutto l'amore che le persone intorno ad Harry provavano, ed era talmente tanto che non poteva sopportarlo, non ne era in grado.
Quando piantò nuovamente gli occhi su Anne, la vide sorridere leggermente sebbene le sopracciglia fossero abbassate.
Vide delle piccole rughe intorno alle labbra e accanto al verde dei suoi occhi. Non ci badò più di tanto, disse la prima cosa che gli venne in mente, una frase dettata dal momento e che non si sarebbe mai aspettato di porre, non almeno riferendosi a quella donna che lo aveva abbandonato da quando il padre aveva usato violenza su di lei.
"Perché lei non mi ama come fai tu?"
La sua vera mamma non gli voleva abbastanza bene da stargli accanto. Doveva essere lei la più forte e aiutare il figlio a crescere, magari allontanando Jeremy prima che la situazione potesse degenerare. Ma non lo aveva fatto. Era stata egoista, pensando alla propria salvezza piuttosto che a quella del figlio, quando Harry era stata l'unica persona di cui si sarebbe dovuta importare qualcosa e tenere al sicuro.
Anne abbassò di poco la testa. "Lei, chi? Tamara?"
No, quella donna che gli era accanto non avrebbe mai potuto capire la sofferenza di Harry nel rendersi conto di tutto quello di cui aveva sentito la mancanza senza mai pensarci più di tanto. Avrebbe tanto voluto una mamma che lo amasse più di ogni altra cosa, ma forse era nato nel mondo sbagliato. Si sporse su Anne e le cinse le spalle con le proprie, tirandola a sè e sentendo il suo profumo delicato. La donna sollevò le mani sulla schiena del figlio, chiudendo gli occhi e nascondendo la testa nell'incavo del collo.
"Sì" mentì Harry. "Mi riferivo a lei."
"Nessuno ti amerà mai come ti amo io, sappilo. L'amore di una mamma è la forza più potente al mondo."
Harry annuì contro la guancia, chiudendo a sua volta gli occhi e inebriandosi del suo profumo che avrebbe fatto di tutto per non dimenticare. Se non ci fossero state altre dimostrazioni di affetto tra loro, avrebbe voluto ricordarsele così. Stringendo Anne tra le braccia, immaginò la sua mamma che finalmente usciva dalla sua stanza e si fiondava tra le braccia del figlio, stringendolo con una forza tale da poterlo spezzare in due. Strinse gli occhi, e immaginò quella scena che, sicuramente, non sarebbe mai avvenuta.
Quando Anne si staccò, gli lasciò un bacio sulla fronte, distendendo le sopracciglia corrugate del ragazzo. "Adesso andiamo a cenare, ok?" gli disse sorridendo.
Harry annuì e si alzò.
"E poi medichiamo quelle ferite."
"Meglio di no."
"Harry.." la madre lo guardò, mentre si appoggiava al corrimano per scendere le scale. Il riccio lanciò solo una rapida occhiata allo studio di Anne dalla porta aperta, con alcuni giornali sparsi sulla scrivania. Poi alzò gli occhi al cielo, lasciando che sul suo volte ci fosse almeno l'ombra di un sorriso. "Okay, va bene" acconsentì, e seguì la donna fino in cucina, dove Jamie stava finendo di mettere la cena nei piatti.


"Ecco qua." Tamara si portó le mani ai fianchi, guardando finalmente la sua nuova casa dall'atrio liberato dai cartoni colmi di spazzatura. Harry era rimasto con lei tutto il pomeriggio, aiutandola a sistemare per consentirle di vivere meglio in quell'abitazione fino a poco prima degradante. In quel momento era sostanzialmente più vivibile. Il cielo ormai si era scurito, sebbene le nuvole coprissero la coltre scura e non permettessero alle stelle di farsi vedere. Harry tornò in casa dopo aver gettato l'ennesimo scatolone, lasciandosi cadere a peso morto sul divano ripulito dal lenzuolo bianco. Appoggió la testa sul divano imbottito e sollevò lo sguardo sulle pareti che avevano dipinto quel pomeriggio. Ovviamente gli saltò agli occhi quella su cui si distinguevano benissimo le impronte delle loro mani, e le loro figure puntinate sulla parete. Sorrise fugacemente mentre Tamara finiva di passare uno strofinaccio sul mobile nell'ingresso.
Harry chiuse gli occhi, e pensò. Lasciò che la mente, dopo una lunga giornata, si librasse e si concentrasse anche sulle piccole cose.
La prima cosa a cui pensò fu la sua ragazza.
Gli mancava come se non avesse con sè una parte importante del suo corpo. Sebbene Tamara gliela ricordasse -soprattutto quando non era truccata-, non era lei. Non aveva più il suo profumo sulle labbra, i sorrisi che gli riservava quando stavano semplicemente insieme, sia che stessero studiando, sia che stessero vedendo un film nell'imponente salone. Gli mancava la sua famiglia. Erano passati sei giorni da quando era stato sottratto al suo mondo senza una ragione apparente, e non aveva visto niente di lontanamente simile ai suoi genitori. Lì c'era un padre ubriaco di cui non si avevano notizie, una donna che non dava segni di vita e una casa abbandonata a se stessa, senza che nessuno si fosse preso la briga di rimetterla in sesto. Harry non vedeva l'ora di andarsene, lasciarsi quella storia alle spalle e lasciare quella Londra a cui non apparteneva. Desiderava tornare ardentemente nel suo mondo, ma non c'era niente che gli venisse in mente. La cosa peggiore era che, tra tutte le cose che gli erano capitate in quella settimana, non aveva pensato poi molto a come poter tornare a casa, e quella strafottenza improvvisa lo spaventò. Era sempre stato un ragazzo debole e attento ad ogni minimo particolare. Voleva che fosse tutto in ordine e che tenesse tutto sotto controllo. Tutte quelle qualità con cui si distingueva dagli altri ragazzi che aveva conosciuto sembravano averlo abbandonato, lasciandolo avvolto in una corazza contro quella realtà dura e difficile da affrontare. Gli mancava tutto della sua vita, e nonostante non vedesse l'ora di tornare indietro - sempre se ci fosse riuscito - non voleva abbandonare Tamara.
Quella ragazza che stava riscoprendo se stessa e che aveva iniziato a guardare il mondo diversamente. Harry scommetteva che lei non avesse mai lontanamente pensato di aggiustarsi casa, eppure le aveva insegnato a fare le minime cose a cui Tamara non si era mai applicata. Se solo avesse potuto portarla con sé nel suo mondo, le avrebbe fatto vedere che la sua vita sarebbe potuta essere diversa se solo si fosse impegnata un po' di più in tutto quello che la circondava, ma non poteva, era impossibile. Si augurava almeno che la sua strada sarebbe stata sempre in salita, che non perdesse più quel sorriso e che potesse godersi la vita nel senso migliore del termine, smettendo di finire dentro giri di persone particolari che non avrebbero fatto altro che farla precipitare nuovamente. Tamara si sedette accanto a lui, massaggiandosi piano il collo con le dita. Harry sollevò la testa di scatto, tirando leggermente su con il naso.
"Devi riposare, adesso, sei stata troppo in piedi."
"È okay" gli rispose lei, sorridendogli. Poi la sua espressione mutò nell'arco di qualche secondo, continuando a tenere gli occhi puntati sul riccio che le era di fronte. "Harry.." sussurró, abbassando i due lati della labbra. Socchiuse leggermente gli occhi, aggrottando di poco le sopracciglia.
Il riccio si girò sul fianco, appoggiando il
mento sulla mano sollevata allo schienale del divano. "Che c'é che non va?" domandó, piegando la testa di lato.
Tamara staccò le sue mani dal collo e se le portò in grembo, iniziando a giocare con le dita. Abbassò il capo. Harry con un dito le fece sollevare nuovamente la testa e puntò i suoi occhi smeraldini in quelli scuri di lei.
"Parlami."
"Mi manca" rispose prima ancora che Harry chiudesse le sue labbra rosee e delicate. "Odio dirlo perché non voglio sembrare una bambina alle prese con la sua prima cotta, ma-"
"Va tutto bene" disse Harry, staccando la mano dal suo mento. "Mi hai sentito parlare tanto di persone che non conosci negli ultimi sei giorni, è okay se, finalmente, ti sfoghi un po'."
Tamara annuì, guardandosi le unghie prive di smalto. "Mi manca tantissimo Harry, in una maniera che non credevo fosse possibile. Ho sempre criticato quel tipo di coppia, credendo fossero mielensi, il problema era che non avevo mai provato una tale distanza da qualcuno. È brutto dire se mi manca più dei miei stessi genitori?"
Harry sorrise leggermente, stringendo le labbra. Non disse apertamente ciò che pensava al riguardo, le fece un segno galante con la mano e la invitò a proseguire. "Il fatto è che lui è e sarà l'unica famiglia decente che avrò in questa mia vita problematica, e non sopporto questa lontananza. Le sue battute a sfondo sessuale, il suo egocentrismo e la sua maleducazione mi hanno accompagnato per così tanto tempo che, senza di esse, mi sembra di essere sola. Con lui, se n'é andata una parte di me, e non vedo l'ora che ritorni. Anche se - devo ammetterlo - tu mi mancherai tantissimo, secchioncello" terminò, scompigliandogli affettuosamente i capelli.
"Pure le tue battutine senza senso mi mancheranno, in un certo modo" le rispose lui a tono, poi all'improvviso il loro discorso venne interrotto bruscamente da un bussare martellante alla porta di ingresso. I due ragazzi si guardarono, poi Tamara si alzó in piedi e bloccò sul nascere il movimento di Harry. "É casa mia, vado io" disse, e si avviò verso l'ingresso. Non badó a controllare nello spioncino, abbassò direttamente la maniglia tirando la porta a sè. Queste venne spinta con violenza dall'altro lato e un Liam furente si gettò a capofitto su Tamara, spingendola e facendola cadere per terra. Si piegò su di lei, afferrandole il colletto della maglietta e strattonandola. "Dove sono i miei fottuti soldi, stronza" le sputò in faccia, poi prima che potesse dire o fare altro Harry circondó il polso di Liam e lo staccó con forza dalla maglietta della ragazza, spingendolo all'indietro e aiutando Tamara a rimettersi in piedi, mentre si massaggiava il punto colpito con gli occhi sbarrati. Si era completamente dimenticata di tutto.
"Non azzardarti a toccarla mai più" disse Harry a denti stretti, dopodiché ricevette una strattone da parte dell'altro ragazzo che aveva gli occhi rossi e gonfi, i denti digrigati e la fronte aggrottata.
"Mi servono i soldi" urlò, poi sferrò un pugno all'altezza dello stomaco. Harry si accasciò, tenendosi l'addome con le braccia piegate mentre Tamara gli si avvicinava. Il riccio però le intimò di stare lontano, magari salendo al piano di sopra, ma il minimo che la ragazza fece fu quello di addossarsi alla parete.
Harry soffocó un gemito strozzato, poi si alzò piano in piedi e senza che Liam fosse pronto a bloccarlo, gli colpì la mascella con le sue nocche già ammaccate a causa dei colpi inferti a Jeremy qualche giorno prima. Liam giró la testa di lato e si infuriò di più, scaraventandosi addosso ad Harry e cadendogli addosso, per terra. Il riccio cercò di scansare la testa per ripararla dai pugni che Liam lanciava, poi sollevò il ginocchio, colpendolo alle palle. Liam si accasciò, tenendosi le parti intime strette in mano e rotolando sul pavimento. Harry si rimise in piedi e solo in quel momento si rese conto di Tamara che continuava a gridare loro di smetterla, con le mani intorno al collo e la pelle del viso arrossata. Harry si girò verso di lei, poi di nuovo su Liam che si stava rimettendo in piedi affannato. Prima che potessero ricominciare, il riccio si staccó con un gesto fulmineo l'orologio che aveva al polso e glielo spinse contro il petto muscoloso. "Adesso sparisci, e non ti azzardare ad avvicinarti mai più a lei, Liam."
Il ragazzo spinse Harry, prendendosi in mano l'orologio ed esaminandolo, con un rivolo di sangue che gli colava lungo il mento. Alzò lo sguardo infuocato sul riccio, lasciando implicita la domanda a cui Harry rispose subito.
"Ha forse un valore più alto di quello dei soldi che le hai dato."
Detto ciò, Liam iniziò ad indietreggiare con l'orologio ben stretto in mano. Quando oltrepassò la porta, si girò e corse via, mentre Tamara si avventava su di Harry prendendogli il viso tra le mani. Aveva gli occhi lucidi. "Stai bene?" domandò. Poi lo strinse a sè, appoggiando la testa sul petto scosso da respiri profondi. "Grazie, Harry" sussurrò. "Senza di te-"
"Liam non avrebbe avuto un orologio nuovo" scherzò lui, poi le accarezzò i capelli. "Era il minimo che potessi fare, non aveva alcun diritto di toccarti, quel drogato di merda" disse, senza curarsi del francesismo che non era per niente abituato ad usare.
Tamara strinse le labbra. "Te ne comprerò uno, giuro" tentó di dire, ma Harry la interruppe.
"Ne ho a bizzeffe, guai a te se fai una cosa del genere."
"Ma-"
"Zitta." E le lasció un rapido bacio sulla fronte accalorata, mentre l'adrenalina abbandonava piano il suo corpo e gli faceva sentire le mani indolenzite. "Sdebitati" inizió, una volta staccatosi da lei, "aiutandomi a sistemare queste mani doloranti, magari" disse guardandosele, e Tamara si morse il labbro inferiore, facendolo andare al piano di sopra.

Harry non aveva mai preso parte ad una rissa - a parte quella che aveva avuto con il padre - e quell'essere impulsivo era una condizione che non gli si addiceva. Non era abituato a fare del male, sebbene ne ricevesse in continuazione. I soliti giochetti di Louis e Zayn nel suo mondo, pensandoci dopo aver passato una settimana in quel mondo totalmente opposto, erano scherzi che campavano in aria, senza alcun fondamento di base su cui si reggessero. Harry era la loro mira preferita solo perché non si era mai degnato di risponderli a tono, ma dopo aver preso parte a delle risse, il riccio si sentiva più forte e intransingente su molte questioni. Non avrebbe per niente al mondo lasciato che quei due se la prendessero con lui, non dopo che aveva imparato a difendere e a difendersi.
Dopo cena - un misero panino con il bacon, l'unica cosa che Tamara aveva nel mobiletto appeso sopra il piano cottura - Harry uscì di casa, intimando alla ragazza di non aprire la porta a nessuno, neanche fosse una bambina. Liam era in condizioni disastrose quando era corso in casa sua, disperato e bisognoso dei soldi per comprarsi la roba, non poteva permettere che ritornasse a casa di Tamara, specialmente quando era sola.
Quando fu in mezzo alla strada, non era molto tardi, eppure il silenzio regnava nelle vie buie del quartiere, i passi che cigolavano sui marciapiedi colmi di pozzanghere per la pioggia caduta durante quel pomeriggio. L'aria si era rinfrescata e i brividi sulle braccia ne erano una prova. Harry infilò le mani nelle tasche dei jeans e chinò il capo, camminando contro vento. La villa degli Styles non era troppo lontana, eppure nonostante il freddo, non voleva tornarci.
Aveva paura di quell'ambiente, come se fosse una casa fantasma in cui, solo entrandoci, saresti stato perseguitato a vita. Scosse quel pensiero dalla testa, spingendo il cancello arrugginito verso l'interno. Il viottolo di brecciolina era infangato, con le erbe secche a perimetrarlo e le pietre che, da bianche, erano di una strana tonalità ocra. La porta di casa era socchiusa, così la spinse piano con il piede, producendo un sibilo agghiacciante. Non appena fu dentro, sentì una pentola cadere rovinosamente per terra e dei passi che si affrettavano. Harry si appiattì contro il muro terrorizzato, poi sollevò la testa sulla cima delle scale e scorse dei lunghi capelli neri muoversi rapidi per non essere visti. Il ragazzo si staccò dalla parete sebbene il sangue gli si fosse congelato nelle vene, peró quei capelli potevano appartenere solo ad una persona.
"Mamma!" urlò, e corse immediatamente al piano di sopra, cercando di salire i gradini quanto più velocemente possibile. I passi al piano di sopra erano concitati come se la donna stesse scappando da qualcosa, ed Harry accelerò. Non poteva perderla. Aveva paura che non fosse lei, ma chi altro sarebbe entrato in quella casa? Nemmeno dei ladri si sarebbero azzardati a rubare qualcosa lì dentro, nè tantomeno avrebbe potuto ricevere visite perché non c'erano parenti nelle vicinanze. Harry sentì il cuore scoppiargli in petto mentre si manteneva al corrimano per salire rapido le scale senza inciampare. Quando salì al piano di sopra, notò lo studio vuoto del padre e poi la porta della stanza della sua mamma che si richiudeva con potenza alle spalle della donna, ancora prima che Harry potesse scorgere i contorni del suo fisico. Il riccio arrivò alla porta dietro cui Anne sostava, e appoggiò una mano sul legno stinto e invecchiato. "Ti prego, mamma" disse a voce bassa. Ma ovviamente non ricevette risposta. Neanche un singolo rumore dall'altra parte. "Ho bisogno di te."
Anne ignorava tutto, chiusa nella paura e nella disperazione, non si degnava di aprire la porta al figlio che aveva abbandonato egoisticamente.
Harry strinse i denti e quando si andò a rifugiare in camera sua, in quella stanza completamente sotto sopra con i vestiti sparsi per terra, pensò al fatto che Anne uscisse dalla sua stanza, ogni tanto. Quando in casa non c'era nessuno, quella donna si concedeva di uscire solo prima che i due uomini che erano stati parte della sua vita ritornassero. Fece per guardare l'orario al polso, ma vedendolo nudo, strinse le labbra. Non sapeva che ora fossero, però di una cosa era certo. A quell'ora, forse un po' prima, Anne usciva dalla sua stanza per cibarsi o fare altro. Non era davvero rimasta chiusa nella stanza dopo tutto quel tempo, come Tamara le aveva raccontato. Harry aveva avuto fin da subito dei dubbi su quella storia, ma non aveva mai pensato di esternarli. Era impossibile che una donna si fosse chiusa nel suo studio per tanti anni, senza uscire nemmeno una volta. Era praticamente una cosa inumana e impossibile da avversarsi. Prima o poi, lei e il suo unico figlio avrebbero dovuto rincontrarsi, assolutamente. La sua versione cattiva odiava tantissimo Anne, e dopo aver avuto quella specie di visione all'ospedale, Harry un po' riusciva a capirlo. Però era seriamente arrivato il momento di cambiare le carte in tavola, la mamma e il suo unico figlio avrebbero dovuto rivedersi e vincere quella paura e quell'odio che albergavano dentro di loro.
Scansò i vestiti, accumulandoli nell'angolo vicino all'armadio, poi si infilò nel letto dopo aver chiuso la porta a chiave. La finestra era chiusa, ma le persiane erano sollevate, così Harry, prima che il sonno giungesse, si soffermò a contare le stesse, perdendosi nei suoi pensieri e nelle sue stesse osservazioni.


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