Hospital
N/A
A proposito di questo capitolo, volevo dirvi una cosa.
Non me ne intendo per niente di medici e ambiti ospedalieri, per cui quello che leggerete è scritto solo in merito alla mia storia! :)
La barella venne trasportata lungo i corridoi dell'ospedale tristemente dipinto di grigio, come se ogni cosa là dentro avesse perso luminosità e speranza. Harry seguiva l'infermiera che reggeva i due manici e spingeva il lettino velocemente, sfilando davanti numerossisimi pazienti riversi all'interno dell'ospedale, gli occhi spenti e sguardi vacui nel vedere quella scena, la solita scena che si ripresentava ogni giorno, ogni ora della loro vita. Harry aveva il labbro inferiore stretto tra i denti, gli occhi lucidi e il corpo indolenzito, le mani insanguinate e i piedi che si muovevano per restare al passo dell'infermiera e degli altri dottori che correvano per quel corridoio infinito, passando davanti porte chiuse che celavano chissà quale dolore. Ad un certo punto, il dottore chiamò l'ascensore, mentre il paramedico metteva una mascherina sul volto di Tamara che giaceva ancora inerme sul lettino bianco, le palpebre chiuse e le labbra stinte, leggermente schiuse. Il piercing al naso e al sopracciglio riflettevano la luce dei neon scoppiettanti sopra le loro teste.
"Starà bene, vero?" chiese Harry, timoroso, portandosi una mano alla bocca per nascondere la sua voce tremolante. Se le fosse successo qualcosa di grave, non se lo sarebbe mai perdonato....Harry non gliel'avrebbe mai perdonato, per cui al riccio non rimase che attendere e pregare. L'ascensore aprì le sue ante tremolanti e l'infermiera spinse la barella all'interno, lasciando Harry appena fuori. "Non ci entriamo tutti" disse solamente, prima che le porte si richiudessero davanti alla faccia di Harry. Il suo viso venne riflesso nelle due ante appena riunitesi, e ingoiò a vuoto. Aveva due lividi che si stavano facendo sempre più evidenti, uno sulla guancia sinistra e uno intorno all'occhio destro. Il verde dei suoi occhi era velato. Non perse altro tempo, non badò al dolore che stava provando e si avviò su per le scale, salendo immediatamente quanto più in alto possibile. Una donna lo bloccò, chiedendosi dove stesse andando, ma Harry la raggirò e continuò a salire quelle rampe infinite, fin quando non scorse alla sua destra una stanza enorme e Tamara che veniva spostata rapidamente all'interno. Harry si avviò in quella direzione, prendendo a bussare fortemente su quella porta blu, ma tutto ció che ottenne fu l'infermiera che abbandonò la stanza e si richiuse la porta alle spalle, spostando Harry perchè causa di rumore. Il riccio aveva le lacrime che gli scorrevano sulle guance e tirò su con il naso. Quel martedì si era trasformato nella giornata più brutta della sua vita. Aveva picchiato la controfigura pazza del padre o ciò che rimaneva di lui, aveva visto Tamara difenderlo e sbattere violentemente la testa per terra, tutto pur di aiutarlo. Lei non aveva fatto altro che aiutarlo da quando aveva messo piede in quello schifo di mondo, e tutto quello che Harry era riuscito a restituirle era farle del male.
L'infermiera lo accompagnò alla prima sala d'attesa disponibile, facendolo sedere e tenendogli una mano stretta alla spalla. "Andra tutto bene, stia tranquillo."
"Non posso permettere che le accada qualcosa, non posso lasciarla da sola" rispose Harry tirando su con il naso. Tamara non era la sua ragazza, eppure si sentiva legato a lei a tal punto da non volerla abbandonare nemmeno per un secondo, come se il suo sosia gli avesse intimato di prendersi cura di lei.
Harry prese a respirare rapidamente e profondamente, la gente che lo guardava per poi spostare l'attenzione altrove.
Le mani gli formicolavano, poi se le osservò, stronfinandosi il dorso sulla maglietta sporca.
L'infermiera strinse le labbra. "Non posso darle alcuna certezza, ma si farà del nostro meglio per aiutarla." Si alzò, sollevandosi piano la cuffietta dagli occhi. "Le disinfetto le ferite" enunciò, lasciandolo solo in quella stanza affollata di parenti in visita.
Harry mantenne lo sguardo basso, sentendo il cuore battere all'impazzata dentro la cassa toracica e il dolore che prendeva pian piano possesso del suo corpo.
Non riuscì a capire quanto rimase lì fuori, in attesa, prima che una dottoressa uscisse dalla stanza in cui Tamara era stata chiusa. Intorno alle mani di Harry c'erano delle fasciature, le cui giunture e i bordi aveva catturato l'attenzione del ragazzo per il tempo che era passato, minuti, ore...non lo sapeva. Tutto gravava su Tamara e sul fatto che non le sarebbe dovuto succedere niente per colpa sua. La dottoressa aveva il camice bianco a fasciarle il corpo leggermente in sovrappeso, i capelli biondi tenuti indietro da un elastico e gli occhi scuri che si muovevano rapidi alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Harry sollevò lo sguardo in quel preciso istante, incontrando quello della donna che aveva un'espressione interrogativa negli occhi. Il riccio si alzò subito in piedi, andandole incontro con il labbro stretto tra i denti e i capelli ricci scomposti.
"Cosa le è successo?" chiese immediatamente, e la dottoressa gli intimò di fare silenzio, appoggiandogli una mano sulla spalla e allontanandolo dal corridoio. Non facevano altro che allontanarlo, quando l'unica cosa che Harry avrebbe voluto fare era stare accanto alla ragazza, accarezzarle il dorso della mano e dirle che non l'avrebbe mai lasciata da sola. "Mi dica cos'ha" sputò Harry. La dottoressa Lawrence - come citava la targhetta sulla tasca al petto - strinse le labbra e gli si avvicinò.
"Non posso darle informazioni poichè non è un parente."
Harry allargò le narici e indurì la mascella. Non importava che non facesse parte della sua famiglia, che non fosse il suo ragazzo o altro. Era un suo amico, e sarebbe dovuto bastare. "Io sono tutto quello che ha."
La Lawrence sbuffó, sollevando le mani e massaggiandosi con le dita le tempie indolenzite. "Senta, non mi importa. Io faccio il mio lavoro, e non mi sembra opportuno riferirle cos'abbia la ragaz-"
"Me lo dica adesso!" Urlò Harry incenerendola con il suo sguardo verde giada. La donna gli picchiettò un indice sul petto.
"Se non la smette di urlare, mi troverà costretta a chiamare qualcuno."
Harry urlò frustrato, sbattendo un piede per terra come un bambino capriccioso. La dottoressa era totalmente menefreghista, ignara di cosa mai Harry potesse provare.
"Vivete in un mondo di merda in cui accade di tutto, avete a che fare con queste cose ogni giorno, quindi che cazzo le costa rivelarmi cos'abbia avuto quella ragazza che giace inerme su quel letto? Cosa le costa?!"
Harry non aveva soppessato le parole prima che quelle potessero abbandonare le sua labbra, non si era nemmeno reso conto delle parolacce emesse, ma in quel momento non se ne fregò più di tanto.
La dottoressa allargo le narici e gli voltò le spalle, allontanandosi. Harry urlò ancora una volta, avvicinandosi alla porta della stanza e abbassando la maniglia ripetutamente, ma tutto era invano, perché la porta poteva essere aperta solo dall'interno.
Si accasciò lungo il muro frontale, rimanendo seduto a terra con le gambe sollevate verso il petto. Gli altri due medici uscirono dalla stanza reggendo le cartelle cliniche in mano, ma nessuno degnò Harry di attenzione, nessuno che dava una risposta alle sue domande, nessuno che gli permetteva di vedere la ragazza al di là di quella porta azzurra. Solo dopo un tempo interminabile riapparve l'infermiera che gli aveva medicato le ferite. Erano passate cinque ore, forse, ed Harry nemmeno se n'era accorto, perso in pensieri sempre più negativi.
La ragazza gli si avvicinò e gli prese la mano fasciata, facendolo mettere in piedi. In quel momento la sala d'attesa era vuota, nessun dottore nei paraggi. Harry guardò con occhi arrossati la ragazza che gli era accanto, una supplica sentita nel suo sguardo annebbiato dal pianto.
L'infermiera strinse le labbra e si guardò attorno, accertandosi che nessuno arrivasse. "Mi aiuti" disse Harry in un sussurro, senza più alcuna forza nel suo corpo sopraffatto dal dolore.
La ragazza gli intimò di starle vicino, ed estrasse una tessera magnetica dalla tasca sul lato.
"Ma-"
"Silenzio" disse, infilandola in una fessura accanto alla porta. Quest'ultima scattò, aprendosi verso l'interno. Harry aprì la bocca, ma la ragazza avvicinò l'indice alle sue labbra. I suoi capelli rossi erano stretti in una coda alta e gli occhi verdi gli trasmettevano una sicurezza che Harry non aveva mai visto. "Sono una tirocinante e queste cose non dovrei neanche solamente pensarle."
"Allora perchè-"
"Hai ragione. Viviamo in un mondo terribile, e tu non meriti di non sapere nulla sulla ragazza chiusa qui dentro. La signorina Porston ha bisogno di te, e se sei tutto ciò che ha, non possono sbatterti la porta in faccia." Spinse un lato della porta e fece entrare subito Harry, chiudendola immediatamente prima che qualcuno se ne accorgesse.
La stanza era vuota, solo delle apparecchiature legate al muro di fronte, una finestra che catturava gli ultimi raggi del sole della giornata e un letto ad occupare il pavimento lucido. Sulla destra c'era una porta che collegava quella stanza chissà dove, ma Harry non se ne preoccupò nulla e si diresse immediatamente vicino al letto bianco che ospitava il corpo immobile di Tamara. Aveva dei tubicini nel naso, una flebo legata al braccio e un livido viola a circondarle le labbra ripulite dal sangue.
Harry prese una sedia di plastica dall'angolo e l'accostò al letto, prendendo poi la mano di Tamara nella sua, attento a non sfiorarle il tubicino che le entrava nel dorso, fermato da un pezzo di nastro carta. I raggi del sole al tramonto colpivano la sua figura immobile, il suo profilo colorato di un tenuo color arancio e il petto che si alzava e abbassava lentamente. Harry sbattè ripetutamente le palpebre, poi sentì una serratura scattare e l'infermiera di prima che entrava dalla porta sul lato. Se la richiuse alle spalle con un rapido gesto.
"Cosa le è successo" ripetè Harry con voce bassa, come se non avesse voluto svegliare la ragazza dormiente che aveva vicino. L'infermiera si avvicinò ad uno scaffale ed estrasse un blocco di fogli, sfogliandoli velocemente. Punto l'indice su un rigo in particolare, avvicinandosi piano alla paziente.
"Ha avuto una commozione cerebrale dovuta all'impatto. Nient'altro di particolarmente grave. Non vedo perchè non te ne abbiano parlato." Lasciò la cartellina su una specie di comodino dall'altro lato, controllando le goccioline della flebo, urtandola con un unghia. "Potrebbe risvegliarsi a momenti, però ti prego di non dirle niente. Fa' che reagisca da sola, non ho idea delle conseguenze che la commozione potrebbe aver avuto su di lei."
"Potrebbe aver dimenticato ogni cosa?" chiese Harry con il cuore pesante nel petto e il senso di colpa ad attanagliargli lo stomaco.
L'infermiera lo guardò con i suoi occhi verdi. "Non mi sento di escludere alcunchè."
Harry si sentì crogiolare, la paura che prendeva il sopravvento e gli occhi che perlustravano la figura della ragazza in cerca di qualsiasi altro segno. Se avesse perso la memoria, non avrebbe saputo cosa fare. Cosa ne sarebbe stato del suo Harry, della sua vita? Non poteva dimenticare ogni cosa. Semplicemente non poteva.
L'infermiera controllò qualsiasi tubo al quale la ragazza era legata e poi abbassò il capo, indietreggiando. "Faccia silenzio, mi raccomando, e non faccia qualcosa di avventato." Dopodiché si ritrasse, uscendo dalla stanza. Harry strinse le labbra, tenendo una mano stretta nella sua, l'altra che le scostava piano i capelli scuri dall fronte. Dall'altro lato c'era il monitor che registrava il suo battito cardiaco. Il tempo passò inesorabilmente lento, il silenzio a prevalere in quella stanza quasi vuota e gli occhi di Harry che speravano di rivedere quelli scuri della ragazza. Tamara continuava a dormire, i suoi respiri calmi a ritmo di quelli di Harry.
Il riccio si sporse verso di lei e le lasciò un leggero bacio sulla guancia.
La flebo era quasi terminata, il sole calato dietro l'orizzonte.
Harry pregava, continuava a pregare che lei si riprendesse, che si svegliasse e che potesse stare bene. Era una brava persona che non meritava quella sofferenza, non meritava di vivere quella vita. Se avesse potuto, Harry l'avrebbe portata lontano, ma era sicuro che non appena ne avesse avuto la possibilità, Tamara sarebbe partita con il suo Harry a vivere una vita migliore.
Il rumore ripetitivo dell'elettrocardiogramma, quel suono costante e uniforme, portarono Harry a piegarsi sul letto, appoggiando la testa sul braccio piegato sul lenzuolo chiaro, la sua mano fasciata ancora a stringere delicatamente quella fredda di Tamara.
Si addormentò, sentendo i respiri calmi della ragazza come unico rumore della stanza, mentre il cielo al di là della finestra si faceva via via sempre più scuro, facendo apparire le prime stelle.
Solo un minuscolo movimento fece aprire piano gli occhi di Harry, un segno impercettibile di cui però si era accorto. Sollevò frastornato la testa, guardandosi intorno, per poi appoggiare i suoi occhi stanchi e cerchiati di nero sul capo della ragazza. Harry ingoiò a vuoto e le appoggiò una mano sulla testa, passandole delicatamente il pollice sulla fronte calda. Si morse il labbro inferiore, sentendo la guancia dolorante e le mani che gli formicolavano, con le fasciature che si erano leggermente imbrattate di sangue scuro. Harry osservò quella che stringeva la mano di Tamara, non potendo ancora rendersi conto di aver preso a pugni una persona, lui, lo stesso Harry Styles che era troppo timido per farsi vedere a scuola, e troppo debole per difendersi dagli attacchi degli altri. I suoi pensieri si interruppero improvvisamente quando sentì una leggera pressione sulle sue dita affusolate. Sollevò il capo, spostandolo sulla mano piccola di Tamara che, lentamente, si stringeva attorno alla sua, in maniera così delicata che Harry non se ne sarebbe accorto neppure. Spalancò la bocca, spostando i suoi occhi verdi improvvisamente luminosi sul volto di Tamara. La ragazza dischiuse le labbra, aggrottando impercettibilmente le sopracciglia, facendo tremolare le palpebre. Harry si allarmò, ingoiando a vuoto e non sapendo cosa fare. Si sollevò dalla sedia, piegando il busto verso di lei, quando Tamara aprì gli occhi.
Il marrone del suo sguardo lo colpì tutto in una volta, sebbene fosse annebbiato. Il riccio rimase zitto, in attesa di una reazione che continuava a tardare.
E se fosse andato tutto male? E se lei avesse dimenticato ogni cosa, e non sapesse cose l'era successo? Cosa sarebbe accaduto, se le fosse capitato qualcos'altro?
Harry spostava rapidamente il suo sguardo sul suo volto, osservandolo dettagliatamente, con Tamara che lo ricambiava. La pressione sulla mano di Harry aumentò ancora, e non sapeva dire se fosse un segno spontaneo o involontario, ma sentirla stringere intorno alla sua presa lo fece rincuorare, sebben per pochissimo.
Tamara sbattè le palpebre, aprendo la bocca come per cercare di dire qualcosa, con le parole che non abbandonavano le sue labbra esangui, con la cicatrice ben evidente e scura. I tubicini nel naso, che le scendevano anche lungo la gola, non le permettevano di esprimersi. Harry purtroppo sapeva anche che non avrebbe dovuto chiederle niente, non poteva rischiare, ma vederla così debole, sfinita e impaurita..
Tamara si leccò le labbra, sussultando quando la lingua incontrò la sua ferita al labbro, poi riaprì di nuovo la bocca. Esalò un sospiro, per poi far uscire un "Harry" graffiato e debole. Il riccio rise, con le lacrime agli angoli degli occhi. Si sporse verso di lei, lasciandole un bacio sulla fronte.
"Non ti lascerò, hai capito, Tam? Non ti abbandonerò mai."
La ragazza sussurrò un'altra volta il suo nome, quando la porta sulla parete si aprì improvvisamente. L'infermiera dai capelli rossi entrò correndo nella stanza, afferrando Harry per un braccio e trascinandolo lontano. La mano di Tamara ricadde sul lenzuolo bianco, sfinita, con il ragazzo che continuava a guardarla, nonostante si stesse allontanando da lei. L'infermiera lo spinse all'interno dell'altra stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. "Stanno arrivando i dottori, non potevo lasciare che ti vedessero."
"Mi ha visto" disse Harry, con lo sguardo perso nel vuoto. "Sa che non l'ho lasciata."
L'infermiera - che poi il riccio avrebbe scoperto chiamarsi Delilah - sorrise e gli scosse la spalla. "Andrà tutto bene" lo rincuorò. "Adesso però devi tornare a casa, non puoi restare qui."
Harry si spostò dal suo tocco. "No, non me ne vado. Rimarrò tutta la notte qui. Anche se dovessi restare in una stanza lontana, non lascerò questo posto. Non la lascerò da sola."
"Ma lei non sarà sola" iniziò a dire Delilah, ma Harry le diede le spalle, incrociando le braccia al petto. Erano in una stanza, di cui una parete era coperta da diversi letti a castello, con le coperte ripiegate e tutto in ordine. L'infermiera si slacciò il camice verde, sbottonandoselo sul petto. "E va bene" acconsentì, senza forzare ulteriormente la mano. "Ma non devi muoverti da qua dentro, qualsiasi cosa accada."
Appoggiò il camice su una sedia di legno accanto a lei e girò intorno ad Harry, piantando i suoi occhi chiari sul ragazzo. Gli liberò le braccia e controllò le fasciature. "Sei conciato male anche tu." E così gli medicò nuovamente le ferite, disinfettandole e ricoprendole con delle nuove bende sterili. Harry sussultò un poco sotto il tocco dell'ovatto sulle nocche spaccate, ma poi si lasciò medicare da quella ragazza disponibile, l'unica ad aver capito i suoi propositi. Se fosse stata un medico, non l'avrebbe mai lasciato entrare, nè tantomeno restare nascosto in una specie di stanza adibita al sonno dei dottori. Quando Delilah gli offrì di dormire sul suo letto, Harry non se lo fece ripetere due volte, e si buttò sul materasso duro, addormentandosi all'istante. Non dormì bene, era sopraffatto dagli incubi che spingevano il suo corpo a tremare, con la volontà di volersi svegliare, ma di non poterlo fare. Harry vedeva - dietro le sue palpebre chiuse - il volto di suo padre. Ma non l'uomo che l'aveva picchiato quella mattina, bensì l'uomo che l'aveva fatto nascere. Lo vide dietro la sua scrivania, intento a scrivere, con sua madre che gli passava accanto - senza vederlo - ed entrava nella stanza del marito, reggendo tra le mani un vassoio con due tazze di caffè. Lo studio del padre era illuminato a giorno, con il sole che entrava nella finestra e la sua libreria ad occupare tutta la parete. Jeremy sollevò il capo su Anne, sorridendole e sollevando una mano verso di lei, ma poi improvvisamente la stanza cadde nella penombra, la stanza venne sostituita da un camera vuota e in parte distrutta, libri capovolti per terra e Jeremy in piedi che schiaffeggiava Anne proprio davanti a lui. Harry, nel sogno, sentì il cuore fare un balzo all'interno del suo petto, e finì di salire gli ultimi gradini delle scale, vedendo sua madre portarsi una mano alla faccia e correre verso il suo studio, entrando e chiudendosi furiosamente la porta alle spalle. Harry sentì solo un urlo giungere da quella parte, e si avventò sulla porta, picchiandola con i pugni furiosamente. "No, mamma, esci, esci!" ripeteva, urlando, ma dall'altra parte sentiva solo cocci di vetro calpestati per terra. Harry stava per abbassare ripetutamente la maniglia della porta, quando si sentì tirare per il colletto della maglietta che indossava. Era sicuramente più piccolo, forse aveva a malapena sedici anni, e venne sollevato di peso da Jeremy che aveva i denti sporchi e le narici dilatate.
"Sei un figlio di puttana!" urlò l'uomo ad un palmo dal suo naso, ma non era lui a parlare, la pazzia e l'alcol facevano uscire quelle parole dalla sua bocca lurida, poi sollevò ancora di più Harry, lanciandolo di peso dall'altra parte del corridoio. Il riccio cadde su una spalla, sentendo un dolore allucinante spandersi per tutto il corpo, restando immobilizzato sul pavimento ricoperto di sporcizia e muffa. Sollevò di poco lo sguardo, vedendo Jeremy camminare rabbiosamente verso di lui, gli occhi iniettati di pazzia e lo sguardo perso sulla sua figura minuta. Si avvicinava sempre di più, ed Harry urlò solo una volta "Mamma, aiutami!" prima che Jeremy gli si gettasse addosso.
Harry si svegliò di soprassalto, l'affanno ad impedirgli di respirare bene e la fronte completamente madida di sudore, così come la maglietta interamente inzuppata. Dei leggeri raggi di sole entravano piano dalla finestra sul lato, ma gli occhi di Harry ripercorrevano terrorizzati quello che avevano appena visto.
Quello non poteva essere solo un sogno.
Lui non sapeva niente della famiglia di Harry.
Il riccio si passò una mano stanca sul volto, con il cuore che gli batteva nel petto.
Delilah si mise seduta di scatto, aprendo gli occhi. "Che è successo?!" disse dal letto sotto quello di Harry.
Il riccio spostò le gambe, facendole ricadere all'esterno del letto.
"Ehi, stai bene?!" ripetè l'infermiera, strofinandosi due pugni sugli occhi. Il ragazzo scosse la testa.
"E' un ricordo" disse, rendendosi conto della cosa man mano che i secondi passavano. "Ho appena visto un suo ricordo."
☯
Harry, dopo pranzo, salì nuovamente al piano di sopra, buttandosi sopra il letto e rimanendo in quella posizione per un tempo infinitamente lungo, solo la tosse lo scuoteva e lo costringeva a mettersi seduto per prendere fiato.
Aveva preso l'ennesima aspirina dopo aver mangiato la minestra, e sebbene fossero passati solo due giorni, non credeva che un raffreddore potesse durare così tanto.
Tirò su con il naso e si raggomitolò sotto le coperte, spostando nuovamente la montagna di fazzoletti usati che aveva creato. Si sentiva il naso bruciare e la gola pizzicare.
Si accucciò meglio contro il cuscino, sentendo il tessuto fresco sotto la guancia e chiudendo gli occhi per godersi quei brevissimi istanti di refrigerio, prima che il caldo della sua pelle potesse permeare tutto il resto. La febbre non era più aumentata, ma continuava a sentirsi morire. Non ricordava l'ultima volta che si fosse ammalato, ma sicuramente era stato molto tempo prima, perché i ricordi erano così sbiaditi, ché doveva essere per forza molti anni addietro. Rimase con gli occhi chiusi, sebbene con le orecchie rimase sempre in allerta a captare ogni singolo rumore.
Aveva cacciato il personal trainer, Harry non gliel'avrebbe mai perdonato...ma malato com'era, com'era possibile che si potesse mettere a fare la posizione del pesce sul pavimento? Non era neanche lontanamente immaginabile una cosa del genere. Chissà Anne cosa avrebbe detto, non appena l'avesse saputo. L'avrebbe preso a schiaffi? Improbabile. Quella donna voleva troppo bene al figlio, per potergli anche sfiorare un capello. Suo padre gliel'avrebbe fatta pagare? Ma no, Jeremy forse non sapeva nemmeno la presenza di Smith all'interno della vita del figlio, impegnato com'era nelle sue storie immaginarie, perso nelle righe di cui egli stesso era autore.
Ad un certo punto, perso nei suoi stessi pensieri, Harry sentì dei ticchettii, e si girò convinto verso la porta, trovandola però chiusa. Aggrottò le sopracciglia, poi si girò verso la finestra che si affacciava sul balcone, vedendo Tamara al di là del vetro che gli sorrideva e gli sventolava una mano come una bambina. Harry gettò la testa all'indietro sul cuscino, ignorandola.
Tamara fece un'espressione sgomenta, ed iniziò a battere i pugni sul vetro della finestra, costringendo Harry ad alzarsi, trascinando i piedi per terra, incapace di autosostenersi. Aprì le imposte e la guardò, come se fosse una cosa del tutto normale trovare una ragazza fuori dal tuo balcone.
"Che ci fai, qui? Vuoi proprio ammalarti, allora."
Tamara alzò gli occhi al cielo e scavalcò la finestra, attenta a come mettere i piedi per non cadere rovinosamente. "Non mi era mai capitato di entrare da una finestra" ammise lei, sorridendo e strofinandosi una mano sul pantaloncino, mentre con l'altra reggeva una scatola.
"Forse perché quell'idiota del mio sosia non ti ha mai dato motivo di farlo."
Tamara si girò e richiuse la finestra alle sue spalle, mentre Harry tornava verso il letto, sedendosi sul bordo. Starnutì.
La ragazza gli sorrise e prese lo scatolo tra le mani, sembrando una specie di Babbo Natale al femminile che voglia dare un regalo ad un piccolo bambino. Harry incrociò le braccia al petto. "Che cazzo c'è dentro?" chiese con voce nasale.
Tamara alzò gli occhi al cielo, mettendosi il pacco sotto il braccio. "Mi hai tolto l'entusiasmo."
Harry sollevò un sopracciglio e indicò il proprio volto, le labbra leggermente inclinate verso il basso, le labbra screpolate e il naso arrossato, gli occhi lucidi e circondati da un leggero rossore. "Non vedi come sono felice?!" disse sarcasticamente, mentre la ragazza gli si sedeva accanto, appoggiando poi lo scatolo sulle sue cosce nude.
"Mi stava dispiacendo lasciarti da solo in queste condizioni" ammise, iniziando a scartarlo.
"Oh, figurati, mi sono divertito un mondo a cacciare quel pirla dello yoga."
"Così ho pensato di farti una piccola sorpresa che- tu cosa?!" si girò sgomenta verso di lui. "Hai cacciato Smith?!"
"Voleva farmi fare il pesce!" si difese il riccio, sollevando due mani verso l'alto.
Tamara sbuffò, scuotendo la testa e riprendendo a scartare il pacco. Poiché procedeva con una lentezza estenutante, Harry glielo tolse dalle cosce per poggiarselo sul suo pantaloncino del pigiama che Anne aveva costretto ad indossare. Il ragazzo strappò la carta, mentre Tamara incrociava le braccia al petto.
"I genitori di Harry non ne saranno felici" appuntò, lanciando una rapida occhiata fuori dalla finestra, dove il sole stava scendendo sempre di più oltre l'orizzonte, il cielo che acquisiva una particolare tonalità di blu che Tamara adorava.
"Tanto, se tutto va bene, domani sera me ne vado" rispose Harry, mentre toglieva l'ultimo pezzo dell'incarto. Quando sollevò il coperchio, trovò diversi muffin al cioccolato riposti all'interno e messi accuratamente in ordine, in delle cartine per poterli prendere in mano senza problemi. Harry aveva il naso chiuso, ma riuscì comunque a distinguere l'aroma del cacao giungergli al viso. Si girò con gli occhi spalancati verso di lei. "Allora vuoi davvero giocare all'infermiera sexy" disse, perlustrandole scherzosamente tutto il corpo. Tamara gli diede un leggero colpetto sulla spalla.
"Sta' zitto."
Harry scoppiò a ridere, poi prese un muffin in mano, avvicinandolo alle labbra e aprendo piano la bocca...."Non l'avrai mica avvelenato, vero?"
In tutta risposta, Tamara si gettò a peso morto sul materasso dietro di lei.
Harry sorrise di sottecchi, sollevando sornione le spalle, prima di addentare il dolce.
Era raffreddato, purtroppo, per cui il sapore non riuscì a distinguerlo adeguatamente bene, ma il retrogusto che gli lasciava in bocca era talmente delizioso, da fargli capire che quello che stava mangiando fosse esageratamente buono.
Tamara rimase stesa, Harry si girò verso di lei con il busto, reggendo ancora sulle cosce la scatola. "Ma sono la cosa più buona che abbia mai mangiato!"
La ragazza si rimise seduta, sorridendo con un angolo delle labbra rosee. "Mi fa piacere."
"Come facevi a sapere che mi sarebbero piaciuti?" disse Harry, addentandone subito un altro.
Tamara, a sua volta, ne prese uno in mano, rigirandoselo tra le dita. "Non lo sapevo" ammise, mordendone un angolo e masticandolo bene, prima di riprendere a parlare. "Siccome al mio ragazzo piacciono molto, credevo che, in fondo, potessero piacere anche a te."
Harry sorrise, continuando a mangiare il suo muffin al cioccolato. "Giusta osservazione. Ti darei un bacio sulla guancia, ma non è il caso."
Tamara scoppiò a ridere, scompigliandogli i capelli. "Infatti, caro mio malato."
Harry sollevò gli occhi al cielo, poi fece per prendere il terzo muffin nel giro di qualche minuto quando un forte dolore al petto gli fece bloccare il movimento. Un gemito gli si mozzò in gola e si portò entrambe le mani al petto, all'altezza del cuore.
Si piegò in avanti e lo scatolo con i dolcetti cadde rovinosamente a terra, con Tamara che gli circondò la testa con le mani, inginocchiandosi davanti a lui. Harry aveva un'espressione sofferta in viso, gli occhi chiusi e il labbro inferiore stretto tra i denti.
"Harry, ti prego, cos'hai?" gli urlò Tamara, vedendo il ragazzo tenere le mani unite e premute sul petto, all'altezza del cuore. Il sole dietro la finestra era tramontato.
"Harry, per favore!" urlò. In casa non c'era più nessuno perché Jamie aveva già lasciato casa, Tamara era sola e non aveva idea di cosa fare.
Harry aprì la bocca e iniziò a respirare affannosamente. Tamara si alzò in piedi, recuperando il cordless dalla scrivania sommersa dai libri del suo ragazzo che Harry non aveva toccato per niente.
"Ferma!" disse Harry, mettendosi dritto e passandosi una mano tra i capelli sudati, mentre l'altra era ancora attaccata al petto.
"No, ti devo portare in ospedale!"
"Non ti azzardare a chiamare qualcuno!" urlò Harry, stendendosi sul letto e appoggiando piano la testa sul cuscino. Aveva iniziato nuovamente a respirare bene e il dolore si era attenuato. Tamara rimase con il telefono in mano e si avvicinò al ragazzo, sedendosi accanto a lui.
"E se è successo qualcosa di grave?! E' importante fare degli accertamenti, Harry!"
"No, Tam, no. Non c'entra niente questo, adesso" rispose il ragazzo, chiudendo piano gli occhi. Tamara appoggiò il telefono sul comodino accanto al letto e gli appoggiò una mano sull'addome.
"Stai meglio, adesso?" gli chiese, con lo sguardo velato di preoccupazione.
Harry annuì con il capo, facendo una grossa boccata d'aria.
Tamara gli spostò il ciuffo dalla fronte. "Ma cos-"
Harry si mise seduto, il dolore ormai totalmente scomparso. Lo scatolo dei muffin era ancora per terra, con i dolci riversati sul pavimento tirato a lucido della stanza. "Non ha niente a che vedere con me, Tam. L'ho sentito."
La ragazza inclinò leggermente la testa di lato, non capendo.
Harry si tirò il labbro superiore tra i denti, puntando poi i suoi occhi verdi sulla ragazza che gli era seduta accanto. "Non sono mai stato un tipo intelligente quanto il mio sosia, ma..e se questo potesse essere una specie di empatia?" chiese preoccupato.
Tamara socchiuse le labbra. "Harry, credo che sia successo qualcosa, è meglio se-"
"Non capisci!" urlò il ragazzo frustrato. "Se mi fosse accaduto qualcosa, non pensi che sarebbe durato di più, o magari avrei avuto delle conseguenze? Sto benissimo, adesso. Certo, sono comunque raffreddato, ma non sento alcun tipo di dolore!"
"E cosa credi che sia, allora?" chiese lei, grattandosi un lato della testa, frastornata.
"E se non fossi io quello ad aver sofferto? E se Harry stesse male per un motivo?!"
Tamara sgranò gli occhi, ingoiando a vuoto. "Credi che gli sia successo qualcosa?" gli chiese, prendendolo per le spalle.
Harry si piegò in avanti, prendendosi la testa tra le mani. "Non lo so. Se lo sapessi, sarebbe tutto più semplice, ma non so un cazzo!"
Tamara gli appoggiò una mano sulla schiena, accarezzandolo dolcemente. "Pensiamo positivo, ok?" chiese, nonostante neanche lei ne fosse tanto sicura. Se quello che Harry pensava fosse stato vero, c'era seriamente qualcosa per cui preoccuparsi.
Harry sollevò il capo. "E se al tuo ragazzo non fosse successo niente, ma stesse male per un motivo? E se Tamara c'entri qualcosa?" disse, con la voce più alta verso la fine della frase. "Se le è successo qualcosa per colpa sua, io-"
"Harry non farebbe del male nemmeno ad una mosca. E' così il ragazzo che io conosco. Non permetterebbe mai che la tua ragazza stia male, okay? Tamara sta bene."
Harry scosse la testa, sentendo il cuore battergli forte nel petto. "Ho un brutto presentimento, Tam. E non sapere niente, mi fa solo imbestalire."
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