Operazione midnight harvest
AVVISO DA PARTE DI SIGRID:
Questo sarà un capitolo parecchio lungo ma a mio avviso incalzante, ho dovuto spezzare a metà altrimenti diventava fin troppo lungo.
Andai in Armeria dove iniziai a pulire una dopo l'altra le armi della nostra squadra, smontandole pezzo per pezzo e assicurandomi che fossero perfettamente pulite.
Un lavoro minuzioso e alla lunga stancante, cercavo di non pensare e svuotare la mente ma più ci provavo più l'idea che ero stata tagliata fuori da quel video continuava a bruciare facendomi immaginare il fiume di parole che avrei riversato a quel vecchio che mi aveva mandato via. Sicuramente mi avrebbe risposto che erano mie speculazioni e che accadde tutto per caso e pure, sentivo che ero stata mandata via proprio perché nel suo bel video non doveva esserci una donna. Infatti, i video della giornalista di Mediaset vennero poi sequestrati perché contenevano immagini non divulgabili, alla fine, nonostante il mio avviso, Teresa e il suo assistente avevano ripreso alcune scene del conflitto a fuoco avuto il giorno in cui fui colpita alla spalla.
Questa tra l'altro faceva male dopo che l'operai per diverso tempo senza sosta ma nonostante questo non mi fermai, dovevo fare quanto possibile per farla tornare esattamente com'era prima della pallottola.
Tutto era stato fatto per niente, ero quasi morta per il capriccio di un superiore e le immagini che mi rappresentavano andarono probabilmente distrutte. Non mi interessava la fama, non volevo apparire come un eroina ma nemmeno tolleravo che qualcuno mi calpestasse i piedi in quel modo anche se sapevo di essere impotente a riguardo.
La porta di metallo dell'armeria si aprì lentamente attirando a se la mia attenzione, dietro di essa c'era Marti così, reduce dal nostro ultimo incontro mi misi sugli attenti dandomi ai suoi comandi.
"sai che odio quella roba" mi rispose, in mano aveva un sacco di carta dal quale tirò fuori due birre locali.
"non mi era sembrato prima" risposi smontando l'otturatore dell'accuracy awm di glauco. Lo sfilai con cura mentre Marti fece un sorriso col suo viso che era stato rasato, la sua mascella squadrata era quindi ben visibile, sulla parte destra aveva una piccola cicatrice, nessuna ferita di guerra ma una caduta in bicicletta.
"di certo se un mio sottoposto alza la voce davanti a tutti devo metterlo in riga, io e te possiamo anche spaccarci di pugni in privato, puoi mandarmi a fare in culo se ti fa stare meglio ma voglio che tu sappia una cosa". Si soffermò e poggiando il collo al fianco del tavolo colpì il tappo che volò via.
Mi porse la birra e l'afferrai dandone un sorso.
"so che un sergente non deve avere preferenze ma tra tutti quanti, tu lo sei e non perché sei una bella donna, non mi frega un cazzo di questo, ho moglie e figli" Precisa ancora. Io lo ascoltai, poggiando la bottiglia dove non mi avrebbe dato fastidio mentre continuai il mio lavoro.
"il punto è che ti vedo proprio come una delle mie figlie, vedo la grinta che ci metti e nonostante sei una degli uomini più cazzuti che io abbia sei l'anello debole del gruppo" A quel punto lo guardai ad occhi spalancati.
Lui mosse in avanti le mani, una reggeva la birra che aveva un gusto orribile, tra l'altro.
"fammi finire di parlare rossa" esalò così tornai a lavorare.
"prendi l'esempio di quei jihadisti catturati o del ragazzo con l'auto bomba" Mi disse portandomi quindi in quei momenti con la testa.
"a nessuno di noi è davvero importato qualcosa e pure tu hai tenuto il muso tutto il tempo, anche adesso hai quello sguardo"
Sospirai prendendomi del tempo prima di rispondere, rielaborai le parole da dire prima di sputarle fuori dalla mia bocca.
"non so più quello che voglio, tutto questo mi sta uccidendo e quando mi metto sotto le coperte o quando sono in silenzio, mi chiedo se tutto questo abbia veramente un senso" fu questa la risposta che diedi prima di dare un altro sorso alla birra. Le mie labbra si arricciarono mentre la fronte andò ad aggrottarsi, schifata da quell'orribile birra che però bevevo senza troppe cerimonie.
"Perché ti sei arruolata?" mi domandò a quel punto, una domanda quasi a bruciapelo che ancora una volta mi lasciò in un momentaneo silenzio.
"da ragazzina venivo derisa, picchiata ed emarginata. Non valevo niente per nessuno, allo stesso tempo ho iniziato ad interessarmi alle eroiche gesta dei soldati durante la seconda guerra mondiale e in men è nata l'idea che se fossi diventata come una di loro nessuno avrebbe più potuto dire che non valevo niente". Non ne avevo mai parlato con nessuno e la cosa mi fece stranire un po. Ma alla sua risposta mi sentii anche a disagio.
"e basta? È un capriccio?".
Strinsi i pugni e lui ridacchiò mettendo una mano sul mio basco come fosse una carezza sulla testa, lo tolse dalla mia testa ponendolo difronte i miei occhi. Guardai il suo fregio grigio.
"hai idea di quanti uomini hanno provato ad indossare questo basco? Quanti ne abbiamo rimandati da dove sono arrivati?" a quel punto la sua voce si fece anche un po arrabbiata. Non continuai ma voltando gli occhi verso sinistra lo guardai negli occhi con fare serio.
"non si entra qui soltanto per un capriccio, quindi sono sicuro che c'è di più". Era un invito a farmi dire altro, voleva farmi rielaborare le idee e infatti restai in silenzio. Fu lui a rimettermi il basco in testa per poi bere un sorso di birra e sommergere un rutto nelle guance in modo che non uscisse rumoroso.
"torna a casa allora, se non riesci a trovare una ragione migliore che non preveda i tuoi bulli del cazzo, allora spingerò a finché tu torni veramente a casa e se solo rivedo quella chioma rossa ti caccio a pedate, per restare qui deve esserci una vera ragione".
Lasciai il fucile e mi allontanai un po, cercando l'elisa sicura di se che avevo perso, non sapevo più dove ritrovarla.
Poi mi ricordai di quel bambino morto, di quello che mi aveva sparato e del male che avevo visto in quel posto.
Il mio commilitone decapitato, il delta sciolto con l'acido rosso. Qualcosa cambiò nel mio sguardo probabilmente.
"eccola, quello è lo sguardo che voglio vedere, perché sei qui Elisa?"
"ogni volta che catturiamo o uccidiamo uno di loro, diamo il nostro aiuto ai più deboli, rendiamo il pianeta un po più pulito e vendichiamo tutte le vittime innocenti dei loro attentati senza senso, sono soltanto un cancro da estirpare" Sembrò soddisfatto di sentire quella risposta, infatti mi diede una pacca sulla spalla abbastanza forte.
"va già meglio" replicò soddisfatto. "i superiori sono solo dei conservatori, vecchi dietro una scrivania, loro non hanno idea del valore di cui disponi, loro non ti hanno vista lottare, io si. Quindi al di là di video del cazzo, tu sei una del nono e questo non cambierà mai, quindi la prossima volta che ti fai venire una crisi da liceale ricordati di queste mie parole" Ridacchiò anche prendendomi in giro.
"adesso goditi la birra ma mi raccomando non farti beccare e finisci questo lavoro che dopo chiamo a raccolta nel cortile frontale" mi spiegò lui. "abbiamo del lavoro da finire" aggiunse mentre uscendo mi indicò. Così annui e lui mi lasciò sola, con quella birra orribile e il mio lungo lavoro da terminare.
Uscii soltanto essermi accertata due volte che tutto era al proprio posto e così mi recai verso l'atrio principale e da li uscii.
Guardandomi attorno notai i ragazzi della mia squadra raggruppati coi Delta force. Seduti attorno il solito tavolino. Nel vedermi i miei mi furono addosso, chiedendomi come stavo o cose simili. Rassicurai tutti loro uno ad uno mentre i Delta aspettarono per qualche secondo che noi terminassimo i saluti.
"vi presento Chatov Ivankov, questo è lo stronzo che ha sciolto Bradley con l'acido e ci ha tolto quella maledetta valigia, la nostra intelligence lo ha intercettato in; russia, poi qui in iraq e ora in una piccola cittadella chiamata El Beru Hagia poco più ad est tra il confine Somalo Kenyano" Disse Alyssa mostrando la foto dell'uomo che mi aveva schiacciato il piede sul viso e una cartina topografica del posto.
"gli esploratori parlano di grossi laboratori e di alcune staffette che dalla Somalia spariscono oltre il confine, in Kenya o solo dio sa dove". Stava per dire altro ma il Sergente Marti sollevò il braccio ed Alyssa gli permise di parlare.
"quello che il sergente Clovet dovrebbe dire è che questo laboratorio è diventata la nostra priorità, chi sta comandando la nostra task force ci ha ordinato di occuparcene ignorando i nostri precedenti compiti".
Io fungevo da tramite per ambo le squadre, traducevo alla perfezione dall'italiano all'inglese e viceversa.
Riprese quindi parola Alyssa come se i due competessero per chi dovesse avere parola.
"questa notte partiremo e ci paracaduteremo a 50 chilometri più a nord rispetto El beru Hagia dove..." Smise di parlare e togliendo le foto che ne coprivano altre. Queste più dettagliate mostravano una serie di capannoni pieni di furgoni, il tutto circondato da recinzioni e barricate.
"...assaliremo questo deposito, I navy seal hanno scoperto alcuni laboratori abbandonati qui in iraq, dopo il nostro attacco quindi hanno spostato luogo per stare più sicuri ma sarà proprio qui che noi andremo a fargli la festa" Sicura come sempre Alyssa saettava gli occhi tra le varie foto. "quello che più ci serve sarebbero dei campioni di quella sostanza e soprattutto Chatov morto" aggiunse guardandoci un po tutti, quello sguardo era una chiara raccomandazione perché lo tenette fin quando non finii di tradurre per i miei compagni.
Restammo attorno quel tavolo per più di due ore, parlando di come avremmo fatto irruzione all'interno, dividendoci equamente in due squadre con compiti ben diversi. Metà di noi avrebbero preso il liquido rosso, altri avrebbero abbattuto Chatov, io facevo parte proprio di quest'ultimo gruppo. I cecchini invece sarebbero rimasti lungo una collina rocciosa che circondava buona parte dei magazzini. Avrebbero pensato alle vedette e ci avrebbero coperti in caso di necessità. Distavano a meno di un chilometro quindi per loro sarebbe stato un lavoro mediamente facile. Quello che mi fece parecchio pensare era come i nostri superiori avevano messo da parte una lunga black list per dare la priorità ad un singolo uomo. Evidentemente c'era qualcosa in gioco che non volevano dirci. Non che ci volesse poi un genio a capire che aveva a che fare con il liquido rosso ma a quel punto, mi chiedevo cosa i superiori sapevano e che ci tenevano nascosto.
A quanto pare, anche in Navy seal avrebbero partecipato a quella missione ma in un punto diverso, infatti loro si sarebbero occupati di bonificare e conquistare il punto nel quale i camion si spostavano dal Somalia in Kenya. L'intera operazione avrebbe preso il nome di "midnight harvest"
Saremmo partiti col calare del buio e quindi ci diedero il tempo per prepararci.
Sistemai il mio equipaggiamento sul letto, già pronto all'utilizzo controllandolo come sempre più e più volte in modo maniacale. Il tempo Libero che mi restava lo utilizzai in palestra, durante il periodo della mia convalescenza avevo allenato parecchio il braccio dal lato in cui ero stata colpita e per fortuna non persi nemmeno parzialmente il suo utilizzo, però rinvigorirlo non era una brutta idea, quindi sollevavo dei bilancieri sembrando una di quelle fissate con la muscolatura. Il braccio compieva una rotazione nel sollevarsi e nello scendere, lo facevo ripetutamente e quando sentivo di essere stanca non mi arrendevo, controllando il respiro mentre il braccio mi andava a fuoco.
Ogni volta che vedevo quella cicatrice sulla mia spalla e la toccavo odiavo me stessa per aver esitato in quel modo ma ancor di più il mondo in cui vivevo che costringeva un bambino ad imbracciare un'arma. Carezzavo la pelle sentendola gonfia e liscia, in quel punto ormai non avevo più lentiggini e sentivo chiaramente una rientranza. Era divenuta anche molto sensibile e mi procurava fastidio quando mettevo o toglievo una maglietta.
Non avrei mai più esitato per niente, non mi sarebbe mai più accaduta una cosa del genere. Ero stata miracolata la prima volta, come aver consumato una vita in un videogioco anche se di giochi non si parla. Non ne avrei sprecata un'altra.
La notte calò, passai gli ultimi momenti alla base parlando con Alyssa e altri delta ma poi corsi verso la mia camera e indossai quello che avevo steso sul letto.
Per quell'operazione eravamo stati dotati di visore notturno, un Heckler & Koch G36 calibro 5,56x45mm NATO con luce stroboscopica e mirino olografico 551 red dot e silenziatore.
Come secondaria portavo con me una Beretta 92, silenziata anche questa. Il tutto contornato da alcune granate accecanti, il mio coltello extrema ratio e delle tronchesi lunghe un metro. Queste mi vennero fornite in seconda sede e sarebbero servite a tagliare la recinzione del posto.
Come ogni notte, si gelava. Anche l'adrenalina aiutava a farmi ricoprire di brividi e in fila con gli altri della mia squadra mi avviai verso un Alenia C-27J Spartan, un grosso areo color sabbia pronto a decollare, saremmo saliti nella stiva di carico e una volta dentro mi allacciai dei cinturoni presenti sui lati.
L'interno era vuoto e metallico, noi dei Col moschin seduti sulla destra mentre i Delta sulla sinistra.
Ci eravamo divisi in quattro squadre; loro sarebbero stati Alpha, noi Bravo mentre le due squadre di cecchini rispettivamente Charlie e Delta.
All'interno nessuno parlava, ci si guardavano l'uno con l'altro ma senza fiatare. Le vibrazioni durante il decollo fecero produrre un assordante suono metallico traballante che invase il mio cervello e per qualche ragione, mi diede un impulso d'ansia che controllai immediatamente. Cercando di restare più composta e rigida possibile, dovevo concentrarmi.
Fu Alyssa ad interrompere il silenzio, cantando una canzone in inglese che non conoscevo, gli altri Delta force sorrisero mentre lei continuò senza imbarazzo, aveva una voce davvero bella, la faceva tremare come fosse una cantante country. Fu divertente perché il suo viso nemmeno si vedeva, coperta dalla ghillie suite era praticamente un cespuglio canterino. Smise dopo un po e il silenzio tornò ancora tra tutti noi.
Io carezzavo delicatamente il calcio semi-cavo del mio fucile d'assalto, questo era reclinabile quindi lo agganciavo e sganciavo continuamente, guardavo il vuoto mentre sentivo il suo continuo click clack. Alcuni di noi pregavano o altri semplicemente tenevano gli occhi chiusi e la testa sollevata tentando di rilassarsi, soprattutto quando l'abitacolo sbalzava producendo ancora quei rumori metallici fortissimi.
Il tempo iniziava ad essere confuso, nel senso che non capivo quanto ne fosse passato e quanto ancora dovevo aspettare. Tutta la tensione si sciolse lasciando solo un senso angosciante di noia; pensai a casa e mia madre, volevo sentirla e parlare anche con Matteo. Mi domandavo se quella notte sarebbe filato tutto liscio e se avrei rivisto il sole del giorno dopo. Ma l'unica risposta che trovavo era che dovevo dare il duecento per cento perché la risposta sarebbe stata si.
"un minuto al salto" sentii urlare mentre poco a poco il portellone posteriore della stiva si aprì, tolsi la cintura e collegai il moschettone al filo di ferro che percorreva tutto l'abitacolo fino alla coda. Tenetti la corda e mentre camminai la feci scorrere sentii lo stridio del moschettone. Il vento mi sferzava violentemente nonostante fossi in dietro nella fila, sentii la mano Del sergente Marti premere sulla schiena mentre iniziò ad urlare così come stava facendo Alyssa.
"via via via!" urlò, io premetti la mano su quello avanti a me e fu una reazione a catena, ci vollero pochi secondi prima di trovarmi coi piedi nel vuoto. Giusto la frazione di qualche secondo nel quale mi sentii avvolta dal vento prima che il paracadute, aperto dallo strappo del moschettone, si balzò in aria togliendomi il fiato.
La caduta fu rapida e il terreno si fece vicino con rapidità che poteva sembrare preoccupante, il colpo sentito sulle gambe era infatti pari ad una caduta di circa dieci metri quindi era importante saper come atterrare per evitare di farsi male in un terreno non ideale come il deserto roccioso. Il mio piede scivolò oltre un sasso facendomi sbilanciare in avanti ma col un colpo di bacino laterale mi adagiai sul suolo. Atterraggio piuttosto brusco ma quanto meno ero tutta d'un pezzo e convergetti verso il Sergente atterrato qualche secondo dopo di me. Notai che anche la squadra Alpha fece in egual modo e divisi in due gruppi ben distinti avanzammo verso il dislivello che ci avrebbe condotto ai piedi di quell'aria privatizzata. Da lontano come in foto appare come una sorta di azienda; magazzini, prefabbricati e una casa padronale di due piani. Era quello il nostro obbiettivo, Chatov doveva trovarsi lì, ad accertarsi probabilmente, che il lavoro svolto all'interno progredisse nel modo corretto. Di certo non poteva immaginare che la Folgore si stava per abbattere su di lui con tutto il suo impeto più violento. Avrei voluto ammazzarlo personalmente per quella scarpa che aveva premuta sul mio viso ma ancor di più, per vendicare la morte del mio commilitone e del delta sciolto in quell'orribile acido rosso che avremmo recuperato. A quanto pare chi era al vertice sembrava parecchio interessato visto che ci avevano spostati così tanto lontani per sequestrarlo e occupare un intera fabbrica che lo produceva.
I cecchini ci seguirono fino l'orlo di quel dislivello roccioso e poi si stesero, tutti noi invece scivolammo velocemente, nessuno cadde per fortuna e in pochi secondi fummo al recinto, fu in quel momento che sentii il suono strozzato dei fucili di precisione ovattati dai silenziatori. Avevano già iniziato a far fuori i primi tango sui tetti, nel posto era presente anche una torre di vedetta quindi, con tutta probabilità avevano ucciso gli uomini all'interno.
Noi Bravo raggiungemmo la parte nord del posto lasciando che Alpha percorresse tutto il lato est da dove avrebbe fatto breccia. Sarebbe stato un lavoro pulito, rapido e veloce. Da manuale
Il primo tango con cui entrammo in contatto stava camminando di fronte a noi, non ci aveva nemmeno visto così Il sergente Marti ci fece cenno di tenere la posizione sollevando il pugno destro bene in alto, s'avviò lentamente verso il ragazzo e quando fu abbastanza vicino lo afferrò per il collo. La vittima tentò inutilmente di urlare e sbattere le mani contro le braccia del sergente, questo fin quando, con un movimento rude ed improvviso non gli ruppe il collo. Udii chiaramente il suono delle ossa spezzarsi e tenendo il corpo lo trascinò verso la nostra posizione, alla nostra sinistra c'era un prefabbricato con le luci spente, quindi poggiò il cadavere nell'angolo tra la recinzione e quest'ultimo. Raggiungemmo la base dell'abitazione, controllando le finestre su entrambi i piani. Ci posizionammo ai lati della porta principale, questa aveva due gradini in pietra o granito alla base. Prima di fare breccia però uno di noi fece passare un cavo ottico tra la porta e il pavimento, questo era collegato ad uno schermo con visore notturno e luci infrarosse.
"Tre tango, uno in piedi difronte le scale, uno seduto sul divano e l'ultimo... è appena uscito dalla visuale tramite una porta". Entrare Significava necessariamente far saltare l'effetto a sorpresa per altri tango ma dovevamo comunque entrare. Da dentro si sentiva un cane di piccola taglia abbaiare di continuo e uno di loro diceva qualcosa di continuo, probabilmente cercava di farlo tacere.
Sul nostro lato vi erano solo due finestre, completamente chiuse e che non davano possibilità di entrare se non sfondandole. Alla fine il nostro breaker piazzò delle micro cariche esplosive sui cardini della porta e quando esplosero spingemmo la porta in avanti che cadde sull'uomo schiacciandolo per terra.
Invademmo la sala e mentre il terzo ad entrare uccise quello bloccato sotto la porta, il sergente Marti sparò un colpo che centrò quello sul divano, il colpo lo scaraventò contro il televisore che prima si piegò laterlamente e poi cadde sul corpo morto. Iniziammo ad esclamare il classico "libero" e quando mi affacciai vidi un Pincher che poggiando le zampe anteriori sullo schienale saltava abbaiando. I suoi occhi tondi brillavano visti dal visore notturno mentre ringhiava furioso. Fu brutto da fare ma sparai un colpo al cane che guaendo ruzzolò in terra vicino il corpo dell'uomo.
"libero" esalai avvicinandomi ad una porta. La sala si estendeva ad "L" così mentre io e Fabrizio entrammo gli altri stavano controllando al cucina che si trovava alla sinistra rispetto la porta. Sala e cucina non erano divise da muri ma da un piccolo corridoio dove sulla sinistra si trovava la scala per salire al primo piano. L'arredamento era tipico dello stile africano con maschere di legno e tappeti. Notai che i primi due uccisi erano in divisa e portavano alti gradi a differenza del ragazzino ucciso inizialmente che nemmeno aveva un'uniforme. Una volta aperta la porta ci trovammo in un antibagno; sulla destra vi erano degli scaffali pieni di prodotti e sotto di questi una lavatrice stava ancora finendo un ciclo di pulizia tremando incessantemente.
Sapevamo di trovarci un terzo tango oltre la porta che probabilmente ci stava aspettando dopo aver sentito il casino, per questo Fabrizio aprì la porta con un calcio e si sentì un tonfo. L'uomo era seduto sul gabinetto con delle cuffie verde mela sulle orecchie collegate ad un cellulare. La porta aveva sbattuto sul suo ginocchio e per questo si lamentò. Non aveva sentito niente e quindi riuscii a coglierlo di sorpresa. Gli sparai li sul gabinetto; il telefono gli cadde in terra e il corpo prima andò all'indietro sbattendo sul tubo dello scarico e poi andò di lato impattando con la faccia contro il muro.
"dai Tyrion, raggiungiamo gli altri" mi disse lui. Non conoscevo il trono di spade, quindi non capii la sua battuta. Infatti tornando in dietro gli chiesi spiegazioni e lui mi fece cenno "dopo" facendo girare l'indice tenuto orizzontalmente.
Salimmo le scale ma a pochi gradini, uno s'affaccio inclinandosi col busto, quelli al primo piano avevano sicuramente sentito la carica e il trambusto, non mi sorpresi di vederli pronti a difendersi. Non ebbe vita luna perché dei colpi lo raggiunsero in piena faccia. Lo schizzo di sangue fu talmente lungo che mi bagnò la coscia destra, ci spostammo a sinistra lasciando che il corpo ruzzolasse al piano terra e raggiungendo finalmente il primo piano ci trovammo in una stanza pentagonale, una sorta di saletta nella quale erano presenti una porta per lato. Trovammo una piccola resistenza ma spartendo i lati della zona riuscimmo a prevalere senza che nessuno di noi fu nemmeno sfiorato. Solo una porta era rimasta chiusa e quando andai ad aprirla mi trovai Chatov dalla parte opposta, pronto con la canna di un fucile a pompa rivolta verso di me. Mi spostai in tempo tenendo fermo con una Il sergente Marti, subito dopo udii la finestra aprirsi e affacciandomi feci in tempo a vederlo intento a gettarsi nonostante fossimo a quattro o cinque metri d'altezza. Premetti il grilletto e lo sentii lamentarsi. Non sapevo però dove lo colpii quindi corsi verso la finestra e mirando verso il basso cercai di finire il lavoro, il russo si stava allontanando verso destra cercando riparo dietro un prefabbricato dove non avrei potuto colpirlo.
L'uomo che ci aveva assaltati, che aveva fatto uccidere sia un Col moschin che un Delta force, era lì. Lo stesso uomo che mi diede quella sorta di calcio in faccia. Più che un lavoro, ucciderlo era una questione personale, gli avrei voluto tanto dare un calcio in faccia anche io ma mi sarei accontentata anche solo di ammazzarlo senza troppe cerimonie. Mancai il colpo e per non farmelo scappare saltai giù dalla finestra anche io nonostante il Sergente accorgendosi mi stava per ordinare di non farlo. Troppo tardi, stavo già piombando verso il terreno e quando lo raggiunsi caddi di lato con la coscia e il gomito. Fu parecchio doloroso ma mi alzai rapidamente, anche io zoppicai inizialmente ma esponendomi oltre il prefabbricato lo avevo ancora sotto tiro, lui accorgendosi rispose al fuoco col suo fucile ma mi mancò clamorosamente, a dirla tutta io non fui migliore.
Se quel giorno avessi avuto una mira migliore probabilmente ora non ci troveremmo qui in questo deserto.
Si spostò sulla destra raggiungendo. Oltre la villa tutto il sito era una gigantesca griglia, strade cementante si incrociavano tra loro tra i vari magazzini. Questi ultimi erano suddivisi in ordine con un codice alfanumerico dipinto con una vernice chiara sulle pareti. Con una rapida occhiata capii che erano crescenti da destra verso sinistra.
"Mazzoli, stiamo convergendo verso di te, non fare cazzate" sentii urlare il sergente in cuffia. Poggiai spalla e ginocchio contro l'angolo di un piccolo prefabbricato e puntai l'arma trovandomi però difronte ad un manipolo di ragazzi armati di Ak47. Tornai al sicuro dietro l'angolo mentre sentii le pareti di lamiera tremare sotto una pioggia di proiettili. Guardando a sinistra notai i miei arrivare, loro stavano già puntando i tango e passando nello spazio tra la villa e il prefabbricato, riuscirono ad ad uccidere alcuni di loro e distrarre i sopravvissuti, dandomi modo di affacciarmi e ucciderne due in rapida sequenza. Ne rimase solo uno che gettò l'arma in terra ma qualcuno di noi gli sparò comunque e avanzammo. Grazie a quel posto di blocco Chatov aveva guadagnato diversi metri, il suo fucile era inutile, non poteva colpirci da quella distanza ma anche noi faticammo nel prenderlo.
Per questo Il sergente Marti correndo per inseguirlo, comunicò a Delta, la nostra squadra cecchini, la nostra posizione chiedendo di uccidere l'uomo.
Correndo dovevamo fare attenzione a sinistra perché in quel lato le strade continuavano verso gli altri magazzini e a più di un angolo trovammo resistenza.
Noi eravamo un corpo unico e compatto, non lasciavamo scoperto nessun lato anche se a destra non vi era altro che un pezzo di terriccio e la recinzione di confine. Al primo colpo sparato dagli sniper della squadra Delta, l'obbiettivo girò di colpo andando nella strada tra i magazzini A1 e B1. Così facendo si tolse dalla linea di tiro dei cecchini. Tramite radio ci informarono che si sarebbero riposizionati ma questo richiedeva comunque un po di tempo e in quell'inseguimento disperato ogni tanto provavamo a colpirlo, difendendoci anche dagli attacchi. Uomini e ragazzi vestiti alla buona che non sapevano davvero imbracciare un fucile. Probabilmente pagati per fare i cani da guardia ma contro un corpo speciale come il nostro non c'era partita. Era un massacro, li stavamo schiacciando uccidendone uno dopo l'altro. Il più importante però non riuscivamo a colpirlo proprio perché impegnati ad ammazzare gli altri. Voltò verso sinistra e Marti dovette avvertire ancora i cecchini perché se si sarebbero posizionati secondo l'ultimo aggiornamento, non avrebbero comunque avuto campo libero.
Le cose però cambiarono in fretta perché ci accorgemmo che l'uomo stava correndo verso un elicottero appostato in uno spiazzo di terreno separato dai magazzini, quindi i cecchini, potevano non cambiare posizione e colpirlo nel momento in cui abbandonando la copertura degli edifici si sarebbe esposto correndo verso l'elicottero.
Questo aveva già iniziato a far vorticare le sue pale. Non doveva finire in quel modo, mentre correvo in prima fila alla destra del Sergente Marti, guardai all'interno della mia ottica red dot. Posizionandola perfettamente tra le spalle dell'uomo che correva a fatica tenendosi una mano sul fianco. Capii a quel punto dove lo avevo colpito. Il mirino traballava per la mia camminata ma ero sicura che sparando in quel modo sarei riuscita a centrarlo. Così concentrata non riuscii a vedere altro, come un toro che caricava il suo obbiettivo.
Premetti il grilletto e in quel momento qualcuno mi spinse all'indietro, fu uno strattone violento che mi fece volare con la schiena per terra, difronte a me, la persona che mi aveva spinto, il sergente Marti, venne colpito in pieno da un pick up che si era scagliato contro di noi a tutta velocità. Riuscii a guardarlo per un singolo istante prima che venisse messo sotto dal veicolo che sobbalzò. Sentii con chiarezza il suono di di verse ossa rompersi.
"no no no no" dissi rapidamente andando in avanti, mi trascinai a gattoni verso di lui mentre gli altri stavano già sparando contro il pick up.
Era veramente messo male, riverso per terra con una gamba rigirata su se stessa e piegata in modo innaturale verso l'esterno. L'omero destro aveva squarciato la carne e usciva spezzato sopra il gomito.
"sergente" Lo chiamai terrorizzata mentre lui era già andato in iperventilazione. Sputò sangue e quando gli tolsi il visore notturno, piegò gli occhi verso di me. Avevo imparato a conoscere quello sguardo. Lo conoscevo fin troppo bene, purtroppo. Il Sergente Marti stava morendo. Il pick up nel frattempo si era girato e stava tornando indietro ad altissima velocità. Restando in ginocchio aprii il fuoco, una lunga raffica che distrusse il parabrezza e fece scintillare il suo muso. Uno di loro aveva abbassato il finestrino e si era seduto sulla portiera con le gambe dentro l'abitacolo e il busto fuori, sparava anche lui. Ad un tratto il vetro dell'auto si colorò di rosso. Qualcuno era riuscito a colpire il guidatore ma l'auto non cessava di venirmi in contro, dovetti ruzzolare a destra. Il sergente Marti venne travolto una seconda volta e senza più controllo, andarono a schiantarsi contro l'angolo di uno dei tanti magazzini. Immediatamente si sollevò una coltre di fumo e quello seduto sulla portiera fu sbalzato in avanti rotolando per terra. Si lamentava quindi respirava ancora ma non sembrava in grado di alzarsi.
Rivolsi lo sguardo verso il Sergente Marti ma ormai non c'era più, i suoi occhi fissavano il celo con uno sguardo vitro e il suo corpo ridotto in quello stato orribile grondava sangue ovunque.
Faceva male, faceva troppo male ma dovevo resistere. Quando Enrico mi morì davanti gli occhi persi il controllo e fu proprio lui a rimettermi in riga. Non avrebbe voluto vedermi perdere il controllo, feci quindi quello che si aspettava da me, presi il suo posto essendo la più alta in grado. Feci convergere su di me gli altri, eravamo rimasti in otto e con tutto quel casino avevamo attirato su di noi parecchie attenzioni. Ormai Chatov era perso di vista e qualche minuto dopo un elicottero volò sulle nostre teste, come se quello stronzo ci stesse sfottendo. La priorità a quel punto era riuscire a difenderci da quell'ondata, ripiegammo dietro un angolo e rispondemmo al fuoco con una grinta ancor maggiore. La rabbia di aver fallito la nostra missione, la morte del Sergente ci aveva trasformato in bestie, almeno per me era così, persi il conto di quante perone uccisi quella notte ma avrei ucciso chiunque in quello stato, non avrei avuto pietà per niente e nessuno. Non mi importava mantenere un equilibro mentale, ero lucida ma con la voglia di ammazzare ogni singolo tango tra quei capannoni.
"andiamo negri di merda! Tutto qui?" urlò uno dei miei furibondo, eravamo tutti distrutti da quello che ci era capitato.
Il Sergente Marti era severo ma giusto, uno dei pochi uomini d'arme che non pretendeva niente e faceva sentire i suoi sottoposti quasi come suoi pari. Forte in combattimento e un buon amico nonché istruttore. Morì salvandomi la vita, amava così tanto i suoi sottoposti che diede la vita per salvarne uno.
Mi sentivo in colpa e provavo un senso di vergogna per non essere riuscita ad uccidere Chatov, le mani tremavano e in tutto quel casino mi accorsi che il ragazzo seduto sulla portiera del pick up era ancora vivo e si trascinava per terra con una gamba rotta. Seguita da gli altri mi avvicinai e lui iniziò a piangere nel vedermi, portando una mano in alto come segno di resa. Afferrai quella mano e la girai in modo tale da spezzargli il braccio. Lui urlò straziato dal dolore, prima mi parlò in africano ma poi provò un inglese sporco dall'accento locale.
Mi chiedeva per favore di risparmiarlo, lo ripeteva in continuazione. In tutta risposta presi il mio coltello e dopo aver poggiato il ginocchio sulla sua schiena gli sollevai la testa dal mento e con un rapido movimento della lama gli aprii la gola da lato a lato.
Lui prese a grugnire dolorante, soffocando nel suo stesso sangue che si riversò rapidamente sul cemento a grandi getti.
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