Sa vida pro sa Patria
Fare un simile tragitto per me era uno scherzo, abituata ad ore ed ore di camminata, il freddo congelava le dita delle mani ma per il resto non vi furono problemi, camminavamo uno affianco all'altra e Marco di tanto in tanto si lamentava chiedendosi se non vi fossero dei pullman, io lo prendevo in giro esattamente come fosse un sottoposto.
"dai fighetta, non dirmi che sei già stanco!" il tono era divertito ma lui mi fulminò con lo guardo.
"non darmi della fighetta" replicò, avevo toccato il suo ego e si notava.
"allora tu non comportarti da tale, al rav non saresti durato due giorni!" ribattei.
Lui ridacchiò sollevando gli occhi al cielo.
"infatti io voglio curare i denti, non ubbidire agli ordini di un vecchio esaltato!".
A quel punto lo guardai male anche io ma lasciai perdere il discorso, anche perché in lontananza potevo vedere i cancelli del cimitero e le sue mura. Queste erano grigiastre, lievemente tendenti al rosa e a distanze regolari avevano delle fessure a forma di croce.
Nella piazzetta che precedeva l'entrata alcuni chioschi vendevano dei fiori mentre due viandanti presidiavano i lati delle entrate elemosinando qualche spicciolo.
Avevamo dimenticato di chiedere a Graziella dove lo avessero sepolto, effettivamente mi sentii un po stupida ma in quei momenti non ci avevo proprio pensato.
Così una volta entrati decidemmo di dividerci per controllare ogni tomba e ossario.
Il silenzio presente in quel posto era forse ancor più freddo dell'inverno stesso. Una desolazione così opprimente da lasciarmi in un lieve stato d'agonia.
Guardavo le facce di tutte quelle persone, sorridevano nei loro riquadri ornati affianco ai loro nomi e le date.
Mi domandavo cosa avessero fatto nelle loro vite, che tipo di persone fossero e come mai si trovavano lì. Tanti visi, tutti diversi ma tutti sorridenti ed era quello ciò che più metteva inquietudine. I loro bei sorrisi posti sulle loro stesse tombe.
Attorno a me avevo soltanto lapidi di diverse forme e colori visto che alcune erano nere, altre grige o rossastre. Mi domandai se un giorno, qualcuno sarebbe mai passato per caso davanti la mia lapide e avrebbe letto il mio nome. Fu un pensiero strano e forse macabro.
Continuavo a cercare Enrico quando mi imbattei in una bambina, si chiamava Matilde ed era bionda. Nella foto era in braccio a qualcuno ma essendo tagliata gli si vedeva solo la spalla, vestita con uno smoking elegante.
La bimba invece aveva una salopette ed una maglia bianca con strisce arancioni.
Nata nel 1995 e morta nel 1997.
Non è andata scuola, non ha potuto avere amici, litigare, innamorarsi... Non ha potuto vivere.
Quelle furono le cose che pensai, insomma Cheese, diamo per scontato tutto; i nostri progetti, i nostri averi, i nostri legami. Diamo per scontato che queste cose ci appartengono, che sono nostre di diritto. Non è così, non lo è affatto. Ogni giorno milioni di persone vivono tranquille pensando che il mondo è così perché semplicemente deve esserlo. Non si soffermano mai davvero a pensare quanto fortunati possono essere.
Vivono la loro vita pensando che il massimo di questa sia semplicemente avere tanti soldi, un bel partner e grosse ville. Si soffermano a frivolezze, danno più importanza a quanti like hanno su Facebook, quanti cuori su Instagram senza rendersi conto di quanto è prezioso ciò che hanno attorno. Di come gettano la loro vita nel tentativo di somigliare ad altre persone che esaltate dalle folle si sentono importanti, di successo! Fanno i saccenti, gli acculturati e saggi, lo fanno solo per potersi definire migliori di altri eppure ai miei occhi appaiono come fogli di carta portati via dal vento, sono nulla e nulla resteranno, al di là delle loro convinzioni...
... Cheese mi guardò, sentii i suoi occhi su di me mentre esposi quella mia lamentela nei confronti della società.
Ero davvero sensibile a certi argomenti visto che odiavo davvero gran parte della società in cui vivevo anche se lottavo e rischiavo di morire per salvarla.
Come sempre, il mio spotter cercò di ammorbidirmi e quando riuscì ad infilarsi nel mio discorso mi zittì.
"hey, prendi fiato!" disse ironicamente.
"lo so scusa, è che queste cose mi fanno impazzire di rabbia" mi scusai.
Pochi secondi dopo Bighouse si fece sentire in radio ma fu soltanto per un Check delle trasmissioni.
La situazione nel corso di quelle ore non cambiò mai, era sempre la stessa identica quanto noiosa solfa ma dovevamo pazientare ancora diverse ore.
"ancora devo capire come sei finita col sputare veleno sulla società parlando della lapide di una bambina".
Feci spallucce prima di rispondere.
"ho pensato che quella povera bambina non aveva avuto una possibilità in niente e molte persone che vivono invece non meritano un cazzo". Fui schietta e infastidita.
Lui annuì senza abbandonare quel suo modo idiota di fare, sembrava quasi non prendere seriamente quello che dicevo, come si sentisse superiore in certi versi. Lo conoscevo però e sapevo che non era il tipo, prendeva seriamente quello che dicevo anche perché sennò altrimenti non mi avrebbe costretto a raccontargli tutta la mia storia.
Continuai a raccontargliela riprendendo di mia spontanea volontà, ne fu parecchio felice. Me ne accorsi dal suo sorriso soddisfatto.
"ah ok, arrivo!" chiusi la chiamata, Matteo aveva trovato la lapide prima di me e così mi avvertì dandomi vaghe indicazioni per raggiungerlo.
Furono abbastanza per trovarlo e finalmente, mi trovai difronte la lapide di Enrico.
Sorrideva, esattamente come tutti gli altri in quelle inquietanti foto ma lui indossava l'uniforme come se in realtà non avesse mai smesso di prestare servizio.
Era bianca con gli angoli smussati, le scritte in bronzo e ai lati delle bandierine tricolore sventolavano.
Poggiata a sinistri vi era una ghirlanda su cui questa vi era arrotolata una striscia tricolore che portava lo stemma dell'esercito italiano.
Mi piegai mettendomi accovacciata, senza toccare la parte in marmo sul terreno, la toccai con la punta delle dita guardando Enrico attraverso la foto.
"qui giace Il caporale Enrico Puddu. 151° reggimento fanteria "Sassari". Caduto in azione per la causa nazione. Famigliari e amici,Ricordano... Sa vida pro sa Patria" recitai l'epitaffio restando in silenzio mentre senza nessun controllo iniziai a piangere, le mie lacrime gocciolarono sul marmo della sua lapide mentre tentavo di respirare in modo da controllarmi.
Non iniziai a parlare come se potesse sentirmi, mi sembrava parecchio stupido, baciai i miei polpastrelli poggiandoli poi sulla foto.
"mi dispiace, riposa in pace amico mio" sussurrai mentre Matteo poggiò una mano sulla mia spalla.
Diedi una pacca al bordo alto della lapide e mi sollevai guardandolo ancora una volta prima di girarmi. Saremmo andati via ma dietro di noi si stavano avvicinando due persone, entrambe mulatte e dai capelli neri. Lui aveva una barba ben curata che gli incorniciava il viso, lei lievemente in carne aveva tante piccole treccine che scendevano sulle spalle.
Lui si fermò fissandoci e la donna lo guardò, masticava una ciccia probabilmente e teneva il braccio piegato per sorreggere una borsetta nera.
"elisa?" domandò incerto, sollevò i palmi in un'espressione incredula.
"elisa ma sei tu?" Domandò ancora.
Quell'accento brasiliano avrei potuto riconoscerlo in mezzo a mille, fui piacevolmente sorpresa nonostante l'aria triste che opprimeva il mio petto.
"p-pedro? Oh mio dio" risposi riconoscendolo, fu difficile all'inizio per via della barba, annullammo le distante e ci abbracciammo, nonostante tutti i litigi che avevamo fatto e il modo burrascoso col quale troncammo. Non importava più niente, entrambi eravamo lì per un unica e sola ragione che ci univa.
"quanto sei cresciuta rossa!"
"e tu con quella barba?".
Le classiche cose dette da due persone che non si vedevano da parecchio tempo.
Nonostante non gioivamo data la situazione, fu comunque bellissimo rivederci, probabilmente per quello che rappresentavamo uno per l'altra, oltre la relazione.
Enrico ci univa in un legame profondo. Quindi anche se non lo vedevo da tanto, per me lui era una persona importante.
Gli presentai Matteo che inizialmente scambiò per il mio compagno, lui invece era accompagnato dalla sua ragazza.
Si chiamava Luiza e fin da subito mi accorsi che non sembrava molto contenta di essere in quel posto e ancor di più non apprezzò il nostro abbraccio, continuava a guardare Pedro come volesse rimproverarlo.
Restai con lui mentre diede i suoi saluti ad Enrico, a differenza nostra, lui aveva dei fiori gialli e bianchi, gli steli erano arrotolati con della carta stagnola.
Poggiò i fiori nell'apposito spazio e poi recitò una preghiera.
Alla fine uscimmo dal cimitero insieme, stavamo per dividere le nostre strade quando ad un certo punto Pedro mi fece un cenno con la mano.
"senti Elisa, so che non è il modo migliore più bello per ritrovarci ma, questa sera io e Luiza andiamo in un locale qui vicino, insomma ci facciamo una bevuta in memoria dei vecchi tempi, un uscita a quattro dai, ci divertiamo!".
Guardai la sua ragazza che se avesse potuto l'avrebbe ucciso, poi guardai Matteo, con delle spallucce mi fece capire che per lui era indifferente.
"certo, ci siamo! Hai ancora il mio numero no?".
"si si, dai allora a stasera ragazzi".
Tornati in Hotel mi infilai in doccia, l'acqua calda fu davvero molto piacevole dopo tutto quel gelo sentito sulla pelle. Ero in pace e solo lo scrosciò dell'acqua rompeva quel silenzio. L
dopo aver insaponanto i miei capelli restai sotto il getto che avvolse la mia testa, in quel momento così intimo per puro caso iniziai ad ascoltare il suo delle gocce che sbattevano sul piano in porcellana della doccia.
Tanti piccoli tonfi che si ripetevano in continuazione.
Notai che via via diventavano sempre più forti dentro la mia testa, così tanto invadenti, iniziarono a cambiare suono e quel suono rilassante diventò in poco tempo qualcosa di invadente, fastidioso.
Quei piccoli tonfi entrarono nel mio cervello, sembrava il suono di una mitragliatrice che sparava senza sosta. La potevo sentire, tuonare violentemente sentenziando morte a chiunque avesse avuto la sfortna di trovarsi difronte alla sua bocca. Cercai il rubinetto e dopo un terzo colpetto della mano dato in modo confuso riuscii a chiudere l'acqua, lasciandola gocciolare lungo il mio corpo e dai capelli. Nessuna mitragliatrice stava più sparando, tornai nella doccia dove la pelle divenne d'oca per il freddo.
" You know God walked down in the cool of the day Called Adam by his name.
But he refused to answer. Because he's naked and ashamed.
Tell me who's that writin'? John the Revelator.
Tell me who's that writin'? John the Revelator.
Who's that writin'? John the Revelator.
Wrote the book of the seven seals "
Cantando aprii ancora il rubinetto, la mia stessa voce mi aiutò a stare tranquilla, quindi cantavo quella preghiera Gospel rivisitata in chiave rock da un gruppo chiamato The forest Ranger, cantavano insieme ad un' altro cantante, Curtis Stigers.
Veramente una bella canzone, una delle tante che conobbi iniziando ad ascoltare The White Buffalo grazie ad Alyssa.
Stavo amando quel genere musicale. Cantare mi fece bene, sfogai tutte le tensioni in quel momento e quando uscii, coperta da un asciugamano come fosse un vestito, Matteo mi fissò con un sorrisetto.
"che hai?" domandai non capendo cosa avesse da ridere.
"ti ha mai detto qualcuno che hai una bella voce? Non ti avevo mai sentita cantare!".
Lo trovai parecchio imbarazzante.
"ma piantala!" replicai mentre andai a cercare qualcosa di decente da mettere quella sera.
indossai uno dei miei caldi maglioni che tanto amavo, questo non aveva spalline e girava attorno il busto e sulla parte alte delle braccia. Lasciando quindi le spalle lentigginose scoperte, sotto però portavo una canottiera nera ed un paio di jeans sopra degli stivali neri e lucidi.
Matteo Invece aveva una felpa con lo stemma di Skyrim, un gioco per la playstation 3 e dei pantaloni neri.
Il locale era uno dei tanti, un qualsiasi disco pub che però risultava essere parecchio vuoto, del resto trovandoci in un posto marittimo, d'inverno era sempre un po più desolato del solito.
Neon blu coloravano l'ambiente e piccole palme si ergevano da dei vasi neri brillantinati.
Anche il bancone e i tavolini lo erano mentre il pavimento bianco rifletteva la luce dei neon
Così ci mettemmo su un tavolo da quattro; di fianco a Matteo e difronte a Pedro che ci guardò sorridendo.
"non pensavo mai di trovarti qui! Ho seguito la storia sui notiziari, davvero assurdo quello che ti è successo!" Pedro poi si voltò verso la sua ragazza. "te l'avevo detto che la conoscevo!". Sembrò quasi vantarsi di ciò per questo mi sentii un po a disagio.
Quello che poi aumentò quel sentimento fu la risposta che diede lei.
"ah si? Che carina!" sibilò quasi sarcasticamente.
Guardai Matteo facendogli capire che stavo per perdere la pazienza, lui di risposta mi fece capire di calmarmi, presi fiato per rispondere ma il cameriere mi anticipò.
"vi ho portato i cocktail" esclamò con voce entusiasta. "allora, di chi è lo Jägermeister e redbull?".
Alzai la mano e mi porse un bicchiere con quel cocktail marroncino.
Pedro ridacchiò mentre gli altri Cocktail vennero serviti.
"quando ti ho conosciuta facevi le facce schifate quando bevevi e adesso guardati, certo bevi di merda ma... dio santo, sei proprio cresciuta".
Sorrisi mentre bevvi tramite due cannucce nere.
"sono grande perché bevo Pedro? E poi, non è di merda!" ridacchiai mentre Matteo sembrava essere d'accordo con Pedro, infatti indicò il mio bicchiere.
"no no, ha proprio ragione, bevi di merda!".
Lo guardai piegandomi in modo da allontanarmi da lui e guardai il suo drink.
"vaffanculo, tu bevi un mojito e mi giudichi?" Scoppiammo tutti e tre a ridere tranne Luiza così la chiamai, quando lei mi rispose con un secco "che c'è". Le risposi, fregandomene di tutto.
"ma poi il palo che hai nel culo te lo togli o è perenne?".
Pedro e Matteo quasi si strozzarono mentre la donna mi guardò di sott'occhi.
"andiamo! scherzavo non prendertela". Stava per alzarsi, rissa da bar? Sarebbe stato divertente e magari mi avrebbe aiutato a sfogare un po le tensioni che sentivo.
Pedro, completamente imbarazzato deglutì saliva, aveva appena fermato Luiza.
"dai non prendertela, stava scherzando!" spiegò lui ma la donna, iniziò a sbracciare esattamente come facevano quelle di colore nei film.
"questa non la conosco nemmeno, vi abbracciate parlate di stronzate al telegiornale e viene a dirmi che ho un palo nel culo?! Ma chi si crede di essere?".
Mi alzai io a quel punto, Matteo non riuscì a fermarmi.
"senti, se hai problemi di gelosia perché ho dato un abbraccio al tuo uomo ok, va bene lo capisco! anche del palo in culo, stavo scherzando e ti chiedo scusa, non avrei dovuto, ma di ancora che le mie cose sono stronzate e ti giuro, ti rimando nel tuo paese a calci in culo!".
Fu razzista come frase? Decisamente si e proprio quando eravamo ad un passo dal picchiarci, la nostra pace arrivo sotto forma di un uomo molto basso, vestito con una giacca gialla dai bordi neri. Una di quelle perlacee e appariscenti.
All'angolo del locale, su una specie di piccolo palchetto iniziò a cantare informando ai quattro gatti li presenti che sarebbe iniziata la serata Karaoke.
"che giacca di merda indossa quello!" ringhiai facendo ridere tutti gli altri Luiza compresa.
Pedro prese questa cosa per cercare di creare una toppa.
"sentiti Luiza, non hai bisogno di essere gelosa mentre Elisa! Il paese della mia ragazza è anche il mio!".
Sospirai e porsi la mia mano alla ragazza.
"scusa, non avrei dovuto".
Mi strinse la mano e fece un cenno col viso.
Tutte le persone che andavano a cantare erano stonate come delle campane, così tanto imbarazzante che io stessa provavo imbarazzo per loro.
Molte volte cantavano quando anche le altre persone cantavano, spesso con canzoni vecchie, conosciute anche dal più ignorante in fatto di musica.
Poi Pedro decise di andare a cantare, ovviamente lo incitammo ma quando partì la base de "la regina del celebrità" iniziai a ridere come una deficiente. Ci guardammo e picchiettando l'indice sulla mia tempia andai verso di lui appena in tempo per cantare il ritornello.
Felpa gialla diede un microfono anche a me tutto entusiasta e così indicandoci a vicenda urlammo quella canzone che mi riportò in discoteca. La potevo quasi vedere chiudendo gli occhi; tutto il casino, le luci, lui che mi ballava vicino e le sue labbra.
In vent'anni e passa di vita, l'uomo che avevo difronte fu l'unico con cui io ebbi una vita sessuale, escludendo l'idiota della palestra.
Era e lui che mi concessi e la mente tornò a quei gemiti, i baci.
Il mio corpo di colpo ricordò quanto era bello sentirlo dentro di se e quei pensieri non mi abbandonarono.
Ci guardavamo dritti negli occhi, ricordando quanto bello fosse quel nostro ricordo e quando finimmo anche se non ci fu nessun applauso ad attenderci lui mi sussurrò: "la ascolto sempre, nonostante tutto".
Messa in quel modo mi parve un modo velato di dirmi che non si era mai dimenticato di me, forse mi amava tutt'ora nonostante gli anni, il punto era che in quel momento ero io a non provare niente, certo il mi corpo era debole e quei ricordi furono piacevoli quanto, come dire, stimolanti. Ma non mi sarei mai sognata di riprovarci con Pedro. Non avevo proprio voglia di una relazione, non sarei riuscita ad affrontarla nella maniera giusta.
Quella serata fu bella, bella davvero. Buttai giù tre cocktail che mi stordirono, rendendomi molto più leggera e quando uscimmo, dopo aver salutato Pedro e la sua bella mi ritrovai ad abbracciare Matteo. Anche se ero ubriaca ricordo tutto. Barcollavo e cantavo sollevando le braccia e li... da ubriaca feci la più grande cazzata che potessi fare.
"sai cosa mi sta sul cazzo?" iniziò così, con questa mia domanda.
"cosa elisa?". Matteo si aspettava di certo una stupidata, classiche di quando una persona è ubriaca e vuole sparlare.
"che c'è qualcuno in questo mondo di merda che sta progettando delle maledette bombe acide, corrosive o che cazzo ne so e nessuno dice niente, zero. Dio che figlio di puttana, se soltanto fossi riuscita ad ammazzarlo io...".
Lui mi ammutolì preoccupato.
Non ricordo esattamente cosa rispose ma si preoccupò parecchio invitandomi poi a smettere di parlare, iniziò a parlare di altro, tentando di sviarmi ma il mio pensieri fisso era Yuri Chatov e le sue strane bombe.
"avrei potuto ucciderlo, era nel mio mirino, sarebbe bastato qualche secondo in più e invece...".
Mi sedetti sul marciapiede, iniziando a piangere come una disperata. Misi le mani nei capelli e Matteo mi fermò quando iniziai a colpirmi il gomito.
"invece il sergente Marti è morto per colpa mia, Enrico è morto per colpa mia, tutti muoiono per colpa mia. Vaffanculo... Vaffanculo!" Urlai tra le lacrime.
Quella sera vomitai, non ero affatto abituata a bere troppo e quei cocktail mi fecero stare parecchio male.
Soprattutto il giorno dopo quando mi ritrovai sdraiata d'un fianco con il braccio di Matteo sul costato, mi stringeva dolcemente e lo sentivo respirare sul collo mentre la testa iniziò a far male fin dai primi momenti.
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