Giving up
"Guarda un po'" Harry si girò un attimo, prendendo in mano la busta che teneva dietro la schiena, appoggiata alla panchina. Tamara appoggiò le mani sulle ginocchia e si sporse in avanti, con una fascia intorno al collo per limitare movimenti bruschi della testa. Certo, quella mattina le avevano dato le dimissioni, ma comunque doveva stare molto attenta a non muoversi violentemente. I capelli scuri erano lasciati sciolti lungo la schiena, il vento che quel giovedì mattina tirava era forte e li riempiva di nodi. Harry si appoggiò la busta sulle cosce e la aprì, sporgendola un poco per far vedere a Tamara il contenuto.
"Non posso crederci. Tra tutto quello che è successo, questo è quello che è rimasto intatto?" disse lei, guardando le mani di Harry fasciate all'altezza delle nocche. Il riccio rise stanco, stringendo poi le labbra.
"Delilah mi ha detto di averle tenute nell'armadio. Almeno abbiamo qualcosa da fare" disse, sdrammatizzando. In quel momento l'autobus parcheggiò esattamente davanti alla fermata, così Harry richiuse la busta contenente i pennelli e la vernice e porse la mano libera a Tamara, la quale la strinse e si fece tirare piano in piedi. Salirono silenziosamente sull'autobus, con lo sguardo basso, andandosi a sedere, ma c'era solo un sedile libero. "Prego" fece Harry, indicandolo con un gesto galante. Tamara si morse il labbro e si sedette, mantenendo la spalla dritta e rigirandosi tra le dita i piercing che l'infermiera le aveva restituito. Harry si appoggiò all'asta sopra la sua testa, ondeggiando ogni qualvolta l'autobus si fosse fermato, fin quando il mezzo non si bloccò in mezzo alla strada appena entrati in città. Tamara spostò lo sguardo fuori dal finestrino e notò due uomini in divisa salire sull'autobus. Harry girò a sua volta la testa e sbiancò ancor più di quanto già fosse. Tamara ingoiò a vuoto e fece per parlare, ma tutto quello che fece fu mettersi in piedi e seguire Harry che, sgomitando, si faceva piano spazio per abbandonare il mezzo. I due poliziotti fecero la loro apparizione, le mani infilate nelle tasche dei pantoloni e le pistole appese ad un lato, quando i due ragazzi uscirono dall'altro sportello aperto. "Buongiorno, siamo qui per controllare i biglietti."
Harry fece un piccolo saltello per scendere e poi si girò verso Tamara e, una volta in strada, alzarono il passo, con la ragazza che scoppiò a ridere in un istante. Harry sorrise a sua volta, facendola nascondere dietro il palazzo. Si appoggiò con le spalle al muro, leccandosi le labbra secche.
"Certo che non ce ne va bene una, Harry. Sempre a complicarci la vita" ammise lei, togliendosi una ciocca di capelli da sopra gli occhi scuri finalmente liberi dal suo trucco pesante. Il ragazzo annuì e si lanciò in avanti con uno scatto, prendendo la mano di Tamara ed iniziando a camminare lungo la via.
"Sai raggiungere casa tua, vero?" le chiese, guardando i suoi piedi mentre camminavano l'uno accanto all'altra. Tamara annuì, stringendo la presa sulla mano di Harry.
"E' tra due incroci".
Impiegarono poco ad arrivare, prendendo le chiavi nascoste sotto il tappeto nel patio ed entrando nell'abitazione da poco messa in ordine. Nell'ingresso c'erano ancora i cartoni e i sacchi neri della spazzatura, con un forte odore di aria consumata ad allestire l'ambiente. Il divano aveva ancora un lenzuolo bianco a fasciare lo schienale, i mobili scoperti che si erano già ricoperti di polvere, sebbene fossero stati via solo due giorni.
"Bene" disse Tamara, chiudendosi la porta alle spalle e posando le chiavi sul mobiletto nell'angolo. Si alzò le maniche della maglietta. "Dovremmo iniziare."
"Tu devi riposare, non puoi stancarti."
La ragazza incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio. "Credi davvero che io sia debole e delicata come la tua Tamara? Sono ben altro, un osso duro praticamente."
"Oh, di certo non lo metto in dubbio, ma non è il caso che tu ti metta a dipingere le pareti, lo faccio io."
"E cosa faccio nel frattempo?" chiese lei, mentre Harry appoggiava la busta per terra e usciva il barattolo di pittura insieme ai pennelli.
Il riccio si piegò, inginocchiandosi per terra e iniziando a togliere piano il coperchio. "Puoi stare semplicemente seduta a guardarmi."
"Col cazzo" sbottò, e si avvicinò al ragazzo, prendendo da terra un lenzuolo piegato malamente e gettandolo sui mobili per salvaguardarli dalla vernice. Harry scosse la testa, prendendo un pennello e immergendolo nel colore. Era di un delicato color panna, ma sempre un po' più scuro rispetto al bianco stinto delle pareti. Tamara qualche giorno prima aveva ritoccato le zone in cui i muri erano più rovinati, mettendoci sopra un po' di compensato, e nonostante si vedesse non fosse stato fatto da un esperto, non aveva avuto i soldi per permettersi una ditta edile. Harry iniziò a mescolare la pittura, poi uscì il pennello e si spostò sul lato, accovacciandosi un poco per partire dal basso. Non aveva mai pitturato prima, tutto quello che stava facendo in quel mondo era completamente nuovo per lui, ogni singola cosa, ogni singola esperienza che stava condividendo con Tamara. Iniziò a passare il pennello sulla superficie liscia, il colore che pian piano ricopriva il bianco deprimente. Quando si abbassò per immergerlo nuovamente nel barattolo della vernice, sentì dei passi sulle scale, Tamara che saliva al piano di sopra a fare chissà cosa. Quando tornò dopo cinque minuti, reggeva tra le mani da una parte una spugna abbastanza grande, dall'altra un asciugamano rovinato. Harry si mise in punta di piedi per raggiungere e dipingere un punto più in alto, quando improvvisamente sentì il rumore di uno spruzzo e un miriade di goccioline color beige ricoprire il retro della sua maglietta e parte del muro bianco al suo fianco. Si girò piano, come se fosse stato un film al rallentatore, e notò Tamara tenere stretta in mano la spugna ben schiacciata. Harry spalancò gli occhi, poi la ragazza scoppiò a ridere, cercando di mantenersi diritta con la schiena e la mano che reggeva l'asciugamano appoggiata sulla pancia.
"Ma che c-"
Tamara si piegò piano, immergendo nuovamente la spugna e spruzzando la vernice nuovamente accanto ad Harry. "Non dipingere in maniera seriosa, dai!" disse, una volta ripresasi dalle risate. Aveva il collo tenuto dritto a causa della fasciatura, ma riusciva a muoversi come se non avesse avuto nient'altro, solo il labbro inferiore spaccato, con un piccolo cerotto bianco a tener chiusa la ferita. Harry strinse la mano libera in pugno, poi quando Tamara gli fu accanto smosse il pennello nella sua direzione, sprizzando dalle setole gocce di vernice beige. Non dissero una parola, iniziarono a lanciarsi addosso la vernice, imbrattando il muro alle loro spalle. Le gocce imperversavano anche sul pavimento, ma continuarono indifferenti, a colorare quegli ambienti con il beige che veniva lanciato per aria e le loro risate serene. Dopo circa una decina di minuti, si fermarono, il barattolo vuoto per metà e il muro chiazzato di beige in tutta la sua interezza. Anche i due ragazzi avevano tra i capelli gocce colorate, persino sul viso e sulle braccia scoperte, per non parlare dei vestiti. Tamara lasciò la spugna e lo strofinaccio sporco per terra, appoggiandosi le mani sui fianchi e guardando la parete, facendo qualche passo indietro. "Non è male" disse, sorridendo. Harry appoggiò nel barattolo il pennello dalle setole tinte di beige e guardò a sua volta, incurvando gli angoli delle labbra verso il basso.
"Mh" mugugnò, portandosi la mano al mento, accarezzandolo con le fasciature imbrattate di vernice. "Già." Spostò lo sguardo su tutta la parete, analizzando le stampe che avevano realizzato sopra, schizzi fittizi e persino impronte di mani. "Direi sia una nuova forma di espressionismo, questa." E Tamara scoppiò a ridere, sedendosi a terra e incrociando piano le gambe. Harry la imitò, sorridendo a sua volta.
"Altro che Novecento, questa è arte!" disse Tamara, indicando con le mani il capolavoro di fronte ai loro occhi stanchi.
"Klimt si sta rivoltando nella tomba."
La ragazza scosse le spalle. "Ti direi qualcosa al riguardo, ma non so neanche chi sia."
Harry si girò sgomento verso di lei, spalancando la bocca. "Ma-"
"Sto scherzando, tranqullo."
"Mi fai preoccupare, Tam."
Lei alzò gli occhi al cielo, circondando le ginocchia con le mani delicate. "Ti pare che avrei saputo che il Novecento fosse stato l'anno dell'espressionismo, se non lo avessi almeno letto da qualche altra parte?"
"Che anno del Novecento?" domandò Harry, sornione.
Tamara sporse le labbra in fuori. "Prima metà...?"
"No, nei primi anni. Bocciata."
"Mpf, capirai" disse, sbuffando. Poi cadde un silenzio imbarazzante tra i due, mentre continuavano a guardare il casino che avevano combinato su quella parete innocente. Harry vide per terra le gocce che si stavano infiltrando nelle file di cemento delle mattonelle, storcendo il naso per il disappunto. Si avvicinò per prendere un asciugamano pulito da sopra il divano, quando sentì mormorare qualcosa a Tamara.
"Cosa?" chiese, girandosi verso di lei.
La ragazza sollevò lo sguardo, sollevando un angolo della labbra. "Ho detto che ti voglio bene, Harry."
Il ragazzo si bloccò nei movimenti, continuando a guardarla serio. "Davvero?"
Lei rimase seduta per terra, spostando lo sguardo dalle gambe incrociate alla figura del ragazzo piegato a metà sul divano, l'asciugamano in mano, immobile nei suoi movimenti.
"E' quasi passata una settimana, e mi sento di dirti questa cosa" iniziò, mordendosi il labbro. "E' strano credere di poter dire al ragazzo di cui sei innamorata 'ti voglio bene', ma tu non sei Harry, capisci? Siete due persone diverse, e vederti entrare nella mia vita improvvisamente, mi ha fatto capire tante cose. Non ho mai avuto tanti amici degni di tale nome, forse tu sei il primo, eppure sono felice di averti conosciuto. Mi hai mostrato che ci si può divertire anche senza fare pazzie, e te ne sono grata. Mi hai insegnato ad apprezzare le piccole cose, e conoscere questo lato di bontà da parte tua, mi ha fatto rivalutare tantissime cose. Forse qualcosa di buono, questo scambio, ce l'ha, dopotutto."
Harry lasciò l'asciugamano sul divano e le si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lei. Si sporse sulla sua piccola figura e la avvolse con le sue braccia forti, racchiudendola al suo petto, appoggiando il mento sulla sua testa. Tamara gli cinse la schiena, sorridendo e chiudendo gli occhi.
"Non mi devi niente, Tam. Fin dall'inizio è stata dura, questa situazione, ma tu mi hai aiutato e mi stai aiutando ad uscire le palle, a sapermi controllare e a saper gestire differentemente le varie situazioni. Mi hai infuso sempre il coraggio per andare avanti, senza piangermi addosso. Fin dal primo momento mi hai spronato a diventare più aggressivo, e sebbene io non possa mai esserlo come tu vorresti, mi hai cambiato, mi sento diverso solo grazie a te, perché se tu non ci fossi stata, non avrei fatto altro che deprimermi, in un mondo in cui non appartengo."
Rimasero stretti l'uno all'altra, le parole che aleggiavano per aria. Tamara non si era mai aperta con qualcuno così tanto, eppure sentire quelle parole di Harry non aveva fatto altro che incrementare la sua autostima. Dopotutto, non era una persona da gettare via.
Dopotutto, stava aiutando qualcuno a non crollare.
Si stavano rimettendo a nuovo vicendevolmente, lei aiutando Harry a far uscire l'altra parte di sè, una parte che aveva celato per troppo tempo, lui aiutandola a ricominciare una nuova vita, perché almeno non fosse sola. Certo, ancora non avevano idea di quando e come Harry sarebbe tornato a casa, però quel viaggio stava facendo uscire degli aspetti sconosciuti da ambo le parti che, se quello scambio non fosse avvenuto, non avrebbero mai conosciuto.
☯
Harry, per tutta la notte, non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto. Tamara gli aveva medicato la mano, avvolgendola in un panno delicato che avrebbe ben presto acquisito una colorazione più rosea a causa del sangue che continuava a sgorgare fuori dalle sue ferite. Aveva provato a mettergli qualche medicinale, ma Harry l'aveva allontanata, chiedendole di lasciarlo solo. Il minimo che Tamara avesse fatto fu quello di spalmare un unguento e fasciargli la mano con delle garze spesse. Intorno all'una di notte Anne aveva fatto ritorno a casa, facendo il minor rumore possibile. Harry si accucciò sotto alle coperte, piegando leggermente la testa quando la donna sporse la sua attraverso lo spiraglio della porta aperta. Jeremy era tornato qualche ora prima, superemozionato del fatto che il suo libro sarebbe uscito prestissimo in tutte le più rinomate librerie di Londra.
Si alzò intorno alle sei del mattino, stanco di rotolarsi tra le coperte senza riuscire a riposarsi nemmeno un po'. Quando appoggiò i piedi nudi a terra, sentì un brivido percorrergli la schiena, poi si sgranchì e indossò i primi vestiti che tirò fuori dall'armadio. I jeans che gli fasciarono le gambe erano più stretti del previsto, la maglia bianca era attillata sui pettorali e i suoi immancabili stivaletti marroni cigolavano un po' lungo le scale per scendere al primo piano. La sera prima, dopo che Tamara se n'era andata, aveva raccolto i pezzi di vetro e li aveva gettati alla bella e meglio nella spazzatura, sbarazzandosi anche della cornice dello specchio completamente rovinata. Senza pensarci due volte, fece scattare la serratura e uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle per non far svegliare i suoi genitori.
I suoi genitori?
Scosse la testa, leccandosi le labbra mentre usciva nella freschezza del mattino. Per le strade non c'era un rumore, la gente continuava ancora a dormire mentre lui percorreva il piccolo sentiero di brecciolina, scavalcando poi la bassa recinzione della villa e uscendo sul marciapiede. Anne e Jeremy non erano i suoi genitori.
Da quando aveva quindici anni aveva imparato a cavarsela da solo, senza un papà presente in casa o una mamma che avesse il coraggio di uscire da quella fottuta stanza. Sua madre si era chiusa dentro la sua camera la sera stessa in cui Jeremy l'aveva picchiata per la prima volta, e non si era più fatta vedere. Harry la odiava tantissimo per averlo lasciato da solo, eppure se non fosse stato per la sua mancanza, non sarebbe mai diventato l'uomo che era.
Si abbandonò la via alle spalle, girando l'angolo. Iniziarono ad apparire le prime macchine silenziose, le sue scarpe che facevano un leggero rumore lungo le mattonelle del marciapiede. Vide di sfuggita il profilo della villa degli Styles, per poi spostare nuovamente il suo sguardo per terra. Se avesse avuto dei genitori migliori, di certo anche lui avrebbe avuto una vita fortunata. Negli ultimi giorni, aveva iniziato a chiedersi come sarebbe potuta essere la sua vita, se solo suo padre non si fosse abbandonato all'alcol e se sua madre si fosse fatta coraggio, mettendosi in moto per migliorare. Ma a nessuno dei due era importato qualcosa, si erano solo comportati da infami egoisti, dimenticandosi di avere un figlio adolescente che si stava pian piano iniziando a ritagliare un posto nel mondo da solo. Si scompigliò i capelli, tirando su con il naso e giocherellando con la lingua nella sua bocca. Inoltre, non faceva altro che sentirsi una merda.
La sera prima aveva sprecato il suo tempo a guardare il suo riflesso in quel fottuto specchio che non era riuscito a dargli una risposta, un minimo segnale. Si era illuso troppo rapidamente di aver trovato il modo per tornare dalla sua Tamara, dall'unica persona per cui valeva la pena essere Harry Styles. Avrebbe potuto cimentarsi di più, ma al primo segnale si era convinto di avere la soluzione in mano. Invece, in mano, aveva solo una fasciatura imbrattata di sangue. Guardò di sfuggita la sua mano coperta dalla garza che aveva una sfumatura rosea a permearla, poi se la infilò nella tasca del jeans stretto, facendo una leggera smorfia quando sentì la pelle tirare. Perché era stato così stupido? Un fallito, un cretino, un idiota che non si era impegnato più del necessario.
Non aveva imparato nulla, stando in quel mondo per quella che forse era ormai una settimana. Stava continuando a comportarsi come aveva sempre fatto, senza pensare prima di agire, senza impegnarsi a fondo in qualcosa che, solo con un minimo sforzo in più, sarebbe potuta andare meglio. Stava prendendo le cose con troppa leggerezza, proprio come nella sua solita vita, credendo che sarebbe stato facile. Fin dal primo momento non aveva fatto altro che pensare al fatto di rimanere a testa alta, qualsiasi cosa fossa successa. Ma finalmente, a distanza di sei giorni dal suo arrivo, da quel fottuto scambio, si era reso conto di non avere sufficiente forza per restare in piedi e affrontare tutto con spavalderia.
Sentì la forza scivolargli addosso, lasciandolo nudo e freddo contro la dura realtà che non gli stava dando scampo. Non ce l'avrebbe mai fatta, non sarebbe riuscito a tornare dalla sua donna. Chissà Tamara come stava, sola con quell'altro Harry che sicuramente non stava facendo niente per lei. Per lui, la situazione era grave allo stesso modo?
Senza che se ne fosse reso conto, le campane della chiesa vicina avevano iniziato a suonare le sette, così si ritrovò a tornare sulla via di casa. Quando fu fuori dal cancello, la porta di ingresso si spalancò, con Jeremy che reggeva in mano la sua ventiquattrore e la giacca che svolazzava per il vento. I capelli ricci erano tenuti compostamente indietro, gli occhi marroni era fissi sul suo pantalone alla ricerca delle chiavi nelle tasche. Quando sollevò il suo sguardo e incontrò quello di colui che credeva fosse suo figlio, aggrottò le sopracciglia. "Buongiorno, figliolo. Che ci fai a quest'ora fuori di casa?"
Harry si strofinò il naso con l'indice. Il raffreddore era del tutto scomparso, così come la temperatura elevata del suo corpo. Il riccio spinse il cancello, scuotendo le spalle. Jeremy socchiuse la porta e si avviò verso di lui, scompigliandoli i capelli simili ai suoi. Quando abbassò nuovamente lo sguardo, notò la fasciatura alla mano. Aggottò nuovamente la fronte, spostando il marrone dei suoi occhi in quelli verdi del ragazzo. "Che cose hai fatto?" disse, facendogli uscire la mano dalla tasca. "Ti fai del male e non dici niente?!"
Harry si morse il labbro, giocando con il piercing fisso in esso. "Non è niente, è solo un piccolo taglio."
"Tua madre lo sa, vero?" disse Jeremy, allentandosi leggermente la cravatta e superando il figlio. "Adesso devo proprio andare, ma vedi di farti controllare. Sei troppo sbadato ultimamente, vorrei tanto sapere cosa ti stia passando per quella testa riccia."
Harry notò il padre infilarsi in macchina e scappare, mentre la porta di ingresso veniva spostata dal vento. Quando entrò in casa, chiudendosela piano alle spalle, notò sua madre scendere le scale rapidamente. "Ho sentito tuo padre dalla finestra" disse, scendendo velocemente i gradini con la vestaglia che le svolazzava intorno alle gambe. I capelli neri erano sciolti sulle spalle, il volto stanco con ancora i segni della stanchezza che perlustrava il suo. Anne si appostò di fronte al figlio, prendendogli la mano e rigirandola tra le dita. Poi, come se avesse avuto uno scatto fulmineo, si girò verso la parete nuda, sgranando gli occhi. "Che fine ha fatto lo specchio?" chiese con un tono di voce che non ammetteva alcuna bugia. Harry ingoiò a vuoto. Non avrebbe mai potuto dire che l'aveva rotto perché l'altro Harry non si era specchiato.
"Ehm.." Ingoiò nuovamente, perdendosi nel verde dello sguardo della madre. "Ieri l'ho urtato ed è caduto. La cornice si è incrinata e il vetro si è riversato per terra. Ho cercato di riparare, ma il vetro mi ha graffiato la pelle."
"Dobbiamo andare in osped-"
"No!" quasi urlò, staccando la sua mano da quella della madre. "Tamara mi ha medicato, ieri sera, va tutto bene. Uno, due giorni e guarisce."
"Decido io qui."
"Ma sto bene, davvero" disse Harry, e prima che se ne accorgesse, si sporse verso la madre, lasciandole un rapido bacio sulla fronte. Quando si rese conto di cosa avesse fatto, impietrì, separando leggermente le labbra. Anne sembrò non accorgersene, ma aveva ancora uno sguardo imperturbabile a ricoprirle il volto giovanile.
"Qui sta succedendo qualcosa" disse lei nella quiete della casa. "Ti prego Harry, dimmi cosa c'è che non va. Lo specchio si può comprare, ma tu sei troppo cambiato, non ti ho mai visto così. Non hai mai sopportato la vista del sangue, e ora ti rifiuti di far rimarginare le ferite. Dimmi cos'hai, ti posso aiutare. Sono tua madre."
La voce della donna si era intenerita verso la fine della frase, ed Harry non potè che sentire un tonfo all'interno del suo torace. "No" disse. No, lei non era sua madre. "Non è successo niente" continuò invece, leccandosi le labbra improvvisamente secche.
Anne gli appoggiò una mano sulla guancia, sebbene fosse più bassa di lui. "Ti conosco troppo bene, dimmi cosa è successo e ti aiuterò ad uscirne."
Harry appoggiò la sua mano sana su quella della madre, staccandola piano. Non poteva rischiare di affezionarsi a quella donna, non l'avrebbe mai più rivista. "Ho solo bisogno di stare da solo."
Anne lasciò la sua guancia, riponendo la sua mano nella tasca della vestaglia. "Ricordati che puoi parlarmi di qualsiasi cosa. Non voglio immischiarmi nella tua vita ma...Harry, sei il mio unico figlio. Vederti stare male - perché so che non stai bene - mi spezza il cuore."
Il ragazzo scosse la testa. "Non stare male per me, vedrai che tutto andrà bene. E' solo un periodo. Come voi donne mestruate, anche noi uomini possiamo passare dei periodi no."
"Hai preso una B in un compito?" chiese Anne, piegando la testa di lato.
Harry scoppiò a ridere. Se avesse mai preso una B, di certo non si sarebbe mai pianto addosso. "No, tranquilla, la mia media è impeccabile." Poi superò la donna, salendo subito al piano di sopra, Si chiuse in camera sua, avviandosi alla finestra e perdendosi a guardare il sole che pian piano usciva dalla terra sul retro della casa, il cielo che si colorava dei colori del crepuscolo e i primi uccellini che volavano in cielo. Distinse vagamente il suo riflesso sul vetro della finestra, ma gli fece talmente tanto ribrezzo da spingerlo a spalancare le imposte, pur di non vedere quel volto che ormai faticava a riconoscere.
P.s Ho iniziato a pubblicare una nuova storia, If this was a movie. Passate! 🌻
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