Mamma
Ogni istante che loro passarono a medicarmi era un istante che io passavo a sperimentare un dolore che si espandeva da dentro con tanta forza che le mani tremavano e la mia presa sul pantalone del commilitone diventava più debole. Era come se avessi delle fiamme vive sulla spalla e nel petto, la cosa peggiore era che questo dolore trovava profonde radici all'interno del mio corpo e non mi lasciava tregua estendendosi in due punti che poi erano i fori d'entrata ed uscita. Li sentii mentre decidevano come spostarmi e alla fine, visto che il pericolo sembrava essere scongiurato, decisero che alcuni di lor avrebbero ripiegato verso i Lince e che ne avrebbero guidato uno fino la piazza così poi ci saremmo potuti spostare verso il forte che intanto restava in silenzio radio.
Mi sentivo debole, avevo perso parecchio sangue ma cercavo di restare sveglia, i ragazzi attorno mi parlavano, cercando di ridere ma se io lo facevo, i muscoli della faccia tiravano quelli del collo che a loro volta tiravano quelli nel petto causandomi fitte intense. Insomma, non si ride quando si prende una pallottola.
Dovettero togliermi la divisa e la maglietta, restando in reggiseno, questo un tempo completamente bianco era diventato per metà scarlatto e nel vederlo mi resi conto che avevo perso veramente una quantità ingente di sangue. Ero stabile al momento ma se non avessi avuto le cure adeguate probabilmente sarei stata sempre peggio.
"Fottuto bambino..." Disse il medico
"era spaventato, probabilmente il colpo è partito" provai anche a difenderlo e in quel momento, l'immagine del suo viso senza vita che picchiava il terreno sabbioso mi tornò in mente. Quel tonfo sordo e la piccola nuvola di sabbia che si era alzata nel momento dell'impatto. Anche tutto il sangue che denso colava verso il basso. Ogni singolo dettaglio veniva rielaborato alla perfezione mentre cercando di farmi sentire meno male possibile, mi sollevarono facendomi sdraiare sul lince. Ancora col laccio sulla spalla e con la spalla coperta da un panno imbrattato di sangue. Dietro con me Si mise Giuseppe che non mi staccò gli occhi di dosso un solo secondo parlandomi in continuazione. Ricevemmo la conferma che le forze nemiche erano state neutralizzate, così finalmente potemmo tornare verso il forte dove si trovava l'accampamento.
Ad attendermi c'erano degli uomini con una barella di tessuto verde scuro, mi ci infilarono e tenendola dai fianchi mi portarono via come una grossa e ingombrante valigia.
Ne uscii bene, mal ridotta ma meglio di molti altri meno fortunati di me; sarebbero bastati pochi centimetri per colpirmi il collo o magari i polmoni, a quel punto sarei morta nel giro di pochi minuti. Mi pulirono la ferita una seconda volta prima di suturare il tutto e mi vennero dati dei medicinali per evitare infezioni o simili.
A quel punto però c'era solo un posto dove volevo essere e quello era a casa mia. L'iraq mi aveva probabilmente sconfitta quel giorno perché non volevo più starci, nonostante non avrei più rivisto molte conoscenze o saputo cosa fosse quel liquido rosso che aveva sciolto davanti i miei occhi quel soldato americano. Niente aveva più importanza, quella pallottola poteva anche non avermi ucciso ma i miei ideali erano completamente morti. La sera stessa mi feci portare carta e penna, dovetti usare la mancina ma mi sforzai di scrivere una lettera a mia madre.
- Mamma, poche volte ti ho detto quanto ti voglio bene. Davvero poche e solo ora, capisco quanto sbagliavo. Tutte quelle volte in cui eri assillante con me e che mi stressavi, ora capisco quanto mi mancano, ora che non sei qui con me. Che non posso abbracciarti. Mi manca da impazzire farlo. Mi manca da impazzire la tua voce mentre mi rimprovera. Ti voglio bene mamma e questo non cambierà mai. So di non essere brava a parole e sopratutto che avresti voluto per me una vita diversa. Ma il destino di ognuno di noi è solo un filamento che percorre una stanza vuota. A volte questi si intrecciano e non si lasciano fin quando non raggiungono l'altra parte della stanza. Talvolta si separano e non sempre tornano vicini. I nostri fili mamma stanno viaggiando paralleli perché anche se sono lontana, il mio cuore ti resterà sempre vicino. Quindi non preoccuparti, io sto bene e i nostri fili torneranno presto a percorre questa stanza vuota insieme. Perché tutto quello che ti fa andare avanti in questo vuoto sono le persone che ami. E grazie solo a loro che non si smette di percorrerlo senza averne timore. L'Ho già scritto ma vedrai mamma che i nostri fili torneranno Intrecciati come lo sono sempre stati. Sei la persona più importante della mia vita e questo mamma, lo sarai per sempre. Adesso devo spegnere la luce, è stata una giornata pesante e devo dormire. Ma presto te lo prometto che tornerò a casa. Ti voglio bene.-
Faticai nel scriverla, la mano sinistra non era abituata a farlo e mentre scrivevo più di una lacrima bagnò il foglio che tenevo sulle ginocchia conserte.
Marti fu avvertito della situazione e mi chiamò tempestivamente, dopo avermi chiesto due o tre volte se davvero stavo bene mi disse che sarei dovuta restare ancora un po, giusto il tempo di stabilizzarmi e che poi sarei potuta rientrare.
Io non contestai e alla fine gli domandai se poteva chiedere il permesso per farmi tornare a casa. Ci restò male, lo sentii dal suo tono della voce ma capì anche il mio punto di vista. Mi rispose soltanto di mettermi a dormire e che poi avrebbe cercato una soluzione. Faticai a prendere sonno perché la dove il dolore mi lasciava un po più in pace, la testa riviveva quei momenti senza poter elaborare altre cose. Fu una notte agitata, mi sentii mancare l'aria di continuo e dovetti alzarmi diverse volte per andare al bagno, facendo attenzione ai miei movimenti.
Il mio braccio destro sembrava fuori uso, lo muovevo appena e comunque qualsiasi movimento se troppo prolungato era causa di dolore. Per tutta la notte speravo di poter riutilizzare il braccio nel miglior modo, che quel momentaneo irrigidimento era dovuto al dolore e non una grave lesione perenne. Ero davvero spaventata.
Quasi tutte le persone che scelgono la mia vita, arrivano al punto in cui ero io. Il punto in cui spaventata per propria vita, devi decidere cosa fare. Se smettere tutto e cedere alla paura o pure tirare fuori le unghie e non cedere. Quando si cade da cavallo bisogna alzarsi, mettersi in sella e continuare, quindi a rigor di logica io dovevo guarire, imbracciare un fucile e continuare il mio lavoro. Ma come potevo continuare pur sapendo quanto ero stata vicina alla morte? I miei ideali valevano davvero la mia vita? Solo che avevo fatto una promessa ad Enrico e pensando ad Alyssa non volevo perdere la sua stima. Cosa dovevo fare? Perché era così difficile scegliere una cosa così tanto importante?
La notte, o quello che ne rimaneva passò piuttosto rapida; feci anche un sogno piuttosto confuso di cui però non ho memoria. Ricordo solo che mi svegliai piuttosto disorientata.
Passai altre tre giorni all'interno di quel forte, nel quale il sergente Ribaldi, cambiò radicalmente dopo quel giorno. Inizialmente mi mancava di rispetto ma poi mutò il suo atteggiamento dopo quel fatidico giorno. Anzi mi aiutò parecchio senza apparenti doppi fini. Fu lui a dirmi che le cicatrici mi avrebbero causato prurito nei cambi stagionali e mi mostrò la sua poco più in alto rispetto al linguine. A lui andò peggio di me visto che la pallottola si fermò nell'osso e dovette fare mesi di riabilitazione prima di tornare alla normalità.
Ero con lui in quella che chiamavano "il salotto". Io seduta su un divanetto rivestito da un tessuto blu petrolio mentre lui restava su una sedia adiacente al tavolo. Erano circa le dieci del mattino e lui stava già mangiando dell'insalata condita con olio e limone. La accompagnava a del pane mentre masticava in un modo che sinceramente mi disgustava parecchio ma cercai di non pensarci.
"quindi oggi ve ne andate" il suo tono sembrava quasi dispiaciuto, sbuffai una risata.
"che c'è sergente? Non mi dica che si era affezionato ad averci tra i piedi". La mia risposta fece sorridere l'uomo e dopo aver mangiato un altro boccone mi indicò con la forchetta.
"quando ti ho arrivare mi sembravi semplicemente una come tante che ha solo un bel culo, ma tu, non solo hai un bel culo, hai anche le palle... ovviamente in senso figurativo, spero".
Feci cenno di no con la testa. Per tutto il tempo mi aveva mangiato con gli occhi e in quel momento mostrò che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Solo che quella volta non mi diede fastidio, capii che stava scherzando.
Stavo ancora parlando, raccontando a Cheese di quanta fatica avessi fatto nella riabilitazione dopo il colpo e soprattutto, di come combattevo con me stessa per non mollare tutte le fatiche di una vita e non cercare una scappatoia. Era come se ci fossero due elisa completamente diverse; una chiedeva nient'altro che tornare a casa mentre la seconda non ne voleva proprio sapere. Non avrebbe ceduto a costo di morire. Ricordarmi certe cose era doloroso e a dire il vero, ricordare ogni dannato istante della mia vita lo era. Ed ecco che Cheese. No, Philippe, afferrò il mio avambraccio, sentii la presa calda della sua mano anche attraverso la ghillie e lo guardai, dritto in quei occhi azzurri.
"guarda che che se vuoi puoi raccontarmi di altro, non ho mai imparato a conoscere una persona, tu sei la prima e te lo leggo negli occhi che stai male" esalò lui con voce seria. Io piegai lievemente le labbra di lato mentre sorrisi compiaciuta da quelle parole.
"e poi è inutile che me la meni con le tue seghe mentali riguardo il fatto che volevo continuare o no, sei qui, so già come è andata" ed eccolo che ritornava il Cheese di sempre, l'idiota che dopo essere stato dolce riusciva comunque a farmi infuriare.
"stavo per ringraziarti brutto idiota!" asserii tornando a guardare attraverso il reticolo.
"tranquilla baby, mi ringrazierai con quei hamburger" rispose lui, bella faccia tosta pensai mentre il mio sopracciglio destro si sollevò appena.
"non ci sarà nessun cavolo di hamburger"
"oh, e dai!" replicò lui velocemente. "dai chef Mazzoli, mi faccia I suoi prelibati hamburger" continuò poi.
Lasciai cadere l'argomento, questo fece calare il silenzio ma di certo lui non era un tipo che capiva quando smettere.
"hamburger, hamburger" lo ripeteva con voce spettrale. "caporale Mazzoli sono il dio degli sniper, ti ordino di preparare degli hamburger al mio fantastico figliolo Philippe". Mi sforzavo di non ridere per quanto fosse idiota.
"di al tuo amato figliolo di piantarla o te lo mando oggi stesso" fu la mia risposta e Cheese sembrò uscire dal personaggio.
"andiamo non puoi dire al dio degli sniper di uccidere un suo figliolo, è immorale". Squillò lui con quella sua voce alta dall'accento Francese.
"tu sei immorale" ringhiai io ancora combattendo per non ridere. Ci guardammo e dopo qualche secondo scoppiammo a ridere insieme. Cercando di tapparci la bocca. Durò qualche secondo, poi ci zittimmo.
"sei un cretino cheese" gli dissi quando riuscii a calmarmi e lui sembrò quasi fare spallucce.
"mi adori per questo". Non cambiava mai e in fondo, non volevo che lo facesse. Lui era perfetto così.
"ma ci pensi? Questi potrebbero essere gli ultimi momenti in cui potremmo ridere..." sussurrai con voce rattrista. Lui tornò a guardare il mirino e poi parlò.
"sei sempre la solita pessimista; io, te e tutti gli altri oggi daremo tutto quello che abbiamo per far sì che le risate non debbano spegnersi, sono stanco di tutto questo, te lo confesso" le sue parole mi colpirono, restai davvero interdetta e curiosa.
Intanto, brevetti un sorso d'acqua e passai la borraccia a lui che però mi fece cenno di no con la mano.
"cosa intendi?"
"intendo che potemmo aprire un ristorante in Italia o in Francia, io e te dopo che questo schifo sarà finito. Davvero elisa, voglio che ci pensi. Sono serio". Onestamente? Non sapevo cosa rispondere. Restai immobile tergiversando nel sistemare l'angolazione del mio fucile.
"ma io non so come si gestisce un ristorante"
Lui sbuffò.
"ma nemmeno io, ho detto ristorante perché è la prima cosa che mi è venuta in mente, il senso lo hai capito e lo so" controbatté lui.
Non sapevo davvero cosa rispondere. Mi stava chiedendo di lasciare la carriera e di continuare una vita normale io e lui. Quando mi metteva in quelle situazioni lo odiavo, apprezzo davvero quello che voleva fare ma lo odiavo perché mi metteva in difficoltà.
"vedi di non bruciarti il cervello pensandoci" continuò ridacchiando.
Non risposi, ero persa nei miei pensieri.
Alla fine oltre la carriera, cosa avevo? Una vita come la mia non era certo da tutti solo che personalmente io, a parte poche conoscenze e amici, cosa avevo effettivamente? Niente. Stavo per diventare una trentenne senza certezze se non la mia mira che comunque non poteva durare in eterno.
"io non sono come..."
"non è questo il punto cheese, quello che mi chiedi non è da poco. So che posso fidarmi di te" lo interrumpetti perché sapevo benissimo cosa stava per dire.
"beh comunque non devi rispondermi ora, mi basta solo che ci pensi sinceramente" aggiunse. Sospirai sentendo il peso di quella situazione particolare tra noi oltre quello del mio corpo intorpidito che premeva sulla fredda roccia. "lo farò cheese, prima pensiamo a far finire questo schifo, altrimenti non ci sarà un posto dove poter tirare su un ristorante" sorrisi malinconia facendo un cenno col capo. "cristo, mia madre sarebbe felicissima" aggiunsi ed entrambi ridacchiammo ancora. Nel frattempo, la situazione nella base che stavamo monitorando non mutò nel tempo, sempre la solita situazione stabile e il tempo sembrava scorrere in modo bizzarro. Sembravano passate intere mezz'ore e invece non erano che passati pochi minuti. Ero abiutuata a certi scherzi, cercando di non pensarci. Sentii il contatto radio attivarsi.
"qui delta, avanti" esalai
"qui big house, delta fate rapporto, passo" ordinarinono.
"delta non ha novità da segnare per il momento, tutto stabile come durante l'ultimo aggiornamento, niente di anomalo da segnalare, passo" risposi.
"perfetto delta, resistere ancora un po delta, bighouse, passo e chiudo".
Fu stranamente piacevole riceve quel incoraggiamento da parte di bighouse.
Ad un tratto, quando mi adagiai in quel piacevole silenzio cercando di non pensare al freddo, sentii in suono provenire sotto di noi, qualcosa o qualcuno aveva fatto rotolare delle pietre. Il cuore mi entrò direttamente in gola e a giudicare da quanto si fosse irrigidito, anche cheese lo aveva udito. Non fiatammo e lentamente ritirammo i nostri fucili altrimenti se ci fosse stato qualcuno sotto, avrebbero potuto vedere le canne. Lentamente cheese poggiò le mani sul bordo del precipizio e si sporse appena. Lo fissai per tutto il tempo anche quando fece penzolare la testa.
"oh grazie a dio" sbuffò. Quando mi affacciai anche io, incuriosita dalla sua reazione, vidi una capra che stava camminando sotto di noi.
"apparterà a qualche villaggio vicino" ipotizzò cheese.
"è pericoloso però, magari nel cercarla ci vedono, ma non possiamo nemmeno rischiare di lasciare la postazione per una maledetta capra" cercavo di riflettere ad alta voce.
"irish, è notte fonda, anche se verranno a cercarla sicuramente sarà quando già tutto finirà, tranquilla, magari se ne va via da sola" furono queste le sue parole e mordendomi il labbro restai in silenzio, alla fine non aveva poi torto e comunque non potevamo fare diversamente. Cercai quindi di ignorare che sotto di noi, una stramaledetta capra stava facendo baccano.
"scusa se torno sull'argomento ma, quanto hai impiegato a guarire? Una ferita simile non è roba facile" esordí lui, forse volendomi aiutare nel non pensare all'animale.
"qualche settimana, davvero un altro periodo di merda tra i tanti altri periodi di merda" esalai sconsolata.
"immagino, mentre l'Iraq? Hai continuato?"
Ero seduta in mensa, avevamo appena mangiato del pollo ai ferri duro come una suola con dell' insalata orribile ma mi ero allenata tutta la mattina quindi avevo così tanta fame che mi infischiai della qualità. Quello che aveva la mia attenzione era lo schermo di un telefono. Avevo appena finito di vedere un video mente il Sergente Marti teneva una mano sulla mia spalla nel frattempo la sua barba era cresciuta ancor di più.
Ero furiosa, così tanto che nemmeno riuscivo a muovermi.
"te l'ho detto elisa, ho detto più di una volta che dovevi esserci anche tu, che sei una delle migliori ma non c'è stato verso".
Faceva male. Davvero troppo male.
Era stato girato un video del nono reggimento col moschin, Una serie di immagini dei miei compagni in azione o addestramento mentre una voce narrante recitava belle parole e grandi ideali.
Io amavo il nono, lo amo tutt'ora ma, quello che I suoi superiori mi avevano fatto era semplicemente crudele ed ingiusto.
Mi alzai di scatto, stavo per andare da quel vecchio a dirgliene quattro, indipendentemente dal grado sul suo petto.
Mi avevano spostata in un'altro posto con una giornalista solo perché intanto loro avrebbero fatto quel video e decisero di tagliarmi fuori.
Non era per il video, certo mi dispiaceva non esserci anche io. Quanto più per il gesto meschino. Che problema c'era se una donna era nei col moschin? Perché dovevo sentirmi meno importante rispetto i miei compagni, io come loro mi ero fatta in quattro. Durante gli addestramenti la sera ero così distrutta che faticavo perfino a chiudere le dita. Arrivavo a letto e criollavo sotto il peso di una fatica immane, fatica che avevo sconfitto e che molti altri uomini non erano riusciti nello stesso intento. Quindi perché dovevo vedermi tagliata fuori dal mio battaglione? Come qualcosa di brutto da insabbiare.
Marti mi afferrò per il polso sinistro trattennedomi.
"caporale Mazzoli" disse soltanto tentando quindi di raccogliere la mia attenzione.
"sergente Marti, sa quanto rispetto porto per lei ma si metta nei miei panni" ribadii girandomi puntando il taglio delle mie mani sul mio petto.
"lei sa quanto sangue e sudore o gettato per questo corpo e il ringraziamento è essere tagliata fuori come qualcosa da nascondere di cui ci si vergogna, sono meglio di molti altri e pure vengo trattata in questa maniera". Alzai la voce, alcuni ci guardarono sbigottiti, un caporale che alzava la voce ad un sergente.
"mi sono presa una pallottola per questa cazzata, stavo per morire e per cosa?! Perchè qualche grassone con troppe spille sul petto si vergogna di avere una donna tra le fila del nono?!" ero furiosa e Marti, vedendo la situazione s'irrigidì.
"caporale mazzoli" disse freddo e mi costrinse a irrigidirmi a mia volta.
"ordini" esalai. Non volevo davvero crederci, proprio lui che mi trattava in quel modo, era normale certo ma con lui e tutta la squadra si era formata una certa aria di famiglia, fondata ovviamente sul rispetto ma solitamente non ci imponeva niente. In quel momento lo stavo mettendo in imbarazzo difronte ad altri, non aveva nemmeno tutti i torti ma mi ferì sapere che alla fine non mi avrebbe aiutato.
"le armi della nostra squadra hanno bisogno di manutenzione e pulizia, quando hai finito torna da me e ti consegnerò altre istruzioni, vai ora". Restai qualche secondo mentre lo guardai negli occhi e quindi me ne andai per eseguire le sue indicazioni.
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