questa sarà la mia guerra

Mi faceva letteralmente male il cuore, una struggente morsa mentre attorno non vedevo niente, la vista offuscata dalla lacrime mentre mi schiacciai contro il lince per allontanarmi dal cadavere di Enrico, in modo confuso afferrai il mio fucile.
"dov'è?!" domandai e nonostante Il sergente marti mi afferrò per tenermi bassa io mi sporsi come poco prima.
"dove'è?!" urlai ancora "dove cazzo è?" Lo cercavo nel mirino ACOG, gli avrei sparato l'intero caricatore ma un colpo fece scintillare la lamiera del lince a pochi centimetri da me, costringendomi quindi a ripararmi ancora.
"è un maledettissimo cecchino, stai giù porca puttana!" Mi rimproverò lui per poi farmi cenno con la mano di calmarmi, molleggiandola in modo violento.
"era un tuo amico, lo capisco, ma devi stare calma, non può fare così".
Un ragazzo avvertì la base che uno dei loro era stato ucciso e quando vennero chieste le generalità del caduto, guardai il ragazzo osservare Enrico e con una faccia atterrita comunicò il suo nome e cognome.
"copritelo... copritelo" intanto aggiunse un altro, tutti appollaiati dietro i blindati sperando che nessun'altro avrebbe attaccato dall'interno visto che un attacco su due fronti sarebbe stato devastante. Ogni qual volta che qualcuno provava ad affacciarsi, da lontano si sentiva un singolo e forte colpo e alcuni dei ragazzi rischiarono anche di farsi colpire. Quelle sbirciate tocca e fuggi però servirono per farci un idea di dove fosse, volevo essere io a farlo fuori, vendicare la morte del mio amico il quale intanto era stato coperto con una coperta color sabbia presa da uno dei Lince. Guardai il tessuto di quest'ultima tingersi di rosso, una piccola macchia che si allargava via via. Avevo ancora gli occhi gonfi dalle lacrime mentre il senso di colpa aveva già iniziato a divorarmi dall'interno come un parassita senza alcuna pietà, intenzionato a distruggermi. Alcuni soldati Italiani esplosero qualche colpo ma i continui tentativi mi fecero intendere che non andavano mai a segno.
Il cecchino sparò un'ultima volta e poi non si fece sentire più, nessuno osava certo esporsi ma quando qualcuno si affacciava, questo non veniva bersagliato.
" aspettate" fece un ragazzo mettendo in sicura il suo fucile, dopo di che slacciò il suo giubbotto antiproiettile e si tolse la divisa. Sotto indossava una t-shirt grigia completamente fradicia di sudore. Tolse anche l'elmetto sulla testa restando solo con gli occhiali protettivi.
Tutti noi lo guardammo mentre lui appese il giubbotto al calcio del fucile e poi l'elmetto sopra tenendo lo spaventa passeri improvvisato dalla canna.
Lo fece inclinare oltre il muso del Lince muovendolo in avanti, l'idea poteva sembrare stupida ma tempo fa avevo visto un video di due soldati arabi che fecero a stessa cosa, ridevano e scherzavano tra loro ogni volta che il manichino veniva colpito, questo fin quando uno dei tanti colpi riuscì a prendere la mano di chi lo sorreggeva. Mi sentii sadica nel pensare che se lo meritava.
Nessun colpo però raggiunse quello fatto dal commilitone, dopo essersi sistemato tutto l'equipaggiamento e aver tolto la sicura guardò il suo sergente.
"signore, credo sia andato via".
Aveva avuto ragione il ragazzo nonostante agli inizi non fu preso seriamente. Quando gli Americani tornarono ci fecero cenni di vittoria e pollici in su, alcuni di noi risposero e con il paese bonificato tornammo verso Bagdad.
Non dissi una parola, restai tutto il tempo ferma immobile a fissare il blindato che avevo davanti, mi concentrai sui fari posteriori che ballavano ad ogni buca o dislivello del terreno con gli ammortizzatori che producevano un suono metallico.
Piangevo ancora, senza lamentarmi o fare scenate ma in silenzio con lo sguardo fisso, non ricordo nemmeno se effettivamente chiudessi o meno le palpebre.
Eccola la mia guerra personale, quello che stavo perdendo, la ragione per stare lì. Arrivata in quel paese stavo avendo dei dubbi su me stessa ma tornando alla base, quello che era appena accaduto mi aveva fatto ricordare perché imbracciavo un fucile.
Lo guardai muovendolo tra le mani, anche su di lui guardai i dettagli come i graffi che iniziavano a crearsi o la polvere che pulii col dorso della mano, coperta dal guanto mimetico.
Provavo un senso di odio e disperazione che si mescolavano insieme, una volontà di vendetta che bruciava il mio stomaco. Non volevo farla passare liscia a qui pezzi di merda, ritrovare l'esatto cecchino che si prese la vita di Enrico era quasi impossibile ma avrei fatto di tutto per ammazzarne più possibili, distruggere le loro basi e fermare, con gli altri, la loro avanzata che stava riprendendo piede.
Quando raggiungemmo la base ormai il sole stava calando, un altro giorno era volto al termine ma la mia giornata non era ancora finita.
Rientrata alla base, dopo aver sbrigato le formalità mi avviai in cucina. Non avevo fame, anzi l'odore del cibo mi stava rovesciando lo stomaco e nel vedere alcuni ragazzi mangiare dello spezzatino, fui colpita da violenti conati di vomito che mi piegarono a metà.
"tutto bene... tutto bene" risposi ad uno che avvicinandosi mi poggiò una mano sulla spalla chiedendomi se stessi bene.
Rendendomi conto si trattasse di un Tenente, mi risollevai e nel rispetto delle usanze lo salutai dicendo il mio cognome, nome e tutto il resto. Lui mi diede il riposo facendomi cenno con le mani che non erra necessario.
"scusi ma ho una cosa importante da fare" mugugnai sforzandomi di non vomitare.
"prego Caporale mazzoli" fu stranito dal mio modo e ancora gesticolando mi indicò la via.
Mi mossi a gran passi Raggiungendo Marina, lei stava servendo un ragazzo e io senza alcun tipo di permesso feci il giro del bancone. Nel vedermi lei si mise in guardia, quella tipica che ci avevano insegnato durante gli addestramenti corpo a corpo.
Protesi in avanti le mani e mi feci indietro.
"calma... calma devo parlarti" le dissi e lei quindi rilassandosi si girò tornando a lavoro, gli altri ragazzi mi guardavano ma me ne infischiavo.
"fatti dare un attimo il cambio si tratta..." le parole mi si strozzarono in gola e quando riuscii a parlare il tono era triste e tremulo.
"si tratta di Enrico ok? Si tratta di lui, quindi fatti dare un cambio". Non avevo un tono arrogante era più una preghiera. Non sapevo nemmeno come l'avrebbe presa.
La bionda si fece quindi dare il cambio e la portai fuori dalla mensa tramite una porta di metallo che avrebbe condotto all'esterno.
"Elisa mi stai spaventando" esalò lei e io abbassai la testa, cercando le parole per darle quella orribile notizia, nessuno mi aveva incaricato ma mi sembrava il minimo, del resto lo conoscevamo entrambi da vicino e in quel momento mi davo la colpa della sua morte.
"senti... io non ho proprio idea di come dirtelo e... mi si spezza il cuore ma Enrico è stato colpito a morte" esalai. In pochi secondi il suo viso diventò rosso, le si formarono grosse rughe espressive lungo tutta la faccia mentre gli occhi si chiusero.
"no... no" continuava a dire facendone anche cenno con la testa.
"dei jihadisti ci hanno attaccato, li abbiamo respinti ma un cecchino era rimasto e l'ha preso" esalai mentre lei iniziò ad urlare disperatamente. Ancora una volta il mio viso prese a lacrimare mentre lei si strinse a me.
L'abbracciai, ci trovammo a piangere in due, poggiate una sulla spalla dell'altra. Non importava che giorni prima avevamo discusso e l'avevo presa in giro, non importava più niente. Il dolore per Enrico era devastante.
"com...come è potuto accadere, voglio vederlo!" singhiozzò lei. Tirai sul col naso mentre le carezzai la nuca.
"no, davvero, risparmiatelo! Tieniti un bel ricordo di lui, fatti questo favore, credimi" spiegai.
Non riuscivo davvero a crederci, lo avevo da poco ritrovato e già non c'era più. Avremmo potuto riagganciare i rapporti, tornare amici; ridere e scherzare come quando eravamo piccolini.
Come quando ballai con lui per farlo sorridere o in spiaggia a prendere in giro Pedro.
Tornati a casa dall'iraq saremmo andati ad un bar o qualcosa del genere. Invece no, niente di quello sarebbe stato possibile. Enrico stava tornando a casa, ma dentro una bara con una medaglia che sarebbe andata ai genitori. Mi accasciai per terra trascinando la schiena contro il muro e anche Marina si abbassò con me. Fu davvero orribile. Persi lì, un pezzo del mio cuore.
Il giorno dopo, ancora una volta la Bandiera restò a mezz'asta e un'ennesima bara fu coperta dal tricolore, come con le altre mi offrii volontaria di portarla sull'elicottero.
"era colpa, non merito, Enrico... alla fine era colpa mia ma non temere... io e te saremo sempre uguali." furono le ultime parole che dissi al mio defunto amico pochi minuti prima che venne portato via.
Mentre l'elicottero si allontanò io stavo già tornando alla base, riunendomi con tutte le altre compagnie raggruppate, mi avvicinai alla mia squadra e osservammo un minuto di silenzio per poi tornare a lavorare.
Anche quello era un lato orribile del nostro lavoro, lavorare e fingere di niente nonostante il dolore che ci distruggeva.
Non mi fermai un solo secondo fin quando non arrivò l'ora di pranzo, arrivata al bancone per farmi servire il pasto, solo a sentirne l'odore ancora una volta fui colta da conati di vomito. Mi disgustava ed ero convinta che se fossi rimasta ancora un po avrei davvero rimesso. Marina si accorse di quello che mi accadde, io mi voltai senza salutarla e raggiunse il tavolo su cui i Delta Force stavano mangiando. Avevo gli occhi degli americani addosso ma io guardai solo Alyssa.
"ti prego, insegnami a tirare" le dissi soltanto, lei sorrise e dopo aver inghiottito un boccone mi fece cenno di si con la testa.
Non mi bastava più essere preparata, volevo essere addestrata al meglio, non avevo più dubbi ormai, tornata dall'Iraq avrei partecipato al concorso per Cecchini e lo avrei fatto per Enrico, del resto anche lui voleva partecipare una volta a casa ma visto che non avrebbe potuto, lo avrei fatto io.

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