non sono io, non così, non in questo modo
Il periodo antecedente all'esame d'ammissione era scandito da costanti allenamenti, corsi preparatori e pause che sfruttavo per leggere o concentrarmi sulla patente.
Finita la scuola mi sarei aspettata maggior tempo libero e per pochissimo fu così ma tutte quelle nuove responsabilità mi tenevano parecchio impegnata. Iniziai ad ignorare Pedro, non gli rispondevo al telefono o ero sempre distratta quando parlavamo. Questo incrinò il nostro rapporto.
A rendere ancor più incerta la nostra relazione c'era il fatto che una volta entrata nell'esercito, non lo avrei potuto più vedere con frequenza settimanale. Stavamo rompendo, era ovvio e quella sgradevole sensazione era nell'aria.
Cristo perché ti sto raccontando queste cose?
Comunque sia, iniziavo a sentirmi distante da lui ma per graziarmelo acconsentii nel dargli piacere con la bocca quando facevamo l'amore.
Dei pompini però non potevano risolvere in nessun modo i nostri litigi, lui mi accusava di ignorarlo ed io gli facevo notare quanto fosse diventato appiccicoso e assillante. Ci lasciammo sotto casa mia, quando mi venne a prendere per parlare.
"Elisa, così non possiamo andare avanti, io capisco che per te è importante essere pronta ma non puoi ignorare tutto il resto: non rispondi mai alle chiamate, mi dai buca agli appuntamenti e quando ci vediamo fai la fredda. Non so più cosa pensare".
Avevo fretta, volevo tornare su in casa e continuare a studiare ma quella situazione andava affrontata.
"Fredda?! Non mi sembra che il sesso manchi, anzi!" squillai innervosita.
"Ma che cazzo, non è per quello! In questo periodo di merda è già tanto se mi sorridi, il sesso per farmi il contentino puoi anche tenertelo, non mi interessa!" s'avvicinò e mi prese le braccia, dandomi un bacio a stampo che ricambiai in modo approssimativo.
"Parlo di questo lo vedi?! Ma che ti ho fatto?!"
Ero furiosa, tutta quella settimana non avevo fatto altro che dargli spiegazioni, cercando di fargli capire quanto fosse importante per me concentrarmi sul mio obbiettivo.
"Rompi il cazzo Pedro! Rompi il cazzo! Ti sto dicendo che devo impegnarmi, devo studiare e voglio essere rilassata ma insisti ed insisti! Se volessi lasciarti lo avrei già fatto quindi puoi per favore rilassarti e darmi un po' di tempo?!"
"E cosa dovrei fare? Io non lo so Elisa, anche perché quando questo periodo finirà se andrà bene, chi sa dove ti manderanno! Questo mi spaventa, vorrei stare con te questi ultimi giorni visto che poi il tempo sarà molto meno, lo capisci?"
Sbuffai guardando verso l'alto, prendendo del tempo per non dare di matto.
"Parli come se mi mandassero in guerra. Sarò sempre in Italia, ci si potrà vedere comunque, certo bisognerà arrangiarsi ma non è che sparisco, tu questo invece lo capisci?"
"Ma lo so questo! Però proprio perché poi sarà complicato vederci, vorrei passare ora più tempo per noi, anche io sono impegnato col lavoro ed il calcio ma non mi sembra che ti ignoro come fossi il primo stronzo che passa! Non ti importa di me e di noi?"
"In questo momento m'iporta soltanto di entrare nell'esercito!" Urlai.
Scelsi apposta quelle parole, volevo spezzare la conversazione, tornare a casa e concentrarmi. Mi dispiaceva che con Pedro era andata male ma avevo altro per la testa, per me molto più importante.
"Va bene, ti auguro che tu possa entrarci. Ciao".
Non dissi nulla e lo lasciai avvicinarsi ancora, mi diede un altro bacio a stampo e poi si allontanò.
Mi sentii in colpa nell'osservarlo mentre se ne andava, mi tornarono in mente tutti quei bei ricordi in Sardegna e ci come mi aveva fatta sentire felice ma quando aprii bocca per chiamarlo, mi ingoiai il fiato. Ormai il nostro rapporto era così tanto incrinato che per il bene di entrambi dovevamo farla finita. Delle lacrime scivolarono lungo il mio viso e sebbene non potessi vederlo in faccia, Pedro aveva sollevato la mano destra portandola a sfregarsi il volto.
La mattina dopo mi svegliai alle cinque del mattino e uscendo dalla città mi infilai in un sentiero.
Non avevo un meta, bastava correre senza fermarmi, sentire l'aria bruciare nei polmoni e la brezza carezzarmi il viso. Collegate al mio telefono delle cuffie mi isolavano dal mondo con le canzoni di Ed Sheeran, dopo aver scoperto quel cantante inizia ad amarlo artisticamente.
Nessuna delle sue canzoni mi annoiava, le trovavo tutte bellissime. Storie romantiche o di speranza che mi aiutavano a tener libera la mente.
Alle otto del mattino ero già stanca e abbondantemente sudata, non sapevo dove mi trovassi ma ricordavo la strada percorsa. Quindi gettando un occhio al cielo che via via diventava sempre più scuro, raggiunsi un albero e mi sedetti in terra con la schiena poggiata al suo tronco.
Ripresi fiato ma colpevole anche la musica, raccolsi le mie gambe premendole sul petto e stringendomi scoppiai in un violento pianto. Avevo trattato Pedro nella maniera peggiore dopo tutto quello che di buono fece per me. Sentii di essere in torto marcio, consapevole che il mio comportamento fu odioso nei suoi confronti. Oltre quello, mi resi conto che arrivata a diciotto anni ero completamente sola se non per Matteo che comunque delusi gravemente.
Mi convinsi che tutti gli anni passati a litigare non furono per via degli altri, ero io il problema; Quella che non sapeva stare con gli altri, la rissosa ed antipatica. Il fatto che fossi sola come un cane ne era la prova inconfutabile.
"Che vita di merda" esalai stupendomi subito dopo averlo detto, uscì semplicemente dalla mia bocca con un tono spazientito e triste.
Un tuono catturò il mio sguardo verso l'alto e così alzandomi ripresi a correre più forte che potessi, non mi importò di conservare le energie ed in poco tempo le mie gambe presero a bruciare. Urlai mentre la musica mi isolava e la pioggia iniziò a battermi in testa e sul viso, non volevo fermarmi e per molto tempo ignorai il dolore fin quando stremata m'accascia di schiena in mezzo al sentiero sterrato. Restai lì, immobile ma con la cassa toracica che si gonfiava e sgonfiava, la pioggia gelida mi colpiva inzuppando i vestiti.
"Così... non... va bene" la mia voce era smorzata e prendevo fiato tra una parola e l'altra. Sapevo che se avessi voluto passare il test per entrare nell'arma avrei dovuto correre molto di più o forse era soltanto una scusa per migliorarmi. Il tempo per farlo lo avevo ed ero sicura di riuscirci.
Mi conosci, sai quanto posso essere testarda.
Per completare i miei allenamenti al di fuori dei corsi avevo trovato un grosso sasso che faceva al caso mio essendo di forma oblunga, lo mettevo tra i miei piedi e piegando le ginocchia all'esterno mi abbassavo, lo afferravo e sollevandomi portavo il sasso al petto per poi sollevare le braccia così da portare il peso inclinato sopra la mia testa .
Non mi fermavo fino al raggiungimento del decimo sollevamento e se riuscivo ne facevo altri cinque o dieci ma le mia braccia iniziavano a tremare e l'esercizio veniva male.
Ne facevo così tanti perché una delle prove d'efficienza fisica era il sollevamento di una bomba da mortaio di 120mm. Avrei dovuto sollevarlo almeno sei volte in ottanta secondi per poter essere accettata, il simulacro della bomba sarebbe stato pesante diciotto chili.
In tutto le prove che avrei dovuto passare erano quattro; il sollevamento della bomba, simulazione di caricamento della mitragliatrice previo manubrio, trascinamento del ferito e corsa di due chilometri.
Ogni esercizio mi avrebbe dato un punteggio da uno a cinque, se il punteggio eseguito rientrava tra i primi di un tot numero allora sarei stata presa, altrimenti avrei dovuto aspettare il bando successivo.
Non volevo perdere tempo in casa a marcire, per questo mi impegnai negli allenamenti come mai avevo fatto in vita mia.
La sera quando mi sdraiavo sul letto ero piena di dolori e nonostante questi si facessero sentire anche il giorno dopo, continuavo a fare tutto il necessario. Nel vedere il mio impegno mia madre mi diede dei soldi per iscrivermi in palestra.
"Se proprio devi allenarti almeno fallo in un luogo sicuro e non in mezzo ai campi, non si sa mai!" fu la sua motivazione. Rimasi colpita di quel gesto ma mi fece piacere, sembrava si stesse rassegnando al fatto che mi sarei arruolata.
Ci andavo praticamente ogni pomeriggio dopo venti minuti di pullman, lo stesso che oltretutto prendevo per andare a scuola.
Lì conobbi Edoardo, sarebbe stato il mio personal trainer. Un uomo sulla quarantina ma con un fisico prestate e atletico, aveva occhi azzurri e capelli brizzolati. Li portava corti sui lati e più lunghi al centro con un ciuffo che si ergeva in alto sulla fronte. Una barba rasa incorniciava la sua mascella. Lo trovavo un bell'uomo, sebbene l'enorme differenza d'età.
Quando gli spiegai quali fossero i miei traguardi restò parecchio sorpreso ma l'idea di quella sfida sembrò interessargli parecchio.
Grazie a lui arrivai a coprire due chilometri in dieci minuti e tutti gli esercizi: come il sollevamento del manubrio o della bomba non sembravano poi così tanto difficili.
Col proseguo dei giorni, sebbene la mia preparazione si fece sempre più eccellente, la mia vita privata era un disastro totale.
Matteo andò a Roma per l'università, andai con lui in stazione e parlammo fin quando non arrivò il treno, purtroppo non ricordo cosa ci dicemmo se non una singola promessa.
Avrei fatto attenzione e quando sarebbe stato possibile avremmo fatto serata assieme.
Vederlo partire col treno fu struggente ma andava bene così, era giusto che inseguisse il suo sogno come io stavo facendo col mio.
Una sera, uscita dalla palestra attraversai la strada e mi sedetti nella panchina della pensilina per aspettare l'autobus. Il sole ormai stava per sparire disegnando nel cielo sfumature che andavano dal blu al rosa. Lo fissavo con fare ammaliato e malinconico, musica nelle orecchie come sempre.
Notai Edoardo uscire a sua volta e nel vedermi, prima mi salutò e poi, facendo attenzione alla strada mi raggiunse.
"Sei stata grande oggi" disse, così io distratta gli risposi annuendo mentre abbozzai un sorriso. Se ne stava in piedi d'avanti a me, poco più a destra ma comunque vicino.
"Però non dovresti venire ogni giorno,dovresti prenderti del tempo per riposarti!" aggiunse poco dopo, quando si rese conto che non gli risposi. Sbuffai sollevando gli occhi al cielo.
"Ora sembri il mio ex ragazzo" esalai seccata mentre guardavo verso la strada, per fortuna il pull mano stava arrivando e lui se ne accorse.
"E tu sembri mia mia moglie, cerco di essere gentile e mi ignori" lo disse in modo buffo, non dando l'impressione che fosse serio.
Quella mi fece ridere, infatti mi coprii lievemente il viso con la mano.
"Non ci tengo a sposarmi, col cazzo" esclamai divertita mentre lui gettò un pollice dietro le sue spalle.
"E' tardi, non mi fido molto dei mezzi a quest'ora, dai ti porto a casa in macchina".
Sollevai le spalle e mi alzai, la ragione che mi spinse ad accettare fu che portata da lui avrei impiegato meno tempo nel tornare a casa.
La sua macchina era una comunissima Fiat punto grigio scuro, dentro vi erano alcuni pupazzetti e un profumo di mora investì violentemente il mio naso. Odiavo con tutta me stessa gli alberelli profumati, tanto forti da puzzare.
Durante il tragitto Edoardo mi domandò diverse cose; che scuola avessi frequentato, cosa mi piaceva fare oltre che allenarmi. Insomma domande preconfezionate per conoscere meglio una persona. Non avendo molto da dire, ricambiavo giusto per partecipare alla chiacchierata nel tempo in cui dovetti stargli affianco.
Non mi dava fastidio lui come persona ma odiavo le chiacchierate intervista, forzare una conversazione era l'opposto di fare amicizia.
Molto meglio stare zitti a quel punto.
Che poi... lo sto dicendo ad un idiota che in una missione di questa importanza mi ha chiesto di raccontagli la storia della mia vita, vero?
Comunque sia, da quella volta diventò un'abitudine; Edoardo mi portava sempre a casa la sera quando uscivo dalla palestra e imparai a conoscerlo meglio.
Mi parlava di sua moglie e di quanto amasse i suoi bambini, un po' lo odiavo perché sembrava essere sempre così felice e allegro ma quando mi parlava potevo percepire della tristezza, forse rammarico.
Finiti gli allenamenti, quando andammo nella sua macchina restammo a parlare. Pensa che aveva tolto perfino il profumo dallo specchietto retrovisore.
"Senti ma mi spieghi una cosa?" gli domandai e lui si girò verso di me.
"dimmi"
"Perchè fingi di essere felice?" Fui diretta, forse sfacciata.
"Fingere? Ma no non fingo; ho una casa, una moglie che mi ama, dei bambini e..." Non che ci tenessi tanto a lui in realtà, mi stava aiutando molto ma non lo vedevo come amico o forse la mia solitudine me lo mostrava come tale.
"Credimi, anche io sono triste, riconosco le persone tristi e tu lo sembri!"
A quella mia frase sospirò, sorrise e mi fissò dritta negli occhi.
"Quando avevo la tua età mi ero imposto tanti obbiettivi e oggi ho quarant'anni ma non ne ho raggiunto nessuno. Il punto è che tutto diventa velocissimo, senza che nemmeno te ne possa render conto. Posticipi e dici cose tipo: c'è ancora tempo! Ma la verità è un'altra, conosci una ragazza e la sposi. Le sue esigenze diventano anche le tue, poi arrivano i figli e la tua vita praticamente cessa"
Mentre diceva quelle cose pensavo soltanto che non volevo diventare come lui ma ciò che mi spaventava era il fatto che probabilmente lo sarei diventata. Per ragioni diverse ma non cambiava il fatto che temevo di diventare una fallita.
"Mi dispiace Edo"
"non importa, però voglio aiutarti a raggiungere il tuo obbiettivo, così non diventerai come me" sussurrò allungando la sua mano per carezzarmi i capelli, poi il viso fin quando non poggiò il pollice sul mio labbro inferiore.
"ma sei grullo?" esclamai afferrandogli il polso per bloccare quel suo movimento.
"non lo sono ma seguendoti tutto questo tempo, mi hai fatto ricordare cosa significa lottare e impegnarsi per un obbiettivo, il fuoco che hai dentro lo hai trasmesso anche a me, capisci?"
Poi s'avvicinò, ci guardammo negli occhi e poco dopo mi baciò premendomi contro lo schienale del sedile.
Sentii il suo fiato farsi pesante sulla pelle mentre la sua mano afferrò il mio interno coscia a quel punto però mi ripresi e lo spinsi via.
"No, sei sposato ed io sono appena uscita da una relazione!"
"Andiamo Ely, mi hai appena baciato" Lamentò lui provando ad avvicinarsi ancora ma lo trattenni dalle spalle.
"hey!" urlai violentemente. "no significa no!"
Edoardo sembrava parecchio confuso ed amareggiato, scrollò la testa e si allontanò lasciandomi libera di risollevarmi.
Lui schiarì la voce e accese il motore.
"ti... ti chiedo scusa" borbottò imbarazzato.
"nulla, portami a casa..."
Dopo quella sera non andai più in quella palestra, tornai ad allenarmi nei campi come sempre avevo fatto. Promettendo a me stesse che qualunque cosa sarebbe successa nella mia vita, non sarei diventata così triste e viscida come Edoardo.
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