Problems
"Uno, due, tre" Tamara scandiva i sollevamenti di Harry, una barretta di cereali in bocca mentre quel martedì mattina si colorava con i colori del sole che si alzava sempre più nel cielo primaverile. Harry indurì la mascella, avvolgendo le dita intorno all'asta di metallo e aggrottando le sopracciglia nello sforzo di solleverla, con i pesi ai due poli opposti che si muovevano per il tremolio delle braccia del ragazzo. "Quattro, cinque, sei" continuò Tamara mordendo l'ultimo pezzo della barrette e strofinandosi le mani tra loro per rimuovere le briciole. Harry le aveva detto chiaramente di non dover andare a scuola quella mattina: primo, perché avrebbe preferito mettere su un po' di massa muscolare, e secondo, perché comunque, anche se fosse andato, non sarebbe cambiato niente. La sua assenza non avrebbe influito sulla condotta di Harry, il quale invece - sperava - andasse a scuola con Tamara per non fargli rovinare la reputazione da bravo ragazzo. Chissá se avesse combinato qualcosa di strano, si ritrovò a pensare Harry mentre sollevava per la decima volta i cinquanta chili che Tamara aveva fatto aumentare. Aveva il petto sudato e le braccia tremanti. Riposizionò l'asse sul sostegno e si tirò sugli addominali, mettendosi seduto e tirando gli arti per sgranchirsi. Si asciugò la fronte con uno scatto del braccio, spostando i capelli umidi. Tamara recuperò il suo asciugamano dall'aggancio sul muro e glielo lanciò. Harry lo prese subito ed iniziò a tamponarsi il viso e il petto.
"Dài, almeno ho allungato il margine di resistenza" disse, guardando la ragazza con i suoi occhi verdi luminosi. Tamara sollevò le spalle, controllando l'orario sull'orologio che Harry aveva lasciato sullo scaffale.
"Sono appena le dieci e mezzo, e prima di andare alla ferramenta, devi fare venti piegamenti e venti addominali. Poi un po' di step libero" terminò, recuperando poi dall'angolo una pedana azzurra. Chissà Harry da dove avesse preso tutta quella roba. Il riccio scosse la testa, non volendoci pensare più di tanto, sperando solo che le sue azioni non lo facessero andare nuovamente dietro le sbarre. Era una situazione che avrebbe volentieri voluto evitare. Sbuffò rumorosamente, storcendo la bocca, poi stese per terra un tappettino in gomma per potersi stendere sopra. Mentre si metteva in posizione per fare gli addominali, guardò con la coda dell'occhio Tamara che prendeva da un angolo una palla di basket, iniziando a palleggiarla per terra, iniziando a camminare e fingendo una partita. Era agile e scattante, i muscoli delle braccia guizzavano quando giocava con la palla in mezzo alle gambe, prima di vederla saltare, facendo un canestro preciso. Harry sollevò le sopracciglia ripetutamente. "Non credevo giocassi a basket."
"Ho lasciato la squadra un anno fa. Non era più il mio hoppy. Mi stressavano talmente tanto da rendermelo un peso che, prontamente, ho deciso di abbandonare" raccontò, saltando e facendo un altro canestro in un una rete appesa malamente al muro opposto. Harry si stese, incrociando le braccia sotto alla testa e iniziando a sollevarsi sugli addominali.
"Interessante" disse a denti stretti. Tamara iniziò a palleggiare nuovamente per terra, facendo riecheggiare il rumore dell'impatto per tutta la grandezza del garage in cui si erano rifugiati quella mattina. "La mia Tamara" iniziò Harry, mentre teneva a mente il numero degli addominali, "ha fatto danza classica per sette anni, poi ha mollato a causa della scuola e i vari impegni legati ad essa."
Tamara rise. "Figurati se non avesse fatto uno sport da fanciulla perfetta."
"Non tutti sono maschiacci come te" scherzò Harry sollevandosi ancora una volta. Quindici, sedici, diciassette...
Poi sentì la palla rimbalzare a qualche centimetro dalla sua testa ed Harry si sollevò., scostandosi dal tappettino. Vide Tamara con la palla in mano sorridergli beffarda.
"Tu sei pazza" ammise, sollevando un angolo delle labbra e spostando il ciuffo che gli era caduto sugli occhi verdi.
"Muoviti, pirla, dobbiamo andare alla ferramenta" cantilenò lanciando la palla da ferma e facendo un altro canestro.
"Non riuscirete mai a dipingere decentemente senza il pennello adatto." L'uomo dietro il bancone era alto e muscoloso, come se fosse appena uscito da una palestra. Aveva i capelli biondi tirati sulla fronte, la pelle leggermente abbronzata e gli occhi marroni che guizzavano da Harry a Tamara, leggermente socchiusi.
La ragazza tamburellò le dita laccate di nero sul coperchio in latta del contenitore della vernice, alzando un angolo delle labbra. Harry spostò lo sguardo dall'uomo muscoloso a Tamara che lo guardava anche con un sopracciglio sollevato. Notò uno scatolone aperto contro il bancone, dei pennelli che fuoriuscivano da esso e il nastro adesivo strappato. Harry allungò l'occhiata in quella direzione, poi ingoiò a vuoto, spostando i suoi occhi verdi sull'uomo biondo che in quel momento lo stava guardando insistentemente. Harry prese la mano di Tamara, sperando che gli andasse in aiuto. La ragazza aggrottò leggermente le sopracciglia, socchiudendo gli occhi e schiudendo la bocca come a voler dire qualcosa. Poi portò l'altra mano alla tasca posteriore del pantaloncino, tirando fuori qualche banconota che aveva trovato nei cassetti - ormai svuotati di tutto - dei genitori. Sempre guardando Harry, stese la mano verso l'uomo biondo. "Va bene solo la vernice, ce la caveremo" disse poi, spostando lo sguardo sul ragazzo abbronzato che prese le banconote. Aveva un atteggiamento abbastaza strafottente, annoiato e svogliato di tutto, per cui la guardò con occhi spenti.
"Come volete" disse, scuotendo le spalle e girandosi di schiena per andare a prendere il resto.
Harry alzò subito lo sguardo sugli angoli della stanza, controllando se ci fossero telecamere nei paraggi, poi si abbassò immediatamente, gattonando fino alla scatolo.
In tutta la sua vita, non si sarebbe mai aspettato di poter, un giorno, arrivare a rubare qualcosa, ma in quel mondo non doveva tener conto di nessuno, quella non era la sua vita. Se non si fosse spinto oltre in quei momenti, non avrebbe mai più potuto provare una tale esperienza. Si affrettò verso lo scatolone aperto, sentendo il cuore battere a mille nella sua gabbia toracica e le mani leggermente animate da un tremolio dovuto all'ansia. Scostò i pennelli più piccoli, cercando di fare il minor rumore possibile, fin quando non trovò due pennelli dalle setole grandi e spesse, molto utili.
Sbirciò il prezzo e costavano troppo, i soldi di Tamara non sarebbero bastati, così - spinto dal momento, più che da un sentimento razionale - ne afferrò due dai manici e se li infilò sotto la maglietta, alzandosi in piedi ed uscendo dalla ferramenta, con gli occhi stretti e la paura di essere scoperto ad attanagliargli l'animo. Si portò una mano alla pancia per evitare che cadessero, mentre con l'altra si portò la mano all'orecchio.
Tamara lo seguì con la coda dell'occhio, notandolo attraversare la strada e infilarsi in una via parallela. Strinse le labbra per reprimere un sorriso, facendo morire la risata in bocca quando il tipo muscoloso tornò indietro con un mucchio di monetine. "Mi dispiace" disse, controllando che fossero giuste, "ma non sono riuscito a trovare il resto in contanti, ho carenza di banconote."
Tamara vide il mucchietto nella sua mano, storcendo il naso. Sembrava avesse svaligiato una chiesa dai contenitori per le offerte dei fedeli. Finse un sorriso, prendendo le monete una alla volta. "Grazie, non fa niente" disse. Se le infilò in tasca, mentre il ragazzo biondo metteva il barattolo di vernice in una busta di platica.
"E il tuo fidanzato? Che fine ha fatto?" chiese circospetto, guardandosi attorno. Tamara prese la busta di plastica, scuotendo le spalle, indifferente. "E' uscito a fare una telefonata" mentì, "buona giornata" salutò, uscendo finalmente dalla ferramenta. Tamara controllò che per strada non attraversasse nessuno, così la superò con passo affrettato, immettendosi nella stessa via in cui Harry si era nascosto.
Lo trovò con la schiena attaccata alla parete del palazzo, la testa circondata dalle braccia incrociate e gli occhi spalancati.
"Ho rubato" sussurrò, mentre Tamara gli si avvicinava, tranquilla.
"Ho rubato" ripetè Harry con gli occhi inchiodati a terra. "Non ci posso credere."
Tamara lasciò la busta di plastica per terra, accanto ai pennelli che Harry aveva allontanato da sè.
Gli si mise di fronte, appoggiandogli le mani su entrambe le spalle. "Come ti senti?" chiese, circospetta e con sguardo indagatore.
Harry staccò le mani dalla sua testa, lasciandosele cadere lungo i fianchi. Aveva le labbra strette tra loro, poi puntò gli occhi verdi in quelli scuri di Tamara.
"E' sbagliato dire che mi sento come se volessi rifarlo?"
La ragazza scoppiò a ridere, circondandogli il corpo con le braccia magre e stringendolo a sè. "Non posso crederci, sembra che tu stia diventando Harry a tutti gli effetti!" disse esterrefatta.
Harry si staccò da lei, guardandola dall'alto. "E perché mi sembra assurdamente sbagliato e un tantino giusto allo stesso tempo?"
Tamara aveva un sorriso ad incorniciarle il volto truccato. Si toccò una sola volta il piercing al naso, storcendolo. "Così come tu stai mettendo un po' di bontà in me" iniziò, sottolineando la parola "bontà" come se fosse stata appena enunciata come eresia, "così io sto mettendo un po' di adrenalina in te. Ti sto facendo fare nuove esperienze."
Harry la guardò, annuendo piano. "Non voglio però essere qualcuno che non sono."
"Finchè sei qui" disse lei, dandogli un buffetto sulla guancia e facendogli chudere un occhio, "puoi fare quello che vuoi. Solo quando tornerai a casa, sceglierai di continuare ad essere chi vuoi. Per ora, goditi questo scambio, o cambiamento, chiamalo come vuoi."
Harry le sorrise, lasciandole poi un bacio sulla fronte. "Hai ragione. In fondo, non ho ucciso nessuno, no?" disse, piegandosi per mettere i pennelli dalle setole spesse nella stessa busta in plastica.
Tamara lo vide, poi, prenderla in mano e avviarsi lungo la via, mettendosi dietro di lui e scuotendo le spalle. "No, però hai infranto uno dei Dieci Comandamenti."
Harry si girò, portandosi una mano al cuore sbiancando. "Oddio, come ho potuto!"
"Tranquillo." Tamara gli si mise accanto, stringendosi all'altro braccio. "Se quello che mi hai detto è vero, sulla tua partecipazione alla vita ecclesiastica della tua Londra con la mia contro figura noiosa-"
"Ehi!"
"Di certo lassù sapranno che sei un bravo ragazzo, in fondo."
Harry abbassò il capo, controllando l'orario sul suo orologio, scuotendo la testa. "Speriamo."
"Ma sì, solo io ed Harry potremmo essere condannati."
Il riccio si girò, scuotendo nuovamente la testa, negativamente. "No, perché anche voi siete delle brave persone, Tam. Solo che siete orgogliosi per ammetterlo a voi stessi, e vi lasciate sopraffare dagli altri."
Tamara alzò gli occhi al cielo. "Non sono in vena di fare questi discorsi sulla nostra morale, per cui sbrighiamoci a tornare a casa mia per rimediare quello schifo di pareti che mi ritrovo" disse, scansando l'argomento. Harry abbozzò un sorriso che Tamara, comunque, non ignorò, sebbene fosse d'accordo con lui.
All'improvviso, però, una figura li si avvicinò, giungendo rapidamente dal verso opposto, con le mani infilate nelle tasche del pantalone stracciato e la barba incolta, i capelli lucidi e gli occhi puntati su di loro, degli occhi talmente familiari che fecero bloccare Harry sul posto, con le mani improvvisamente gelide e il respiro corto.
Jeremy Styles camminava spedito verso di lui, con un ghigno che la barba lasciava intravedere. "Ma guarda un po'" disse con voce strascicata e rauca. Tamara serrò la mascella, abbassando poi la mano sul braccio di Harry, per potergli poi stringere forte la mano, incrociando le dita con le sue. "Il figlio di puttana che fa compere con quest'altra sgualdrina."
"Non ti permettere-" iniziò Tamara, ma Jeremy si avvicinò ad Harry, stringendogli il colletto della maglietta. La ragazza sciolse la presa dalla mano del riccio, fiondandosi sulla schiena dell'uomo e tempestandola di pugni. "Molla la presa, mollala!"
Harry lasciò cadere la busta di plastica a terra, portando le sue mani su quelle del padre e cercando di fargli allentare la presa, con l'alito dell'uomo a solleticargli la fronte. Puzzava di alcol, ovviamente.
Jeremy lasciò la presa con solo una mano, mentre con l'altra si girò, colpendo Tamara con una gomitata. La ragazza si portò le mani alla bocca, cadendo all'indietro e colpendo la testa contro l'asfalto della strada, lasciando che le sue labbra sporche di sangue lasciassero uscire un gemito appena udibile.
Harry spalancò la bocca e sgranò gli occhi, serrando poi la mascella e puntando i suoi occhi verdi in quelli dell'uomo che sorrideva sadico, portando l'altra mano al colletto di Harry ed iniziando a scuoterlo. "Non parli, allora, eh? Ti fai tanto il duro, ma sei solo una fottuta formica per me."
Il riccio sentì una forza attraversargli le braccia, le mani formicolare. Non poteva resistere. Quell'uomo non era suo padre, non aveva niente a che vedere con l'uomo che lo aveva fatto crescere e che gli voleva bene. Quello davanti a lui era solo un mostro. Gli mise le mani al petto e lo spinse con violenza indietro, lasciandogli andare la presa sul colletto della maglietta. Jeremy fece un passo avanti, minaccioso, ma Harry gli si avventò addosso e lo colpì alla mascella, sentendo le nocche indolenzite e la mano improvvisamente serrarsi ancora di più su se stessa.
Jeremy si toccò il punto colpito, poi si fiondò su Harry con le mani davanti al viso, pronto a metterle intorno alla sua gola. Ma il riccio lo colpì nuovamente, lasciando altri pugni percuotergli il viso e il petto. Quando Jeremy gli mollò un pugno sulla guancia, Harry sentì la testa girare. Vide Tamara a terra con gli occhi chiusi, e si riscosse, correndo contro il padre e spingendolo, facendolo cadere per terra.
Lo vide imprecare fortemente, poi Harry sentì altri passi giungere dalla via, passi sempre più vicini, fin quando degli uomini circondarono Jeremy, ignorando volontariamente il figlio. Harry si riscosse dal giramento di testa, prendendo la busta e legandola alla cintura del pantalone, buttandosi poi accanto a Tamara e prendendola tra le braccia. "Tam, Tam!" urlò, mentre gli uomini prendevano Jeremy imprecante, e lo portavano via. Harry aveva l'adrenalina a scuotergli le braccia, ma i suoi occhi erano tutti per la ragazza che giaceva inerme tra le sue braccia, con la bocca sporca di sangue e un taglio profondo all'angolo delle labbra. Harry sentì gli occhi inumidirsi, mentre con la mano teneva la testa della ragazza.
"Ti prego, Tam, svegliati!" urlò, con il labbro inferiore stretto tra i denti. Sentiva le mani e la guancia fargli male, ma accantonò il dolore mentre si rimetteva in piedi con la ragazza stretta al petto. Iniziò a camminare quanto più velocemente fosse in grado di fare, avanzando lungo la via, diretto a casa di Tamara.
"Ti prego, reagisci!" continuava ad urlarle contro, smuovendo piano la sua testa che, prontamente, ritornava immobile attaccata al suo petto. Iniziò a muoversi più rapidamente, non poteva badare al dolore o alla stanchezza, Tamara era la sua priorità. Ad un certo punto, le labbra insanguinate della ragazza lasciarono uscire un sospiro appena udibile, ed Harry, continuando a correre, avvicinò la testa al suo petto, sentendo il cuore battere. "Aiuto, aiuto!" urlò per strada, con la gente che si girava nella loro direzione con le bocche spalancate.
All'improvviso solo un uomo si mise a correre accanto ad Harry, accostandolo e appoggiandogli una mano sulla spalla, continuando entrambi a muoversi insieme.
L'uomo si offrì di aiutarlo ed Harry sentì solo una lacrima solcargli la guancia. "Mi aiuti" disse, disperato.
L'uomo portò una mano al collo di Tamara, avvicinando l'orecchio alle sua labbra. "Sono un medico."
Harry si fermò, inginocchiandosi per strada e tenendo ancora Tamara stretta a sè, non volendola abbandonare nemmeno un attimo. Aveva ancora la busta attaccata ai pantaloni, con la mano accarezzava la fronte della ragazza, scostandole i capelli.
L'uomo si inginocchiò a sua volta, tirando fuori dalla tasca un telefono. Compose un numero e se lo portò all'orecchio. "Cosa è successo?" chiese nel frattempo.
Harry si morse il labbro. "Lei...è stata spinta..è caduta" ma non riuscì a dire altro perché le parole gli morirono in gola.
L'uomo annuì e parlò al telefono, dando indicazioni.
Harry si avvicinò ulteriormente il corpo di Tamara, lasciandole un tenero bacio sulla fronte, e accarezzandole una guancia. L'ambulanza arrivò dopo un tempo interminabile, poi Tamara venne staccata da Harry per essere posta su una barella.
Un paramedico l'attaccò ai macchinari sul retro dell'autoveicolo, guardando Harry. "Lei è un parente?" chiese, mentre metteva una mascherina sul volto della ragazza.
Harry semplicemente annuì, mentre veniva accompagnato dall'uomo sul mezzo ed entrava, sedendosi accanto a Tamara e prendendole una mano.
"Andrà tutto bene" disse il medico, scendendo e mettendosi alla guida dell'ambulanza, poi le porte sul retro vennero chiuse e il mezzo partì alla volta dell'ospedale, con Harry che non abbandonò nemmeno una volta la mano di Tamara.
☯
Harry non riuscì a svegliarsi per la cena, rimase a letto a dormire, non sentendo neppure Anne scuoterlo per farlo scendere. Allora il riccio dormì per tutta la sera e tutta la notte, svegliandosi intorno alle nove del mattino, dopo ben quindici ore di sonno.
Quando aprì gli occhi, la luce del sole che entrava dalle persiane lo colpì violentemente, facendogli strizzare le palpebre e facendolo girare sul fianco, dando la schiena alla finestra. Aveva ancora gli occhi lucidi, le labbra schiuse per poter respirare, in quanto sembrava che gli avessero tolto il naso. Si sentiva ancora la febbre addosso, brividi di freddo lo constringevano a rimanere raggomitolato sotto le coperte, con il plaid tenuto stretto fino al collo. I suoi capelli erano un ammasso di ricci scomposti e incatenati. Quando tossì, fece cadere tutti i fazzoletti che aveva sparso per tutta la coperta, facendoli finire tutti per terra. Erano forse una trentina, il naso quella notte non gli aveva dato pace.
Dopo interminabili minuti di silenzio, sentì la maniglia abbassarsi, e la testa del padre fare capolino dentro la stanza, con i suoi ricci tenuti garbatamente a bada. Aveva i baffetti e un accenno di pizzetto. Harry spostò gli occhi su di lui, non avendo neanche la forza di dire una parola, con la gola chiusa e un bruciore insopportabile.
E meno male che l'aspirina di quella sera avrebbe dovuto farlo stare meglio, pensò sarcasticamente. Tirò su con il naso, irrigidendosi solo un po' nel vedere il padre sorridergli e entrare nella stanza. L'uomo si diresse verso la finestra, aprendola pochissimo per far cambiare l'aria. Aveva un completo marrone elegante a fasciargli il corpo, una camicia bianca e la cravatta nera ben stretta al collo. Se solo si fosse trattato di suo padre, Harry si sarebbe alzato e l'avrebbe strozzato, stringendogliela di più...ma poi rinvenne, scostando dalla sua mente l'immagine dell'uomo che continuava a presentarsi come un suo genitore, concentrandosi su quel Jeremy che gli si stava avvicinando, scansando schifato i fazzoletti sparsi per i mattoni del pavimento.
"Buongiorno, Harry" disse abitudinario, sedendosi vicino al figlio e appoggiandogli il dorso della mano sulla fronte per testare la temperatura. Quando la allontanò, aveva in viso un'espressione contrariata. "Ce l'hai ancora alta, vero?"
Harry chiuse gli occhi un istante, sentendoseli bruciare, con un pizzico alla punta del naso che gli fece fare una smorfia, prima di starnutire, seppellendo la testa sotto alla coperta. "Non ho ancora il termometro incorporato" rispose, con un filo di voce appena udibile.
Jeremy scosse la testa, sorridendo. Gli appoggiò una mano sulla spalla coperta dal plaid. "Tua madre è andata in ufficio, io adesso devo incontrarmi con l'editore per rifinire il romanzo. Ti ha lasciato la cena nel forno a microonde, se hai fame. Jamie dovrebbe arrivare a momenti."
Harry annuì con il capo. Era bello avere tutte quelle certezze, tutte quelle abitudini che entravano a far parte della loro vita, diventando normali. Harry avrebbe anche potuto uniformarsi alle abitudini di quella famiglia, ma l'indomani sarebbe tornato a casa, sperando che la sua copia potesse specchiarsi come aveva calcolato. Avrebbe dovuto dire addio a tutte quelle persone.
"A proposito del romanzo.." iniziò Harry, tossendo. Sibilò un "vaffanculo" che Jeremy non udì. "Scusami se ti ho assillato, l'altro giorno. Non avevo intenzione di saltarti addosso, davvero.."
Jeremy sorrise, dandogli un colpetto sulla spalla. "Figurati. Non fa niente."
"Sei riuscito a far ritornare i ragazzi nel loro mondo?" chiese Harry, iniziando poi a lamentarsi per il fastidio che il raffreddore gli stava procurando, mugulando ogni tre per due come un bambino che non è stato accontentato in qualcosa.
"Certo, sono tornati a casa loro specchiandosi. E' stata un'esperienza formativa per entrambi, spero che poi ti piaccia."
Harry si accucciò sotto le coperte. "Quando lo pubblicherai?"
Jeremy scosse le spalle. "Ancora non l'ho deciso con Katrina, ma mi ha detto che venerdì me ne darà una copia, la prima in assoluto, solo per me."
Harry sorrise, stringendo poi le labbra. Sarebbe stato bello poter leggere un libro che parlasse di lui, almeno non si sarebbe mai scordato di quella strana esperienza e del fatto che fosse stato lui a dare l'idea a Jeremy.
Il padre gli diede un buffetto sulla guancia. "Adesso devo proprio andare, ci vediamo nel pomeriggio, ok?"
Harry annuì, dandogli le spalle e sentendo tutto il corpo indolenzito. Il padre scosse la testa, sorridendo, chiudendosi poi la porta della stanza alle spalle.
Harry ebbe la forza di alzarsi solo intorno all'ora di pranzo, strisciando fuori dal letto come una larva. Non appena si fu messo in piedi, con la coperta tenuta stretta in pugno e un fazzoletto nell'altra mano, sentì il cordless vibrare sul mobile appena fuori la sua stanza. Strascinando i piedi, lo prese e controllò il numero. Se solo avesse avuto il telefono con sè...
Sentì i passi di Jamie salire su per le scale, ma lui cercò di alzare la voce quel tanto da poter farsi sentire dalla donna, mentre il telefono di casa continuava a squillargli in mano. "Rispondo io" disse con voce bassa e rauca. Schiacciò sulla cornetta verde, non riuscendo a dire neanche "Pronto" perché lo invase un colpo di tosse che gli percosse tutti i polmoni e la gola. "Cazzo" sibilò, portandosi la mano con il fazzoletto alla gola.
"Buongiorno anche a te, spero che tu non mi abbia fatto passare i germi attraverso la cornetta" Tamara scoppiò a ridere, ed Harry si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo.
"Ti prego, Tam, chiama il prete, credo di morire. Anzi no, non chiamarlo" si contraddisse, "altrimenti invece di salvarmi, mi maledice."
Sentì la ragazza sbuffare dall'altra parte. "Harry, è solo un raffreddore. Non si muore per queste cose."
"Fa niente."
Ci fu un attimo di silenzio, "Verrei a trovarti, ma-"
"No, vieni, voglio passare le mie ultime ore di vita con te, o meglio, farò finta che tu sia la mia ragazza. Certo, rimpiangerò il fatto di non poter scopare prima che la mia anima voli via-"
"Harry!" urlò la ragazza dall'altra parte. Il riccio sorrise, lasciando che la coperta gli cadesse ai piedi, e si soffiò il naso.
"Oddio, è giallo.." disse controllando il fazzoletto appena usato.
Tamara finse un conato di vomito. "Mi fai ribrezzo."
"Comunque, perché non vieni?" le chiese Harry, appoggiandosi allo stipite della porta. Sul mobile c'era anche il termometro che la madre aveva sicuramente usato per misurargli la febbre che, sperò, in quel momento fosse scesa.
"Perché non voglio ammalarmi."
"Che brutta persona che sei. Scommetto che se fossi stato il tuo Harry, saresti corsa a casa, tempestandomi di baci di guarigione."
"No."
"Vabbè." Harry sentì Jamie urlargli dal piano di sotto. "Adesso devo scendere, quella donna mi sta chiamando e non so perché."
Si sporse verso le scale, per cercare di intravedere la domestica, ma sentì solo la porta d'ingresso chiudersi. Impossibile fosse la madre, sarebbe stato troppo presto. "Credo sia persino venuto qualcuno. Harry ha dei parenti, nei ditorni?"
"No" gli rispose Tamara, "I suoi nonni paterni vivono a Beverly Hills-"
"Giusto per sbattermi in faccia i soldi che hanno."
"Mentre i suoi nonni materni sono momentaneamante in Italia per festeggiare i loro cinquant'anni di matrimonio" terminò la ragazza, ignorando la frase del riccio.
"Okaaaaaaaay" disse Harry, strascicando la fine della parola. "Adesso vado di sotto a vedere chi diamine è arrivato. Ciao, Tam."
"A presto."
Harry pigiò il tasto rosso e recuperò la coperta, scendendo al piano in basso. Quando fu sull'ultimo gradino dell'imponente scalinata, vide un uomo fare capolino dal salone, con una fascia tra i capelli e il borsone in mano. Gli sorrideva radiosamente, con gli occhi aperti e luminosi, come se avesse visto la sua prossima preda.
Jamie si affacciò dalla cucina. "E' arrivato Smith."
"Ciao Harry" salutò l'uomo, appoggiando il borsone per terra e aprendolo. "Oggi faremo la posizione del pesc-"
Harry scese di corsa l'ultimo gradino, scostò la mano del personal trainer e prese le cinghie del borsone. Spalancò la porta d'ingresso, sbattendolo fuori e scagliandolo lontano. Smith si aggiustò la fascia fucsia tra i capelli. "Ma cos-"
"Sparisci da casa mia!" urlò Harry, fulminandolo con lo sguardo. Poi la scena venne rovinata da uno starnuto improvviso che lo paralizzò.
Smith aveva gli occhi sgranati, mentre Harry rialzava la testa, aggiustandosi la coperta sulla spalle. "Harry, ma com-"
Il riccio sbuffò mentre Jamie faceva capolino dalla cucina con la bocca spalancata. Harry lasciò cadere la coperta e si fiondò sull'uomo, stringendogli il braccio e spingendolo fino a quando non riuscì a farlo uscire, con la forza, da casa sua.
"Ho detto-"
"Lei non ha il diritto di trattarmi in questo modo, non sono un suo bamboccio!" urlò l'uomo imputandosi e spalancando le braccia. Harry si appoggiò alla porta di ingresso, con gli occhi arrossati e lucidi e la tosse a contorcergli il petto.
"Se ne vada a fanculo lei e le sue pose di merda!" Dopodiché sbattè la porta in faccia all'uomo. Harry lo controllò, guardando fuori dallo spioncino, e lo vide imprecare, prendere il borsone con tutti gli attrezzi che erano usciti per il lancio e avviarsi lungo il viale di brecciolina, per poi cadere rovinosamente a terra per non aver visto il gradino alla fine. Si rialzò stizzato e sparì dalla visuale.
Harry si girò, scoppiando a ridere, ma poi vide Jamie infuriata e contrariata.
"Le sembra modo, Harry? Trattare così un uomo che si preoccupa della sua salute?"
Il riccio sbuffò, raccogliendo da terra la coperta e avviandosi verso la donna, con i piedi scalzi che lasciavano uno strano rumore a contatto con la pavimentazione.
"Non so se te ne sei resa conto, ma la mia salute è già precaria, non ho bisogno di uomo che mi faccia aumentare lo stress, invece di privarmene come dovrebbe!"
"E' stato maleducato!" urlò la domestica, ma Harry la superò, appoggiandole una mano sulla spalla minuta. La sua carnagione era leggermente olivastra, e gli occhi neri erano stretti su di lui. "Sua madre non ne sarà felice, per niente."
Harry alzò gli occhi al cielo, avviandosi poi verso il microonde e riscaldando il pasto.
"Non morirà, sta' tranquilla."
"Il signor Smith è un uomo per ben-"
"Non me ne fotte niente, è capitato al momento sbagliato nel posto sbagliato. Che andasse a far fare il pesce a qualcun altro, già sguazzo nel moccio."
Jamie strinse le labbra, nascondendo un piccolo sorriso. Harry se ne accorse, e lasciò apparire sulla sua guancia una fossetta, mordendosi poi il piercing.
Tirò fuori il piatto riscaldato e se lo appoggiò davanti al suo posto, sedendosi, mentre la donna gli dava le posate. Harry le sorrise, per poi aggiustarsi la coperta sulle spalle e dirle "Buon appetito" prima di mangiare la minestra.
N/A
Spero stiate passando delle belle (e grasse) feste!
A sabato prossimo! Ah, e buon 2016 :)
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top