La scommessa del sergente Draghi

Qualche credente nel karma avrebbe potuto dire che il sergente Draghi se la fosse cercata, fu colto da una brutta polmonite che lo costrinse a letto, esattamente come accadde a me per causa sua.
Le cure sarebbero andate avanti per diverso tempo, dandomi il tempo di rimettermi in forze.
Gli altri Sergenti infatti non erano così tanto duri con me, tornai a mangiare e dormire regolarmente e il mio nome nella classifica generale tornò tra i primi in pochissimo tempo.
Quella sua polmonite stava rendendo vani tutti i suoi sforzi di farmi bocciare, sarei diventata una sniper che a lui sarebbe piaciuto o meno. Del resto mancavano poche settimane e il test finale era alle porte, nessuno poteva dire se Draghi avrebbe potuto partecipare o meno.
Speravo vivamente che sarebbe rimasto a letto per tutto l'ultimo mese così poi sarei stata assegnata ad una squadra, sotto il comando di un nuovo sergente.
Fui l'unica del corso a non fargli visita, perché mai avrei dovuto? Senza di lui era una pacchia e in poche settimane il mio aspetto iniziò a tornare quanto meno dignitoso; le ferite sul volto si erano cicatrizzate quasi del tutto, le occhiaie invece restarono ma quanto meno avevo ripreso un po' di colore e qualche chilo in più.
Una sera, invece di uscire decisi di andare a fare visita al mio amatissimo sergente, non per affetto quanto più per sbattergli in faccia il mio aspetto decisamente migliorato.
Non appena entrai, il medico mi si avvicinò con un cuscino e siccome era un mio superiore si sentì in diritto di darmi un ordine.
"caporale, devo assentarmi qualche minuto, dai questo al sergente Draghi, vuole stare seduto" la sua voce era frettolosa e severa, mi sbatté addosso il cuscino e prima di sparire si girò verso di me.
"non si preoccupi, mancherò pochi minuti" spiegò lui.
"agli ordini" esalai soltanto. Combinazione volesse che dovetti dare il cuscino proprio all'uomo per il quale ero giunta fin lì.
Si era fatto la barba e questo dettaglio lo rese meno burbero in un certo senso nonostante la grossa mascella che si ritrovava.

Con il cuscino stretto tra le mani lo guardai annaspare faticosamente, vederlo in quello stato faceva uno strano effetto.


Abituata a vederlo sempre combattivo e incazzato, faceva strano ad averlo sotto gli occhi così vulnerabile.

Così tanto che avrei potuto schiacciare il cuscino sulla sua faccia e ucciderlo, mi guardai attorno; tutti gli altri malati dormivano e il medico non sembrava tornare.

Mi avvicinai lentamente, la tensione mi faceva fremere indecisa se farlo davvero o meno. Era quella la soluzione?

"se vuoi farlo, vedi di fare in fretta" bisbigliò lui mentre si sollevò coi gomiti.

"se invece non hai le palle allora metti quel dannato cuscino dietro la mia schiena" aggiunse per poi tossire violentemente.

Nel frattempo io guardai fuori dalla finestra tornando a guardarlo quando smise.

"durante l'esame di mimetizzazione l'avevo sotto tiro, sarebbe bastato premere il grilletto e nessuno sarebbe riuscito a capire chi fosse stato" risposi quasi divertita e per la prima volta, sentii ridere anche lui.

Una risata rocca e piena di catarro, dolorante ma comunque una risata.

"sicura che mi avresti colpito?" replicò lui mentre sistemai il cuscino dietro la sua schiena.

"ecco" sussurrai dopo averglielo sistemato a dovere.

Lui non mi guardava, restava con le mani sopra le cosce che si trovavano sotto le coperte.

Fissava difronte a se, infastidito.

Sicuramente dal fatto che io lo vedessi in quello stato, debole e impontente.

"io non sbaglio un colpo sergente" tuonai facendo scaturire un'altra risata, gli diedi il suo tempo anche perché poi cominciò a tossire.

"certo! La signorina Mazzoli non sbaglia un colpo" replicò lui.

In quel momento capii che se ero arrivata fino al suo capezzale era per chiarire la nostra situazione una volta per tutte.

Era la mia prima occasione di parlargli in modo quanto meno civile dopo mesi trascorsi senza poter avere un dialogo.

Dovevo assolutamente trovare il modo di farmi lasciare in pace, mancava un mese scarso alla fine del corso, Ero tornata in vetta alla classifica e con quell'andazzo sarei riuscita nel mio intento. Per fare questo avevo bisogno che lui restasse fuori dai giochi o che appunto non mi importunasse più, qualora fosse guarito prima dalla malattia. Avrebbe ricominciato a starmi addosso vanificando tutto il recupero fatto senza di lui. Dovevo superare quel corso, lo dovevo ad Enrico e al sergente Marti anche se non andai a trovare i suoi cari.

"lo sa anche lei, non faccia il finto cieco, senza di lei sono tornata la prima in classifica, sono il cecchino più bravo di questo corso" ribadii ma qualsiasi cosa dicessi, lui ridacchiava in maniera scettica.

"e anche il più umile?" fu la sua frecciatina a cui risposi senza scompormi.

"non è questione di presunzione ma di realismo, è lei che non vuole accettarlo!".

Il nostro dialogo sembrava una partita a tennis, ogni botta e risposta serviva per spiazzare l'altro ma quella volta non avrei perso né il match né il dannato round. Quella volta avrei portato tutto a casa.

"accettare? Sono stato obbligato a prenderti, fosse stato per me non saresti mai entrata nel nono" ringhiò ma in quel momento Draghi sembrava sulla difensiva, questo perché non poteva discutere le mie abilità. Per questo potevo spingere e continuare a pungolarlo.

"qual è il suo problema sergente? Un'ex l'ha tradita e adesso se la prende con le donne?".

Gli avessi dato un manrovescio sarebbe stato più rispettoso ma ero un toro che correva contro il suo obbiettivo.

Presi una sedia e mi adagiai al suo fianco, per tutto il tempo lui non mi degnò di uno sguardo e continuò a non guardarmi anche dopo quella mia insinuazione.

"non son mai stato tradito da nessuna, stai nel tuo" non gli diedi tempo di prendere posizione, per così dire e ricalcai la dose.

"molti uomini hanno le corna e nemmeno lo sanno".

Le sue labbra si arricciarono mente i pugni strinsero le coperte, se avesse avuto la forza probabilmente avrebbe tentato di picchiarmi ancora.

"Mazzoli, sembri così esperta sul tradimento".

Risi di gusto a quella risposta sistemando il basco sulla mia testa.

"glielo devo concedere Sergente, è un modo davvero raffinato di darmi della troia ma non ha risposto alla mia domanda, che problema ha con me?".

Calò il silenzio nel quale il mio sorriso si spense in attesa di una risposta.

Restai a fissarlo fin quando si decise di aprire la bocca.

" eppure mi sembrava di esser stato chiaro, il nono reggimento è sempre stato maschile, trovo insopportabile che una donna sia qui, sei fuori posto e disonori il basco che qualche idiota ti ha permesso di indossare"

Eccolo il succo del discorso, quello che già sapevo ma che non avevo potuto verbalmente affrontare col sergente.

"lei conosceva il Sergente Marti?" domandai tranquillamente ma quella domanda lo fece girare col viso.

Per la prima volta dopo minuto mi stava guardando negli occhi, il suo sguardo era però infuriato.

"non ti azzardare a mettere in mezzo un fratello caduto, Marti era un combattente valoroso e..."

"è morto per salvarmi, sergente" lo interruppi e il suo sguardo si ghiacciò in un'espressione atterrita.

"ma che cazzo mi stai raccontando?" ringhiò lui.

Io presi fiato e nella mente tornarono le sciagurate immagino di quella missione maledetta.

"durante l'operazione midnight harvest con i Delta Force, un fuoristrada apparso da un incrocio stava per investirci così il sergente Marti mi spinse per salvarmi ma lui venne travolto".

Draghi stava per esplodere, il suo viso diventò rosso e gli si gonfiarono le vene del collo.

Prese a tossire violentemente e quando si riprese mi indicò un bicchiere poggiato sulla mia sinistra, poggiato su un piccolo comodino di legno verde mela con gambe di metallo bianco.

Presi il bicchiere e lui fece piccoli sorsi, porgendomi il bicchiere anche se non mi ringraziò.

"non sapevo Fosse andata in questa maniera" replicò lui tentando di mantenere un atteggiamento aggressivo ma che era un po affievolito dopo quella scoperta.

"il Sergente Marti credeva in me esattamente come qualsiasi altro componente della sua squadra, credeva così tanto che è morto per salvarmi, perché sapeva che anche io avrei fatto altrettanto, io sono pronta a morire per il nono reggimento perché lo amo ed è casa mia!".

Lui fece ancora una di quelle risatine scettiche facendo cenno di no con la testa.

"sei così sicura di queste tue parole Mazzoli?" mi incalzò ma non temevo di rispondergli, le parole scivolarono dalla mia bocca fluidamente.

"non potrei dire di essere viva se non avessi uno scopo per il quale sarei disposta a morire, sergente" mi sembrò di fulminarlo, resto interdetto per qualche attimo.

"e il tuo scopo quale sarebbe Mazzoli?" ringhiò ancora.

Il fatto che mantenesse quella rabbia gli faceva onore, quello dovevo concederglielo ma sentivo di star raggiungendo il mio obbiettivo.

"servire il mio paese, proteggere chi non può farlo e soprattutto, continuare a marciare per il Sergente Marti, per tutti gli altri Col Moschin morti in Somalia e un mio amica di infanzia caduto in Iraq, ho troppe cose in sospeso per emetterle di farmi fuori dal nono, lei non mi sbatterà via di casa, se lo metta in testa prima possibile" esclamai.

Fu utile quel nostro discorso? Certo che no, il sergente non cambiò il suo atteggiamento nei miei confronti ma per sua sfortuna, guarì qualche giorno dopo la fine del corso.
Nessuna cerimonia o festeggiamenti, solo un "complimenti ragazzi" per i pochi che riuscirono a passare mentre gli altri furono rispediti nelle loro precedenti squadre dove con tutta probabilità sarebbero stati presi in giro fino la morte dai rispettivi compagni.
Ci fu una sorpresa che spiazzò tutti, la classifica non era mai servita a niente se non a motivarci, a spingerci nel restare a galla e dare il meglio. Uno specchio per le allodole nel quale ci cascammo tutti. L'idea di essere in costante competizione serviva a dare il massimo costantemente e infatti, nel periodo senza Draghi tra i piedi lottai come una furia per vedere il mio cognome sopra quella dannata lista.
Fummo invece valutati singolarmente; conoscenze teoriche e capacità pratiche era solo la base poiché veniva considerato anche l'atteggiamento del candidato.
Eravamo costantemente sotto esame, sia quando di notte ci portavano tra i boschi per addestrarci, sia quando seduti a tavola mangiavamo in libertà. Gli esaminatori guardarono qualsiasi cosa cercando di scoprire più aspetti possibili del nostro carattere oltre che le capacità.
Alla domanda "perchè hai fatto domanda per diventare un cecchino?".
Restai in silenzio per qualche secondo più del dovuto ma fissando negli occhi i due istruttori che attendevano una mia risposta.
"Il cecchino è un ruolo molto importante e complesso,mi affascina e mi ha sempre affascinato. Ma a parte i gusti personali,Credo nelle mie capacità, so di poterlo fare no! Lo voglio fare per mettere queste mie abilità al servizio dei miei compagni e alla mia patria".
Fecero un broncio accondiscendente e mi dissero che bastava così, non dissi della promessa a Enrico pensando che quel genere di cose non piacessero molto, evitai di darmi la zappa sui piedi.
Solo cinque su venti passarono e io facevo parte di quei cinque, ero diventata a tutti gli effetti una cecchina.
Alla fine dei giochi, soltanto cinque furono idonei e io ero tra questi.
Draghi dovette stringermi la mano e nel farlo mi guardò con sfida, perse tempo perfino ad allungarsi verso il mio orecchio.
"alle cinque nel mio ufficio" esalò lui per andare verso la mia destra, continuando i saluti.
Presto ci avrebbero diviso in cinque squadre diverse, da quel momento in poi dovevamo tenerci pronti ad assegnazioni anche del giorno dopo. La bella vita consapevole di non poter esser spedita da qualche parte era finita, avrei ripreso il mio lavoro al cento per cento. Ogni mio pensiero in quel momento vagava indagando su quale sarebbe stato il primo posto dove mi avrebbero mandata col ruolo di cecchino, per quale missione e soprattutto con quale squadra.
Dentro di me sapevo che nessuna sarebbe stata paragonabile alla precedente, mi mancavano e odiai Glauco per avermi abbandonata anche se non potevo biasimarlo, più di me ed Alyssa si era trovato sul punto di morire.
Un soldato non ha paura della morte, un soldato ci vive costantemente con l'idea di poter morire, quello che più spaventa un soldato è la consapevolezza che tutti i suoi cari debbano andare avanti, farlo senza di lui. Il buio, il non sapere... Questo spaventa più della morte stessa.
Poiché morte è certezza, il dubbio distrugge.
Se solo avesse potuto vedermi, gli avrei sicuramente soffiato il posto, come mi disse in Somalia e sicuramente mi avrebbe fatto i complimenti.

Si stava avvicinando il ventisette febbraio e con esso, il mio ventunesimo compleanno. Mancavano davvero poche settimane ma non provavo nulla a riguardo, come un giorno qualsiasi dell'anno. Semplicemente, sulla carta diventavo più vecchia di un anno, niente di più.
Non ci sarebbe stata nessuna torta o regali. Niente feste e auguri probabilmente ma in mensa, rimuginando sulla cosa tra un boccone e l'altro, sentii un senso di isolamento. Non importava che fossi circondata da centinaia di altre persone, in quel momento fu come trovarmi sola. I tavoli erano stati abbandonati e il casino cessò di colpo. Un vuoto glaciale e statico come se il tempo fosse bloccato, le pareti ghiacciavano e un vassoio ad una ventina di metri da me, si trovava inclinato sul fianco di un tavolo stava per cadere ma restava immobile. Non provai paura o ansia, solo una lunga e profonda tristezza scaturita da qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
Tutto tornò alla norma e il vassoio cadde in terra, tutto ciò che vi era sopra si sparse ovunque facendo un gran casino e il proprietariò imprecò mentre un superiore lo raggiunse per rimproverarlo.
Distolsi lo sguardo tornando a mangiare come se nulla fosse, tornai a pensare al compleanno con un lungo sospiro.
Facevo schifo con le date, a parte quella di mio fratello che era tutta uguale, a stento ricordavo il giorno del compleanno dei miei e quello di Matteo. Erano persone importanti, perciò avevo le avevo memorizzate. Secondo me, se qualcuno si ricordava di farmi gli auguri allora ero importante per quella persona. Altrimenti non si sarebbe presa la briga di ricordarsi la mia data precisa e quando Facebook l'avrebbe avvisata mi sarei trovata un falsissimo "tanti auguri elisa" abbinato ad un cuoricino nella mia fin troppo ignorata bacheca.
"il ventisette faccio gli anni" dissi a caso, stavo mangiando con i quattro che come me passarono l'esame.
Ruppi un silenzio che durava dall'inizio del pasto.
"ah si? Dobbiamo festeggiare allora!" Disse uno dei ragazzi, feci una smorfia di superficialità stringendo tra loro: pollice, indice e medio che poi feci dondolare avanti e indietro.
"ma icchè dici?" Risposi e un altro domando.
"quanti ne fai?"
"ventuno, porca troia mi sembra ieri che ne avevo diciotto!" fu la mia malinconica risposta.
Il ragazzo alla mia destra mi afferrò per le spalle strattonandomi mentre ridacchiò. Avevo inforcato due penne ma tutto quello sballottare le fece ricadere nel piatto.
"dicono che dopo i venticinque volano ancor più rapidamente, quindi goditi questi ventuno anni prima che domani ti svegli e sei una quarantenne con tre figli ed un mutuo".
Lo guardai ridendo mentre mi immaginai seduta su una poltrona verdone con una sigaretta in bocca, un telecomando in mano e grosse ciabatte arancioni.
"cristo, piuttosto preferisco prendermi un'altra pallottola" esclamai infatti.
Dopo una risata generale tornò il silenzio ma minuti più tardi uno dei ragazzi mi indicò con la forchetta, si guardò attorno e poi si piegò verso di me, da come si comportava, il modo in cui era vigile faceva dedurre di non volersi far sentire.
"comunque gliel'hai messa dritta in culo al Sergente Draghi! Quello ha fatto di tutto per farti mollare e tu passi il corso sotto il suo naso, grande Mazzoli!".
Sorrisi da un orecchio all'altro, un sorriso maligno e malizioso. La cosa appena detta da quel ragazzo fu fonte di grande piacere.
"quello che più mi piace di tutto questo è che da adesso non dovrò più stare ai comandi di quell'idiota tutto muscoli" affermai.

Finito il Pranzo mi stavo avviando verso la mia stanza per prendere il telefono, non avendo ancora una squadra mi avrebbero messo da qualche parte a lavorare ma avevo ancora del tempo libero che volevo dedicare alle classiche telefonate verso casa.
Raggiunsi l'ala dove si trovava la mia stanza ma percorrendo il corridoio incrociai la strada col Caporale Fini, sospirai cercando di non farmi vedere perché sapevo già come sarebbe andata a finire.
Da quando lo conobbi all'armeria infatti mi fu costantemente addosso, quando mi vedeva stanca e deperita cercava di avvicinarsi provando empatica. Cose come "mi dispiace che il sergente Draghi faccia queste cose a te, non te lo meriti". Sai, le classiche stronzate che usate voi uomini per avvicinavi a noi donne facendoci soltanto stancare.
Oltretutto quel ragazzo era particolarmente insistente con l'invitarmi fuori, usava scuse come "dai usciamo, ti offro qualcosa da mangiare".
Mi aveva scambiata per una barbona? Non mangiavo per via del sergente non perché non avessi soldi, nemmeno si rese conto di quanto offensive fossero le sue proposte.
Una delle situazioni più brutte sicuramente era quando incrociavo una persona sgradita e non potevo evitarla, costretta ad incontrarla dovevo anche salutarla ma un saluto avrebbe implicato il permesso di potermi parlare. Mi ritrovai quindi costretta a fingere di notarlo e lo salutai, lui si fermò e io feci altrettanto.
"ciao mazzoli, come va?" Domandò mentre i suoi occhi rimbalzarono verso il basso per poi tornare sul mio viso, mi aveva appena sondata con lo sguardo, fu un gesto repentino che però notai.
"Tutto bene Fini, stavo andando a prendere il cellulare nella mia stanza." Esalai indicando alla mia destra.
Lui fece spallucce e tornò suoi suoi passi avvicinandosi a me.
"Dai, ti accompagno". Non mi aveva nemmeno tempo di rispondere che si era già avviato, avrei voluto spingerlo o fargli provare del male fisico, mi dava sui nervi.
"ma va, non c'è bisogno! Non hai da fare?" domandai cercando di restare cortese anche se non ero poi un'attrice provetta e segni di nervosismo si mostrarono palesi nel mio viso.
Lui non si accorse o semplicemente fece finta di non vederli, non sapevo se si rendesse conto di quanto poco professionale fosse.
"si ma per cinque minuti nessuno se ne accorgerà, non siamo mica militari".
Ridacchiò da solo alla sua battuta, rendendolo ancor più ridicolo ai miei occhi, restai bloccata perché non avevo la minima idea di come rivolgermi in modo civile, qualsiasi parola che mi venisse in mente comprendeva un insulto annesso.
"Senti... Fini, Ti ringrazio per quella volta in cui mi hai aiutata e poi coperta dal Sergente Draghi ma in questi mesi mi hai più volte proposto di uscire nelle ore libere e ogni volta ti ho sempre detto no, che non mi sembrava il caso, io non voglio sembrare cattiva ma un no resta no" dissi sperando di scrollarmelo da dosso. Abbassò la testa e fece un lento si, divenne triste e rispose con un semplice "Ok" per poi andare via a passo lesto.
Dissi anche io un ok simile al suo prima che se ne andasse e finalmente recuperai il mio cellulare, lo schermo tutto scheggiato mi faceva imbestialire ogni volta che lo vedevo.
Pensai di chiamare Matteo ma mi fermò il fatto che non avevamo ancora fatto pace.
Sicuramente provava ancora rancore nei miei confronti, quindi se lo avessi chiamato non mi avrebbe risposto o mi avrebbe insultata.
A dire il vero, avevo solo paura di dover intraprendere una conversazione nella quale mi sarei sentita in difetto, certo lui aveva esagerato con le parole ma io sparii ancora una volta da lui.
Non lo salutai nemmeno quando tornò a Roma per riprendere l'università, quindi a lungo andare, anche io fui colpevole.
Chiamarlo significava dovergli comunque delle scuse, dover discutere e per codardia scelsi di non farlo.
A dire il vero non chiamai proprio nessuno, mi connessi su Facebook trovando ben duecento quaranta richiesta di amicizia.
Mi dava fastidio avere tutte quelle richieste arretrate così iniziai a rifiutarne una dopo l'altra, tutta gente che non conoscevo da qualsiasi parte dell'italia, arabi e profili palesemente falsi.
Notai tramite le notifiche che un vecchio aveva condiviso sulla sua bacheca una mia foto di quando ero al mare, ancora sedicenne. Fece un commento molto "galante" e sotto altri suoi amici si unirono in un tributo al ribrezzo espresso in commenti.
Lo intimai di rimuovere la condivisione spiegandogli che in quella foto avevo sedici anni e per questo doveva soltanto vergognarsi.
Un motivo tra tanti per il quale non usavo molto i social, se solo avessi saputo come fare avrei cancellato il profilo.
In poco tempo persi la voglia di stare al telefono e invece di chiamare casa lo riposi nell'armadietto chiudendo a chiave.

Tra un lavoro e l'altro, le cinque giunsero in fretta, dovevo presentarmi nell'ufficio del sergente Draghi la cui porta era lievemente aperta.
Bussai usando le nocche e il suo avanti fu immediato, afferrai la maniglia e spingendola mi misi sugli attenti finché non mi diede riposo.
"puntuale, anzi no, in anticipo di due minuti" Costatò lui indicandomi la sedia difronte.
Stava scrivendo qualcosa sulla testiera del suo computer, non mi guardò nemmeno facendomi restare lì. Non sapevo cosa volesse ma resta in attesa guardandomi attorno, un ufficio piuttosto comune, niente di straordinario; Alcuni mobili, librerie, una finestra dietro di lui e vari attestati militari affissi sulle pareti.
Restai con le mani lievemente schiacciate tra le cosce fin quando sbracciando appena si girò verso di me, poggiò i gomiti sulla scrivania e mi guardò con un sorriso che la diceva lunga.
"allora Caporale Mazzoli, come è stato il suo primo giorno da cecchino?" avrei potuto sentire il suo sarcasmo anche dall'altra parte della base.
"esattamente come tutti gli altri giorni Sergente" feci spallucce e lui annuì indicandomi subito dopo.
Mi lanciò un foglio non appena uscì dalla stampante, questo strisciò sul piano della scrivania girandosi di novanta gradi.
Io lo afferrai e notai avesse una foto di una ragazza a colori e alcuni dati anagrafici.
"Beatrice Berleschi, volontaria italiana partita un anno fa. Da tre mesi è stata fatta prigioniera da alcune cellule jihadisti della zona. Le fonti dicono che sia ancora viva ma non sappiamo per quanto ancora, partiamo tra quattro giorni" non capii subito il motivo di quel piccolo briefing.
Restai a guardare la foto della donna, era circondata da ragazzini keniani, capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, forse aveva delle lentiggini sul viso. La corporatura era piuttosto minuta e immaginai fin da subito quanto mal ridotta poteva essere in quel momento, mentre parlavo col mio superiore.
"lo dice a me perché vuole che mi unisca? Io?" domandai scettica.
Lui riprese il documento e mi guardo seriamente, niente più sorrisetti sarcastici o sguardi di superiorità.
"hai detto di essere la migliore, di non sbagliare un colpo. Ti piacciono le scommesse Mazzoli?".
Aggrottai la fronte cercando di capire dove volesse arrivare con quella domanda, mi inclinai all'indietro con la schiena mentre poggiai una mano sulla scrivania.
"le scommesse? Scusi ma non capisco cosa centrino con questa poteva ragazza.".
"ora ti spiego" esalò immediato mentre si inclinò anche lui, sembrava che volesse sdraiarsi su quella sedia.
"se sei così brava come dici, te la sentiresti di giocarti la carriera?".
Ridacchiai incredula a certe dichiarazioni, presi fiato per parlare ma mi fermai guardandolo sconcertata. Era forse impazzito?
"cosa?" pigolai infatti.
"ti spiego meglio, ti voglio nella mia squadra, partirai con me e altri uomini per salvare questa ragazza. Se la riportiamo in patria resterai nella mia squadra e ti darò il tuo tanto amato rispetto, se invece falliremo la missione, darai le dimissioni."
Fu disgustoso quel suo ragionamento, stava letteralmente giocando con la vita di un essere umano, come poteva propormi una scommessa così tanto malata.
La situazione era così talmente tanto assurda che in quel momento non sapevo proprio come rispondere.
"che c'è? Pensi di non essere all'altezza?" mi incalzò ma a quel punto indicai il foglio con la mano tesa e il pollice piegato sul palmo.
"stiamo parlando di una povera ragazza rapita, l'avranno picchiata e seviziata. Mentre lei è qui a propormi queste porcherie lei sarà in una gabbia a piangere pregando soltanto di tornare a casa, come può giocare in questa maniera?".
Lui gonfiò il petto e poi scrocchiò le dita delle mani.
"tra tre giorni andremo a salvarla, non le sto mancando di rispetto, sto mettendo te alla prova."
Sollevai le mani verso l'alto incredula, quell'uomo aveva la capacità di farsi odiare ogni giorno di più.
Mi sentii in colpa anche solo al pensiero di una simile scommessa ma il pensiero di quella donna era diventato forte, volevo poterla salvare.
"quello che mi chiede è sleale, per quanto ne possiamo sapere potrebbe essere già morta o la potrebbero uccidere tra poco, che succede se arriviamo lì ed è già troppo tardi?".
Fece cenno di no con la testa dopo la mia domanda.
"è stato richiesto un riscatto quindi finché le trattative verranno portate avanti la piccola Beatrice resterà in vita, quindi Mazzoli? Alla fine cos'hai deciso?"



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