Tu qui non ci resti

Con lo stomaco che tremava chiedendomi cibo iniziai a pulire il casino che si era formato nella tenda, le Ghillie furono lasciate a appese tramite un fil di ferro così da potersi asciugare.
Dovetti prima togliere tutte le sedie per poi passare il mocio, non fu un lavoro di pochi minuti visto che il pavimento doveva essere perfetto. Passata dopo passata riuscii a pulirlo anche se lo stomaco mi faceva così male da aver la nausea, mi girava la testa e sentivo del calore nelle tempie che mi disorientava.
Avrei dovuto restare in quello stato fino a sera e magari nel mentre avrei dovuto continuare a lavorare, capii di essere davvero nei guai sotto il comando di Draghi.
Dover pulire una dopo l'altra tutte le sedie fu parecchio noioso ma con pazienza le pulii tutte, facendo tutto alla perfezione non gli avrei dato modo di accusarmi, così almeno speravo.

Svuotai il secchio in una pozzanghera e riportando il materiale verso la base rientrai, dovevo immediatamente cercare Draghi e dirgli di aver terminato il mio lavoro.

Quando finalmente lo trovai, dopo aver riposto mocio e secchio nello sgabuzzino apposito, lui mi squadrò da testa a piedi.

"alla buon ora! Non vali nemmeno come addetta alle pulizie!" gridò lui davanti a tutti, superiori e non si votarono verso di noi.

"due ore per pulire una tenda!? Non ti vergogni inutile spreco di risorse?".

Non erano passate due ore, feci tutto quanto in quaranta minuti ma cosa potevo fare? Era la mia parola contro sua e lui era il mio superiore.

"mi dispiace signore!" esalai.

"che hai detto Mazzoli?" replicò.

"Sergente Draghi mi dispiace!" feci ancor più forte con un senso di umiliazione sempre più crescente. Quella storia sarebbe stata sicuramente raccontata dai presenti e così, per tutti sarei stata quella che aveva impiegato due ore per pulire una tenda e che giustamente aveva preso un esemplare rimprovero.
In parole povere, Il sergente mi stava mettendo in cattiva luce nonostante i miei trascorsi non erano sconosciuti.

"oggi pomeriggio abbiamo le pratiche di tiro, voglio che ogni Sako sia pronto e pulito. Ne hai venti quindi datti una mossa Mazzoli".

"agli ordini sergente" replicai in maniera secca.
Feci il saluto e camminando a passo lesto mi allontanai dal sergente che avrei voluto prendere a pugni fino a ricoprirlo di sangue.

Lo immaginavo morto sotto di me dopo l'ennesimo pugno dato a quella sua faccia di merda saccente.

Arrivata in armeria mi feci indicare dove si trovassero i sako per quelli del corso sniper e iniziai a smontare il primo con l'apposito kit per la manutenzione.

Trovavo una sorta di piacevole sensazione quando arrivavo ad afferrare il manubrio dell'otturatore per sfilarlo.

Smontare, pulire e rimontare venti fucili però era tutto meno che soddisfacente, per quanto fossi rapida nel farlo.

Arrivato al quinto in rapida successione il ragazzo addetto all'armeria s'affiancò a me guardandomi lavorare, sembrava essere soddisfatto da ciò che vedeva.
"trovo sexy che una ragazza ci sappia fare con le armi" Esalò.
Presi il fucile e dandogli le spalle andai verso la rastrelliera dove lo adagiai, lui mi seguì e quando presi il sesto fucile, lui prese il settimo.
"ok, forse ho esagerato, scusami" disse, guardai la targhetta col suo cognome.
"caporale Fini, perché ha preso quel fucile?" domandai, ignorando quel suo parlare a sproposito, non ero dell'umore.
Lui fece spallucce e s'avviò verso il banco da lavoro, così dovetti mettermi dalla parte opposta per poter lavorare anche io. Era un tavolo di metallo molto pesante ma ordinato e lucido.
"sto aspettando una serie di ARX160 che non mi sono ancora rientrati, non ho niente da fare quindi l'aiuto, caporale Mazzoli" spiegò quindi.
Feci cenno di si con la testa ed esalai un lieve grazie mentre calò il silenzio rotto soltanto dal suono metallico dovuto allo smontaggio dei fucili.
Il caporale Fini aveva delle sopracciglia larghe nella parte interna che diventavano a punta nella parte esterna, occhi verdi e il setto nasale deviato. Notai una piccola cicatrice sulla fronte, niente di tanto visibile.
Niente barba in viso e labbra sottili. Il suo accento sembrava essere marchigiano o qualcosa di simile, non ero poi così sicura.
"ho seguito il tuo caso alla televisione, in realtà praticamente tutti lo hanno fatto qui" esalò.
Aspetta qualche istante, giusto il tempo di rimuovere il freno di bocca nella volata.
"visto che sei passato al tu... eri tra quelli che facevano il tifo perché non tornassi più?" domandai divertita e lui s'agitò lievemente.
"no tutt'altro! Trovo straordinario che anche una donna sia riuscita ad entrare nel nono, secondo me meriti più rispetto di quanto te ne danno qui".
Lo ringraziai un'altra volta e lui si zittì, di tanto in tanto mi guardava e anche se facevo finta di niente capii che stava cercando di creare dialogo ma che non sapeva cosa dirmi.
Man mano pulimmo tutti i fucili del corso, impiegando la metà del tempo che avrei impiegato se fossi stata sola, questo il Sergente Draghi avrebbe dovuto per forza notarlo.
"bene, grazie dell'aiuto Caporale Fini, io ora vado a cercare il mio sergente!" dissi quando anche l'ultimo fucile fu messo al suo posto.
Di tutta risposta lui sorrise facendo ancora spallucce accompagnandomi praticamente alla porta che aprì per me in un gesto galante, credevo fosse qualcosa di simile almeno.
" alla prossima allora!" mi disse.
"alla prossima" ribadii allontanandomi da lui.
Per fare il carino, quel ragazzo mi aveva dato una grande mano, mi sentii quasi in colpa, come se l'avessi usato anche se poi fu lui ad offrirsi volontario.
Prima di Draghi trovai un ragazzo del corso, domandai a lui se lo avesse visto e camminando in fretta mi fece cenno di no con la testa.
Così camminai per i corridoi della base guardandomi costantemente attorno, cercai in ogni posto dove mi venne in mente e quando passati svariati minuti ancora non riuscii a trovarlo, mi venne in mente di scavallarlo e andare dal maresciallo che probabilmente avrei trovato nel suo ufficio.
Così feci, era l'unica soluzione.
Stavo quasi per raggiungere la porta del Maresciallo quando mi sentii chiamare in maniere piuttosto nervosa. Eccolo.
Girandomi gli mostrai il consueto saluto sciogliendolo soltanto quando mi diede riposo.
"cosa ci fai in giro per i corridoi? Ti ho dato un preciso ordine!" esclamò.
"ho già finito quella mansione, Sergente." Risposi. "tutti e venti i fucili sono stati smontati, puliti e rimontati" spiegai quindi e lui ci restò di stucco.
"cerchi di prendermi in giro o fregarmi Mazzoli?" sibilò. Io mostrai un sorriso che forse non avrei dovuto mostrare.
"non mi permetterei mai Sergente".
Lui si guardò intorno gonfiandosi la guancia sinistra con la lingua mentre poggiò le mani sui suoi fianchi, subito dopo una la staccò e allungandola mi fece cenno di seguirlo con le dita, manco fossi un cane.
Tornai con lui all'armeria dove il caporale Fini stava sistemando quella famosa serie di arx160, si fermò per salutare il Sergente Draghi e io, dietro quest'ultimo spalancai gli occhi muovendo appena le mani in senso orizzontale, un cenno che gli chiedeva silenzio. Speravo soltanto che lo cogliesse.
Il Sergente iniziò a controllare fucile per fucile girandolo tra le mani per guardarli in ogni angolo, non poteva dire niente, erano perfetti.
Quando anche l'ultimo fucile passò sotto l'accurato esame dei suoi occhi, guardò me e poi il caporale Fini.
"Caporale Fini, ha per caso aiutato Il caporale Mazzoli, eseguendo quindi una mansione a lei non assegnata?" lo torchiò Draghi.
Il ragazzo Sembrava piuttosto sereno, naturale.
"Negativo, il Caporale Mazzoli non ha ricevuto aiuto da parte mia" rispose.
Calò un silenziò carico di tensione palpabile, sapevo già che avrebbe trovato un modo per urlarmi contro, lo avrebbe inventato, ne ero sicura.
"sai che mentire ad un superiore può farti cacciare nei guai vero?" incalzò lui ma ancora una volta, Fini mostrò un sangue freddo.
"ne sono assolutamente conscio ma non ho aiutato il caporale Mazzoli".
Arrivò ad un punto morto per quale non poteva attaccarmi; i fucili erano stati puliti, avevo impiegato pochissimo tempo e in più lo avevo fatto senza aiuto. Draghi non aveva modo di attaccarmi e infatti, ancora con quel suo gesto delle dita mi disse di seguirlo.
Restai tutto il tempo con lui fin quando non arrivò l'ora dell'addestramento di tiro.

Eravamo tutti e venti sdraiati, a trecento metri da noi, altrettanti obbiettivi erano stati posizionati e nel centro di essi, una bandiera rossa mostrava il movimento del vento.
Alyssa mi aveva dato una base minima, giusto per farmi capire cosa significasse sparare con un fucile di precisione in generale. Avevo anche ucciso delle persone ma con colpi sporchi e poco accurati, mossa dall'adrenalina e la volontà di sopravvivere.
Mi sistemai per bene, sdraiata prona affianco ad un altro ragazzo del corso. Ci saremmo alternati tra tiratore e spotter e avremmo avuto un unico punteggio alla fine della sessione, quindi la collaborazione doveva essere imperativa.
Il ragazzo al mio fianco si chiamava Federico; testa semi rasata, occhi scuri e mascella squadrata priva di barba. Il ragazzo aveva una testa decisamente grossa.
I nostri Sako era già pronti, sette chili di fucile color verdone. Andava soltanto rimossa la sicura nella scatola di scatto.
Ancor prima, mentre il Sergente sbraitava quello che avremmo dovuto fare, sistemai il calciolo affinché fosse nella posizione giusta. Quando lo sentii comodo lo fissai con le apposite chiavi e dopo aver tolto la copertura all'ottica; una schmidt bender ad ingrandimento che andava da tre a dodici per. Era un mil-dot, quindi a croce con i tratteggi per la stima della distanza, in modo da aiutare nel tiro compensato.
Fremevo all'idea di mettermi in gioco ed ero sicura di poter essere una delle migliori tra quei venti, dovevo soltanto dimostrarlo agli altri e soprattutto a me stessa.
La mano destra sollevò il calcio portandolo sulla spalla mentre la sinistra scorse sotto di esso, stringendosi a pugno.
In quel momento Draghi stava spiegando proprio ciò che avevo già fatto, la postura e quando arrivò dietro di me, semplicemente passò oltre rimproverando altri ragazzi.
Feci finta di non essermi accorta del suo passare, mi concentrai sul fissare l'obbiettivo difronte a me; un grosso bersaglio nero e bianco, all'interno vi era una serie di cerchi concentrici e dei numeri che andavano, dal centro verso l'esterno, dal nove all'uno.
Iniziò la parte di lezione sul respiro e quanto fosse importante saperlo controllare durante l'utilizzo dell'arma.
Federico stava controllando l'attrezzatura quando il sergente ci diede il via a sparare, il cuore prese a battere forte ma con un lungo respiro lo feci calmare immediatamente concentrata solo sul fare un buon tiro.
"ok, il vento va in direzione nord-est, trentacinque gradi ad una velocità di due chilometri, a trecento metri non dovresti avere variazioni significative, dovresti sparare ora prima che che cambi".
Disse lui e mentre ascoltai le sue parole raccolsi il fiato, lo rilasciai e restai in apnea, il dito si piegò contro il grilletto e alla fine sparai il colpo.
Sentii il rinculo sulla spalla ed il rombo dell'arma così come quella dei miei compagni vicino.
"accidenti Mazzoli, hai preso il nove, bel tiro!".
Quello fu il primo dei tanti altri colpi che avrei sparato durante quel corso, iniziai bene. Per quanto Draghi poteva farmi dispetti durante le corse e gli esercizi, quando si trattava di sparare ero quella con più precisione di tutti, mi usciva naturale, quasi facile.
Non importava quanto distante dovevo sparare, quanto vento ci fosse o quanta umidità nell'aria era presente.
Tra tutti i bersagli, il più ostico era quello che chiamavano "il terrorista". Questo era posto sulla finestra di un rudere ad una distanza di ottocento metri. Focalizzarsi sul terrorista era particolarmente difficile per via di uno strano effetto ottico che lo rendeva quasi invisibile. A rendere le cose più complicate, le correnti d'aria improvvise potevano sballare e "sporcare" il tiro.
Odiavo più il terrorista che Draghi ma per sparare al primo, immaginavo che fosse il secondo, ciò aiutava a non farmi sbagliare.
Puntualmente ero quella che segnava un punteggio migliore, quella che faceva rosate più strette, la persona per la quale gli altri del corso, discutevano pur di lavorare al mio fianco.
Nonostante i miei ottimi risultati, il sergente continuava ad odiarmi, giorno dopo giorno tentava di rendermi la vita impossibile.
Poco a poco mi stava logorando dall'interno, mangiavo soltanto quando me lo permetteva e fui privata del sonno anche per quarantotto ore consecutive. Svariate furono le settimane nelle quali il letto fu un lusso a me non concesso, ogni singolo picchetto notturno era mio e solo la mia volontà, aiutata da svariati caffè, mi permettevano di non chiudere i miei occhi che si facevano sempre più pesanti.

Le uniche notti in qui non mi toccava era quando facevamo addestramenti in notturna, il mio corpo mi scongiurava di concedergli una pausa ma purtroppo non era possibile.
Dovevo trovare anche del tempo per studiare; Fisica e tipografia erano soltanto alcune delle materie che dovevo imparare come una bibbia, farlo a stomaco vuoto e con il sonno opprimente diventava impossibile. Vivevo costantemente con la brutta sensazione di essermi appena svegliata, spesso sobbalzavo perché bastava semplicemente trovare due minuti nei quali magari potevo sedermi per farmi sobbalzare e ansimare spaventata.
Ogni volta temevo di aver dormito chi sa quanto, che Draghi mi avrebbe vista e punita, poi mi rendevo conto di aver chiuso gli occhi solo per pochi attimi ed esalavo un sospiro di sollievo.
Iniziai a sentire un senso di ansia e disagio all'idea di vederlo e anche quando non c'era, temevo che fosse nascosto da qualche parte a controllarmi.


Ogni giorno, di sera si aveva del tempo libero dove chiunque poteva uscire dalla base e farsi un giro, molti andavano insieme a bere qualcosa, ero l'unica ragazza quindi gli unici inviti che ricavavo erano da persone che molto probabilmente desideravano una cosa soltanto.

Del resto mi ero lanciata nella fossa dei leoni entrando in un corpo prettamente maschile, su instagram seguendo le storie di altre mie colleghe vedevo che queste uscivano insieme, avevano fatto amicizia e fuori dalla base si divertivano parecchio. Sarà stata una mia presunzione ma ogni volta che un uomo del mio corpo mi si avvicinava proponendomi qualcosa, vedevo costantemente un doppio fine e per quanto mi sforzassi di conoscere alcuni di loro, farci amicizia, quel costante pensiero mi teneva costantemente sulla difensiva.
Invece che stare in compagnia preferivo sgattaiolare in un piccolo parchetto poco distante dalla base, uno di quelli con scivolo, altalene e panchine, ci andavo esattamente per quest'ultime.

Quel posto era diventato l'angolo del mio riposo, alcune volte mi fermavo ad un panificio che si trovava di strada. Compravo una focaccia e una bottiglia di tè al limone. Ci andavo quasi ogni giorno al punto che la proprietaria aveva imparato a conoscermi e quando mi vedeva entrare mi dava sempre la stessa cosa senza che io dicessi nulla. Pagavo, salutavo e andavo via.


Sia la focaccia che la bottiglietta non raggiungevano il parco con me, mangiavo e bevevo entrambe nel tragitto, così quando arrivavo al parchetto mi addormentavo stesa su una panchina. Era scomoda e alcune volte arrivava un gruppo di ragazzini, età delle superiori, per fumare erba senza che nessuno li vedesse.
Le prime volte mi fissavano straniti, come fossi un alieno o qualcosa di simile.
"lavoro molto, sono lontana da casa e non posso farmi vedere mentre dormo per strada, ecco perché dormo su questa panchina".
Risposi così quando un giorno mi domandarono il perché andassi proprio lì a dormire, da quel giorno quando arrivavano al parco smisero di fare casino. Li sentivo parlare ma non urlavano bestemmiando come facevano agli inizi, anzi una volta mi domandarono se volessi fare un tiro con loro, sorrisi malinconicamente perché quel momento mi ricordò la Sardegna.
Ovviamente rifiutai ma immaginai di poter interpretare quel loro gesto come solidale, o almeno così sembrava.

La sveglia del mio telefono squillava un quarto d'ora prima del mio rientro così da non tardare al contrappello, dandomi il tempo di riprendermi, salutare quei ragazzi e incamminarmi.

La schiena faceva male così come tutto il corpo che via via sentivo sempre più pesante e affaticato, quando poi guardavo la mia immagine riflessa in uno specchio, trovavo una me sempre più sciupata; occhiaie, viso pallido e pelle secca sciupata da diversi brufoli.

La pelle ai lati delle unghie, sulle mie mani, era tutta mangiucchiata così come le unghie spezzate a morsi. Ero arrivata a mordere la pelle tra la seconda e la terza falange lasciando segni evidenti sulle mie dita. Non sarei andata avanti per molto, sentivo di iniziare ad abbandonarmi, così stanca mentalmente e fisicamente. A peggiorare la situazione si aggiunse il primo importantissimo test, quello che avrebbe fatto davvero la differenza, passarlo significava avere il settanta percento di possibilità di esser presi. Anche se niente era sicuro e non ci si poteva assolutamente adagiare sugli allori.

Il giorno prima della prova ci stavamo allenando proprio in vista della stessa. Tutti raggruppati nella solita area boschiva, Quel giorno avevamo corso per almeno una decina di chilometri e per tutto il tempo pensai di poter svenire da un momento all'altro. Non riuscivo a stare al passo e infatti quando ci fermammo fui l'ultima a convergere.
Le gambe bruciavano da impazzire e il fiato pesante iniziò a farmi stare male così come il cuore.

Provai un dolore che dal petto si estese al braccio sinistro e in quel momento pensai che un infarto stesse per stroncarmi, stavo quasi per allarmare gli altri quando, poco a poco sentii scemare il male fino a scomparire.

Ero sopravvissuta a cose atroci, molte delle quali avrebbero ucciso chiunque; passato l'inferno in Iraq e combattuto per la vita nel deserto.

Morire di infarto per colpa di uno stronzo come Draghi mi avrebbe fatto parecchio incazzare.

A quel punto Cheese allontanò la testa guardandomi divertito.

"se morivi come facevi ad incazzarti?" domandò.

Feci spallucce, era sempre lui a fare battutine, possibilmente che quando provavo a farne io non le capiva?

"era una cosa stupida Cheese, tanto per sdrammatizzare!" spiegai e lui dal tono della risposta sembrò quasi offeso.

"hey signorina, quello è il mio ruolo, non uscire dal tuo personaggio, tu sei quella seria!".

A volte faticavo davvero a capire, mi chiedevo in che stato fosse quella sua mente, restai interdetta per qualche istante non sapendo che fare tra tornare in scanning o guardarlo stranita.

"dai rosha continua, hai preso a pugni anche il Sergente Draghi?".

Mi scappò un'altra risata prima di rispondergli.

"no no, niente di simile, lasciami raccontare"...

... Ci stava fissando come suo solito; mani sulla vita con quella sua aria perennemente innervosita, costantemente delusa.

Non capii mai che problemi avesse quell'uomo e perché camminasse costantemente con una scopa nel culo.

"Mazzoli, inutile maiale! Se non riesci a stare al passo vattene via, non sei idonea lo vuoi capire?!" partì all'attacco ancora con quella sua voce grave e profonda ma subito dopo iniziò a tossire violentemente, dovette prendere qualche minuto prima di ricomporsi.

"sergente, io sono la cecchina più brava di questo corso!" Guardai gli altri uno ad uno, sapevo di non aver detto una cosa carina ma ero stanca di starmene zitta a subire.
"scusate ragazzi" dissi a loro per poi rivolgermi al Sergente.
"Ho solo bisogno di mangiare e dormire! Sono consapevole di star facendo insubordinazione ma l'unico motivo per cui non riesco a stare il passo è per questo! Quanti uomini hanno fatto le selezioni per entrare in questo corpo? E quanti di loro sono stati respinti? Io c'è l'ho fatta, contro ogni aspettativa! Sono un soldato del nono esattamente come tutti gli altri, come lo è lei".
Chiunque mi guardò stupito, io stessa mi stupii del gesto appena fatto. Un comportamento del genere era impensabile, rispondere in quel modo ad un superiore. Lui restò fermò, braccia conserte mentre sul suo viso si dipinse un sorrisetto quasi perverso.
"Garbati, a che età hai avuto il primo ciclo?" Domandò ad un ragazzo del corso che vedendosi interpellare con una domanda simile non capì come comportarsi.
"scusi sergente non ho..." lo interrompette.
"Garbati ti ho chiesto a che eta hai avuto il primo ciclo!" disse mentre s'avvicinò a me, nel mentre guardava il ragazzo interpellato.
"m-mai avuto signore" replicò incerto e confuso.
"mai avuto perché sei un uomo" aggiunse il sergente guardando poi un altro ragazzo, sollevò appena il viso e gli porse un'altra domanda.
"Ricci, la differenza tra assorbente e salva slip?".
Mentre faceva quelle stupide domanda da decerebrato, dentro di me una voce ripeteva "ammazzalo, ammazzalo, fagli male".
Anche l'altro ragazzo non sapeva cosa rispondere, balbetto parole sconnesse fin quando il sergente riprese fiato, nell'esatto momento in cui prendendo la mia spalla la strinse forte.
"tranquillo, nemmeno io non ne ho idea e sai perché? Perchè siamo uomini, tutti qui siamo uomini!"
A quel punto mi guardò dritto negli occhi, la sua mano stringeva così forte che dovetti piegarmi da un lato, faceva parecchio male ma cercavo di non scompormi.
"tu insulti il nostro reggimento, la tua presenza lo infanga e non mi frega un cazzo se sei riuscita dove altri hanno fallito, non mi importa niente di quello che hai fatto in Iraq o di quanto sei brava a sparare, tu qui non resti e farò di tutto per farti scappare dalla mamma in lacrime"
Io amavo il nono reggimento, più della mia vita. Sarei stata veramente disposta a morire nel suo nome e quelle parole non mi fecero male o rattristare, ciò che sentivo era rabbia.
Per colpa sua sentivo di non essere gradita all'interno del mio amato reggimento, quella sensazione l'avevo sempre percepita, la leggevo negli sguardi dei miei superiori ma grazie al sergente Marti ero riuscita a non pensarci. Mi mancava quell'uomo, era tutto diverso. Quella che sentivo casa mia di colpo non lo era più, stavano cercando di cacciarmi fuori e chiudere a chiave, credevo che tutti quanti mi volessero cacciare e iniziai a chiedermi chi me lo faceva fare. Pensai ad altri corpi dove potevo chiedere un trasferimento così da vivere meglio.

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