La civile Mazzoli Elisa

 A parte quel singolo evento, la cena proseguì tra risate e spensieratezza. Mangiai come un bisonte tanto da sentirmi scoppiare ma sapevo che in posti simili si faceva sempre quella fine e soprattutto, la birra era buonissima.
Il nostro tavolo era parecchio rumoroso, un gruppo di toscani scappati a Milano si potevano riconoscere lontano un chilometro. Oltretutto la band era in estasi per l'ingaggio appena ottenuto quindi ripetemmo due o tre brindisi urlando e ridendo come matti.
"Comunque secondo me, essendo pratese, Elisa tra tutti questi cinesi si sente a casa" Esclamò Marco, frecciatina divertente a cui risposi prima con un dito medio ben sollevato.
Prato era famosa per la sua elevata popolazione cinese all'interno quindi quando una come me diceva di essere pratese veniva presa in giro per questo.
A me comunque non tangeva molto e prendevo la cosa con ironia, infatti risposi a tono.
"ma tu non hai capito, in realtà prato è un distaccamento cinese e siamo pronti ad invadere tutta l'Italia, iniziando proprio da Livorno".
Infatti provenivano proprio da quella città anche se Milano sarebbe stata la nostra nuova casa, loro per la musica mentre io avrei trovato la mia nuova strada. In quel momento di gioia e spensieratezza arrivai a pensare che magari avrei trovato qualcosa fuori dalla vita militare che mi avrebbe resa felice, almeno speravo fosse così.
Quando finimmo di mangiare ci fermammo nel marciapiede appena fuori dal locale, le strade illuminate da una serie infinita di lampioni erano percorse continuamente da auto e mezzi di trasporto pubblico. Gente stanca che tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Milano mi sembrò narcolettica, fredda non solo nel clima ma anche come aria che la circondava.
A quell'ora era ormai quasi tutto chiuso fatta eccezione per quei piccoli market gestiti da stranieri che vendevano le loro specialità tipiche.
"ragazzi è stata proprio una bella serata ma devo prendere la metropolitana prima che me la chiudono" Spiegò marco facendo poi il giro tondo dei saluti.
"mi ha fatto piacere conoscerti" Gli dissi dopo che entrambi ci baciammo le guance.
"vengo con te, andiamo nella stessa direzione!" spiegò Cielo per poi guardarmi e ancora una volta mi abbracciò. Si... era veramente fin troppo espansiva.
"allora poi ci organizziamo per uscire" disse ancora, io gli feci cenno di si e la salutai con gentilezza.
Poco a poco ci trovammo solo io e Sam, gli unici che non avevano bisogno di prendere mezzi o auto per tornare a casa. Una camminata d'un quarto d'ora ci avrebbe aiutati a digerire quella montagna di cibo ingerita.
Come prima giornata milanese non fu nemmeno tanto male, se non per il litigio che intrapresi con Samuel, non mi era piaciuto infatti l'episodio della birra e per quanto sapevo lo facesse per me, mi fece sentire parecchi a disagio.
Certo non era l'ideale litigare la prima notte di convivenza ma poi per il resto andò bene.
Ogni mattina mi svegliavo alle sette e dopo una rapida colazione andavo in giro munita di curriculum e biglietto per la metropolitana se avessi voluto raggiungere luoghi più distanti.
Senza rendermi conto ero diventata esattamente come non avrei voluto essere da ragazzina, dicevo che quelli della mia scuola avrebbero passato una vita a cercare lavori brutti mentre io avrei fatto qualcosa per rendere il mondo un posto migliore e anche se per un po' avevo avuto ragione, più o meno. Ora mi trovavo ad essere una comunissima qualunque seduta sulle poltroncine giallognole della metropolitana m2 di Milano. Musica Country e rap italiano si alternavano nelle mie orecchie mentre con sguardo assente fissavo tutte le altre persone.
Era assurdo come tante persone diverse sembravano in realtà tutte uguali; a testa bassa, occhi intrappolati dai loro telefoni ed un volto inespressivo. Nemmeno si accorgevano che li fissavo.
Cosa prendeva a tutta quella gente? Perché nessuno sollevava la testa rendendosi conto di quello che stava succedendo? Ero l'unica a vedere la fredda... triste desolazione che avvolgeva tutti.
Effettivamente, a quel punto mi resi conto di non essere l'unica, un uomo poggiato all'indietro con la schiena sembrava stesse dormendo con il cappuccio della sua felpa nera che lo copriva dalle narici all'insù. Mosse in alto la mano in un segno di saluto quando restai a fissarlo più del dovuto e sentendo un senso di disagio tolsi lo sguardo quando la metro si fermò.
"Montenapoleone, fermata Montenapoleone. Aperture porta a destra" disse la voce negli alti parlanti ripetendola poi in inglese.
Molta gente uscì in silenzio salvo per quelli che erano al telefono e quando ripartì, guardai in direzione dell'uomo incappucciato ma questo non c'era più.

Raggiunta piazza d'uomo mi guardai attorno, nonostante fosse mercoledì era piuttosto affollata, soprattutto nel centro di essa dove svariati turisti si fotografavano davanti la cattedrale con larghi sorrisi e in pose sbracciate. Alcuni bambini correvano inseguendo i piccioni che spaventati volavano via in tutte le direzioni. Dietro il monumento di Vittorio Emanuele II a cavallo, alcuni ragazzi addetti all'operazione strade sicure facevano picca in uniforme, imbracciando i loro arx160. Restai fermai a guardarli a distanza, in modo da non esser vista e passar per pazza ma ne vederli sentii una stretta al cuore così forte da sentirmi male. Dovevo andare in giro a mandare curriculum ma decisi di sedermi sul primo gradone del monumento, volta con lo sguardo opposto alla cattedrale.
Piegai il viso verso il basso, una mano coprì la fronte mentre cercai di riprendermi.
Era un capitolo chiuso della mia vita, dovevo farmene una ragione e soprattutto farmi forza, passare oltre letteralmente oltre che metaforicamente.
Muovendomi verso via Torino li sorpassai sulla sinistra, stavano parlando tra di loro e quando uno di loro si accorse che li stavo fissando lui mi sorrise e io feci altrettanto porgendo un perfetto saluto militare. Mi mancava fare quel gesto e muovere l'avambraccio in quel modo donò al mio stato così triste un senso di assuefazione, come aver soddisfatto un bisogno impellente.
Non so se capì o meno ma il suo sorriso si ampliò e anche lui mi salutò in quel modo, ancora oggi non so dire se quel momento fu bello o imbarazzante ma comunque me li lasciai alle spalle e quel saluto voleva essere un mio passaggio di testimone, lasciando il mio passato lì con loro, dove doveva stare. Intanto io avrei continuato a camminare e quindi sarei andata avanti con la mia vita, che mi piacesse o meno, aveva poca importanza.
In quei giorni tra le vie Milanesi, scoprii che paradossalmente era più facile uccidere una persona che trovare qualcuno che fosse anche solo interessato nel ricevere curriculm.
"mi dispiace in questo momento siamo apposto, buona fortuna" mi veniva detto più o meno sempre la stessa cosa e quando uscivo dai negozi mi sentivo sempre più abbattuta, stanca di vivere ogni volta la stessa situazione giorno dopo giorno.

Iniziai a perdere la cognizione del tempo visto che senza rendermene conto erano passati quattro mesi e le giornate iniziavano a diventare più lunghe e calde con maggio alle porte.
Mentre però Samuel e la sua band lavoravano come dannati, provavano la loro musica e andavano a fare serate, io faticavo anche solo a trovare un posto dove potermi candidare. Lui diceva sempre di non preoccuparmi che a furia di cercare lo avrei trovato e che fino a quando non sarebbe successo lui comunque mi avrebbe aiutato economicamente, dandomi dei soldi per potermi muovere.
Ma mentre lui lo faceva con amore, sicuramente. Io mi sentivo sempre più uno schifo.
Avevo sempre fatto conto su me stessa, dai diciotto anni in su non avevo mai avuto bisogno di aiuto, di qualcuno che si occupasse di me. I soldi non mi mancavano, con le varie missioni fatte nel corso del tempo avevo racimolato parecchi euro ma lui si ostinava che non avrei dovuto spenderli, arrivando anche ad arrabbiarsi quando tornavo sull'argomento.
"non c'è bisogno che li usi, teniamoli da parte, tanto con questo lavoro ne faccio tanti" liquidava la cosa con frasi simili, non accorgendosi di quanto in realtà mi facesse male.
Quello che però dava più fastidio era il mio acconsentire, avevo perso ogni voglia di impormi o combattere per qualsiasi cosa.
Che fine aveva fatto la cecchina testarda che aveva smentito tutti i "non puoi farcela"?
Sapevo di essere ancora lei e per quante volte avessi perso fiducia in me stessa, poi la ritrovavo era sempre così, la vita del resto è una costante montagna russa di alti e bassi, si cade e bisogna alzarsi col peso di tutte le ferite per continuare a marciare, ancora e ancora.
Eppure, per quanto mi sforzassi non avevo le forze per farlo, nemmeno la voglia onestamente. Sconfitta dal ricordo di quel bastardo del sergente Draghi che uccise Fini e mi trascinò con lui in una condanna di cui sapevo non aver colpa. Eppure lui, partecipando al suo funerale disse di sentirsi profondamente dispiaciuto, che non si sarebbe mai abituato alla perdita di un fratello e che avrebbe continuato a combattere anche per lui.
Meritava di perdere tutto e invece quella distrutta ero io, in una strada di Milano alla caccia disperata di un lavoro che mi avrebbe fatta sentire incompleta e ogni giorno sempre più triste.
"hey Elisa, mi stai ascoltando?" disse Cielo, lei era accanto a me, vestita goth come al suo solito. Io con una T-shirt dei Nirvana nera col logo giallo. Sotto dei jeans azzurro chiaro e immancabilmente, delle all star nere basse ai piedi.
Avevo acconciato i miei capelli al solito modo spettinato e sulla spalla destra reggevo una borsa, una di quelle in tela, larghe e quadrate; dentro avevo una felpa bordeaux, vari curriculum e occorrente d'emergenza per donne, sei capisci che intendo.
Comunque la risposta a quella domanda era no, non la stavo ascoltando senza nemmeno rendermene conto.
"s-si Cielo, scusa mi sono distratta un attimo" feci cenno di no con la testa mentre provai a sorridere anche se in modo parecchio forzata.
"tranquilla, non era poi così importante solo uno con cui sono uscita che ho conosciuto su un app per appuntamenti" Spiegò lei così la guardai stranita.
"davvero usi quella roba?" domandai stranita e divertita allo stesso tempo, non sembrava una ragazza che avesse bisogno di usare app simili.
Lei ridacchiò e fece spallucce e così mentre camminavano lei tirò fuori il telefono e lo avvicinò per mostrarmi il ragazzo in questione.
Tipica foto da frequentatore di palestre in spiaggia con una descrizione sotto nella quale diceva di amare la vita, viaggiare e che voleva circondarsi di persone positive.
A quel punto guardai quasi male la mia nuova amica, forse un po' delusa dalla sua scelta decisamente discutibile.
"sei seria? Cioè esci con certi idioti?" domandai allontanando il telefono.
Uno del genere lo avrei mandato a quel paese nel giro di pochi minuti e pensare che una come Cielo: Batterista di una band ormai famosa che studiava all'università di Brera, uscisse con un simile idiota era parecchio fastidioso.
"meriti di meglio che un coglione del genere". Forse ero troppo acida, del resto non lo conoscevo ma non è che si presentava al meglio il tale.
"ma no, è davvero profondo e non intendo solo mentalmente" disse lei tenendo le mani tese in avanti e in parallelo ma distanti tra loro in un inequivocabile significato.
Sputai una risata mista a stupore, se diceva il vero quel ragazzo avrebbe avuto bisogno di un porto d'armi.
"ma non mi interessava saperlo!" dissi imbarazzata mentre lei fece una comica faccia maliziosa.
"certo certo, mentre sam? È messo bene?".
Non sapevo se rispondere o meno ma sicuramente pensai alla nostra vita sessuale che se all'inizio sembrava perfetta, poco a poco si mostrava sempre più scadente.
"ma poi non ne parli vero?" dissi preoccupata di quello che potevo dire.
Lei fece una faccia stupita e s'avvicinò prendendomi a braccetto, in quel momento, capii che dopo tanto tempo avevo trovato un'amica e quindi decisi di aprirmi a lei.
Feci lo stesso segno con le mani che fece lei ma era la metà di quello mostrato dalla ragazza, infatti fece un fischio leggero con la bocca a papera.
"accidenti, spero che almeno se la cavi altrimenti mi dispiace per te dolcezza" commentò ridacchiando mentre io mi sentii un po' stronza a parlare di certe cose intime ma quella sensazione venne surclassata da una scritta che lessi di sfuggita, tanto non risposi nemmeno alle sue parole e mi spostai verso destra con un movimento brusco.
"Oh elisa? Dove vai?" esclamò lei mentre le feci cenno di seguirmi, mi stavo avvicinando ad un negozio di Bubble tea dove sulla vetrina vi era affisso il cartello "cercasi commessa".
Entrai a passo lesto nel locale e venni accolta da una ragazza in carne dalla pelle olivastra e il naso a patata. Indossava un polo bianca sotto un grembiule color caffè, in testa un berretto e dei quanti di plastica sulle mani.
"ciao ragazze, cosa vi faccio?" domandò lei e mentre Cielo frugava nella sua borsa a forma di bara io tirai fuori un curriculum.
"in realtà ho letto l'annuncio e volevo lasciare il mio curriculum!" spiegai e la ragazza allungò una mano mostrando un ampio sorriso.
"oh! Hai fatto benissimo, che esperienze hai?" domandò lei e probabilmente mi feci scura in viso.
"in realtà ho prestato servizio militare da quando avevo diciotto anni fino poco tempo fa, quindi non ho nessuna esperienza ma mi serve davvero tanto un lavoro, so parlare perfettamente inglese, francese e tedesco ma non ho nessuna esperienza in questo ambiente" Spiegai cercando di vendermi come meglio potessi.
Lei annuì mentre riponeva il curriculum nel sottobanco e poi rispose.
"accidenti eri una soldatessa?! va bene dai, quando arriva il mio responsabile gli mostro il tuo curriculum, sembri una sveglia!".
La ringraziai ignorando la sua domanda, del resto era quello che avevo detto, perché doverlo ribadire?
Soprattutto, perché stupirsi così tanto? Provai un senso di fastidio ma feci buon viso a cattivo gioco, mi interessava soltanto trovare un dannato posto di lavoro, qualsiasi esso fosse.
Uscimmo da quel posto con un bubble tea nelle nostre mani, Cielo s'impuntò di volermene offrire uno e così per la prima volta lo assaggiai in vita mia.
Di base era un semplice tè verde che io scelsi al gusto d'ananas ma la specularità era che sul fondo vi erano delle palline, come caramelle e queste risalivano con la bevanda tramite la cannuccia per poi esplodere in bocca e mischiandosi al tutto. Le mie erano alla fragola mentre Cielo le aveva ai lamponi all'interno di un tè nero alla rosa. Quando lo assaggiai sembrò di bere sapone, un vero schifo.
"che schifo stai bevendo?" esclamai infatti e lei ridacchiò mentre porsi la mia cannuccia sotto le sue labbra così da ricambiare. Anche a lei non piaceva il mio infatti stropicciò il viso e io ridacchiai.
"ma da che pulpito!" controbatté divertita.
Bevendo e camminando raggiungemmo in breve tempo le colonne di San Lorenzo e da lì andammo a stenderci al parco delle Basiliche o comunemente detto Parco Vetra.
Molti altri ragazzi avendo avuto la nostra stessa idea formavano dei gruppetti qua e là in tutto il prato, alcuni vecchi invece sedevano sulle panchine lungo il viale alla sinistra che alcuni corridori percorrevano a passo veloce.
Milano in quel momento mi si presentò più solare, calda. Non pensavo che potesse donare simili scorci di vita e poi la cattedrale contornata da torri e costruzioni tipiche medievali non faceva altro che abbellire il quadro generale di tutto quel contesto così tanto rilassante.
Ci stendemmo sull'erba, nuca per terra e sguardo rivolto verso l'alto dove le nuvole lentamente mutavano in un cielo azzurro e profondo.
Vivere quei piccoli e quotidiani momenti faceva bene all'anima, la puliva da tutti i pensieri perché quando ci ero immersa potevo concentrarmi solo sul viverli. Ogni altro pensiero veniva scacciato come quando si ha mal di denti e si prende un antidolorifico. Il dolore è atroce al punto da toglierti il sonno e la fame. Se continua a lungo rischi di perdere la testa ma in quei momenti, quando non senti più quel penetrante male... Si placa tutto e puoi prendere un po' di respiro. Ecco cosa era quel momento con Cielo, un antidolorifico per il mio gigantesco mal di denti.
"sai a cosa sto pensando?" disse lei piegando la testa per guardarmi, io feci altrettanto immergendomi nei suoi occhi neri, niente lente a contatto quella volta.
"a cosa?" risposi delicatamente. Lei toccò il piercing che avevo sul sopracciglio e notai che il suo sguardo percorse la lunghezza della mia cicatrice.
"a come me la sono fatta?" Domandai un po' rattristata anche se sorrisi. Restai stupita della sua reazione iniziale, contrariata dalla mia domanda, dopo un rapido segno di negazione tolse le sue dita affusolate dal mio viso.
"in realtà era più una cosa mia, quando penso alla band e al fatto che stiamo avendo successo, nessuno ci credeva e onestamente anche io eppure eccoci qui, stiamo progettando il primo tour in Italia e le nostre canzoni vanno alla grande su spotify".
Restai ad ascoltarla incuriosita dal tono col quale mi disse quelle parole, il suo volto infatti appariva smarrito e lievemente corrucciato, gli occhi invece si muovevano repentinamente come se stessero cercando qualcosa. Chiunque sarebbe stato felice di quei risultati mentre lei non lo sembrava affatto.
"e perché questo sembra non renderti felice? È una gran cosa no?" le mie parole uscirono lievemente visto che eravamo così tanto vicine che se fossimo state le protagoniste di qualche film, chiunque avrebbe pensato che da lì a poco ci saremmo baciate e lo ammetto, l'idea per qualche secondo mi era anche passata per la mente. Non tanto come una cosa che volevo fare di concreto quanto più un ipotesi, un pensiero che ritenetti casuale in quel momento.
"quando non avevo una band pensavo che nel momento in cui ne avrei avuta una sarei stata felice ma a quel punto volevo che la band avesse successo quindi non ero felice, così come per tutto il resto. Pensavo che studiare alla Brera mi avrebbe fatta sentire realizzata ma... io continuo a sentire un vuoto dentro che non so spiegarmi e... dio mio scusami quanto parlo".
La sua voce alta diventò strana quando un tono triste la cambiò appena e quel suo vuoto che onestamente non avevo mai provato mi sembrò però famigliare perché forse era quanto provavo dal mio arrivo a Milano. Non sapevo come rispondere e mi sentii parecchio inutile.
"Cielo io mi sento una merda perché per quanto vorrei dirti qualcosa temo che sarebbe soltanto banale tipo; fa quello che il tuo cuore ti dice di fare e insegui i tuoi sogni. Non voglio essere quella persona quindi non dirò nulla a riguardo se non questo..." Presi un respiro dispiaciuto nel sapere che quella ragazza provava quel così brutto sentimento.
"... posso ormai dire che tu sia ufficialmente la mia prima vera amica che io abbia mai avuto e per questo ogni volta che vorrai sfogarti e parlare puoi fare conto su di me, non sono bravissima a parlare ma sono un ottima ascoltatrice" cercai di sorridere alla fine della frase e per fortuna fece lo stesso anche lei ringraziandomi.

Tornai a casa verso le otto e quaranta con la metropolita dopo che mangiammo insieme un panino al Mc Donald's. Erano anni che non andavo e dalla calca di gente mi ricordai il motivo.
Durante la nostra grassissima cena ci sedemmo affianco al tavolo di due ragazzi che tra loro ridevano e scherzavano in continuazione. Anche con insulti che sarebbero potuti essere molto offensivi ma evidentemente tra loro c'era così tanto affiatamento da non importarsene.
Uno aveva dei capelli trascurati e folti, come un casco fatto di capelli ed una folta barba a tratti rossiccia. Un felpone arancione e jeans con strappi sulle cosce.
L'altro invece aveva; lunghi capelli corvini tenuti insieme da un codino, pelle olivastra ed un abbigliamento più elegante con un maglioncino ed un jeans nero attillato.
Mentre parlavo con Cielo più di una volta guardai il ragazzo trasandato sentendo qualcosa, come un legame. Non ti è mai capitato di incrociare una persona sconosciuta e sentire che quella l'hai già vista da qualche parte o che comunque ti sembra importante? A me piace pensare che ogni persona conosciuta in vita la si ha già conosciuta in una vita precedente e che le anime collegate da vite passate, in un modo o nell'altro si ritrovano. Fosse per una vita intera o anche per pochi minuti come accadde con quel ragazzo.
Pensai a ciò per tutto il resto della serata, il tempo di tornare a casa mentre ascoltavo la musica dal mio telefono con la batteria ormai morente. Di sera la metropolitana mi sembrò quasi rilassante e felice di aver passato quella bella giornata, aprii la porta di casa.
Dentro era buio se non per la luce del televisore che illuminava la sala, seduto sul divano Samuel stava giocando a Call of duty ma appena entrai mise in pausa.
Sulla sua destra aveva un cartone di pizza ormai vuoto ed una bottiglia di coca cola da due litri semi vuota poggiata contro il bracciolo.
"buona sera eh!" disse lui con tono seccato, cercai di ignorare quel suo modo e raggiungendolo sul divano mi poggiai su di lui.
"si può sapere dove diavolo sei stata? Ti stavo aspettando per cenare" esclamò ancora seccato.
Feci spallucce mentre prendendo il suo joypad feci riavviare il gioco, anche se morii praticamente dopo qualche secondo. Ironica come cosa, per questo ridacchiai mentre ricominciai a giocare.
"ero con Cielo, abbiamo mangiato al Mc e poi siamo tornate, in un negozio di bubble tea cercavano personale, mi sono candidata" risposi con tranquillità. Questo perché se avessi risposto a tono avremmo iniziato a discutere e non mi andava di farlo.
" è fantastico, ma non potevi avvisarmi?" domandò sollevando ancora la voce, a quel punto fui io a mettere in pausa il gioco.
"oh bischero... intanto non vociare, secondo: icché tu sei? Il mi babbo?" Cercavamo di non parlare in dialetto ma quando mi arrabbiamo il mio lato da toscanaccia usciva con prepotenza.
Mi alzai dal divano avviandomi verso la cucina.
"no, solo che viviamo insieme, devo pur sapere se tu vieni a casa a mangiare o vai in giro a farti i cazzi tuoi no?!" lo sentii ribattere mentre afferrai il cartone del succo alle arance che versai in un bicchiere.
Quel suo modo era davvero fastidioso e ad aumentare il nervoso tornò a giocare, a quel punto gli spari del videogioco che solitamente mi erano indifferenti, entrarono violentemente nella mia testa.
"spegni quel gioco..." sibilai secca ma lui se ne fregò liquidando la cosa con una risata.
"non solo vai in giro con Cielo e torni tardi, adesso mi dici anche quello che devo fare?".
Nella mia testa ogni evento traumatico veniva riportato ad ogni sparo che lui faceva nel gioco, vedevo la testa di Enrico esplodere, il bambino morire dopo avermi sparato, io nel deserto che coprivo la corsa di Alyssa. Ogni dannato colpo esploso nel gioco era un colpo che io esplodevo nei miei ricordi, qualcosa che non volevo ricordare e che fece tremare violentemente le mie mani.
"spegni quel cazzo di videogioco porca puttana!" urlai violentemente.
Samuel lanciò via il joypad dopo aver messo pausa e di scatto s'alzò verso di me affrontandomi faccia a faccia, un palmo dal mio naso.
Restai a fissarlo negli occhi mentre allargai le braccia e i miei muscoli si irrigidirono.
"andiamo, provaci! Dai!". Avevo ancora un tono di voce alto, infuriato.
Inalava aria come un toro mentre i suoi occhi saettavano contro i miei ma di colpo si rilassò con un'espressione in colpa.
"no scusami, alle volte esagero io n-non... non ti farei mai del male". Sussurrò tentando poi di baciarmi, spostai indietro la testa e sorrisi con aria di sfida.
"anche perché ho ucciso persone ben più pericolose di te, non mi faresti male nemmeno volendo".
Calò un pesante silenzio che perdurò tutta la sera, finché stanca di stare al telefono mi addormentai.
Fu lo stesso telefono a svegliarmi, squillò quando ormai erano le dieci del mattino e cercando di riprendermi il più possibile risposi quando vidi un numero che non avevo salvato in rubrica.
"pronto?" domandai.
La voce dall'altra parte sembrava provenire da un uomo di mezza età, una di quelle solari e positive.
Speravo solo che se fosse qualcuno per il lavoro, non sarei sembrata mezza rimbambita.
Samuel che nel frattempo si era già svegliato, mi domandò chi fosse con un gesto della mano e io aprendo la mia gli dissi silenziosamente d'aspettare.
"si pronto, la signorina Mazzoli giusto?". Riuscii a sentire un accento veneto nel suo parlato ma quello che mi premeva più di tutto era sapere se fosse un venditore o uno che mi cercava per le mie svariate candidature.
"è corretto, sono io. Lei chi è?".
"Mi fa piacere sentirla. Io sono Tommaso Motta, gestisco il personale del Flik. Il negozio di Bubble tea dove lei ha lasciato ieri il curriculum. La chiamo per chiederle se oggi è disponibile ad un colloquio!".
Mi si stampò un sorriso a trentasei denti sulla bocca mentre Samuel intanto si era avvicinato, curioso dalla conversazione.
"Certo, assolutamente. Sono libera tutto il giorno!" Risposi immediatamente.
"Bravissima! Allora alle tre e mezza venga in negozio che facciamo due chiacchiere!".
Non era detto che il posto sarebbe stato mio ma per qualche strana ragione mi sentivo positiva a riguardo, come se sapessi già che avrei lavorato in quel posto.
Di certo non era il sogno della mi vita preparare tea con le bolle ma qualcosa dovevo pur fare, fosse stato anche un semplice part time.
Dopo aver Salutato Il signor Motta emisi un versetto a denti stretti fiondandomi sulle braccia di Samuel che mi sollevò appena da terra reggendomi con le mani sotto le natiche.
"ho un colloquio oggi alle tre e mezzo!" lo aggiornai e sul suo viso si dipinse un espressione di gioia, dimenticandoci entrambi della litigata avuta la sera.
Così dopo aver mangiato rapidamente tre toast all'una mi affrettai per raggiungere la metropolitana, non importava se sarei arrivata tanto in anticipo l'importante era farmi vedere volenterosa.

Ancora una volta in metropolitana, come sempre sommersa da una mandria di persone che si spostavano senza mai fermarsi. Il mio passo era rapido e sicuro, niente cuffie alle orecchie perché le dimenticai a casa e questo piccolo dettaglio sconvolse la mia giornata positiva.
Premetto, in quei giorni a Milano non avevo prestato molta attenzione ai notiziari preferendoli a qualche telefilm in streaming invece.
Questo perché sapevo benissimo che guardandoli avrebbero sicuramente prima o poi parlato di qualche paese estero in cui vi era la guerra o notizie affini, facendomi stare male.
Fu come mettere la testa sotto terra ma tutto ciò aveva portato soltanto al fatto che ero ignara che un uomo non meglio definito aveva minacciato L'europa e la Russia.
Sto parlando di Chatov e di quel periodo in cui fece scoppiare una guerra civile nel suo paese, nessuno stato avrebbe aiutato l'esercito russo in quanto il presidente di quel periodo ritenne inutile farsi aiutare da altri stati per un semplice terrorista e che il suo esercito avrebbe debellato la minaccia in poco tempo.
Ed effettivamente, aveva ragione. I soldati russi non erano affatto persone con cui si poteva avere il lusso di scherzare, proprio per niente e in quei mesi. Mentre io pensavo a trovare un lavoro e chiacchierare di peni con Cielo. Avevano messo alle strette Chatov confinandolo nel paese a Anadyr, un paese dell'estremo oriente russo.
In risposta a tutto ciò. Quel vile Di Chatov prese in ostaggio tutti gli abitanti dopo aver neutralizzato le forze di polizia, creando un cordone dal quale nessuno poteva entrare ed uscire e per finire.
Un vero e proprio isolamento dal resto del mondo. Minacciò il governo russo che avrebbe giustiziato i civili qualora il suo esercito avrebbe tentato degli attacchi.
Questo congelò tutto fino a quel preciso giorno, quello in cui io stavo andando ad un colloquio di lavoro. Non appartenevo più a quel mondo e infatti, stava andando avanti senza di me. Nel modo più erroneo possibile. I sensi di colpa si fecero risentire poiché ancora una volta pensai che se durante l'operazione midnight harvest avessi fatto meglio, tutto ciò che stava accadendo non sarebbe mai avvenuto.
Nelle aree della metropolitana vi erano alcuni schermi dai quali passavano le notizie più importanti, fu proprio su uno di quelli, ferma come tutti gli altri con la testa all'insù. Che la realtà mi diede un gigantesco schiaffo in faccia.
"il conflitto interno tra la Russia e il gruppo di terroristi ribelli che vogliono sovvertirla, ha avuto oggi un tragico epilogo quando alle tre e trentatré, ora locale. San Pietroburgo è stata attaccata e rasa al suolo da un ordigno di tale portata da distruggerla completamente. Le poche immagini che possiamo fornirvi sono quelle prima dell'intera chiusura dello stato sovietico. Certo è che un evento simile non accadeva nella storia dell'umanità dal quel giorno d'agosto nel 1945, quando Nagasaki venne distrutta da una bomba atomica. Non sapp...".
Smisi di guardare e continuai a camminare, scappando a passo lesto via da quella notizia.
La portata di un simile evento avrebbe avuto delle conseguenze catastrofiche, non era più un semplice attacco terroristico che per quanto grave, paragonarlo con la distruzione di un intera città come San pietroburgo era impossibile.
Quella era una vera e propria dichiarazione di guerra e dimostrazione di forza, esattamente come fece la prima volta che lo incontrai, sciolse un soldato solo per il gusto di mostrarci quanto potesse essere forte.
Per quanto i giornalisti non potevano dare un nome, sapevo si trattasse Di Yuri Chatov e la prova stava nelle immagini mostrate da distanza il poco che restava della città.
Tutta la zona d'impatto avvolta da una coltre tanto intensa da non riuscire a discernere nulla all'interno, almeno dalle immagini dell'elicottero. Un banco di fumo che con fare pesante veniva portato via dal vento, sembrava quasi che quest'ultimo si tinse di rosso. Un agghiacciante spettacolo di morte e distruzione.
Tutto quello che si poteva vedere era gli accenni di alcune rovine liquefatte e coperte da polvere scarlatta. Com'era possibile che una città dalla superficie superiore a mille chilometri fosse stata cancellata via in pochi istanti? Solo a pensarci non sembrava vero e mentre raggiunsi il duomo non mi sembrava vero che fosse accaduto.
Quando tragici eventi come quelli accadevano, colpendo le persone all'improvviso. Non gli si crede fin da subito, il primo istinto è pensare "non può essere vero". Ma poco a poco, quel sentore svanisce lasciandoci solo a pensare cosa sarebbe accaduto da lì in avanti.
Sicuro la Russia non avrebbe più potuto impedire gli altri stati di aiutarla, era stata violata la convenzione internazionale sulle armi chimiche. Da quel momento chiunque avrebbe voluto mettere le mani sul responsabile ed ero certa che chi di mestiere probabilmente si stava già mettendo all'opera.
Fin da subito, uscita dalla metropolitana dopo aver driblato l'ennesimo venditore di braccialetti, mi accorsi della tensione generale che si respirava tra le persone nella piazza.
Era l'argomento sulla bocca di tutti e mentre mi avviai verso il negozio di bubble tea, guardai qualche notizia in rete.
Ovviamente l'ombra di un terzo conflitto mondiale si fece forte fin da subito; per molti sarebbe accaduto, altri invece dicevano che il responsabile, dopo il crimine commesso aveva ancora vita breve.
In realtà dopo quanto avevo visto, ero più propensa nel trovarmi d'accordo col primo gruppo. Di quel passo, Yuri Chatov sarebbe stata la causa di tempi davvero bui.


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