sono come te
quel solo un po' era bastato ad entrambi per ritrovarci sul divano, Pedro mi aveva sollevato la gonna e carezzava le mie cosce con una presa sicura, le sue dita poi premettero contro la mia intimità e sebbene fosse coperta dalle mutande quel movimento mi fece annaspare nella sua bocca. Un bacio ci univa in un continuo fremito dal quale un lieve gemito usciva quando le nostre labbra si sfioravano soltanto.
Mi tremavano le braccia e poco dopo provai una sensazione d'ansia mista ad un bollore violento, mi stava toccando direttamente, dopo aver scostato le mutande.
Il mio gemere riempì quella stanza buia, sollevai la testa sentendomi dilatare da due delle sue dita. Lieve dolore e violento piacere divennero un tutt'uno che intrecciandosi percorse e conquistò il mio corpo intero.
La consapevolezza di quello che stava per accadere fece diventare d'oca la mia pelle, chiamai il suo nome in un capriccio, ansimai e subito dopo tappai la mia bocca contro la sua spalla mentre sentii il battito del cuore direttamente nelle tempie. Morsi la sua pelle mentre percepivo quelle bollenti dita scorrere dentro di me, senza darmi tregua alcuna.
"Rilassati" sussurrò al mio orecchio. Lo leccò, lo morse ed esalò dentro di esso.
Scosse e calore pervasero il mio corpo, ondate violente risalivano dalla mia intimità verso l'alto, non riuscii più a stare in silenzio, la mia bocca restava aperta e gli occhi fissavano i suoi.
"Dio quanto sei bella mentre ansimi"
Usò il suo corpo per inclinarmi verso il divano, ci caddi di schiena e lui aprendo le mie cosce salì sopra di me. Tutto il piacere, i brividi e il desiderio svanirono all'improvviso, lasciando invece spazio ad un senso di paura e claustrofobia.
"Pedro... Pedro" un nodo in gola dimezzò la mia voce. Lo colpii sulla spalla mentre lui continuava a muovere le dita dentro di me, proprio come quella volta con Riccardo non sopportai la sensazione di trovarmi schiacciata sotto qualcun altro.
"Pedro per favore aspetta!" La mia voce seria gli fece capire che qualcosa non andava e quando finalmente mi fece spazio, scattai seduta, scoppiando in lacrime. Un pianto a singhiozzi, spaventato di cui non avevo alcun controllo.
"Oh! Elisa?! Che hai?" esclamò stringendomi le spalle.
"Non... io non..." nemmeno riuscivo a parlare. "non lo so..." finalmente dissi, scoppiando poi in un pianto violento nel quale mi asciugai le lacrime con le mani, almeno fin quando Pedro non usò le sue, carezzandomi.
"Piccola non dobbiamo per forza, pensavo fossi pronta ma se non è così, ti giuro, non è importante!" dandomi poi un bacio sulla fronte. La sua grossa mano mi prese la nuca.
"Mi sento una merda, non piangere!"
Cercai di calmarmi, stretta a lui divenne più facile. Raccolsi così un momento di silenzio e poi riuscii a parlare in maniera comprensibile.
"Io sono pronta, voglio farlo con te ma ho questo problema; se qualcuno mi sale sopra anche per gioco, sto male! Inizio a sentire un senso di costrizione ed ansia, non saprei spiegarti".
Non volevo raccontargli che la stessa cosa era accaduta anche con Riccardo ma fu facile per me collegare i due casi e capire la causa era quella.
Lui non ripose a parole, mi fece montare a cavalcioni sulle sue gambe, esattamente come poco prima.
Le sue dita mi carezzarono la mascella scendendo sul collo e sul vestito argentato che allargò facendolo sfilare, sotto avevo un reggiseno nero. Arrossi quando i suoi occhi indugiarono sul mio seno e lente, le mie mani si poggiarono sulle sue spalle muscolose.
"Allora se vuoi ancora, starai qui piccola... cavolo, hai lentiggini ovunque" sussurrò carezzando il centro del mio petto, allargando appena un po' il mio seno che ne intrappolò la mano.
Effettivamente la parte alta era costellata di lentiggini.
Entrambe le mani del ragazzo strinsero il mio seno dalla tessuto del reggiseno, comprimendolo verso il centro, una presa che mi fece mordere il labbro inferiore.
"Voglio farlo e..." mi zittii quando poi ne abbassò le coppe, fu un gesto lento e delicato che però portò il mio seno a straboccare oltre il reggiseno.
"Sono enormi..." sussurrò eccitato mentre si piegò verso di me, io ridacchiai imbarazzata ma poi dalla mia bocca uscì soltanto un lungo, delicato gemito.
Pedro aveva catturato il capezzolo destro tra le sue labbra, lo sentii succhiare con dolcezza mentre il suo respiro si riversava sulla mia pelle delicata.
Strabuzzai gli occhi mentre delle scosse si estesero sul mio petto, tornai ad ansimare sorpresa mentre con le mani lo strinsi a me. Tutte quelle nuove emozioni erano tanto piacevoli quanto spaventose, sentivo che poco a poco il mio corpo si stava abbandonando, in balia di un mare che con dolci onde lo stava facendo annegare.
Mi ritrovai mezza nuda ma fu più imbarazzante vedere il suo pene per la prima volta: Decisamente grosso, solcato da diverse vene e dalla punta gonfia, lucida.
Lo strinsi dolcemente tra le dita della destrorsa e mi mancò un battito nel provare quella sensazione calda sul palmo. Era allo stesso tempo sia duro che soffice per via della pelle, stringerlo mi eccitava in un modo che non pensavo potesse fare. Lui ansimò e sorridendo cominciai a muovere la mano in alto, poi in basso. Movimenti lenti per timore di fargli male.
"Puoi andare anche più veloce..." boccheggiò lui socchiudendo gli occhi, Scambiammo un lungo bacio nel quale la mia mano aumentò di velocità.
"Voglio la tua bocca..." ansimò. Che schifo, pensai in quel momento.
"Intendi... cioè" nel mentre continuai a dargli piacere con la mano.
"Mh mh" e lentamente portò la sua mano sulla mia nuca, carezzandola.
"Non me la sento, è la mia prima volta, in tutto per tutto" gli dissi e lui sorriso compiaciuto, forse felice del fatto che gli concessi la mia verginità.
Lo aiutai a togliermi la gonna e guardandoci negli occhi, nel silenzio ci stringemmo, lo fissavo negli occhi spaventata e col fiato pesante.
"Pronta?" Domandò lui e io che nemmeno trovai la forza di parlare, feci solo segno di si col capo.
Subito dopo avvertii la punta del suo membro dilatarmi, lui mi strinse forte dai fianchi e con dolcezza mi guidò verso il basso.
La prima sensazione fu quella di un lieve strappo che mi fece urlare acutamente, poi il suo membro scivolò dentro di me nella sua interezza. Era veramente strano, potevo sentire la sua grossa asta in ogni suo centimetro nel mio corpo e questo mi procurò un lieve dolore nel basso ventre. Strano, ma in fondo piacevole.
"Tutto ok?" Domandò, le nostre fronti una contro l'altra.
"S-si... continua" Pigolai quando stringendomi dalle natiche mi mosse verso di se.
Nascosti nel buio e avvolti dal calore ci baciavamo ansimando uno nella bocca dell'altra, guardandoci attraverso la penombra mentre i nostri corpi si univano, diventavano una cosa sola. Nessun preservativo, cosa veramente sciocca ma che rese più intimo l'amplesso.
Gocce di sudore mi colavano dalla fronte e le tempie mentre, il seno rimbalzava ad ogni spinta verso l'alto del suo bacino. Un ritmo ferale, quasi violento che in poco fece annebbiare la mia mentre.
Seguii i suoi movimenti, gemendo contro la sua bocca quando prendendomi per la nuca mi strinse a se.
"Mi piace da impazzire" Piagnucolai e lui sorrise soddisfatto
Ero sua, lui era mio. Una sensazione che non dimenticherò mai e che mi manca provare. Il brivido della prima volta: quante emozioni così tanto forti si possono provare nella nostra vita?
Pedro era fantastico non potevo fare altro che ansimare in quel mare di perverso piacere, uncinò i pollici tra cosce e linguine iniziando a muovermi contro di sé con maggiore foga.
Il divano sbatteva contro la parete, il mio seno invece sul suo viso o il petto e i nostri gemiti divennero l'unica cosa udibile in quella casa così silenziosa.
Non ricordo per quanto andò avanti ma solo che con lui sperimentai le gioie di un vero orgasmo; Le mie gambe tremavano incontrollate, tutto il mio corpo fu preda di violenti spasmi nei quali ero completamente in tilt. Anche lui lo raggiunse ma non dentro di me e una volta terminato ci stendemmo sul divano completamente nudi, non era il posto più comodo per sdraiarsi in due ma ci stringemmo per restarci vicini, sentire uno il calore dell'altra.
Il piacere doveva ancora scemare dal mio corpo e mi sentivo al settimo cielo, il giorno più bello della mia vita.
"Sai che non sei solo una scopata vero?" sussurrò lui, sorrisi carezzandogli il braccio dandogli poi una sberla, tremavo ancora come una foglia.
"Ci mancherebbe altro, ti castro altrimenti! prato è vicina e posso scoprire dove abiti!" replicai ridacchiando.
Restammo in silenzio nonostante fossi sporca di sangue tra le cosce, faceva un po schifo ma in quel momento volevo solo restare stretta a lui: baciarlo e coccolarlo, ricevendo in cambio le stesse premure.
Sebbene avessi voluto addormentarmi sul sul suo petto, dovetti darmi una sistemata e dopo averlo salutato con un bacio tornai a casa. Le vie del campeggio erano totalmente buie e deserte, sulla mia pelle accaldata il freddo mi faceva avere dei tremori violenti eppure non potevo fare altro che sorridere come una deficiente.
Non potevo credere che fare sesso fosse così tanto bello, continuavo a rivivere quei momenti nella testa senza poter pensare ad altro.
Arrivando a casa il sorriso si spense nello sguardo di mia madre, era in veranda sul divano a dondolo stretta in una felpa rosa.
"sono quasi le tre e mezza Ely!" mi disse in tono infastidito, la sua mano destra schiacciò quella sigaretta occasionale che di tanto in tanto si concedeva.
Abbozzai quindi un sorriso imbarazzato mentre mi grattai la nuca.
"si, ecco... eravamo dentro e non ci siamo resi conto dell'ora, scusa mamma" risposi mentre salii in veranda, lei mi guardò, sembrava studiarmi, suoi occhi andarono dalla mia testa fino i piedi, si strinsero con fare indagatore e di colpo s'alzò annusandomi il collo e i capelli.
"non ho fumato mà!" Spiegai seccata.
"ti perdono solo perché non sgarri mai ma la prossima volta che ti dico di non fare tardi, beh tu non fare tardi" sentenziò quindi indicandomi con la mano che teneva il pacchetto di Winston blu, fumava sempre quelle.
Le stesse dita si mossero verso la porta.
"ora va a nanna, io finisco di fumare" Ordinò.
"ma mamma ne hai appena spe..."
"fila!" Non aggiunsi altro, le diedi un bacio sulla guancia ed entrai nella casetta per poi mettermi sotto le coperte.
La mattina mi trovavo seduta al tavolo in veranda, Talloni sul bordo della sedia e ginocchia sul petto, con una mano le tenevo strette a me. I miei genitori chiacchieravano anche se non prestai attenzione alle loro parole, la mia bocca masticava in modo lento e pigro un bombolone alla crema mentre la destrorsa aveva già afferrato un bicchiere in plastica che conteneva succo d'ananas.
Ogni volta mia mamma chiamava quei bicchieri "di carta" e da questo ne scaturivano dibattiti sul fatto che fosse plastica e non carta.
Imbambolata nei miei pensieri mi alienai in un mondo tutto mio; la mia prima volta, quanto fosse rilassate quel periodo, le amicizie fatte e che da lì a tre giorni sarei dovuta tornare a Firenze.
Sarei andata in quinta e l'ultimo anno terrorizzava tutti i liceali da generazioni con una cosa chiamata maturità, me compresa. Era importante finire gli studi con il voto più alto possibile, quello che avevo sempre voluto era ad un passo, solo questione di tempo abbinato ad un ultimo sforzo.
"A te va bene elisa?" domandò mia madre ma io che non avevo ascoltato una singola parola del loro discorso, scrollai la testa riportata alla realtà da quella domanda.
"Mh?" mugugnai ancora mezza addormentata e lei ridacchiò.
"La sera leoni, la mattina..." ridacchiò dopo aver detto quella frase e io la guardai con una smorfia sarcasticamente divertita.
"Andiamo alla spiaggia rosa e pensavo, se i genitori dei tuoi amici non hanno niente in contrario puoi dire loro di venire con noi! Icché dici?"
Diventai di colpo rossa, come avrei fatto con Pedro? L'idea non era male affatto ma come mi sarei dovuta comportare?
Decisi di non rinunciare ad una giornata con loro per le mie paure e così proposi la cosa agli altri, parteciparono tutti.
Verso le dieci ci incamminammo, indossavo soltanto il pezzo sopra del bikini nero e una gonnella di tessuto bianco, con un cappello di paglia a coprirmi la testa e degli occhiali da sole tondi con la montatura viola.
Pedro come sempre aveva portato dietro un pallone da spiaggia, camminando sul ciglio della strada ci palleggiava con le mani ed il suono riecheggiava in tutta la strada.
Gli sconosciuti che incrociavamo sembravano essere spensierati, anche quelli che stavano servendo ai tavoli esterni dei bar o nei vari negozietti, come se quel posto fosse un mondo a parte privo di alcun pensiero negativo.
Certo, era soltanto un'apparenza. Nel complesso non era un gran che di paese, il classico posto marittimo pieno di bancarelle e negozi di pesca.
Da che ero lì però, non vi fu un singolo giorno di pioggia o anche soltanto un cielo fitto di nuvole. Volevo tornarci ogni anno, avrei pregato i miei se fosse stato necessario e avrei fatto qualsiasi cosa pur di convincerli.
Soltanto l'idea di andarmene mi rattristava, così mi fermai alla vista del mare, una lenta e frizzante brezza mi carezzò mentre il sole scaldava le mie braccia. Mi ritrovai a desiderare che la mia vita si fermasse lì, con i miei amici, senza preoccupazioni o doveri. Vivendo un po' come i bimbi sperduti di Peter Pan.
Quando raggiungemmo la spiaggia, lasciammo le nostre cose sotto i due ombrelloni che mio padre e Pedro fissarono sulla sabbia.
Papà prese in giro il ragazzo brasiliano in modo scherzoso, dandogli della femminuccia mentre l'altro girava il palo dell'ombrellone per farlo sprofondare e la cosa fu strana perché quando si parla di mio padre, non ci si aspetti che prendesse iniziative giocose di quel genere.
Quando tutti fummo pronti corremmo verso l'acqua e se in un primo momento competetti con Pedro, di colpo mi fermai ad ammirare quella sabbia più unica che rara, rosa come il piumaggio di un fenicottero rifletteva la luce del sole scintillando qua e là.
Il mare era cristallino con tonalità che andavano dal blu intenso al verde acqua, diventando rosa in prossimità della riva che appariva ora asciutta e ora bagnata. Il continuo scambio creava una coltre di fanghigliosa che ne colorava le onde.
Mia madre portò una piccola bottiglietta di plastica per inserirci all'interno un po di quella sabbia, scoprimmo anni dopo che per via di quella pratica furono costretti a vietarne l'accesso.
"Eisa, Enrico! Ma che fate lì imbambolati! Muovetevi!" urlò ridendo Pedro lanciandomi contro la palla.
Enrico era più avanti di qualche metro , bloccato con l'acqua sotto le ginocchia.
"Arrivo arrivo! Stavo guardando la spiaggia rompi palle!" Urlai arricciando il naso.
Presi la palla giunta ai piedi e dopo averla lanciata in aria la calciai colpendola di esterno, volò parecchio in alto ma anche parecchio fuori mira rispetto loro.
"Che piedi a banana!" urlò ridendo Francesco e il mio dito medio fu una rapida risposta iniziando a camminare dentro l'acqua, raggiungendo Enrico che presi a braccetto.
"Cristo ma qui jack ci è morto" i dissi e lui rise di gusto.
Io e lui avanzammo lentamente lamentandoci del freddo ad ogni singolo passo, lo tenevo sotto braccetto ed entrambi ci stringemmo spalla contro spalla.
"Forse è meglio se ci tuffiamo" Dissi questo ad Enrico ma dopo aver messo in pratica le mie parole mi maledii. L'acqua era così tanto gelida che la mia gabbia toracica sembrò comprimersi, quando uscii dall'acqua sentii il fiato smorzato ed esalai rabbrividendo.
Raggiunsi gli altri sbracciando più forte che potetti e vedendomi, Pedro lanciò la palla verso di me.
Piantai i piedi sulla sabbia e saltai in avanti dando una schiacciata dopo la quale mi ritrovai in sott'acqua.
Quando riemersi vidi prima Pedro e Thomas ridere a squarcia gola, quasi con le lacrime per poi notare Francesco con le mani a coprire il volto, piegato in avanti. Lo avevo centrato in pieno volto|
"Ma siamo pazzi?! Questo è tentato omicidio!" esclamò lui tra le risate generali.
"Elisa sei un cecchino! Lo hai preso proprio bene!" Sghignazzò Pedro, lo guardai non sapendo se ridere o dispiacermi mentre mi avvicinai a Francesco poggiando una mano sulla sua schiena.
"Non volevo farti male, scusami!" nel scusarmi però ridacchiavo senza riuscire a fermarmi, così lui mi prese la spalla sinistra e posizionando il polpaccio dietro i miei, mi spinse gettandomi in acqua.
"E adesso verrai colpita dalla punizione divina" esclamò con una voce stridula e demenziale saltandomi letteralmente addosso di pancia, fece un volo ponendo le braccia a formare un croce col corpo.
L'idiota si schiantò su di me e per qualche secondo rimasi bloccata tra il suo corpo e il fondale sabbioso del mare.
Passammo l'intera mattinata giocando a schiaccia sette, ci divertivamo sempre un sacco e in finale andavamo sempre io e Pedro o quest'ultimo e Thomas.
Non so se in Francia ci giocavate ma consiste nel fare sei palleggi e al settimo qualcuno deve schiacciare o colpire la palla nel tentativo di colpire qualcun altro per eliminarlo a meno che quest'ultimo non prenda la palla al volo in un solo tempo.
Durante le varie partite accadde che Enrico riuscì ad eliminare Pedro con un colpo di fortuna esagerato.
Francesco e Thomas gli corsero incontro esultando come se avesse vinto la coppa del mondo ma le esultanze finirono per diventare una molestia nei confronti del povero Enrico che venne palpato nel petto
"Dì la verità puttanella! Vuoi fare concorrenza ad elisa eh?!" esclamò Francesco divertito mentre la povera vittima cercava di scappare via implorando ai due, tra le risate, di fermarsi.
Io feci cenno di no ponendo le mani sui fianchi e in quel momento incrociai lo sguardo con Pedro, per stuzzicarlo morsi l'angolo del mio labbro inferiore, lui recepì decisamente il messaggio, lo lessi nei suoi occhi che sembravano spogliarmi.
In quei giorni ero riuscita a prendere un po' di colore, quanto meno mia madre aveva smesso di darmi del cadavere. Non mi piaceva prendere la tintarella, stare troppo tempo esposta al sole era fastidioso.
"ragazzi usciamo?" Proposi. Le labbra mi bruciavano e i miei polpastrelli erano completamente rugosi.
Fortuna che approvarono e così, dopo esserci avvolti nei rispettivi asciugamani, andammo all'unico piccolo baracchino presente nella spiaggia.
Una casetta in legno e diverse panchine di legno coperte da un gazebo in legno e bamboo. Il pavimento era composto da grosse piastre di pietra rosse o grige e tra ognuna di esse vi erano dello spazio riempito di ghiaia bianca.
Poggiai male il piede e mi sbilanciai in avanti, allarmando gli altri che si voltarono verso di me, fortuna che non cadetti come un imbranata.
"Ma ti reggi in piedi?" Ridacchiò Pedro a cui mostrai prontamente il dito medio.
"Maremma maiala non è colpa mia se sto pavimento l'è fatto col culo!" fu la mia scusa.
Seduti finalmente su uno dei tavoli guardai Enrico e Francesco giocare a Yu-gi-oh, si portavano sempre quelle carte in spiaggia. Li guardai parlare di attacchi, punti vita ed evocazioni senza effettivamente capirci un tubo.
Puntualmente vinceva Enrico e Francesco arrabbiandosi richiedeva sempre una rivincita, ogni volta però perdeva e riperdeva, persone più testarde di quel ragazzo non ne avevo mai viste.
Mentre assistevo al loro gioco muovevo con mani una lattina di te alla pesca, mi trovavo seduta sulle gambe di Pedro che carezzava i miei capelli umidi e pieni di sale, di tanto in tanto baciava la mia spalla sinistra o la mordeva, costringendomi a dargli una sberla per farlo smettere.
"sei un cane?!" lo rimproverai divertita.
Guardai verso i miei e quando fui certa che non ci avrebbero visti, poggiai le mie labbra alle sue. Così morbide, fresche con un sapore di te alla pesca e sale marino.
La giornata andò avanti, tranquilla, come fosse una delle tante altre giornate sebbene sapevo che era una delle ultime.
Restammo su quel tavolo fino le tre de pomeriggio, mangiammo dei tramezzini ai gamberi e maionese per pranzo continuando a parlare e scherzare. Restammo lì per proteggerci dalle ore più calde e quando si fecero le quattro tornammo in spiaggia, Pedro che conosceva la zona ci indicò un punto dove ci si poteva tuffare dagli scogli in maniera del tutto sicura.
Quindi iniziammo a saltare di scoglio in scoglio per andare a tuffarci, io mi ci divertivo perché lo vedevo come fosse un gioco, dovetti però rallentare il passo per aiutare Enrico, più impacciato ed insicuro.
"Se cado mi ammazzo!" Disse mentre lo aiutai a raggiungere lo scoglio in cui mi trovai.
"E tu non cadere!"
"Eh... facile!" rispose in modo sarcastico mentre con una mano gli indicai il prossimo scoglio dove mettere piede.
Non eravamo gli unici ragazzi raggruppati in quel punto, notai una formazione rocciosa allungata verso l'acqua dove la gente ci correva per poi fare un salto di non oltre due metri.
Alcuni esibizionisti facevano capriole o si tuffano di testa, Pedro ovviamente era uno di loro. Io per quanto fossi atletica non sapevo tuffarmi di testa e fu proprio in quell'occasione che la mia "cottarella estiva" brasiliana mi insegnò a farlo.
Alla fine non era nemmeno poi così tanto difficile e mentre mi divertivo, tuffo dopo tuffo, si fecero le cinque poi le sei fino a quando mi resi conto che anche quella giornata stava finendo... la vacanza stava finendo.
Niente più Pedro e i ragazzi, niente più corse o passeggiate e niente più bagni ma cosa più importante niente persone con cui ridere e scherzare.
Ripensando ai miei compagni di classe mi venne un nodo in gola, sentii freddo perché il gelo sarebbe stata l'unica cosa che quegli stronzi mi avrebbero dato; l'apatia più totale. Dovermi dividere dai ragazzi del mare, abbandonare la felicità per abbracciare la tristezza era frustrante anche perché ero conscia di non poterci fare un bel niente. Mi sentii triste e amareggiata, quel posto mi stava già mancando.
Guardai quelle quattro persone che mi avevano accolta come una di loro, senza sapere se e ma, semplicemente diventai una loro amica, parte di quel gruppo.
Osservai i loro volti sorridenti, spensierati e allegri. Pedro mi mandò un bacio quando si accorse che lo stavo guardando.
"Vorrei restare qui tutta la vita" sussurrai a Enrico, ero seduta al suo fianco spalla contro spalla. Mi guardò con un sorriso intenerito, probabilmente dal tono che usai.
"Io voglio restare con voi tutta la vita. Sai elisa, non ho mai conosciuto una ragazza come te." mi confessò lui in tutta risposta, così lo guardai un po incredula.
"cioè, tutte le ragazze belle sono delle stronze, tu invece sei diversa da loro! A scuola mi passano accanto e per loro nemmeno esisto, sono un fantasma e l'unico posto in cui sono qualcuno, sono Enrico beh, è qui"
Ridacchiai per la prima parte rispondendo con "Perché io non sono bella appunto..." ma lui dissentì con lo sguardo mentre io modificai il mio tono.
"...E' per questo che eri triste ieri? Perché pensavi che tra poco tornerai ad essere ignorato?" gli domandai stringendogli la spalla destra mentre poggiai il mio braccio sulla sua schiena. Lo capivo, eccome se lo capivo.
"Si... anche" sussurrò lui abbassando la testa. Quella risposta però mi spiazzò, mi domandai cos'altro ci fosse.
"Anche?!" fu rapidissima nel domandare ma lui sbuffò facendo spallucce.
"Niente elisa, cose che una come te non capirebbe, non per essere offensivo, solo che tu non sei come me" spiegò.
Fu molto triste vederlo così abbattuto, volevo assolutamente fare qualcosa per aiutarlo ma se non avesse svuotato il sacco non ci sarei mai riuscita.
" Enrico, come pensi che io sia?" gli domandai seria e lui piantò i suoi occhi nei miei in modo sicuro ma quella sicurezza si sgretolò e tornò a testa bassa.
"Insomma... tu sei una bellissima ragazza, a scuola tutti ti andranno dietro e sicuramente sarai piena di amici. Siamo di due livelli completamente diversi!" Sospirò facendo cenno di no con la testa per poi continuare.
"Come ti dicevo, sono un fantasma ma almeno qui ho delle attenzioni, mi palpano come una donna prendendomi in giro ma quel gesto che può sembrare offensivo almeno mi fa capire che per loro esisto, che sono lì con loro, mi trattano da amico e sono felice."
Enrico si sfogò in una sorta di monologo che mi lasciò spiazzata, fu davvero triste quello che disse ma al contrario di quanto lui affermava, potevo capirlo e proprio per questo sentii con lui un legame di amicizia più profondo che in quei giorni non avevo avvertito così forte.
"A scuola una volta mi hanno circondata e offendendomi iniziarono a lanciarmi addosso pezzi di merendine e scatolette di succo vuoto, sono stata considerata solo quando per qualche mese mi fidanzai con uno dei più fighi della scuola ma poi sono tornata ad essere un fantasma, io sono come te Enrico." Risposi con un tono che si stava quasi innervosendo.
"Anche io sono triste perchè non voglio andare via, non voglio tornare tra quelle persone del cazzo a cui spaccherei la faccia uno ad uno. Il mio posto è qui... con voi ma purtroppo non si può ora. Forse in un futuro"
I miei occhi si gonfiarono di lacrime ed Enrico prese la mia mano, gli sorrisi e cercai di riprendermi.
"Sai cosa devi fare? Inquadrare un obbiettivo! Qualcosa di valoroso e grande, non devi pensare a quei grandissimo stronzi, concentrati soltanto su come rendere la tua vita migliore! Io ad esempio ho deciso che tra un anno mi arruolerò, so che diventerò una donna migliore di quelle galline che si pavoneggiano tanto, io sarò utile a qualcosa e se tu lo vuoi Enrico, se lo vuoi davvero, lo puoi essere anche tu! Devi esserlo anche tu!" gli dissi e i suoi occhi brillarono, fu veramente bello vederlo sollevato in quel modo.
"Promettimelo Enrico, promettimi che non ti lascerai andare e che farai qualcosa per rendere grande la tua vita!" gli disse porgendogli il mignolo che lui strinse col suo.
"Te lo prometto, con tutto il cuore elisa".
Poi qualcosa non mi tornò, lui aveva detto "anche" ma alla fine l'argomentò restò lo stesso, quindi provai ad indagare.
"Prima mi hai fatto capire che c'è altro, ti va di dirmelo?". Lui esalò mentre vidi delle lacrime lambirgli le guance.
"Ho iniziato a guardarti così, perché mi piace il tuo modo di parlare e il modo in cui ti comporti, mi piacciono le tue lentiggini e i tuoi capelli, insomma in questi giorni mi sono accorto che continuavo a guardarti anche senza accorgermene e mi sono reso conto di essermi innamorato di te perché è così, io ti amo ma non sono uno stupido, so benissimo che una come te non potrà mai volere... una come me. Poi... poi so che tu stai con Pedro e gli ho chiesto scusa perché sei la sua ragazza, mi sento scemo, in colpa!" le sue parole mi colpirono al petto, come se avesse lanciato un dardo che mi avesse centrata in pieno. Non sapevo che dire o cosa pensare mentre un senso di colpa iniziò salire facendomi sentire in un disagio disarmante.
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